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19 Aprile 2002: 9° anniversario della morte di don Tonino Bello

 

19 Aprile 2002: 9° anniversario della morte di don Tonino Bello

 

VEGLIA DI PREGHIERA IN RICORDO DI DON TONINO BELLO
BARACCANO - BOLOGNA
19 APRILE 2002

 

ACCOGLIENZA - INTRODUZIONE

 Segni: cero pasquale luce – brocca/acqua - cestinolbigliettini

 CANTO INIZIALE

 l. MA VOI NON VI RASSEGNERETE
"Passato il sabato, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato vennero al sepolcro al levar dei sole. Esse dicevano tra loro "Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?" Ma guardando videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande." (Mc 16,14)

  (tratto da "PIETRE DI SCARTO" di don Tonino Bello - Introduzione) Pietre angolari della speranza
     La mattina di Pasqua le donne, giunte nell'orto, videro il macigno rimosso dal sepolcro.
     Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme, messa all'imboccatura dell'anima, che non lascia filtrare l'ossigeno, che opprime in una morsa di gelo, che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l'altro. t il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell'odio, della disperazione, del peccato. Siamo tombe alienate. Ognuna coi suo sigillo di morte.
    Quella mattina il Risorto ha mostrato alle donne che è possibile il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l'inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi. E che se ognuno dì noi, uscito dal suo
sepolcro, si adoperasse per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterebbe nuovamente il miracolo del terremoto che contrassegnò la prima Pasqua di Cristo.
    Festa dei macigni rotolati,
    
Festa del terremoto.
    Il Vangelo ci dice che i due accadimenti supremi della storia della salvezza, morte e risurrezione di Gesù furono entrambi caratterizzati dal terremoto.
    Dunque non dal ristagno.
    Fino a quando nelle nostre città la costruzione del Regno non sarà organizzata dagli amici del cambio, dagli appassionati della rivolta, dai poveri che si ribellano, dai condannati alle piccole croci quotidiane, da chi vi rimane schiacciato sotto da chi è ingiustamente spogliato di tutto come Cristo. Da chi viene  abbeverato con l'aceto e il fiele di una vita insostenibile, avremo sempre aurore senza mattino.
    E i macigni continueranno a ostruire i nostri sepolcri, lasciandoci privi di una memoria spiritualmente eversíva.
    Queste pagine sono dedicate a loro, pietre scartate dai costruttorì che fanno le sorti della storia, Il loro anelito di vita muti in serbatoio di speranze questa allucinante  vallata di tombe che è la terra.

CANTO:

SILENZIO

2. AMATE LA NON VIOLENZA
Da una parte, la Chiesa non deve stancarsi di diffondere, piegare e rispiegare l'insegnamento generale cristiano sulla pace; deve anzi approfondire ancora di più le radicali esigenze del Vangelo circa la rinunzia alla violenza; deve formare le coscienze; soprattutto deve metodicamente guidare. ì credenti e rispettosamente aiutare i non credenti a ricomporre in se stessi quella pace personale e interiore che l'uomo moderno poco conosce e "che è ‑ secondo le parole di Paolo VI ‑ la radice profonda e feconda della pace esteriore, politica, militare, sociale e comunitaria" (Card Lercaro - Discorsi sulla pace)

La semente della nonviolenza
Poi rimango solo
 e sento per la prima volta una gran voglia di piangere.
Tenerezza, rimorso
e percezione del poco che si è potuto seminare
e della lunga strada che rimane da compiere?

Attecchirà davvero la semente della nonviolenza?
Sarà davvero questa la strategia di domani?
E’ possibile cambiare il mondo
col gesto semplice dei disarmati?

E’ davvero possibile che, quando le istituzioni non si muovono,
il popolo si possa organizzare per conto suo
e collocare spine nel fianco di chi gestisce il potere?
Fino a quando questa cultura della nonviolenza
rimarrà subalterna
Questa impresa contribuirà davvero
a produrre in versioni di marcia?
Perché i mezzi di comunicazione
 che hanno invaso la Somalia
a servizio di scenografie di morte,
hanno pressoché taciuto su questa incredibile scenografia di pace?

Ma in questa guerra allucinante
chi ha veramente torto e chi ha ragione?
E qual' è il tasso delle nostre colpe
di esportatori di armi
in questa delirante barbarie
che si consuma sui popolo della Bosnia?

Sono troppo stanco per rispondere stasera.
Per ora mi lascio cullare da una incontenibile speranza:
le cose cambieranno, se i poveri lo vogliono,
                                       don Tonino Bello
                                       (dal Diario della marcia a Sarajevo, dicembre 1992)

CANTO

SILENZIO

3. LA GENEROSITA',  LA TENEREZZA
(tratto da "SCRIVO A VOI... lettere di un vescovo ai catechisti" di don Tonino Bello LO HAI FATTO POCO MENO DEGLI ANGELI)
     E’ morto l'altr’anno. Pace all'anima sua.
    
Ma ogni volta che nella recita del breviario mi imbatto in quel versetto del salmo 8 che dice: L'hai fatto poco meno degli, angeli, non posso fare a meno di ricordarmi di lui.
    
Povero Giuseppe!
    Viveva allo sbando, come un cane randagio. Aveva trentasei anni, e metà dell'esistenza l'aveva consumata nel carcere. La mala sorte un po' se l'era voluta da solo, per quella dissennata anarchia che gli covava nell'anima e lo rendeva irriducibile ai nostri canoni di persone perbene. Ma una buona porzione di sventura gliela procuravamo a rate tutti quanti. A partire da me che, avendolo accolto in casa, gli facevo pagare l'ospitalità con le mie prediche... per finire ai giovanotti dei bar vicino alla stazione, che gli pagavano la bottiglia di whisky per godersi lo spettacolo di vederlo ubriaco.
     La, sera, quando tornava in episcopio più tardi del solito e non gli andava di cenare, mi guardava con le pupille stralunate che si ritiravano all'insù lasciando vedere tutto il bianco degli occhi, e biascicava parole senza costrutto dalle quali, però, mi sembrava di capire: «Lo so, sono un verme, cacciami via, se vuoi: me lo merito».
     Quell'anno, alla fine di aprile, il santuario di Molfetta, dedicato alla Madonna dei martiri, con speciale bolla pontificia veniva solennemente elevato alla dignità di basilica minore.
     La città ora in festa, e per il singolare avvenimento giunse da Roma un cardinale il quale, nella notte precedente la proclamazione, volle presiedere lui stesso una veglia di preghiera che si tenne nel santuario. Parlò con trasporto di Maria suscitando un vivo entusiasmo. Poi, prima di mandare tutti a dormire, diede la parola a chi avesse voluto chiedere qualcosa.
     Fu allora che si alzò un giovane e, rivolgendosi proprio a me, mi chiese a bruciapelo il significato di basilica minore.
     Gli risposi dicendo che «basilíca» è una parola che deriva dal greco e significa «casa del re», e conclusi con enfasi che il nostro santuario di Molfetta stava per essere riconosciuto ufficialmente come dimora del Signore del cielo e della terra. Il giovane, il quale tra l'altro disse che aveva studiato il greco, replicò affermando che tutte queste cose le sapeva già, e che il significato di basilica come casa del re era per lui scontatissimo. E insistette testardamente:
«Lo so che cosa vuoi dire basilica. Ma perché basilica minore?». Dovetti, mostrare nel volto un certo imbarazzo. Non avevo, infatti, le idee molto ~ chiare in proposito. Solo più tardi mi sarei fatto una cultura e avrei capito che basiliche maggiori sono quelle di Roma, e basiliche minori sono tutte le altre. Ma una risposta qualsiasi bisognava‑pur darla, e io non ero tanto umile da dichiarare lì, su due piedi, davanti a un'assemblea che mi interpellava, e davanti al cardinale che si era accorto del mio disagio, la mia scandalosa ignoranza sull'argomento.
     Mi venne, però, un lampo improvviso. Mi avvicinai alla parete del tempio e battendovi contro, con la mano, dissi: «Vedi, basilica minore è quella fatta di pietre, basilica maggiore è quella fatta di carne. L'uomo, insomma. Basilica maggiore sono io, sei tu! Basilica maggiore è questo bambino, è quella vecchietta, è il signor cardinale. Casa del re!».
     Il cardinale annuiva benevolmente col capo, Forse mi assolveva per quel. guizzo di genio.
     La veglia finì che era passata la mezzanotte. Fui l'ultimo a lasciare il santuario.
     Me ne tornavo  a piedi verso casa, quando una macchina mi raggiunse e alcuni giovani mi offrirono un passaggio. Lungo la strada, commentammo insieme la serata, mentre il tergicristallo cadenzava i nostri discorsi.
     Ma ecco che, giunti davanti al portone dell'episcopio, si presentò allo sguardo una scena imprevista. Disteso a terra a dormire, infracidito dalla pioggia e con una bottiglia vuota tra le mani, c'era lui: Giuseppe.
     Sotto gli abbaglianti della macchina, aveva un non so che di selvaggio, la barba pareva più ispida, e le pupille si erano rapprese nel bianco degli occhi. 
                 Ci fermammo muti a contemplare con tristezza, finché la ragazza che era in macchina dietro di me mormorò, quasi sottovoce: «Vescovo, basilica maggiore o basilica minore?».
     «Basilica maggiore» risposi. E lo portammo di peso a dormire. All'alba, volli,andare a vedere se si fosse svegliato. Avevo intenzione di cantargliene quattro.
     Giuseppe riposava, sereno. Un respiro placido gli sollevava il petto nudo. Sotto le palpebre socchiuse luccicavano due pupille nerissime, e la barba dava al suo volto un tocco di eleganza,,, Forse stava sognando.
     Mi venne spontaneo rivolgermi al Signore a ripetere coi salmo: Lo hai fatto poco meno degli angeli.
     
Mi attardai per vedere se avesse le ali.
     Forse le aveva nascoste sotto il guanciale,

 CANTO,SALMO 8 (Turoldo)

 (da Al pozzo dí Sicher, appunti sulle alterità diTonino Bello)
     "Quella donna (la samaritana), intanto, - Lasciò la brocca, andò in città, e disse alla gente: venite e vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia? -
     Abbiamo qui l'immagine di ciò che significa missione (lasciare la brocca, andare In città. e dire alla gente: venite a vedere).
    
Abbiamo anche l'immagine della discrezione che deve caratterizzare ogni gesto missionario.
    
Quando ci si confronta con gli altri, non è ammissibile l’intolleranza, e neppure l'accaparramento, e neanche la smania dell'omologazione, seppure a fin di bene. Invece la delicatezza, l’allusione, l'invito: - Venite a vedere ... che sia forse il Messia? -
    
E’ la scomunicata: l'adultera, l'eretica, l'emarginata che diventa annunciatrice di un dono di salvezza[…].
    
Un monito fortissimo per tutti, perché sappiamo metterci di fronte all'alterità con atteggiamento di gioia, di accoglienza e di speranza[…].
    
lo voglio pensare che la samaritana non si sia sentita minimamente offesa quando i suoi concittadini le hanno detto: -  Non è più per la tua parola che abbiamo creduto -
    
Penso invece che quella sera, tornata a casa, non sia riuscita a prendere sonno per una, eccedenza di felicità. E immagino che con gli occhi spalancati, profondi come la notte, sul suo giaciglio non più insozzato dall'adulterio, si sia a lungo fermate sulle parole udite a mezzogiomo […].
    
Allora avrà pianto di tenerezza, questa giovane acquaiola, la cui arsura struggente, della gola e quella procace della carne era stata spenta per sempre all'ora sesta presso il pozzo di Giacobbe.
     Avrà pianto di gioia perché era diventata titolare di un'acqua che veniva da lontano:  - L'acqua.che io ti darò -.
    
No, non era acqua sua, di quella attinta tutti i giorni, con la vecchia brocca rimasta presso il pozzo,
muta testimonianza di una riconciliazione radicale con l'altro.
    
Lei, donna, riconciliata con l'uomo.
    
Lei, samaritana, col giudeo.
    
Lei, peccatrice, col giudeo.
    
Lei, eretica e scismatica, con l'uomo di Dio e profeta.
    
Avrà pianto di tenerezza, perché quel giorno non era stata violentata nella sua identità. Identità che, anzi, veniva ricondotta ai suoi spessori più autentici, più veri e profondi.
    
Ma avrà pianto di tenerezza, soprattutto perché l'altro, a lei,così diverso, quel giorno le aveva chiesto qualcosa. E l'aveva ritenuta finalmente degna di poterlo aiutare:  - Donna, dammi da bere -".

TESTIMONIANZA GIULIANA MARTIRANI

(PARTE PINALE)

(tratto da "PAROLE D'AMORE di don Tonino Bello)
Dammi, Signore, un'ala di riserva!
Voglio ringraziarti, Signore, per il dono della vita.
Ho letto da qualche parte che gli uomini sono angeli
con un'ala soltanto:
possono volare solo rimanendo abbracciati.
A volte, nei momenti di confidenza, oso pensare, Signore,
che anche tu abbia un'ala soltanto. L'altra, la tieni nascosta:
forse per farmi capire che tu non vuoi volare senza di me.
Per questo mi hai dato la vita:
perché io fossi tuo compagno di volo.

Insegnami, allora, a librarmi con te.
Perché vivere
non è «trascinare la vita»,
non è «strappare la
vita»,
non è «rosicchiare la vita».
Vivere è abbandonarsi, come un gabbiano, all'ebbrezza del vento.
Vivere è assaporare l'avventura della libertà.
Vivere è stendere l'ala, l'unica ala,
con la fiducia di chi sa
di avere nel volo
un partner grande come le!

Ti chiedo perdono per ogni peccato contro la vita. 
Anzitutto, per le vite uccise prima ancora che nascessero.
Sono ali spezzate.
Sono voli che avevi progettato di fare e ti sono stati impediti.
Viaggi annullati per sempre.
Sogni troncati sull'alba.
Ma ti chiedo perdono, Signore,
anche per tutte le ali che non ho aiutato a distendersi,
Per i voli che non ho saputo incoraggiare.
Per l'indifferenza con cui ho lasciato razzolare nel cortile,
con l'ala penzolante,
 il fratello infèlice che avevi destinato a navigare nel cielo.
E tu l'hai atteso invano,
per crociere che non si faranno più.

Aiutami ora a planare, Signore.
A dire, terra terra, che l'aborto è un oltraggio grave
alla tua fantasia.
E’ un crimine contro il tuo genio.
E’ un riaffondare l'aurora nelle viscere dell'oceano.
E’ l'antigenesi più delittuosa.
E’ la «decreazione» più desolante.
Ma aiutami a dire, anche, che mettere in vita non è tutto.
Bisogna mettere in luce.
E che antipasqua non è solo l'aborto,
ma è ogni accoglienza mancata.
E’ ogni rifiuto.
Il rifiuto della casa, del lavoro, dell'istruzione, dei diritti primari.
Antipasqua è lasciare il prossimo
nel vestibolo malinconico della vita,
dove «si tira a campare», dove si vegeta solo.
Antipasqua è passare indifferenti
vicino al fratello che è rimasto con l'ala, l'unica ala,
inesorabilmente impigliata
nella rete della miseria e della solitudine.
E si è ormai persuaso
di non essere più degno di volare con te.
Soprattutto per questo fratello sfortunato
dammi, o Signore, un'ala di riserva.

 

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