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14 Aprile 2013: 20° Anniversario della morte di don Tonino Bello
"LA RICERCA DELLA
PACE UN NOSTRO IMPEGNO PERMANENTE"
14 Aprile 2013:
Basilica di San Francesco
“La ricerca della Pace un nostro
impegno permanente”
¯
Canto
di inizio :
SAN FRANCESCO
(P. SPOLADORE)
O Signore, fa di me un tuo strumento,
fa di me uno strumento della tua pace:
dov'è odio che io porti l'amore, dov'è offesa che io porti il
perdono,
dov'è dubbio che io porti la fede, dov'è discordia che io porti
l'unione,
dov'è errore che io porti verità a chi dispera che io porti la
speranza
dov’è errore che io porti verità a chi dispera che io porti la
speranza.
RIT : O Maestro dammi Tu un cuore grande
che sia goccia di rugiada per il mondo,
che sia voce di speranza che sia un buon mattino per il giorno
d'ogni uomo
e con gli ultimi del mondo sia il mio passo lieto nella povertà,
nella povertà.
(2 VOLTE)
O Signore, fa di me il tuo canto,
fa di me il tuo canto di pace,
a chi è triste che io porti la gioia, a chi è nel buio che io porti
la luce.
E' donando che si ama la vita, è servendo che si vive con gioia,
perdonando che si trova il perdono, è morendo che si vive in eterno,
perdonando che si trova il perdono, è morendo che si vive in eterno.
(RIT).
Di fronte ai conflitti che lacerano le Nazioni, lasciando ogni
giorno nel dolore tanti nostri fratelli, vittime di una violenza
ingiusta e devastatrice, sovente ci chiediamo: Cosa possiamo fare
perché ci sia la pace? Come influire su quanti hanno nelle mani il
governo delle Nazioni perché promuovano l’armonia tra le persone e i
popoli? Quale potrebbe essere il mio impegno personale? Cosa
possiamo fare come comunità, come gruppo per costruire la pace e il
dialogo?
Questi ed altri interrogativi, dopo 50 anni dalla promulgazione
della Pacem in Terris motivano ancora oggi la nostra
preghiera. Abbiamo bisogno di chiedere a Dio che ci conceda il dono
della pace, nella consapevolezza che il pregare per la pace impegna
a costruirla nella nostra realtà quotidiana, lasciando che il
Vangelo ispiri i nostri sentimenti e le nostre azioni. Qui in
questa basilica vogliamo anche celebrare il ricordo di tre testimoni
che hanno dato la loro esistenza per la pace. Pace tra noi, Pace con
tutti i popoli della terra, Pace con tutto il creato. San
Francesco d’ Assisi, il Beato
Giovanni XXIII,
don Tonino Bello.
All’inizio di questa preghiera chiediamo al Signore di illuminarci
con il dono del suo Santo Spirito
RIT: Veni Sancte Spiritus tui amoris ignem accende, veni Sancte
Spiritus, veni sancte spiritus
( 2 volte)
Spirito
Santo,
che
riempivi di luce i profeti
e accendevi parole di fuoco sulla loro bocca,
torna a parlarci con accenti di speranza.
Frantuma la corazza
della nostra assuefazione all’esilio.
Ridestaci nel cuore nostalgie di patrie perdute. RIT (1
volta)
Spirito
Santo,
Dissipa le nostre paure.
Scuotici dall’omertà.
Liberaci dalla tristezza
di non saperci indignare
per i soprusi consumati sui poveri.
E preservaci dalla tragedia
di dover riconoscere che le prime officine
della violenza e dell’ingiustizia
sono ospitate nei nostri cuori. RIT
( 1 volta)
Spirito
Santo,
Donaci la gioia di capire che tu non parli
solo dai microfoni delle nostre chiese.
Che nessuno può menar vanto di possederti.
E che, se i semi del Verbo sono diffusi in tutte le aiuole,
è anche vero che i tuoi gemiti si esprimono
nelle lacrime dei maomettani e nelle verità dei buddisti, negli
amori degli indù e nel sorriso degli idolatri, nelle parole buone
dei pagani e
nella rettitudine degli atei. RIT
( 2 volte)
(Don Tonino Bello)
“Pacem in Terris un'enciclica di pace”
Essere
“costruttori di pace” come specifico dovere dei credenti: un
messaggio chiarissimo, oggi più che mai di drammatica attualità. La Pacem
in terris, nell’aprile del 1963, chiamava a un impegno concreto nel
mondo per evitare i conflitti tra i popoli e promuovere il rispetto
dei diritti umani in tutti i campi e per tutti. Un messaggio molto,
troppo deciso, allora come ora. La traduzione vaticana ufficiale
pubblicata dall’Osservatore Romano dell’11 aprile 1963, con
interventi e aggiustamenti apparentemente di poco conto, in realtà
mirati e significativi, ha in generale teso ad attenuare i contenuti
più scomodi del testo di Papa Giovanni
Agire per la pace
La Pacem in terris è la prima
lettera enciclica indirizzata non solo ai vescovi, ma “a tutti gli
uomini di buona volontà”. Il Papa si indirizza pure ai
“christifidelibus totius orbis” che nell’italiano diventano solo “i
fedeli di tutto il mondo” (Enchiridion Vaticanum, 1963-1967, EDB, p.
18: da questa raccolta dei Documenti ufficiali della Santa Sede
citiamo le pagine). Fin dalla traduzione del titolo (“De pace omnium
gentium in veritate, iustitia, caritate, libertate costituenda” che
diventa nell’Osservatore Romano: “La pace tra tutte le genti fondata
sulla giustizia, sull’amore, sulla verità”) è chiara l’intenzione di
riportare il testo a un’analisi teorica, più che alla sua vera
natura di un appello ad agire nel mondo: “La pace deve essere
fondata…”: è questo il senso della frase latina che poteva al
massimo essere tradotta “Fondare la pace” e che implica in modo
inequivocabile l’idea di dover fare, da parte dei destinatari del
testo.
La traduzione, invece, sostituendo
con il participio passato il gerundivo latino presenta il testo come
un discorso astratto sulla pace, inducendo lettori a vederlo più
come l’illustrazione di un concetto teorico che come un richiamo
concreto all’impegno. In altri punti si ritrova la stessa
attenuazione del richiamo all’impegno: ad esempio, a proposito
dell’idea della “convivenza fondata sui rapporti di forza”, che,
secondo l’originale “nihil humani in se habere dicenda est” (“si
deve considerare non avere in sé nulla di umano”) nella traduzione
ufficiale diventa semplicemente “non è umana” (33). Nella stessa
traduzione netta è poi l’accentuazione del ruolo prescrittivo della
norma, che sottende l’immagine di un universo fondato quasi
naturalmente sull’“ordine” e sulla morale impartita dall’alto. Viene
ribadita la centralità gerarchica della Chiesa quando il sentimento
di “paterna carità” (“paternae caritatis sensibus” diventa
“universale paternità” (69).
Più avanti, viene eliminata
l’apertura ecumenica di uno dei passi più innovativi del testo di
papa Giovanni, quando afferma che tra gli altri diritti dell’uomo
c’è il “diritto a onorare Dio secondo la retta norma della propria
coscienza” (“ad rectae conscientiae suae normam”). La traduzione qui
rovescia addirittura il significato, riconducendo il discorso al
tranquillizzante “diritto a onorare Dio secondo il dettame della
retta coscienza”, che, ovviamente, rimanda tutto al principio
d’autorità della Chiesa gerarchica (lo stesso concetto è messo in
evidenza dal titolino, aggiunto, come tutti, al testo originale
latino) (25). La “necessità dell’autorità”, con la sua “origine
divina”, è inoltre spesso collegata all’idea di “ordine”, che in un
punto, come in altri (ad usum humaniorem: 92), è del tutto assente
nel testo originale (ed è invece sottolineata anche dal titolino).
Dice la traduzione italiana: “La
convivenza fra gli esseri umani non può essere ordinata e feconda se
in essa non è presente un’autorità che assicuri l’ordine e
contribuisca all’attuazione del bene comune in grado sufficiente”.
Il latino parlava invece di una convivenza “ben articolata”,
“feconda di beni” (bene composita, bonorum feconda) e ribadiva la
necessità che “coloro che sono insigniti di una legittima autorità (auctoritate
legitima decorati: c’è bisogno di una legittimazione, ma il concetto
sparisce nella traduzione) servano le istituzioni (instituta: non
l’ordine) e impegnino la loro attenzione e la loro opera
all’attuazione, in grado sufficiente, del bene di tutti” (41)
Contro le armi nucleari
Infine, c’è l’indebolimento del giudizio radicale sulle armi
nucleari. Il grido di dolore che scaturisce dalla considerazione
della potenza distruttiva della bomba atomica viene sfumato: per
Papa Giovanni “Aetate hac nostra, quae vi atomica gloriatur, alienum
est a ratione, bellum iam aptum esse ad violata iura sarcienda”
(80-81). Si traduce invece: “Per cui riesce quasi impossibile
pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come
strumento di giustizia”. Nella traduzione scompare la condanna
sarcastica dell’era atomica, ma soprattutto la forza di quell’” alienum
est a ratione”. Per il Papa è pura follia pensare alla guerra
come mezzo per ripristinare i diritti violati (anche qui troppo
disinvoltamente è stato tradotto come “strumento di giustizia”). E
ancora in questo punto cruciale evidente l’indebolimento della
connotazione esortativa del testo originale. Il Papa non dice
semplicemente che “È lecito tuttavia sperare” in un incontro
positivo tra gli uomini in base alla loro comune umanità, ma chiama
a impegnarsi, ribadendo la forza attiva della speranza e della
perseveranza nello sforzo di costruire e mantenere la pace (sperandum
est, bisogna sperare 81).
[Di
Cristina Mattiello
collaboratrice del Cipax
(Centro
interconfessionale per la pace)
da “Mosaico di pace” (mensile di Pax Christi)]
*****Sono passati più
di 20 anni da questo scritto di don Tonino, ma i rombi dei motori di
guerra non si sono mai fermati. Lo abbiamo visto recentemente in
Libia. Lo rivedremo per la Siria o l’Iran? Nel 1991 era in atto la
prima guerra del Golfo contro l’Iraq. Nel testo si fa riferimento
all’art.11 della Costituzione, approvato il 24 marzo 1947. Con don
Tonino continuiamo a credere che la guerra non risolve le situazioni
di crisi, ma le aggrava nel tempo e nella storia.
¤
“Ho scritto t’amo sulla sabbia... ma il vento l’ha portata via”.
Il ritornello della vecchia canzone mi viene in mente quando penso a
tutto ciò che negli ultimi anni si è scritto sull’assurdità della
guerra.
“Jamais plus la guerre!”.
È il grido martellato di cadenze profetiche, che Paolo VI sembrava
avesse scolpito sulla roccia per sempre, in quello stesso Palazzo di
Vetro i cui vetri oggi rabbrividiscono sotto venti di segno
contrario.
Sarà effetto dell’associazione
d’immagini: ma, vedendo in queste ore le dune allucinanti del
deserto su cui scivolano i carri armati, mi sembra che quelle parole
siano state scritte davvero sulla sabbia.
Sconcerta questa incredibile follia
che, data la sua lunga incubazione, non possiamo neppure più
attenuare come “raptus” improvviso. No, non è “raptus” momentaneo, è
pazzia bell’e buona. A qualificare la guerra in questi termini, è un
altro grande pontefice, Giovanni XXIII. In un passaggio della
“Pacem in terris” del 1963 affermava che ritenere la guerra
strumento adatto a ricomporre i diritti violati “alienum est a
ratione”: è alienante, cioè, è roba da manicomio.
E dov’è andato a finire quel
“ripudio” della guerra, così solennemente proclamato dall’art.11
della Costituzione? Se l’etimologia non m’inganna, ripudio viene
dalla parola latina “pudor”, che vuol dire pudore, vergogna. Con
l’aggiunta di un prefisso viene fuori il verbo ripudiare, che
significa svergognare.
A renderci convinti che il “No alla violenza” non è stato scritto
sulla sabbia, ma si va incidendo sulla roccia delle coscienze, c’è
tutta quella reazione popolare che in questi giorni, attraverso
marce, veglie, digiuni, preghiere, proteste, si è espressa non
contro l’uno o l’altro dei contendenti, ma esclusivamente contro la
guerra.
Io non so, nella concitazione di
queste ore drammatiche, se la guerra avrà il sopravvento. Penso,
però, di poter dire che “l’idea della guerra” risulta nettamente
perdente, se non sui tavoli delle cancellerie, almeno nella
coscienza popolare. Ed è per questo che non dobbiamo demordere. E
nei confronti di coloro che portano ancora avanti discorsi basati
sulla pace delle armi, dobbiamo far capire quanto siano di gran
lunga più efficaci le armi nonviolente della pace. Prima tra tutte,
la promozione della giustizia. Quella globale, complessiva. Quella
invocata dai Sud del mondo che muoiono per fame e indebitati fino al
collo. Quella implorata dai popoli senza terra e violentati nei più
elementari diritti umani. Se anche il Signore ci vorrà dare la gioia
di veder subito tutte le spade rimesse nel fodero, ma dovessimo
lasciare il mondo così scombinato in fatto di giustizia e di
solidarietà, non faremmo altro che rimandare il problema e allungare
il collo di bottiglia nel quale ci siamo cacciati.
don Tonino Bello,
18 Gennaio 1991
intervento di
DON NANDINO
Salmo 34
(recitato cori alterni uomini /donne)
1Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore,
ascoltino gli umili e si rallegrino.
2Guardate a lui e sarete raggianti,
non saranno confusi i vostri volti.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo libera da tutte le sue angosce.
3L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono e li salva.
Gustate e vedete quanto è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia.
4Temete il Signore, suoi santi,
nulla manca a coloro che lo temono.
I ricchi impoveriscono e hanno fame,
ma chi cerca il Signore non manca di nulla.
5Venite, figli, ascoltatemi;
v’insegnerò il timore del Signore.
C’è qualcuno che desidera la vita
e brama lunghi giorni per gustare il bene?
6Preserva la lingua dal male,
le labbra da parole
bugiarde.
Sta lontano dal male e fa il bene,
cerca la pace e perseguila.
Gloria al Padre…(insieme)
Musica di sottofondo. Momento
di silenzio per scrivere sul foglietto che trovate sui banchi, l'impegno
personale e quotidiano per la pace che poi deporremo sotto l'altare in
un cesto e alla fine della veglia ognuno di noi prenderà l'impegno
scritto da un altro col quale questa sera ha pregato.
¤
Diffondere la pace compito immenso ma indispensabile
(dalla Pacem in Terris)
87. A
tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito
di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia,
nell’amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli
esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le
stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e
comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale.
Compito nobilissimo quale è quello di attuare la vera pace nell’ordine
stabilito da Dio.
88.
Certo, coloro che prestano la loro opera alla ricomposizione dei
rapporti della vita sociale secondo i criteri sopra accennati non sono
molti; ad essi vada il nostro paterno apprezzamento, il nostro pressante
invito a perseverare nella loro opera con slancio sempre rinnovato. E ci
conforta la speranza che il loro numero aumenti, soprattutto fra i
credenti. È un imperativo del dovere; è un’esigenza dell’amore. Ogni
credente, in questo nostro mondo, deve essere una scintilla di luce, un
centro di amore, un fermento vivificatore nella massa: e tanto più lo
sarà, quanto più, nella intimità di se stesso, vive in comunione con
Dio. Infatti non si dà pace fra gli uomini se non vi è pace in ciascuno
di essi, se cioè ognuno non instaura in se stesso l’ordine voluto da
Dio. "Vuole l’anima tua — si domanda sant’ Agostino — vincere le tue
passioni? Sia sottomessa a chi è in alto e vincerà ciò che è in basso. E
sarà in te la pace: vera, sicura, ordinatissima. Qual è l’ordine di
questa pace? Dio comanda all’anima, l’anima al corpo; niente di più
ordinato"
¤
NONVIOLENZA:
ETICA A
DOPPIO
BINARIO?
Oggi soprattutto, nella bagarre
ideologica che la guerra ha creato, la difficoltà più grossa che
incontra il discorso della nonviolenza attiva è proprio questa: la sua
inaffidabilità nella prassi comunitaria. Non mi è mai capitato di aver
finito di parlare sul tema evangelico della guancia sinistra da girare a
chi ti ha percosso già la guancia destra, o di aver riportato il comando
perentorio di Gesù sulla necessità di rimettere la spada nel fodero
perché chi di spada ferisce di spada perirà, che non mi
sia sentito dire che queste dichiarazioni emozionali valgono per i
singoli ma non valgono per i popoli. La morale del doppio binario
circola a piede libero, perfino negli ambienti che del verbo di
Cristo dovrebbero fare il principio architettonico di ogni scelta a
costo di sbagliare per eccesso. C’è, in buona sostanza, una morale che è
valida a regolare la sfera privata: e in questa sfera il disarmo
unilaterale del perdono è raccomandato, la logica dell’ ”occhio per
occhio e dente per dente”viene rifiutata come antievangelica, e il
modulo della ritorsione violenta viene giustamente visto come contrario
al discorso della montagna. E c’è poi una morale che regola la sfera dei
rapporti collettivi. In questa sfera per i discorsi di Gesù Cristo sul
perdono, sulla remissione dei
debiti, sull’amore dei nemici… c’è il divieto assoluto di
accesso. Anzi, bisogna fare in modo di creare attorno a questa sfera
pubblica una cintura di sicurezza,costituita dal buon senso, perché non
ci siano infiltrazioni pericolose. E’
questa la
vera tragedia
per
noi credenti…
…E’ giunta l’ora in cui occorre decidersi ad arretrare (o spingere?) la
difesa della pace sul terreno della nonviolenza assoluta. Non è più
possibile indugiare su piazzole intermedie
che consentono
dosaggi di violenza, sia pur misurati o prevalentemente rivolti a
neutralizzare quella degli altri. Richiamarsi al dovere di “camminare
con i piedi per terra”, e fare spreco di compatimento sul preteso
“fondamentalismo” degli annunciatori di pace, significa far credito alle
astuzie degli uomini più di quanto non si faccia assegnamento sulle
promesse di Dio.
La nonviolenza è la strada che Gesù Cristo, il Servo sofferente di
Javhè, ci ha indicato senza
equivoci…Il grande esodo che oggi le nostre comunità cristiane sono chiamate a
compiere è questo:abbandonare
i recinti di sicurezza garantiti dalla forza per abbandonarsi, sulla
parola del Signore, alla apparente inaffidabilità della nonviolenza
attiva…Martin Luther King ha sempre presentato la nonviolenza nelle
lotte per i diritti umani come il segno di discernimento per capire se
veramente uno crede nel Vangelo di Gesù Cristo. Tutti noi ricordiamole
espressioni celebri contenute nel libro “La forza di amare”.“Combattere
sempre cristianamente e con armi cristiane, in modo tale che i mezzi da
voi impiegati siano puri come i traguardi a cui voi aspirate. Non
lasciatevi mai degradare da alcuno al punto di odiarlo. Allora
scoprirete che l’amore disarmato è l’arma di gran lunga più potente del
mondo”.Su queste parole, strapagate col sangue come quelle di Cristo,
verrà pure a noi voglia di sorridere.
di Mons. T. Bello
(da
SCRITTI DI PACE
di A. Bello)
intervento di
DON NANDINO
¯
Canto :
Le lodi di Dio Altissimo
(Frisina)
Tu sei santo, Signore Dio, tu sei forte, tu sei
grande,
Tu sei l’Altissimo, l’Onnipotente, tu Padre santo, re del cielo.
Tu sei trino, uno Signore, tu sei il bene, tutto il bene,
Tu sei l’Amore, tu sei il vero, tu sei umiltà, tu sei sapienza.
Tu sei bellezza, tu sei la pace, la sicurezza, il gaudio, la letizia.
Tu sei speranza, tu sei giustizia, tu temperanza e ogni ricchezza.
Tu sei il Custode, tu sei mitezza, tu sei rifugio, tu sei fortezza,
Tu carità, fede e speranza, tu sei tutta la nostra dolcezza.
Tu sei la vita eterno gaudio, Signore grande Dio ammirabile,
Onnipotente, o Creatore, o Salvatore di misericordia.
Tre fenomeni caratterizzano l’epoca moderna.
(dalla Pacem in Terris)
21. Anzitutto l’ascesa economico-sociale
delle classi lavoratrici. Nelle prime fasi del loro movimento di ascesa
i lavoratori concentravano la loro azione nel rivendicare diritti a
contenuto soprattutto economico-sociale; la estendevano quindi ai
diritti di natura politica; e infine al diritto di partecipare in forme
e gradi adeguati ai beni della cultura. Ed oggi, in tutte le comunità
nazionali, nei lavoratori è vividamente operante l’esigenza di essere
considerati e trattati non mai come esseri privi di intelligenza e di
libertà, in balia dell’altrui arbitrio, ma sempre come soggetti o
persone in tutti i settori della convivenza, e cioè nei settori
economico-sociali, in quelli della cultura e in quelli della vita
pubblica.
22. In secondo luogo viene un
fatto a tutti noto, e cioè l’ingresso della donna nella vita pubblica:
più accentuatamente, forse, nei popoli di civiltà cristiana; più
lentamente, ma sempre su larga scala, tra le genti di altre tradizioni o
civiltà. Nella donna, infatti, diviene sempre più chiara e operante la
coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere
considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come
persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita
pubblica.
23.
Infine la famiglia umana, nei confronti di un passato recente, presenta
una configurazione sociale-politica profondamente trasformata. Non più
popoli dominatori e popoli dominati: tutti i popoli si sono costituiti o
si stanno costituendo in comunità politiche indipendenti.
¤
Festa della dedicazione della basilica lateranense...
Quell'anno, alla fine di
aprile, il santuario di Molfetta, dedicato alla Madonna dei martiri, con
speciale bolla pontificia veniva solennemente elevato alla dignità di
basilica minore. La città ora in festa, e per il singolare avvenimento
giunse da Roma un cardinale il quale, nella notte precedente la
proclamazione, volle presiedere lui stesso una veglia di preghiera che
si tenne nel santuario. Parlò con trasporto di Maria suscitando un vivo
entusiasmo. Poi, prima di mandare tutti a dormire, diede la parola a chi
avesse voluto chiedere qualcosa. Fu allora che si alzò un giovane e,
rivolgendosi proprio a me, mi chiese a bruciapelo il significato di
basilica minore. Gli risposi dicendo che «basilíca» è una parola che
deriva dal greco e significa «casa del re», e conclusi con enfasi che il
nostro santuario di Molfetta stava per essere riconosciuto ufficialmente
come dimora del Signore del cielo e della terra. Il giovane, il quale
tra l'altro disse che aveva studiato il greco, replicò affermando che
tutte queste cose le sapeva già, e che il significato di basilica come
casa del re era per lui scontatissimo. E insistette testardamente:«Lo so
che cosa vuoi dire basilica. Ma perché basilica minore?».
Dovetti, mostrare nel volto un
certo imbarazzo. Non avevo, infatti, le idee molto ~ chiare in
proposito. Solo più tardi mi sarei fatto una cultura e avrei capito che
basiliche maggiori sono quelle di Roma, e basiliche minori sono tutte le
altre. Ma una risposta qualsiasi bisognava darla , e io non ero tanto
umile da dichiarare lì, su due piedi, davanti a un'assemblea che mi
interpellava, e davanti al cardinale che si era accorto del mio disagio,
la mia scandalosa ignoranza sull'argomento. Mi venne, però, un lampo
improvviso. Mi avvicinai alla parete del tempio e battendovi contro, con
la mano, dissi: «Vedi, basilica minore è quella fatta di pietre,
basilica maggiore è quella fatta di carne. L'uomo, insomma. Basilica
maggiore sono io, sei tu! Basilica maggiore è questo bambino, è quella
vecchietta, è il signor cardinale. Casa del re!». Il cardinale annuiva
benevolmente col capo, Forse mi assolveva per quel. guizzo di genio. La
veglia finì che era passata la mezzanotte. Fui l'ultimo a lasciare il
santuario. Me ne tornavo a piedi verso casa, quando una macchina mi
raggiunse e alcuni giovani mi offrirono un passaggio. Lungo la strada,
commentammo insieme la serata, mentre il tergicristallo cadenzava i
nostri discorsi. Ma ecco che, giunti davanti al portone dell'episcopio,
si presentò allo sguardo una scena imprevista. Disteso a terra a
dormire, infracidito dalla pioggia e con una bottiglia vuota tra le
mani, c'era lui: Giuseppe. Sotto gli abbaglianti della macchina, aveva
un non so che di selvaggio, la barba pareva più ispida, e le pupille si
erano rapprese nel bianco degli occhi.
Ci fermammo muti a contemplare
con tristezza, finché la ragazza che era in macchina dietro di me
mormorò, quasi sottovoce: «Vescovo, basilica maggiore o basilica
minore?». «Basilica maggiore» risposi. E lo portammo di peso a dormire.
All'alba, volli,andare a vedere se si fosse svegliato. Avevo intenzione
di cantargliene quattro. Giuseppe riposava, sereno. Un respiro placido
gli sollevava il petto nudo. Sotto le palpebre socchiuse luccicavano due
pupille nerissime, e la barba dava al suo volto un tocco di eleganza,,,
Forse stava sognando. Mi venne spontaneo rivolgermi al Signore a
ripetere coi salmo: Lo hai fatto poco meno degli angeli. Mi attardai per
vedere se avesse le ali. Forse le aveva nascoste sotto il guanciale.
( don Tonino Bello
)
¯Canto
:
Lode e
gloria a te, lode e gloria a te, Luce del mattino, lode e gloria a te
dal VANGELO SECONDO MATTEO
“
Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi
dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia
destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio
per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti
costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due.
Da a
chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo
nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri
persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere
il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti
e sopra gli ingiusti.”
intervento di DON NANDINO
Scambio della pace
¯
Canto :
Evenu shalom
Evenu shalom alejem.
Evenu shalom alejem.
Evenu shalom alejem.
Evenu shalom shalom shalom alejem.
E sia la pace con noi. (3
volte)
Evenu shalom shalom shalom alejem.
Diciamo pace al mondo,
cantiamo pace al mondo,
la tua vita sia gioiosa,
e il mio saluto -pace- giunga fino a voi.
Invocazioni : Signore, rendici strumenti di pace
•
Tu hai creato il cielo, la terra e tutto quanto vi è contenuto. Da
questa preziosa terra hai formato, infondendo il tuo Spirito, l’uomo e
la donna. Tutto hai disposto con bontà e amore. L’uomo però spesso si
allontana da te e alla pace preferisce la guerra, al perdono la
vendetta, all’amore l’odio. Aiutaci a rispettare il progetto della
tua creazione…
•
I tuoi profeti annunciarono: verranno giorni nei quali il lupo dimorerà
insieme all’agnello e nessuno più agirà iniquamente. In molte parti del
mondo sono i rumori delle armi a scandire le giornate. Conflitti
dimenticati, ma ugualmente seminatori di morte, colpivano e colpiscono
ancora popolazioni inermi, tra l’indifferenza dell’opinione pubblica e
il disinteresse dei potenti.
Rendici sensibili al grido di dolore di molti poveri della
terra…
•
Cristo risorto ha fatto dono della sua pace. Sia rispettata la dignità
di tutti i popoli straziati dalla guerra, perché possano rialzarsi ed
abbracciare i loro figli, con la gioia di chi sa che è un po’ meno
lontano il giorno della liberazione.
A te affidiamo le loro speranze e le loro attese…
•
Tu desideri che agli strumenti di guerra vengano sostituiti opportunità
di crescita e di sviluppo. Sii vicino ai responsabili delle Nazioni,
perché si fermino davanti al dolore dell’umanità e convertano pensieri,
capacità e risorse per promuovere vita e progresso.
Benedici e sostieni quanti portano nel cuore propositi di
bene…
•
Cristo Signore, nell’obbedienza alla tua volontà, è morto perdonando ai
suoi carnefici. Solo Tu, o Padre, puoi aprire i nostri cuori al dono
senza misura, al perdono impossibile, alla solidarietà scomoda, ad una
pace che bacia la giustizia, al dialogo e al rispetto tra le religioni.
Aiuta ciascuno di noi ad acconsentire alla tua
grazia...........................
ÿ
intenzioni libere.. (
Signore, rendici strumenti di pace..........)
Conclusione di Don Nandino
¯ Canto finale: Andate per le strade
Nel vostro cammino annunciate il Vangelo
dicendo: "E' vicino il Regno dei cieli".
Guarite i malati, mondate i lebbrosi,
rendete la vita a chi l'ha perduta. RIT.
Vi è stato donato con amore gratuito:
ugualmente donate con gioia e per amore.
Con voi non prendete né oro né argento,
perché l'operaio ha diritto al suo cibo. RIT.
Entrando in una casa donatele la pace.
Se c'è chi vi rifiuta e non accoglie il dono,
la pace torni a voi e uscite dalla casa
scuotendo la polvere dai vostri calzari. RIT.
Ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi,
siate dunque avveduti come sono i serpenti,
ma liberi e chiari come le colombe:
dovrete sopportare prigioni e tribunali. RIT.
Nessuno è più grande del proprio maestro,
né il servo è più importante del suo padrone:
se hanno odiato me odieranno anche voi,
ma voi non temete, io non vi lascio soli. RIT.
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