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20 Aprile 2007: 14° anniversario della morte di 
don Tonino Bello

20 Aprile 2007: 14° anniversario della morte di don Tonino Bello

LA CHIESA DEL GREMBIULE

Dal Vangelo secondo Giovanni (13,1-20)
            1 Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. 2 Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, 3 Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4 si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. 5 Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto. 6 Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: “Signore, tu lavi i piedi a me? ”. 7 Rispose Gesù: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo”. 8 Gli disse Simon Pietro: “Non mi laverai mai i piedi! ”. Gli rispose Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. 9 Gli disse Simon Pietro: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo! ”. 10 Soggiunse Gesù: “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti”. 11 Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: “Non tutti siete mondi”.
            12 Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: “Sapete ciò che vi ho fatto?
13
Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. 14 Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. 15 Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. 16 In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. 17 Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica. 18 Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno. 19 Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono. 20 In verità, in verità vi dico: Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato”.


Ubi caritas et amor, ubi caritas Deus ibi est.
U – bi  ca – ri   -  tas        et    a      -     mor,       u – bi  ca – ri  -  tas       De- us  i  -  bi    est.


Piccola processione con lumini continuando a cantare “ubi caritas”


testi di don Tonino:

                     Stola e grembiule
           Forse a qualcuno può sembrare un’espressione irriverente, e l’accostamento della stola col grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio. Sì, perché, di solito, la stola richiama l’armadio della sacrestia, dove, con tutti gli altri paramenti sacri, profumata d’incenso, fa bella mostra di sé, con la sua seta e i suoi colori, con i suoi simboli e i suoi ricami. Non c’è novello sacerdote che non abbia in dono dalle buone suore del suo paese, per la prima messa solenne, una stola preziosa.
           Il grembiule, invece, ben che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di mano della buona massaia. Ordinariamente, non è articolo da regalo: tanto meno da parte delle suore per un giovane prete. Eppure è l’unico paramento sacerdotale registrato dal vangelo.


                     Un grembiule ritagliato dalla stola
         
La cosa più importante, comunque, non è introdurre il «grembiule» nell’armadio dei «paramenti sacri», ma comprendere che la stola e il grembiule sono quasi il diritto e il rovescio di un unico simbolo sacerdotale. Anzi, meglio ancora, sono come l’altezza e la larghezza di un unico panno di servizio; il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo. La stola senza il grembiule resterebbe semplicemente calligrafica. Il grembiule senza la stola sarebbe fatalmente sterile.
          C’è, nel vangelo di Giovanni, una triade di verbi scarni, essenziali, pregnantissimi, che basterebbero da soli a sostenere il peso di tutta la teologia del servizio, e che illustrano la complementarietà della stola e del grembiule. I tre verbi sono: «si alzò da tavola», «depose le vesti», «si cinse un asciugatoio».


Confitemini Domino, quoniam bonus. Confitemini Domino alleluia.

Confi- te- mi- ni   Do- mi- no,   quo – ni - am   bo- nus.   Confi- te- mi- ni  Do- mi- no, al- le-  lu    -    ia


 

Si alzò da tavola

Significa due cose. Prima di tutto che l’eucarestia non sopporta la sedentarietà. Non tollera la siesta. Non permette l’assopimento della digestione. Ci obbliga a un certo punto ad abbandonare la mensa. Ci sollecita all’azione. Ci spinge a lasciare le nostre cadenze troppo residenziali per farci investire in gestualità dinamiche e missionarie il fuoco che abbiamo ricevuto...
          Se non ci si alza da tavola, l’eucaristia rimane un sacramento incompiuto…Ma «si alzò da tavola» significa un’altra cosa molto importante. Significa che gli altri due verbi «depose le vesti» e «si cinse i fianchi con l’asciugatoio» hanno valenza di salvezza soltanto se partono dall’eucarestia. Se prima non si è stati «a tavola», anche il servizio più generoso reso ai fratelli rischia l’ambiguità…
         Solo così il nostro svuotamento si riempirà di frutti, le nostre spoliazioni si rivestiranno di vittorie, e l’acqua tiepida che verseremo sui piedi dei nostri fratelli li abiliterà a percorrere fino in fondo le strade della libertà.


O Christe Domine Jesu, O Christe Domine Jesu,

O  Chris – te  Do- mi- ne  Je – su,   O  Chris- te  Do- mi- ne  Je – su!  O

 

Depose le vesti

Chi sta alla tavola dell’eucarestia deve «deporre le vesti».
            Le vesti del tornaconto, del calcolo, dell’interesse personale, per assumere la nudità della comunione.
           Le vesti della ricchezza, del lusso, dello spreco, della mentalità borghese, per indossare le trasparenze della modestia, della semplicità, della leggerezza.
           Le vesti del dominio, dell’arroganza, l’egemonia, della prevaricazione, dell’accaparramento, per ricoprirsi dei veli della debolezza e della povertà…
            Dobbiamo abbandonare i segni del potere, per conservare il potere dei segni.


The kingdom of God

The king - dom of Gos is  jus – tice and peace and   joy   in the Ho – ly Spi – rit.
Come Lord,  and   o  -  pen  in     us    the  gates     of  your_  king – dom. 
The

 

Si cinse un asciugatoio

Ed eccoci all’immagine che mi piace intitolare «la Chiesa del grembiule». Sembra un’immagine un tantino audace, discinta, provocante. Una fotografia leggermente scollacciata di Chiesa…La Chiesa del grembiule non totalizza indici altissimi di consenso. Nell’«hit parade» delle preferenze, il ritratto meglio riuscito di Chiesa sembra essere quello che la rappresenta con il lezionario tra le mani, o con la casula addosso. Ma con quel cencio ai fianchi, con quel catino nella destra e con quella brocca nella sinistra, con quel piglio vagamente ancillare, viene fuori proprio un immagine che declassa la Chiesa al rango di fantesca.
          Solo se avremo servito, potremo parlare e saremo creduti…Il vangelo di Giovanni continua: «Quando ebbe lavato i piedi, riprese le vesti, sedette di nuovo e disse...». Che cosa disse? Lo sappiamo: quel discorso meraviglioso che rappresenta il passaggio ufficiale dalla parola del servo ai servi della parola.
          Solo così l’eucaristia non rimarrà l’inerte dirimpettaia della nostra vita, ma sarà il filo di cui è intessuta tutta intera la tela della nostra esistenza teologica.


Tu sei sorgente viva, tu sei fuoco, sei carità. Vieni Spirito Santo, vieni Spirito Santo

 

I grembiuli arcobaleno di pace: segno dell’alleanza tra Dio e l’uomo dopo il diluvio universale

ognuno va all’altare e prende un grembiule, poi ci si dispone in cerchio e ognuno aiuterà l’altro indossare il proprio grembiule.
Poi tutti in cerchio si sta un momento in silenzio e dopo si canta il Padre Nostro.
Dopo il Padre Nostro, si ritorna al proprio posto


Testi di don Tonino:
                            
                           Perché insieme?

Occorre guardarsi dall’equivoco che l’avverbio «insieme» voglia indulgere al tatticismo. Il  problema della comunione ecclesiale non è un problema di maggiore efficienza, ma è un problema teologico.
           Se è vero che la Chiesa è «popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo», come dice il Concilio; se è vero che invochiamo lo Spirito perché tutti «diventiamo un solo corpo e un solo Spirito», come si esprime la liturgia della messa; se è vero che la Chiesa è «propaggine della comunione divina», come scriveva Romano Guardini; se è vero che essa è «icona della Santissima Trinità», come si esprimono i teologi di oggi, nel senso che viene dalla Trinità, è strutturata a immagine della Trinità, e va verso il compimento trinitario della storia; se, dunque, la Trinità è la sorgente, l’immagine esemplare e la meta ultima della Chiesa; se è vero tutto questo... bisogna concludere che, come nella SS. Trinità, anche nella Chiesa la comunione delle persone entra nel suo costitutivo essenziale.
           Comunione, che non nasce dalla necessità di stringere le fila o dall’urgenza di serrare i ranghi per meglio far fronte al mondo che c’incalza. La comunione nasce da un’ineluttabilità ontologica, non da un calcolo aziendale.
            Insieme, quindi, per essere. Non certo per contare di più, per incidere di più, per produrre di più, per apparire di più!
           Nella sottolineatura «Ecclesia de Trinitate» non si nasconde il ragionamento del proverbio che dice: «l’unione fa la forza». C’è, invece, l’esigenza di far capire che se l’albero è la Trinità, mistero di comunione, la Chiesa, che su quell’albero matura, non può vivere la disgregazione delle persone, il molecolarismo dei progetti, la frantumazione degli sforzi. Se no, non è Chiesa. Sarà organizzazione del sacro, consorteria di beneficenza, fabbrica del rito, multinazionale della morale. Ma non Chiesa.


Tui amoris ignem

Ve- ni Sancte Spi- ri- tus, tu-  i  a- mo- ris   i- gnem ac- cen- de. Ve- ni Sancte Spi- ri- tus,   ve- ni Sancte Spi- ri- tus


     Momento di silenzio

 

       Icona della Trinità

In questi anni recenti, nella Chiesa, si è fatto un gran parlare di «scelta degli ultimi»….Solo agli ultimi va annunciata la salvezza? E i «primi», cioè i ricchi, i fortunati, i garantiti, i privilegiati dalla vita sono esclusi dalle attenzioni della Chiesa? E poi: chi sono gli ultimi, e chi sono i primi?
Questi interrogativi, comunque, anche se solo apparentemente legittimati da motivazioni pastorali, hanno provocato per lo meno tre chiarificazioni.
         Anzitutto, quella lessicale. Si preferisce parlare di «ultimi» e non di «poveri» per evitare più facilmente la tentazione di pensare che di poveri non ce ne siano più. Non mancano infatti coloro, anche tra i cristiani, i quali sono convinti che la categoria dei poveri di oggi, se non del tutto scomparsa, sia in via di estinzione totale: una specie di famiglia preistorica che il progresso e tutte le forme di garanzia sociale avrebbero oggi pressoché distrutto.
Dire «ultimi» è diverso: perché «ultimi» è un termine relativo. Essi ci saranno sempre, finché sulla terra ci saranno graduatorie. Gli ultimi esisteranno in ogni classe, sia che si tratti di scuola elementare, sia che si tratti di liceo.
           La seconda chiarificazione è di ordine sociale. La parola «poveri» richiama una categoria «standard», quella di coloro che indossano le livree antiche della indigenza di tutti i tempi: accattoni, sfrattati, analfabeti, alcolizzati, ex galeotti, vecchi abbandonati... La parola «ultimi» evoca meglio una categoria «mobile», quasi una variabile della nostra società che produce sempre nuove forme di miseria. Indica, cioè, con maggior quella folla di nuovi proprietà poveri di cui parla Paolo VI: «La povertà non è solo quella del denaro, ma anche la mancanza di salute, la solitudine affettiva, l’insuccesso professionale, l’assenza di relazioni,».
           La terza chiarificazione è di natura pastorale. Non sia tratta di una scelta discriminatoria, quasi che la Chiesa si debba interessare solo dei poveri e lasciar andare per conto loro i ricchi. La Chiesa è per tutti. L’annuncio di salvezza non esclude nessuno. E’ per questo che oggi più che di «scelta degli ultimi» si parla di «partenza dagli ultimi» nel servizio da rendere a tutti. Come si vede, il problema non è quello privilegiare i poveri, quasi per mettere in atto una specie di compensazione che vada a pareggiare i dislivelli di fortuna da essi sofferti. Il punto d’attacco su cui si innerva la «teologia del servizio» va ben oltre il desiderio di creare con la carità una specie di termostato che equilibri in qualche modo le distanze tra ricchi e poveri o, se si preferisce, tra primi e ultimi.
          
Il problema è più radicale. Si tratta di «contare» sugli ultimi come sul motivo ispiratore dello schema tattico di una strategia di salvezza universale. Si tratta di fare affidamento su di loro, pensando che la salvezza del mondo Dio la opera per mezzo dei poveri. Si tratta di accettare che, come Gesù, pur essendo Dio, non ha disdegnato di farsi uomo e assumere la condizione del servo, così la Chiesa, se vuole essere segno ed epifania del Cristo, deve scegliere la strada dello svuotamento, della povertà. Si tratta, in ultima analisi, di scegliere la strada battuta dagli ultimi come il luogo da dove parte la liberazione operata dal Signore.


Beati voi poveri

Be  -  a  -  ti    voi    po – ve - ri,     per-ché   vos - tro    è   il    re  -  gno   di   Di  -  o       Be  -

 

Breve momento di silenzio


leggiamo a cori alterni il brano di don Valentino Salvoldi “Grazie don Tonino”

ì Grazie don Tonino

Grazie don Tonino, per averci invitati a essere Cirenei della gioia,
a non condividere solo i dolori del mondo ma anche le gioie, i trionfi e le speranze.
Cirenei della gioia del mondo e non soltanto esperti della compassione.
Gli uomini della speranza che vanno lodando il Signore per il dono della vita,
della fede, del volo alto, su nei cieli, con Cristo, che ha rinunciato a un'ala
perché non vuole volare senza di me.
Perché  «vivere è abbandonarsi come un gabbiano all'ebbrezza del vento.
Vivere è assaporare l'avventura della libertà. Vivere è stendere l'ala, l'unica ala,
con la fiducia di chi sa di avere nel volo un partner grande come Te,
Signore Risorto per la gioia della mia vita».

Grazie, don Tonino, per averci additato
le gemme degli alberi, più numerose delle foglie morte portate via dal vento:
« ... e vedrete che tra poco la fioritura della primavera spirituale
inonderà il mondo, perché andiamo verso momenti splendenti della storia.
Non andiamo verso la catastrofe.
Ricordatevelo! ... Quindi gioite. Il Signore vi rende felici nel cuore!».

Grazie, don Tonino, per averci raccomandato
di fare dei poveri il sacramento del nostro incontro con Dio:
«Cerchiamoli, inseguiamoli snidiamoli dai loro rifugi dove si sono nascosti per pudore».
Saranno loro che, nell’ultimo giorno,
con le mani alzate davanti all'Altissimo supplicheranno per noi misericordia.

Grazie, don Tonino, per averci educato
a fare della povertà una beatitudine, e così gustare la gioia del servizio
«che deve essere tenuta presente da chi vuole educare alla povertà.
Spogliarsi per lavare i piedi, come fece Gesù che prima di quel sacramentale pediluvio
fatto con le sue mani agli apostoli "depose le vesti".
Chi vuole servire deve rinunciare al guardaroba.
Chi vuol far entrare Cristo nella sua casa, deve abbandonare l'albero come Zaccheo ... ».

E grazie, infine, don Tonino,
per averci invitati a credere che si avvererà il sogno di Dio per un mondo di pace,
 perché di essa diventiamo servi.
Servi di una pace che non è qualche cosa ma Qualcuno: «Cristo nostra pace».
Al servizio della pace, al servizio di Dio, nella «Chiesa del grembiule»
con un cuore che canta gioia per il sogno a occhi aperti,
il tuo, il mio sogno. Il sogno condiviso.
Sogno che è già realtà per te nei cieli e fonte per me di certa speranza:
«Molte volte, pensando a un fiore, l'ho visto nascere».

di don VALENTINO SALVOLDI


Momento di silenzio nel quale chi vuole può esprimere un’intenzione di preghiera


Magnificat

Ma – gni – fi - cat      ma – gni – fi – cat,            ma – gni – fi - cat a-ni-ma
me - a   Do-mi-num

 

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