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28 Aprile 2005: 12° anniversario della morte di
don Tonino
Bello
Introduzione:
Salmo 99 letto a cori alterni, uomini e donne (1 riga a coro)
Acclamate al Signore, voi tutti della terra, servite il
Signore nella gioia, presentatevi a lui con esultanza.
Riconoscete che il Signore è Dio; egli ci ha fatti e noi
siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo.
Varcate le sue porte con inni di grazie i suoi atri con canti
di lode, lodatelo, benedite il suo nome;
poiché buono è il Signore, eterna la sua misericordia, la sua
fedeltà per ogni generazione.
Gloria al Padre….
Canone di
invocazione allo spirito
Spirito di Dio,
che agli inizi della creazione ti libravi sugli abissi dell’universo, e
trasformavi in sorriso di bellezza il grande sbadiglio delle cose, scendi
ancora sulla terra e donale il brivido dei cominciamenti. Questo mondo che
invecchia, sfioralo con l’ala della tua gloria.
Dissipa le sue rughe. Fascia le ferite che l’egoismo
sfrenato degli uomini ha tracciato sulla sua pelle. Mitiga con l’olio della
tenerezza le arsure della sua crosta. Restituiscile il manto dell’antico
splendore, che le nostre violenze le hanno strappato e riversa sulle carni
inaridite anfore di profumo.
Restituiscici al
gaudio dei primordi. Riversati senza misura su tutte le nostre afflizioni.
Librati ancora sul nostro vecchio mondo in pericolo. E il deserto,
finalmente, ridiventerà giardino, e nel giardino fiorirà l’albero della
giustizia, e frutto della giustizia sarà la pace.
Canone
Spirito Santo,
che riempivi di luce i profeti e accendevi parole di fuoco sulla loro bocca,
torna a parlarci con accenti di speranza. Frantuma la corazza della nostra
assuefazione all’esilio. Ridestaci nel cuore nostalgie di patrie perdute.
Dissipa le nostre paure. Scuotici dall’omertà. Liberaci dalla tristezza di
non saperci più indignare per i soprusi consumati sui poveri. E preservaci
dalla tragedia di dover riconoscere che le prime officine della violenza e
della ingiustizia sono ospitate nei nostri cuori.
Donaci la gioia di capire che tu non parli solo dai microfoni delle
nostre chiese. Che nessuno può menar vanto di possederti. E che, se i semi
del Verbo sono diffusi in tutte le aiuole, è anche vero che i tuoi gemiti si
esprimono nelle lacrime dei maomettani e nelle verità dei buddisti, negli
amori degli indù e nel sorriso degli idolatri, nelle parole buone dei pagani
e nella rettitudine degli atei.
Canone
Spirito Santo,
che hai invaso l’anima di Maria per
offrirci la prima campionatura di come un giorno avresti invaso la Chiesa e
collocato nei suoi perimetri il tuo nuovo domicilio, rendici capaci di
esultanza.
Donaci il gusto di sentirci “estroversi”.
Rivolti, cioè, verso il mondo, che non è una specie di Chiesa mancata, ma
l’oggetto ultimo di quell’incontenibile amore per il quale la Chiesa stessa
è stata costituita.
Canone
Spirito di Dio,
che presso le rive del Giordano sei
sceso in pienezza sul capo di Gesù e l’hai proclamato Messia, dilaga su
questo Corpo sacerdotale raccolto davanti a te. Adornalo di una veste di
grazia. Consacralo con l’unzione, e invitalo a portare il lieto annunzio ai
poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà
degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, e a promulgare l’anno di
misericordia del Signore.
Facci capire che i poveri sono i “punti di entrata”
attraverso i quali tu, Spirito di Dio, irrompi in tutte le realtà umane e le
ricrei. Preserva, perciò, la tua sposa dal sacrilegio di pensare che la
scelta degli ultimi sia l’indulgenza alle mode di turno, e non invece la
feritoia attraverso la quale la forza di Dio penetra nel mondo e comincia la
sua opera di salvezza.
Canone
Spirito Santo,
dono del Cristo morente, fa’ che la
Chiesa dimostri di averti ereditato davvero. Trattienila ai piedi di tutte
le croci. Quelle dei singoli e quelle dei popoli. Ispirale parole e silenzi,
perché sappia dare significato al dolore degli uomini. Così che ogni povero
comprenda che non è vano il suo pianto, e ripeta col salmo: “le mie
lacrime, Signore, nell’otre tuo raccogli”.
Canone
Spirito di Pentecoste,
ridestaci all’antico mandato di profeti. Dissigilla le nostre labbra,
contratte dalle prudenze carnali. Introduci nelle nostre vene il rigetto per
ogni compromesso. E donaci la nausea di lusingare i detentori del potere per
trarne vantaggio.
Trattienici dalle ambiguità. Facci la grazia del
voltastomaco per i nostri peccati. Poni il tuo marchio di origine
controllata sulle nostre testimonianze. E facci aborrire dalle parole,
quando esse non trovano puntuale verifica nei fatti.
Spalanca i cancelletti dei nostri cenacoli. Aiutaci a vedere i
riverberi delle tue fiamme nei processi di purificazione che avvengono in
tutti gli angoli della terra. Aprici a fiducie ecumeniche. E in ogni uomo di
buona volontà facci scorgere le orme del tuo passaggio.
Canone
Luca -
Capitolo 15 La pecora perduta
“Chi di voi se ha cento
pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a
quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla
tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi
con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci
sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove
giusti che non hanno bisogno di conversione.
Dall’Omelia di papa Benedetto XVI
La parabola della pecorella smarrita, che il
pastore cerca nel deserto, era per i Padri della Chiesa un'immagine del
mistero di Cristo e della Chiesa. L'umanità noi tutti - è la pecora smarrita
che, nel deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera
questo; Egli non può abbandonare l'umanità in una simile miserevole
condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per ritrovare la
pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La carica sulle sue spalle, porta
la nostra umanità, porta noi stessi Egli è il buon pastore, che offre la
sua vita per le pecore. Il Pallio dice innanzitutto che tutti noi siamo
portati da Cristo. Ma allo stesso tempo ci invita a portarci l'un l'altro.
Così il Pallio diventa il simbolo della missione del pastore, di cui parlano
la seconda lettura ed il Vangelo. La santa inquietudine di Cristo deve
animare il pastore: per lui non è indifferente che tante persone vivano nel
deserto. E vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il
deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell'abbandono, della
solitudine, dell'amore distrutto. Vi è il deserto dell'oscurità di Dio,
dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del
cammino dell'uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perchè i
deserti interiori sono diventati così ampi.
Canone
Pascimus vobis (don Tonino –Messa Crismale del
16/04/1992)
Carissimi fedeli, noi siamo i vostri pastori.
Ecco, noi siamo chiamati, con l’Ordine
Sacro, a esprimere la rappresentanza legale di Cristo Pastore.
Ma come è esposto alla tentazione della fuga, al pericolo del
disimpegno, e alla lusinga dell’interesse privato in atti di Chiesa questo
nostro ruolo di mandriani!
Oltre, però, che Capo e Pastore, Gesù è anche Sposo. Ama perdutamente
la sua Chiesa. Da morire. La ama come un uomo ama la donna dei suoi sogni.
Ha messo su casa con lei. Ha scelto, come regime, la comunione dei beni. Le
ha intestato tutto il patrimonio. Non la ripudia più. E le rimane fedele per
sempre: nella gioia e nel dolore, nella buona e nella cattiva salute, e le
promette di amarla e onorarla per tutti i secoli dei secoli della sua vita.
Ebbene, noi siamo chiamati, con l’Ordine Sacro, a esprimere la
rappresentanza legale di Cristo Sposo.
Ma, oltre che esaltarci, come ci tormenta il ruolo di
rappresentanti del Signore in questo incredibile matrimonio per procura! Il
quale, con la tribolazione e col gaudioso offertorio della rinuncia a ogni
altro amore di donna, ci obbliga a essere segno di fedeltà e segno di cuore
indiviso.
Sì, molto meno rischioso stare “nella” Chiesa, con il Crisma sulla
fronte, che stare “di fronte” alla Chiesa, con il Crisma sulle mani!
Ma non per questo ci tiriamo indietro, o ci lasciamo piegare dalla
paura.
Sappiamo che “ai presbiteri è dato da Cristo, nello Spirito, un
particolare dono, perché possano aiutare il Popolo di Dio a esercitare con
fedeltà e pienezza il sacerdozio comune che gli è conferito”
Ma sappiamo anche che voi, fedeli, ci incoraggiate con la
vostra solidarietà perché ai pastori non venga mai meno la carità pastorale.
E, infine, sappiamo che ognuno di noi viene sorretto dalla
preghiera quotidianamente rivolta al Signore: “Tu, Dio, che conosci il
nome mio, fa’ che ascoltando la tua voce, io ricordi dove porta la mia
strada, nella vita, all’incontro con te”. E con i fratelli.
Salmo 22
- Il buon pastore
Il Signore è il mio
pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare ad acque
tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per
amore del suo nome.
Se dovessi camminare in
una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo
bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una
mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio
calice trabocca.
Felicità e grazia mi
saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del
Signore per lunghissimi anni.
Gloria al Padre…..
Utinam pro vobis mori possimus (don Tonino –Messa
Crismale del 16/04/1992)
“Signore
Gesù, buon Pastore, che hai dato te stesso fino alla morte di croce per le
tue pecorelle, rendici degni di poter offrire tutta intera la nostra vita
per la porzione di gregge che tu ci hai affidato.
Vogliamo darla “aut effectu, aut
affectu” come ci ripete S. Agostino.
O di fatto, o col cuore.
Forse tu non chiedi questa prova oblativa “effectu”, con i fatti
cioè. Ce la chiedi, però, col cuore: “affectu”.
E allora, per il bene dei fratelli, consumaci al fuoco lento
del “martirium cordis”.
Il martirio che deve farci condividere la
morte quotidiana degli ultimi. Che ci abilita a stare accanto a quei deboli
di cui parla il testo messianico di Isaia: i ciechi, i sordi, gli storpi, i
prigionieri. Che ci sprona a scelte di campo pericolose. Che ci fa schierare
con gli sforzi di liberazione degli emarginati. Che ci fa protestare per
tutte le lacrime degli oppressi. Che ci rende così poco omologabili alle
logiche seducenti del potere, del successo, della cultura dominante. Che ci
fa soffrire quando gli stimoli di rinnovamento con cui si additano orizzonti
diversi sono ricambiati dall’indifferenza, dal compatimento, o dalla
ribellione. Quando siamo fraintesi allorché, dovendo tacere, il silenzio
viene interpretato come paura; dovendo parlare, le parole vengono lette come
prevaricazione; dovendo intervenire, le nostre azioni sono viste come
provocatorie; dovendo star fermi, il nostro riserbo viene chiamato fuga o
tradimento.
Consumaci, o Signore, per il bene dei fratelli, al fuoco lento del
“martirium cordis” che ci fa morire dentro quando sperimentiamo la
rimonta del peccato. Quando vediamo l’inutilità dei nostri sforzi. Quando
abbiamo la sensazione di aver lavorato tutta la notte senza aver preso
nulla. Quando ci accorgiamo che le nostre braccia sono troppo corte per
poter rispondere ai bisogni della gente. Quando avvertiamo la responsabilità
di dover essere “modelli del gregge”, eppure ci sentiamo tanto poveri e così
poco imitabili. Quando ci mortifica l’insufficienza delle dighe da noi
erette contro il dilagare del male. Quando vediamo con amarezza il crepitare
della violenza, il diffondersi della droga, la fuga dalla tua legge.
Prenditi tutto di noi, Signore. Per il bene
dei nostri fratelli. Te lo diamo con gioia. Esultando. Perché sappiamo che
tutto sfocerà in un estuario di beatitudine senza fine, e in un esito di
salvezza per il tuo gregge. Mettiamo a tua disposizione i nostri giorni, i
nostri beni, i nostri affetti. Non vogliamo trattenere nulla per noi.
Neppure la salute. Neppure la reputazione. Neppure il nome.
Che se poi, oltre che col cuore, vuoi prenderti la nostra vita “effectu”,
di fatto cioè, noi te la doniamo gratis. Senza le lusinghe dell’eroismo.
Con l’umile atteggiamento della restituzione. Felici che possa servire a
qualcuno. Seppelliscici, Signore, nella fossa comune. Con gli altri. Ci
basta la tua croce, sul cumulo di terra che ci coprirà.
Non ti chiediamo null’altro in contraccambio. Se non la gioia di
sentirci, nell’ora suprema della morte, non solo pienamente conformati a te,
Capo, Pastore e Sposo, ma anche legali rappresentanti di te, Salvatore della
tua Chiesa. Per la vita del mondo”.
Canone
Da “La Nonviolenza in una società violenta”
19/09/1987
Poi c’è la “A” come “Audacia”, che non significa
spericolatezza, temerarietà, ma parresia cioè libertà, franchezza di
parola, capacità propositiva di dire le cose, proprio nel nome del Vangelo.
Non significa ovattare il Vangelo, metterlo nel “cellophane”, edulcorarlo,
annacquarlo al punto tale che non dice più nulla di nuovo.
Il Vangelo, ne sono convinto, sarebbe capace di fare esplodere
l’animo dei giovani. Invece oggi non dice niente, perché siamo degli
adattati, proprio noi, che dovremmo essere dei disadattati continui.
C’è un’espressione molto bella negli Atti degli Apostoli, là dove
si dice così: “Pietro andò, si alzò in piedi, insieme con gli undici e parlò
ad alta voce”. Questa è la parresia: alzarsi in piedi, avere il coraggio di
parlare, insieme con gli altri, non come battitori liberi, non come
frombolieri d’assalto che vanno avanti, ognuno per conto proprio. Il
coraggio consiste soprattutto nel coinvolgere gli altri a parlare, come
gruppo, come associazione, come Chiesa, come diocesi, come parrocchia.
Sempre negli Atti degli Apostoli una volta Paolo venne condotto con
un suo compagno davanti ai Tribunale con il seguente capo d’accusa: “Costoro
mettono sottosopra il mondo”.
Noi quale mondo mettiamo sottosopra? Qui dovremmo essere violenti,
anche nell’interpretazione delle pagine del Vangelo. Ma noi non mettiamo
sottosopra nessuno. Prevale invece la prudenza della carne e la profezia
quindi langue. Soprattutto dovremmo dire con chiarezza che: “Opus iustitiae
pax”, “la pace è frutto della giustizia” (Isaia 32, 17), perché non è
possibile parlare di pace finché il mondo è così diviso. Fino a qualche
decennio addietro si parlava di pace e tutto andava bene. Noi cantavamo:
“Pace in terra agli uomini di buona volontà”; si intonava il “Gloria in
excelsis Deo” a tre, quattro voci; anche noi sacerdoti facevamo delle belle
omelie. Quando però abbiamo fatto questo abbinamento, pace e giustizia,
allora il mondo ha cominciato a torcersi, tutte le simpatie per la pace sono
venute meno; l’hanno vista in compagnia molto sospetta. Uscire sotto braccio
con la giustizia: questo no, questo non ce lo stanno perdonando. Ma qui,
parlare di pace, se non si parla di giustizia, se non si mette il dito anche
sulle violenze che vengono compiute sull’uomo più debole, non ha senso.
Maria, donna del piano superiore (don
Tonino)
Santa Maria, donna del piano superiore, splendida icona
della Chiesa, tu, la tua personale pentecoste, l’avevi già vissuta
all’annuncio dell’angelo, quando lo Spirito Santo scese su di te, e su di te
stese la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Se, perciò, ti fermasti nel
Cenacolo, fu solo per implorare su coloro che ti stavano attorno lo stesso
dono che un giorno, a Nazaret, aveva arricchito la tua anima. Come deve fare
la Chiesa, appunto. La quale, già posseduta dallo Spirito, ha il compito di
implorare, fino alla fine dei secoli, l’irruzione di Dio su tutte le fibre
del mondo.
Donale, pertanto, l’ebbrezza delle alture, la misura dei tempi
lunghi, la logica dei giudizi complessivi. Prestale la tua lungimiranza. Non
le permettere di soffocare nei cortili della cronaca. Preservala dalla
tristezza di impantanarsi, senza vie d’uscita, negli angusti perimetri del
quotidiano. Falle guardare la storia dalle postazioni prospettiche del
regno. Perché, solo se saprà mettere l’occhio nelle feritoie più alte della
torre, da dove i panorami si allargano, potrà divenire complice dello
Spirito e rinnovare, così, la faccia della terra.
Santa Maria, donna del piano superiore, aiuta i pastori della
Chiesa a farsi inquilini di quelle regioni alte dello spirito da cui riesce
più facile il perdono delle umane debolezze, più indulgente il giudizio sui
capricci del cuore, più istintivo l’accredito sulle speranze di
risurrezione. Sollevali dal pianterreno dei codici, perché solo da certe
quote si può cogliere l’ansia di liberazione che permea gli articoli di
legge. Fa’ che non rimangano inflessibili guardiani delle rubriche, le quali
sono sempre tristi quando non si scorge l’inchiostro rosso dell’amore con
cui sono state scritte.
Intenerisci la loro mente, perché sappiano superare la freddezza di
un diritto senza carità, di un sillogismo senza fantasia, di un progetto
senza passione, di un rito senza estro, di una procedura senza genio, di un
“logos” senza “sophfa”. Invitali a salire in alto con te, perché solo da
certe postazioni lo sguardo potrà davvero allargarsi fino agli estremi
confini della terra, e misurare la vastità delle acque su cui lo Spirito
Santo oggi torna a librarsi.
Santa Maria, donna del piano superiore, facci contemplare dagli
stessi tuoi davanzali i misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi della vita: la
gioia, la vittoria, la salute, la malattia, il dolore, la morte. Sembra
strano: ma solo da quell’altezza il successo non farà venire le vertigini, e
solo a quel livello le sconfitte impediranno di lasciarsi precipitare nel
vuoto.
Affacciàti lassù alla tua stessa finestra, ci coglierà più
facilmente il vento fresco dello Spirito con il tripudio dei suoi sette
doni. I giorni si intrideranno di sapienza, e intuiremo dove portano i
sentieri della vita, e prenderemo consiglio sui percorsi più praticabili, e
decideremo di affrontarli con fortezza, e avremo coscienza delle insidie che
la strada nasconde, e ci accorgeremo della vicinanza di Dio accanto a chi
viaggia con pietà, e ci disporremo a camminare gioiosamente nel suo santo
timore.
E affretteremo così, come facesti tu, la Pentecoste sul mondo.
Preghiere libere intercalate da un canone
Padre nostro
Insieme: Dall’Omelia per la solennità di S. Corrado
–09/02/1984
Ricordo di aver letto questa espressione: “Non mi
interessa sapere chi sia Dio. Mi basta sapere da che parte sta”.
Noi, oggi, ci stiamo fatalmente attardando per spiegare al
mondo secolarizzato e indifferente chi è Dio e quali sono i suoi attributi.
Ma se con le scelte comunitarie e personali sapessimo mostrare che Dio sta
dalla parte degli ultimi sempre, gli uomini di oggi, atrofizzati dalla
spirale dell’opulenza e prigionieri nella gabbia dell’assenza di
significati, comincerebbero finalmente a vivere l’utopia. E il sogno di
cieli nuovi e di terra nuova diventerebbe presto gaudiosa realtà.
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