INDICE
|
- TESTIMONIANZE VARIE
- CARLO SCHENONE
- COMUNICATO STAMPA GENOA SOCIAL FORUM -
GENOVA (11 agosto, ore 15,30)
- INTERVISTA A MONS. DIEGO BONA
PRESIDENTE DI PAX CHRISTI ITALIA
("LA STAMPA" mercoledì 15 agosto 2001)
- DOCUMENTO: IL VERBALE DELLA POLIZIA (da
La Stampa)
- TESTIMONIANZA DI ALESSANDRO
- GIUSEPPE VITALE
- GENOVA, VISTA DA QUAGGIÙ (di Fabio
Pipinato 22/08/2001)
- GIANMARCO DE PIERI CS TPO (Laboratorio
Disobbedienza Sociale dello Stadio Carlini)
- GENOVA, 20/21 LUGLIO 2001:
DOVETE SAPERE LA VERITA'!!!!! (di Daniele Simondi)
- QUANDO LA CHIESA DISTURBA IL
MANOVRATORE
Enzo Bianchi, Priore del monastero di Bose, ("Repubblica"
del 17 Agosto)
-
DAL SETTIMANALE VITA:
CATTOLICI NON TIRATEVI INDIETRO (di Giuseppe Frangi 30/08/2001)
-
COMUNICATO STAMPA:
CONSIGLIO NAZIONALE DI PAX CHRISTI (17 settembre, ore 12,30)
-
NO GLOBAL,
"ARRUOLATE" ANCHE I CARABINIERI (intervista a Sergio
Paronetto del Settimanale VITA, 14 settembre 2001)
-
VESCOVI
E G8 (ADNKRONOS - 2 ottobre 2001)
-
CATTOLICI ANTI-GENOVA SOCIAL FORUM
-
VIOLAZIONE DELLA CORRISPONDENZA
-
BANCO ALIMENTARE E GIORNATA MONDIALE DEL
NONCONSUMO
-
DUE PALLOTTOLE IN PIAZZA ALIMONDA
-
FUNZIONARIO CONTRO MINISTRO
-
G8:
PIAZZA MANIN
-
MEGLIO DELL'UNIONE SARDA
-
AD UN ANNO DA GENOVA
-
1° MEMORIAL CARLO GIULIANI - GIORNATA PER
LA NONVIOLENZA
-
GENOVA UN ANNO FA: PROGRAMMA DEL GENOA
SOCIAL FORUM
-
G8: LA CONFESSIONE
-
ERAVAMO ALLA DIAZ, PER FAVORE PROCESSATECI
-
MOBILITAZIONE NAZIONALE A GENOVA, SABATO
14 DICEMBRE 2002
-
LA LETTERA DI DE GENNARO SUL G8 AL SECOLO
XIX
-
LA REPUBBLICA: G8, I SUPERPOLIZIOTTI
CONFESSANO: ALLA DIAZ ERRORI E VIOLENZE
-
STRASBURGO E DIRITTI UMANI IN ITALIA
-
CANTERINI CHIEDE LA COMMISSIONE D'INCHIESTA PARLAMENTARE
-
GLF: COMUNICATO STAMPA
-
G8: VIDEO "GENOVA LUGLIO 2001 - I DIRITTI NEGATI"
-
G8: VIOLENZE DA 100.000 EURO
-
COMUNICATO DEL COMITATO VERITÀ E GIUSTIZIA
-
SEPOLTO SOTTO L'ARCHIVIAZIONE?
-
LORENZO GUADAGNUCCI: UNA BUONA NOTIZIA DA GENOVA
-
ORA VOGLIAMO SAPERE PERCHE'
-
INFOSDEBITARSI n. 156 DEL 2 LUGLIO 2003: "APPELLO GIULIANI"
-
RUBATE LE REGISTRAZIONI DI RADIO GAP FATTE A GENOVA
-
A.A.A. CERCASI DONATORI PER PROCESSI G8
-
PROCESSO CONTRO LA TORTURA
-
ITALIA/G8: "L'APERTURA DEL PROCESSO UN PASSO AVANTI PER COMBATTERE L'IMPUNITÀ DELLA POLIZIA" DICHIARA AMNESTY INTERNATIONAL
-
DUE PROMOZIONI ARROGANTI
-
GENOVA G8: LETTERA APERTA A MAURIZIO CEVENINI
-
UN APPELLO DELLA RIVISTA ALTRECONOMIA: GIUSTIZIA PER/SU GENOVA 2001
-
TESTO INTEGRALE DELL'INTERVISTA A MARIO PLACANICA
-
CONDANNATA LA POLIZIA DI STATO PER IL G8 DI GENOVA 2001
-
PROCESSI DIAZ E BOLZANETO
-
G8, BOLZANETO: LA VIOLENZA DELL'INDIFFERENZA
-
SE RIPARTISSIMO DA GENOVA...
-
RIFLESSIONE. IDA DAMINIJANNI: GENOVA 2001
-
COMUNICATO STAMPA AMNESTY INTERNATIONAL
-
IMPUNITÀ DI STATO
-
COMUNICATO STAMPA DI VITTORIO AGNOLETTO
-
G8, VIOLENZE ALLA BOLZANETO "VESSATI E TORTURATI IN CASERMA"
-
LE TORTURE DI BOLZANETO
-
DIAZ, IL PROCURATORE GENERALE IN CAMPO "SUBITO IN CASSAZIONE O SARÀ PRESCRITTO"
-
DIAZ, RICORSO IN CASSAZIONE PER DE GENNARO E MORTOLA
-
COMUNICATO STAMPA: UN FILM SULLA DIAZ COL CAPO DELLA POLIZIA?
-
G8, SI FARÀ IL FILM SULLA DIAZ. LA CONFERMA DATA A CANNES
-
IL FILM SUL G8 FA LITIGARE LA SINISTRA. I NO GLOBAL INFURIATI COL PRODUTTORE
-
LA PROPOSTA INDECENTE PER IL G8 DI GENOVA
-
DICHIARAZIONE ASSEMBLEA VERSO GENOVA 2011
|
-
G8 GENOVA 2011: L'ECLISSE DELLA DEMOCRAZIA
-
GENOVA E I NO GLOBAL QUEI DIECI ANNI PERDUTI
-
IL CASO/G8: NUOVA PROMOZIONE PER MORTOLA L'UOMO DEI PESTAGGI ALLA DIAZ
-
G8 VA IN SCENA L'ULTIMA INCHIESTA
-
CITTADINANZA FERITA E TRAUMA PSICOPOLITICO. DOPO IL G8 DI GENOVA: IL LAVORO DELLA MEMORIA E LA RICOSTRUZIONE DI RELAZIONI SOCIALI
-
GENOVA 2001-2011: INTERVENTO LETTO IN PIAZZA MAGGIORE
-
RIFLESSIONE. PASQUALE PUGLIESE: DAL DECENNALE DEL MASSACRO DI GENOVA UN COMPITO PER IL PROSSIMO DECENNIO
-
DICHIARAZIONE FINALE COMUNE GENOVA 2011: "LORO LA CRISI - NOI LA SPERANZA"
-
DIAZ, LE CARTE DEL PROCESSO IN CASSAZIONE
-
ARRESTI ILLEGALI AL G8 IN PIAZZA MANIN POLIZIOTTI CONDANNATI ANCHE IN CASSAZIONE
-
G8, LA CASSAZIONE CONFERMA QUATTRO CONDANNE "I MEDIA NON HANNO CONDIZIONATO I GIUDICI"
-
GENOVA G8: QUANDO L'ARRESTO ILLEGALE ERA LA REGOLA
-
G8, IL CAPITOLO È CHIUSO FINITO L'ULTIMO PROCESSO
-
G8 DI GENOVA, 4 AGENTI RISCHIANO IL POSTO
-
G8. IN ARRIVO LE PUNIZIONI PER I CELERINI CONDANNATI E UN'INTERVISTA AUDIO A EMANUELE TAMBUSCIO
-
CHI S'INDIGNA PER L'EPITETO "PECORELLA", MA NON OSA CRITICARE LA POLIZIA
-
DIAZ, ANCHE UN'ASSOLUZIONE VI CONDANNERÀ
-
CASSAZIONE L’11 GIUGNO: PRESCRITTE LE CONDANNE DEI DIRIGENTI DI POLIZIA SE CI SARÀ NUOVO PROCESSO
-
DIAZ, CRONACA DI UN MASSACRO QUEL SANGUE NON ANCORA LAVATO
-
"DIAZ", TRA FICTION E REALTÀ: VIDEO DI LORENZO GUADAGNUCCI ED INTERVISTA AD ENRICO ZUCCA
-
IL TRAUMA DEL G8 IN DIAZ: UNA COMMISSIONE PER LA VERITÀ E LA RICONCILIAZIONE?
-
G8 GENOVA: MINACCE A PM MAXIPROCESSI VIGILIA PROIEZIONE 'DIAZ'
-
VIOLENZE ALLA DIAZ, L'ULTIMO ATTO L'11 GIUGNO IN CASSAZIONE
-
LA RESISTIBILE ASCESA DEL DOTTOR DE GENNARO
-
G8 DI GENOVA, I PROCESSI NON FINISCONO MAI: VICE QUESTORE RINVIATO A GIUDIZIO PER FALSA TESTIMONIANZA
-
VIOLENZE NELLA CASERMA DI BOLZANETO, LO STATO DOVRÀ RISARCIRE DIECI MILIONI
-
CASSAZIONE DIAZ, LUNEDÌ IL PROCESSO, CAMBIO IN EXTREMIS AL VERTICE DEL COLLEGIO GIUDICANTE
-
CASSAZIONE DIAZ, IL PG GAETA CHIEDE IL RIGETTO DI DUE DEI RICORSI PRESENTATI DAI LEGALI DEI POLIZIOTTI: DOMATTINA LE SUE CONCLUSIONI
-
NASCE IL COMITATO 10×100, UNA RACCOLTA FIRME PER I CONDANNATI DEL G8 DI GENOVA
-
GENOVA 2001, NOMI E COGNOMI
-
I NO GLOBAL ITALIANI ERANO SPIATI
-
G8 DI GENOVA: OGGI AL VIA PROCESSO PER FALSA TESTIMONIANZA A VICEQUESTORE DI POLIZIA
-
G8, LE VIOLENZE ALLA DIAZ E A BOLZANETO VANNO A STRASBURGO. LE MOTIVAZIONI DEL RICORSO: “PENE NON EFFETTIVE, MANCA IL REATO DI TORTURA”
-
G8 DI GENOVA, VICEQUESTORE DI POLIZIA A PROCESSO PER FALSA TESTIMONIANZA: “L’ARRESTO DEGLI SPAGNOLI A MANIN FU PASTICCIO IN QUESTURA”
-
INGROIA E IL G8 DI GENOVA, LE POLEMICHE SI SPOSTANO SUI CANDIDATI: TRA LORO LUIGI LI GOTTI, EX DIFENSORE DI GRATTERI NEL PROCESSO DIAZ
-
VIOLENZE ALLA DIAZ SUL DANNO ALLO STATO È GUERRA DI PROCURE
-
UN FILM RIAPRE IL CASO DI CARLO GIULIANI
-
G8: L'ARMA DI PLACANICA FU MANOMESSA? FILM RIAPRE CASO GIULIANI
-
DIAZ, CARCERE O PENE ALTERNATIVE PER I POLIZIOTTI CONDANNATI: AD APRILE LA DECISIONE, MA DALLA POLIZIA SILENZIO SUI PROVVEDIMENTI DISCIPLINARI
-
G8 DI GENOVA, VICEQUESTORE DI POLIZIA CONDANNATO A DUE ANNI PER FALSA TESTIMONIANZA TRIBUNALE DI GENOVA
-
ANTONIO MANGANELLI, LA POLIZIA DI STATO E GENOVA G8
-
LA NEMESI DEL SUPERPOLIZIOTTO GRATTERI DALLA DIAZ ALLA CARITAS UN MANIFESTANTE FERITO DURANTE GLI SCONTRI DEI G8
-
UN BEL VIDEO
-
G8 DI GENOVA, CONFERMATA IN APPELLO CONDANNA PER FALSA TESTIMONIANZA PER VICEQUESTORE DI POLIZIA
|
LA PRIMA GIORNATA DI GENOVA
Cronaca e testimonianze dei fatti accaduti in piazza Manin e dintorni il 20
Luglio 2001.
Per chi non era a Genova nei giorni drammatici del G8 non e facile capire
cosa sia veramente successo. Le cronache televisive hanno dato una
visione parziale e forse distorta della realtà. Quella che segue è una
piccola testimonianza che tenta di dare una logica agli avvenimenti
genovesi. Si tratta di una ricostruzione in divenire, costruita in base ai
tasselli di
singole, parziali testimonianze. Per completare il quadro, per
aiutarci a capire che cosa e successo, le logiche che hanno guidato gli
avvenimenti, sono graditi contributi dei tanti che hanno condiviso
quei drammatici momenti.
Venerdì 20 Luglio, a Piazza Manin sono stato testimone (e ho in parte
documentato fotograficamente) degli effetti degli ordini
ricevuti dalla polizia per tutelare l'ordine pubblico e la sicurezza dei
cittadini genovesi. I fatti che descriverò, con l'aiuto di numerose
testimonianze di chi era in quella piazza, hanno una loro logica
spiegazione solo se alla loro origine ci sono i seguenti ordini
impartiti alle forze di polizia: lasciare liberi i Black Block di
distruggere indisturbati quello che
vogliono, usare questi gruppi per disperdere i manifestanti
pacifisti.
A Piazza Manin, era regolarmente autorizzato il raduno
d'ambientalisti, scout, gruppi femministi, Lilliput, Mercato Equo e
Solidale. Nessun Black Block era presente. La manifestazione era
assolutamente pacifica e senza tensioni. Le "armi "del dissenso
erano palloncini colorati e mutandoni giganti, accompagnati da canti e
musica.
Don Gallo, con Franca Rame, era riuscito a mediare con il colonnello
responsabile delle forze dell'ordine, schierate a 40 metri dalle
cancellate, in fondo a Via Assarotti, la possibilità di poterci avvicinare
in fila indiana alle cancellate stesse e di affiggere cartelli e striscioni,
cosa che e stata fatta, in un clima relativamente calmo.
Analoga situazione nella vicina piazza Marsala dove, dopo
qualche momento di tensione, si e assistito anche ad episodi di
fraternizzazione tra polizia e dimostranti.
Improvvisamente, verso le ore 14, provenienti da via
Montaldo, alcune decine di Black Blocks, sono arrivati in
Piazza Manin.
"Venivano dall'assalto del carcere di Marassi, effettuato nella tarda
mattinata, con bombe molotov, un attacco durato almeno 15 minuti
sotto gli occhi di numerosi cittadini della Val Bisagno ma anche dei
carabinieri alla guida di tre blindati e due jeep, fermi a distanza di
sicurezza.
I Black Block (una cinquantina) sono poi saliti indisturbati per una
scalinata, raggiungendo via Montaldo. In questa via, all'ora di
pranzo, hanno tranquillamente bivaccato, mangiando focaccette farcite e
bevendo birra, regolarmente acquistate e pagate (sic) all' unico
ristorante rimasto aperto. Riposati e rinfocillati, dopo aver fatto
razzia della benzina delle moto parcheggiate, sono ripartiti alla volta di
piazza Manin. ( Testimonianze di un genovese della Val Bisagno e del gestore
del ristorante).
Appena i primi B.B. (15-20 persone) arrivano in Piazza Manin, diverse
decine di esponenti di Lilliput , alzando le mani dipinte di
bianco facevano barriera per impedire loro di dirigersi verso la zona rossa,
alla fine di Via Assarotti. Questa situazione avrebbe messo in grave
pericolo i dimostranti ancora presenti lungo questa via
che,senza scampo, sarebbero
rimasti schiacciati tra Black Blocks e polizia. I ragazzi con i bastoni si
guardano in giro un pò smarriti poi decidono di imboccare Corso
Armellini.
Per pochi attimi la situazione resta tranquilla, ma sopraggiunge un
gruppo piu nutrito di B.B., seguito a breve distanza dalla polizia,
preannunciata dal lancio di lacrimogeni.
"Poi, in pochi attimi, la devastazione. Ho visto del fumo in fondo alla
piazza, poi sono arrivati una quantità enorme di lacrimogeni. I B.B., che
sembravano pochi, si sono moltiplicati, fino a sembrare essere 100-200, sono
filtrati agevolmente tra le nostre mani bianche alzate, le nostre menti
stordite. In una frazione di secondo, quindi, i lacrimogeni, il loro
passaggio e, tra il fumo, la visione dei celerini che ci caricavano a
manganellate! Noi, ragazze e ragazzi, signore, signori, tutte persone con le
mani alzate, pitturate di bianco, noi! Non hanno seguito i B.B.. Si sono
accaniti su di noi. "Testimonianza di Sasa Raichevic". "Arrivano
poco dopo, vestiti di nero, volti coperti, armati di spranghe (pali di
cartelli stradali, pezzi di panchine, il tutto sfasciato poco prima);
arrivano in gruppo, con qualche bandiera; qualcuno rimane sulla strada che
attraversa la piazza, altri si mischiano a noi.
Li guardiamo negli occhi, sono ragazzini, anche meno di vent'anni. La
polizia che li seguiva da un po' senza infastidirli (mentre loro sfasciavano
la citta) si ferma poco prima della piazza e sta a guardare.
Una trentina di pacifisti cerca di impedire alle tute nere di andare a
disturbare il sit-in, mettendosi all'imbocco della via con le mani bianche
alzate; noi siamo molto tesi, loro sembrano indifferenti.
Dopo pochi minuti, d'improvviso, cominciano a correre e la polizia carica,
il blocco dei lillipuziani si scioglie, le tute nere scompaiono in un
attimo, la polizia non rincorre loro ma ci accerchia da tutti i lati; i
manganelli e i lacrimogeni volano e non sappiamo da che parte scappare; i più
fortunati trovano una via di fuga in Via Assarotti o in una scalinata
vicina, ma sulla piazza la polizia sfascia le bancarelle e manganella tutti,
compreso chi ha le mani alzate, le ragazze a terra, chi urla "Io non
c'entro".
La polizia prende il controllo della piazza mentre noi ci raccogliamo nelle
vie attorno; solo nella nostra zona contiamo quattro ragazzi sanguinanti
dalla testa, altri tre ammaccati, una ragazza con una mano rotta; alcuni
hanno vomitato per i lacrimogeni; una ragazza del nostro gruppo e stata
colpita sulla schiena, sull'orecchio e sul collo."
"Testimonianza Cooperativa Chico Mendes".
Mentre la polizia aggredisce i pacifisti , i Black Blocks percorrono
tranquillamente Corso Armellini erigendo barricate con i cassonetti dei
rifiuti e sfasciando i vetri delle macchine in sosta.
All' altezza di piazza S. Bartolomeo degli Armeni, i B.B. creano
una nuova barricata e, raccolte le bottiglie rovesciate da una
campana per la raccolta differenziata del vetro, una decina di loro si
attarda, per aspettare la polizia.
A questo punto i B.B. erano chiaramente separati dai manifestanti che
si erano dati alla fuga e, all' approssimarsi della polizia iniziava, da
parte dei B.B., un nutrito lancio di bottiglie verso la pattuglia che
rispondeva con il lancio di lacrimogeni.
I poliziotti, lanciando lacrimogeni, avanzavano in gruppo
compatto ed ordinato verso la barricata. Giunti a una ventina di metri di
distanza, tutti i B.B lasciavano la posizione, dirigendosi,
senza fretta, lungo Corso Solferino.
A questo punto, contro ogni apparente logica, i poliziotti, invece di
inseguire i Black Blocks, chiaramente individuabili nelle loro azioni
violente ed ostili e ormai rimasti gli unici occupanti del
Corso, giunti nei pressi della barricata, su comando del caposquadra, si
fermavano e deviavano compatti sulla loro sinistra, verso l' adiacente
piazza di San
Bartolomeo dove aveva trovato rifugio, oltre al sottoscritto, un gruppo di
pacifisti, in maggior parte donne e ragazze, assolutamente inermi e
senza vie di fuga .
"Sono stata tra i primi a vedere i carabinieri arrivare e non avendo
vie di fuga ho provato a nascondermi sotto una macchina, ma ne sono uscita
vedendo una manifestante impietrita dalla paura, contro il muro del palazzo
e ho cercato di scuoterla. Vicino a lei c'erano due signore molto anziane
che si trovavano a passare di li, per caso. I carabinieri, entrando nella
piazzetta, procedevano molto lentamente, come chi vuole accertare chi ha di
fronte. Ad un certo punto, il responsabile del gruppo, usando il manganello,
ha fatto un gesto deciso alle due signore, affinchè passassero rapidamente.
Essendomi accorta di quel gesto, ne ho approfittato e ho spinto addosso alle
due vecchiette anche l'altra manifestante, riuscendo a passare entrambe
assieme a loro ed evitando la carica che hanno iniziato subito dopo il
nostro passaggio. Questo per dire che, a fronte del macello che i
black stavano compiendo a pochi metri di distanza, l'unica
preoccupazione che hanno avuto i poliziotti e stata quella di essere nelle
condizioni di manganellare esclusivamente i manifestanti.
"Testimonianza di Elisabetta Zucchi".
Una delle ragazze, pesantemente picchiata, era strappata con forza dal
gruppo delle sue amiche e portata via.
La polizia scendeva quindi verso Via Assarotti, dove altre testimonianze
raccontano di ulteriori aggressioni ai manifestanti presenti, nonostante, lo
ricordiamo, fossero autorizzati ad occupare quella strada ed avessero
atteggiamenti assolutamente pacifici, anche verbalmente.
"Sono una delle persone massacrate venerdì dalla polizia in Piazza
Manin.
I poliziotti hanno fatto irruzione, ci hanno bloccato le vie di fuga coi
lacrimogeni e poi, invece di andare verso i Blacks, hanno puntato dritto
verso di noi: poichè tenevo le mani alzate, mi hanno fratturato la destra e
poi, quando sono caduta a terra, hanno continuato a pestarmi con violenza
incrinandomi la spalla. Vicino a me c'erano molte teste sanguinanti. Poi si
sono fermati, soddisfatti; i black nel frattempo si erano allontanati
indisturbati; le ambulanze sono arrivate dopo un'ora buona e non mi hanno
voluto caricare, non ero abbastanza grave; sono stata accompagnata in
ospedale da un giornalista, anche lui pestato, e immediatamente operata; qui
ho evitato la denuncia o il fermo solo grazie alla solidarietà di medici e
impiegati dell'ospedale. Testimonianza di Simona."
"I Black Block passano, senza considerarci degni della loro attenzione,
hanno altri progetti , andare in giro a sfasciare tutto. Ma quali progetti
ha la polizia? Li seguira senza muovere un dito, fino a quando? Fino al loro
quartier generale? Magari rimboccheranno loro le coperte? No, la polizia ha
altri piani. Esco dal vicolo, mi faccio vedere dai poliziotti
per dire loro che ci sono donne e bambini terrorizzati, che vogliamo
uscire e tornare sani e salvi nella piazza, se non ci sono più i neri. Il
poliziotto ci vede, chiama tutti gli altri, nessuno si preoccupa più dei
black block che se ne vanno indisturbati (eravamo la terza piazza visitata
da loro, quindi gli ultimi) e circa quindici poliziotti vengono verso di
noi. Quando capisco che non hanno intenzione di "scortarci",
grido ancora la mia richiesta d'aiutare le donne e i bambini dietro di me,
alzando le mani in alto. Tutti alziamo le mani in alto, tutti si prendono le
manganellate. Ho guardato quello che sembrava il più anziano negli occhi,
dietro il vetro dell'elmetto, dicendogli ancora un volta che c'erano con me
donne e bambini; non ha avuto il coraggio di colpirmi alla testa guardandomi
in faccia, mi ha girato e poi colpito sulla spalla. Gli altri hanno avuto il
compito più facile, semplicemente lasciarsi andare, colpendo alla testa una
ragazzina, colpendo con i manganelli e con i calci quelli che avevano scelto
di rannicchiarsi per terra, bastonando la telecamera di
un operatore che poi e stato colpito alla testa anche lui."
Testimonianza di Davide
Nel frattempo, i Black Blocks continuavano indisturbati la loro opera di
distruzione lungo Corso Solferino e Via Palestro.
"In piazza Manin ho visto i manifestanti pacifici terrorizzati e
sconvolti, la polizia schierata in posizione e in Corso Armellini (verso
ponente) una scia di fumo e devastazione... segno del passaggio del Black
Block. Mi aspettavo che la polizia partisse all'inseguimento dei Blacks,
invece niente, hanno girato e se ne sono andati....probabilmente a picchiare
qualche altro manifestante pacifico.
Io ho seguito i B.B. e, all'altezza di Largo Pacifici, li ho
superati. Erano fermi ai giardinetti, intorno alla fontanella: alcuni
bevevano, altri si riposavano, nessuna sentinella, erano tranquillissimi,
per niente in allarme.
Evidentemente sapevano che non dovevano temere nulla dalla polizia."
Una Testimonianza
"I "neri" sono apparsi in cima alla salita di Via Palestro,
hanno dato fuoco ad una Mercedes, hanno danneggiato altre macchine, hanno
levato i freni ai cassonetti che sono arrivati, in discesa, sul fronte
compatto dei poliziotti, sempre in Piazza Marsala. Intanto il 99 per cento
dei manifestanti pacifici era andato via.
La polizia si e mantenuta sempre in Piazza Marsala, compatta dietro gli
scudi, e si e limitata a sparare alcuni lacrimogeni. Non e stato fatto
nessun tentativo di fermare i danneggiamenti, ne d'inseguire od identificare
i "neri". Ritiratisi i "neri" in circonvallazione, sono
salito in cima a Via Palestro per osservare. Essendo la situazione ormai
"tranquilla" sono salito in corso Magenta. Decine di
"neri" giravano indisturbati, tranquilli. Giovanissimi, molti
centro-nord europei, alcuni con
bastoni. Diversi tondini di ferro, neanche nascosti, ma semplicemente
appoggiati nelle aiuole. Nessun poliziotto in giro. Questo fino a
tutto Corso Paganini"
Testimonianza di Alessandro Paganini, privato cittadino di Genova.
Ed ecco, come uno dei Black Block in questione ha visto
gli episodi che abbiano appena narrato, confermando a pieno le
testimonianza dei pacifisti:
"Dopo Piazza Da Novi, il gruppo di Tute nere ha attraversato
Brignole e Marassi fino a Piazza Manin, dove sostavano i pacifisti. Li, ci
siamo fermati per una decina di minuti. E' arrivata la polizia di corsa e
noi siamo scappati verso Piazza Corvetto, dove sono uscito dal gruppo.
La polizia pero, non ci ha seguito: si e fermata a manganellare i pacifisti
che stavano li fermi, con le mani alzate. Paradossale, da non crederci.
Certo, noi eravamo molto rapidi nei movimenti, creavamo barricate in un
batter d'occhio, ma fino a quando sono rimasto con i neri (alla fine, alle
18, saranno stati meno di un centinaio), nessuno ci ha bloccato."
Testimonianza di Mattia, uno dei Black Block, raccolta da
Alberto Burba di Clarence.
Eppure sarebbe bastata la presenza di un'altra squadra di forze dell'ordine
a meta di Corso Solferino e pochi uomini posti a
presidiare salita San Rocchino e le altre stradine laterali, per
bloccarli in modo definitivo, soluzione realizzabile senza
difficoltà se solo si fossero voluti spostare, lungo Via Bertola
e Via Palestro, parte degli uomini schierati a difesa della zona
Rossa, alla fine di via Assarotti e nella vicina piazza Marsala.
Questa operazione sicuramente si sarebbe
potuta realizzare anche in accordo e con la collaborazione dei
dimostranti che, preoccupati dal preannunciato arrivo dei Black
Blocks, avevano gia sgombrato la parte bassa di via Assarotti, temendo di
rimanere chiusi tra la polizia e i B.B..
Siamo certi che la polizia schierata in piazza Marsala era a
conoscenza dell'arrivo dei <Neri>, in quanto ha collaborato al rapido
sgombero dei dimostranti presenti in questa zona, anch'essi
preoccupati dell'arrivo dei Black Blocks. Tuttavia, durante le
devastazioni in Corso Solferino, nessun poliziotto ha lasciato la sua
posizione a difesa della zona rossa.
Questa incredibile verità lascia perplessi tutti, compreso un
poliziotto intervistato da Michele Vari, della Gazzetta del Lunedì:
"E' inspiegabile. Di certo potevamo isolarli dopo poche ore, ma non è
stato fatto. In piazza Corvetto, per esempio, avremmo potuto accerchiarli
con facilita, ma non è stato fatto. E dire che erano
riconoscibilissimi".
Peraltro, sul finire della prima giornata di Genova, anche la
singolare parentesi di collaborazione tra manifestanti e polizia, nata
in Piazza Corvetto, svanisce, insieme ai fumi degli incendi e dei
lacrimogeni:
"Era finito l'assalto dei Black Bocks ai poliziotti in fondo a via
Assarotti verso la zona rossa e noi manifestanti pacifici, che avevamo
cercato di difenderli (i poliziotti, n.d.a) dall'attacco dei Black Blocks,
mostrando le mani bianche, discutevamo con i poliziotti con cui, oramai, si
era allentata la tensione. Stiamo per andarcene ed alcuni di loro iniziano a
togliere i nostri striscioni pacifici attaccati alle cancellate della
strada. Mi rivolgo ai poliziotti per dire di lasciare stare le nostre
bandiere, i nostri colori, le nostre frasi che sintetizzano la voglia di
giustizia e di un nuovo mondo possibile. Uno di loro subito mi minaccia, mi
offende, mi spintona e scalciona. Io non reagisco, mi giro, vedo una donna
che, fino a poco fa li difendeva dagli attacchi dei Black, ed ora era
circondata da 5-6 poliziotti che l'insultavano e la colpivano.
Alcuni le gridavano che volevano arrestarla. Lei, impulsivamente, reagisce.
Mi avvicino per portarla via, per dirle di non reagire, per difenderla. Uno
dei poliziotti, con violenza inaudita mi prende da dietro, mi straccia la
maglietta, mi da' un calcio e mi sbatte lontano. Io ancora non reagisco,
cerco di mantenere la calma, mi allontano, impotente di fronte alla carica e
alla violenza gratuita"
Testimonianza di Filippo Ivardi Ganapini Padova.
Si conclude cosi, con rancore, rabbia, violenza, intolleranza (e, purtroppo,
con la morte di un ragazzo) la prima delle giornate di Genova che, insieme
agli amici di Legambiente, era cominciata gonfiando tanti allegri
palloncini gialli.
Quel giorno, il copione recitato nella zona di Manin si e ripetuto,
seguendo lo stesso canovaccio, in tutte le altre zone della città
presidiate pacificamente dal Genova Social Forum e si ripeterà,
con ancora più violenza nei confronti dei dimostranti, il giorno dopo.
Troppe coincidenze, per pensare che non ci sia stata
un'abile ed accorta regia.
Un vecchio ambientalista genovese
Federico Valerio
ritorna all'indice
|
Ho seguito come volontario i lavori dell'ufficio stampa del
gsf dal febbraio del 2001 volendo contribuire ad un movimento nonviolento e
di contenuti sono imbarazzato dal silenzio mediatico del gsf in questi
giorni, le uniche persone che lavorano, si esprimono sono gli avvocati che
stanno seguendo con sollecitudine le persone arrestate (per chiarezza: vanno
seguite al di là delle presunte colpevolezze o innocenze) e chi organizza
le testimonianze (anch'esse faccenda legale e di emergenza)
Mi chiedo se il gsf ha intenzione di lasciare parlare il resto del paese,
degli intellettuali, dei politici per se dando al gsf una immagine casuale
(anche positiva a volte) e non scelta, o il gsf è finito e segue solo le
testimonianze delle giornate del 20 e 21 luglio e delle vicende legali o
continua e deve esprimersi sulle sue responsabilità passate, presenti,
future. Responsabilità che sono, ad esempio, continuare una ricerca di
movimento pacifico e nonviolento. (...)
a questo punto due domande: i
portavoce del gsf? quando tornano? che decisioni hanno preso? a chi dobbiamo
rivolgerci se vogliamo
indicazioni? d'ora in poi ogni associazione parlerà per sè? (...) Consapevole
delle difficoltà personali, del movimento, delle associazioni vi inoltro
questa mail di domande
Enrico Testino
Penso che questo messaggio di Enrico evidenzi un notevole problemi relativo
alle modalità consensuali all'interno del GSF. Enrico parla di
"decisioni dei portavoce", ma se fossero stati portavoce dovevano
riportare la voce dei propri gruppi, altrimenti sarebbero stati dei delegati
o dei rappresentanti. Invece ad un certo punto è spuntato questo gruppo di
pseudo portavoce che si è auto-nominato parlamentino esclusivo per
tutto il movimento. E se a un certo punto forse poteva esserlo per le
associazioni da cui provenivano i "portavoce" non certo
poteva e soprattutto potrà valere per tutte quelle persone che non hanno, e
forse non per caso, una appartenenza associativa che tra i 200.000 non erano
poche.
Analogamente è successo in alcuni gruppi. Il "solerte" Stefano
Lenzi ha deciso autonomamente di avere la responsabilità del gruppo stampa
formato da un certo numero di persone che si sono date disponibili ed è
perfino arrivato a decidere da solo chi ci poteva stare e chi no escludendo
di fatto chi aveva deciso di "cacciare".
Attualmente a gestire gli aspetti "legali" sono rimaste
soprattutto persone che si erano attivate negli ultimi tempi e che per altro
pare abbiano ben imparato a delimitarsi la loro parte di "potere".
Con la scusa che il materiale è delicato vengono escluse dalla
collaborazione molte persone che si sono date disponibili coinvolgendo solo
coloro che eseguono le indicazioni di pochi senza fare tante domande sulle
scelte.
Per non aver accettato una organizzazione verticistica in cui i "capetti"
decidevano per tutti, rivendicando di agire "senza rappresentare
nessuno" come in varie volte mi è stato rinfacciato, sono sempre stato
guardato con diffidenza e osteggiato.
Per aver cercato di diffondere il più possibile l'informazione in modo da
rendere quante più persone partecipi nelle scelte spesso sono stato escluso
dall'informazione stessa dovendomela andare a cercare da solo.
Nonostante questo, o forse anche per questo, sono riuscito, con poco aiuto
da parte di altri, a creare un rapporto anche con i mass media, che ha
creato un notevole cambiamento di attenzione e disponibilità nei confronti
dei "nostri" temi e penso ancora adesso sia uno dei migliori
risultati del GSF.
Ma aver osato dire che anche il GSF aveva fatto degli errori mi ha perfino
procurato delle minaccie.
Penso che la questione dei processi decisionali, della qualità dei decisori
(nel caso si intenda identificarli) e delle modalità di comunicazione
debbano essere i primi temi da affrontare prima che questa nuova
"rivoluzione" finisca guidata da direttori che fanno rimpiangere
gli attuali governanti.
Un altro mondo è possibile prima di tutto se sarà possibile un altro modo
di decidere. Altrimenti sarà il solito "un passo avanti e due
indietro". E non basterà una assemblea universale via Internet se poi
buona parte dei "capetti" neanche sa cosa si dicono le
persone del movimento perché non hanno tempo di leggere le cose che vengono
scritte. La democrazia
partecipativa non basta auspicarla, bisogna provare ad attuarla.
Carlo Schenone
ritorna all'indice
|
11 agosto, ore 15.30
COMUNICATO STAMPA GENOA SOCIAL FORUM - GENOVA
Lunedì mattina il tribunale di Genova procederà al riesame delle posizioni
dei 26 ragazzi e delle ragazze del Folx karavane theatre, arrestati il 22
luglio e deciderà se proscioglierli dalle gravi accuse che sono state loro
mosse. L'incredibile accusa che viene loro contestata è "associazione
armata finalizzata alla devastazione e al saccheggio", sulla base di
attrezzature per il teatro itinerante scambiati per strumenti atti a
offendere.
Si tratta di artisti di strada, persone che attraverso il teatro hanno
scelto di prendere posizione sulle tematiche del razzismo e della
globalizzazione, e di essere con noi, col linguaggio pacifico e non violento
della rappresentazione teatrale itinerante, nelle giornate del 19-21 luglio.
Genova per loro era una tappa di una tournee vasta, che li aveva portati in
diverse città europee.
Il GSF di Genova, che da subito ha chiesto verità e giustizia per tutti,
porterà solidarietà a questi artisti e ne chiede la liberazione così come
ha già fatto il Governo austriaco, l'europarlamentare austriaca Kareen
Scheele, il Premio Nobel Dario Fo e molta stampa internazionale.
Essi sono per noi il simbolo di una strategia giudiziaria finalizzata a
colpire tutto il nostro movimento.
Organizziamo un sit-in, al quale è invitata tutta la cittadinanza, davanti
al Palazzo di Giustizia di Genova Lunedi' 13 a partire dalle ore 9.00.
Saranno con noi artisti e gente di teatro.
Ciò che è in gioco non sono solo le vicende giudiziarie di queste persone,
ma il diritto stesso ad esprimere il dissenso in maniera pacifica e non
violenta, il diritto a dire, ognuno col proprio linguaggio, che "un
altro mondo è possibile".
Ciò che è in gioco sono i diritti civili di tutti noi.
ritorna all'indice
|
INTERVISTA A MONS. DIEGO BONA PRESIDENTE DI PAX CHRISTI
ITALIA
"LA STAMPA" mercoledì 15 agosto 2001 NOI cattolici
non possiamo restare indifferenti al grido d'aiuto dei poveri. E' giusto
scendere in piazza per dare voce al Terzo Mondo ridotto al silenzio. Ed ora,
dopo l'anti-G8, nulla è più come prima».
Monsignor Diego Natale Bona, presidente del movimento internazionale «Pax
Christi» e vescovo di Saluzzo, cita don Milani per dettare la linea
dell'associazionismo ecclesiale antiglobal: «chi non si schiera, sta con i
ricchi». Monsignor Bona, il mondo cattolico si è diviso sui fatti di
Genova ?
«Abbiamo analizzato ogni dettaglio della contestazione. Siamo tra i
fondatori della rete Lilliput ed è nostro dovere tenere alta la speranza
nata da una colossale mobilitazione dei cattolici, impossibile da immaginare
solo un anno fa. Più che diverse letture, nella Chiesa si confrontano
diversi modi di mettere in pratica la dottrina sociale ecclesiale. A volte
è questione di sfumature. Con Comunione e Liberazione, che ha criticato i
cattolici antiglobal, possiamo pure avere obiettivi in comune, ma le strade
percorse per raggiungerli differiscono. Stesso fine, stili diversi».
Può farci un esempio ?
«Prendiamo il tema della giustizia sociale. Eravamo rimasti in pochi a
confrontarci sul tema dell'equa distribuzione delle risorse. Dopo Genova è
tutto un proliferare di forum ed iniziative di riflessione.
Ci rendiamo conto, però, che per ottenere risultati concreti e di ampio
respiro occorre avere un progetto. Il volontariato e l'associazionismo
ecclesiale devono ricompattarsi per aree omogenee, altrimenti si rischia di
sperperare l'immenso patrimonio ideale del movimento antiglobal».
C'è qualcosa che non è andato come pensavate ?
«Sì, quando abbiamo consegnato il nostro programma a Vattani eravamo
fiduciosi che fosse seriamente preso in considerazione dagli otto grandi.
Bisogna riconoscere che nel documento finale del summit c'è ben poco della
nostra impostazione. Evidentemente leader dell'Occidente industrializzato
non hanno messo al centro dei colloqui l'orientamento solidaristico e
l'attenzione agli indigenti. Come cattolici, poi, dobbiamo assolutamente
darci un regolamento interno che escluda ogni forma di violenza, perché
l'anti-G8 è stato un momento molto alto che richiede un progetto di
spessore, in grado di saldare le varie componenti. Un movimento non può
reggersi soltanto sulla consonanza di ideali, va strutturato lo spontaneismo
emerso durante la contestazione».
Non c'è il rischio di confondersi con le frange estremiste ?
«Oggi è assurdo agitare lo spettro della lotta armata. Il movimento sceso
in piazza a Genova allarga gli orizzonti della Chiesa e della società. A
noi impegnati a dialogare con il popolo di Seattle i violenti hanno
provocato danni immensi. Non c'è da stupirsi se nel mondo cattolico ci
interpretazioni tanto diverse della contestazione e non si può demonizzare
nessuno, ma occorre riflettere e agire con coerenza. Come seguaci del
Vangelo non possiamo non schierarci, non
possiamo non prendere posizione di fronte a un mondo fatto di pochi
ricchissimi e miliardi di disperati. Don Milani ci ha insegnati che davanti
alle ingiustizie chi si proclama neutrale, dopo due settimane, si schiera
dalla parte dei ricchi».
E adesso cosa farete ?
«Abbiamo verificato una crescita di interesse straordinario attorno alle
nostre tradizionali battaglie per il Terzo Mondo. Tanti giovani cattolici
hanno scoperto il fascino della solidarietà e del concreto impegno a favore
dei bisognosi. Rispetto al colossale potere economico delle multinazionali,
è questo il nostro patrimonio da investire nel modo più produttivo. Per
noi di Pax Christi è normale fare da cerniera tra mondi diversi. Sa da
quando i pontefici si rivolgono non solo ai credenti, ma agli uomini di
buona volontà? Dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII. Allora la guerra
atomica era più di una minaccia, adesso sarebbe utile a tutti ascoltare
attentamente il Papa.
Soprattutto quando parla di giustizia sociale».
ritorna all'indice
|
DOCUMENTO (da La Stampa)
Fermi alla "Diaz": ecco il verbale della Polizia
Di seguito pubblichiamo ampi stralci del verbale che la polizia ha inviato
alla Procura della Repubblica di Genova dopo i fermi nella scuola Diaz.
«Il 22 luglio, alle ore 3», nell'ufficio «trattazione atti presso il VI°
Reparto Mobile della Polizia di Genova, noi sottoscritti Ufficiali e Agenti
di Polizia Giudiziaria, al Servizio Centrale Operativo di Roma, alle Squadre
Mobili di Roma, Napoli, Genova, La Spezia e Nuoro , diamo atto che all'1,30
circa, in via Cesare Battisti nell'istituto scolastico Diaz al termine di
una perquisizione domiciliare, abbiamo proceduto all'arresto» delle 93
persone in elenco perché «responsabili di
associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio
nonché, in concorso tra loro, di detenzione abusiva di arma da guerra
(bombe molotov). Si è resa necessaria l'adozione della misura pre-cautelare
(il fermo n. d. r.) per i fatti di seguito elencati».
«Alle 22,30 circa un contingente della Polizia» mentre transitava «in via
Cesare Battisti, davanti alla scuola Diaz, veniva fatto oggetto di un
violento lancio di oggetti contundenti da parte di numerose persone,
verosimilmente appartenenti alle cosiddette "Tute Nere"»,
attuando «un tentativo di aggressione» agli agenti «Alla luce dei
gravissimi disordini che il 20 e 21 luglio» c'erano stati in centro città,
«e determinati dalla condotta eversiva delle cosiddette "Tute
Nere", responsabili di
gravissimi episodi di devastazione e saccheggio e di atti di violenza verso
le Forze dell'Ordine», gli agenti «erano costretti ad allontanarsi
immediatamente dal luogo, anche per far convergere sul posto contingenti di
rinforzo. Esemplificative sono le drammatiche immagini che le tv» di tutto
il mondo «hanno mandato in onda e che hanno consentito di percepire nei
termini adeguati le difficoltà incontrate dalle Forze dell'Ordine nel
contenere la violenza dei citati manifestanti sia contro le persone che
verso i beni materiali. Nel dettaglio, le riprese tv hanno evidenziato i
ripetuti e violenti lanci di molotov che hanno causato incendi in diversi
punti della città coinvolgendo autoveicoli, esercizi commerciali ed arredi
urbani». Ciò premesso «e in considerazione della concreta possibilità
che la scuola Diaz fosse rifugio delle frange estreme delle "Tute
Nere"» veniva organizzato «un adeguato programma d'intervento
finalizzato
1) alla ricerca di armi o materiale» esplosivo «che in quel luogo poteva
essere occultato,
2) all'identificazione dei responsabili dell'aggressione che poco prima
aveva coinvolto gli agenti di Polizia,
3) all'identificazione dei responsabili dei gravissimi disordini
citati.
Appena giunti sul luogo, gli agenti notavano un gruppo di giovani che alla
loro vista» ed eravamo «chiaramente riconoscibili dall'uniforme o per le
casacche», con l'obbiettivo «di compromettere lo svolgimento
dell'operazione di polizia giudiziaria», chiudevano la scuola dall'interno
«impedendo che gli agenti vi potesse entrare». [...] In questo modo -
scrive chi ha redatto il verbale - i ragazzi hanno avuto «il tempo
necessario per occultare armi e per organizzare un'attiva
resistenza». Gli agenti, «dopo aver forzato il cancello d'ingresso
utilizzando un furgone» ed essere entrati dell'edificio «subivano un
fittissimo lancio di oggetti di ogni genere». Tutto questo «rafforzava il
profondo convincimento che effettivamente nella scuola i giovani
manifestanti» avessero « armi di ogni genere. Pertanto appena riusciti a
forzare il portone d'ingresso, veniva effettuata una perquisizione ai sensi
dell'articolo 41 del Testo Unico di Pubblica Sicurezza. I
giovani presenti all'interno, resisi conto» dell'arrivo della polizia «cercavano
di resistere ulteriormente: prima ingaggiando
colluttazioni con gli agenti, poi disperdendosi per i vari piani
dell'edificio, anche per poter tendere inaspettatamente ogni sorta d'agguato».
«Quanto segnalato trova conferma nell'accoltellamento al torace dell'agente
Nucera Massimo, in forza al Nucleo Antisommossa del I° Reparto Mobile di
Roma, episodio che non aveva ulteriori e drammatiche conseguenze solo grazie
all'utilizzo da parte dell'agente di un giubbotto protettivo. La resistenza»
dei ragazzi era vinta «solo grazie alla
presenza di un nutrito contingente di poliziotti». Nel referto, a questo
punto, si racconta che «nelle concitate fasi d'ingresso e durante la
colluttazione, i giovani provvedevano intenzionalmente a lanciare verso ogni
luogo i propri zaini, ciò, evidentemente, per rendere impossibili le
operazioni di attribuzione delle responsabilità penali relative
all'eventuale rinvenimento di armi. La cui ricerca, resa ancor più
complessa proprio in considerazione dell'atteggiamento di questi
giovani, consentiva di trovare e sequestrare, i seguenti oggetti: 2
bottiglie contenenti liquido infiammabile e innesco, cosiddette «molotov»;
7 coltelli a serramanico, con manico in legno di varie dimensioni; 10
coltelli, tipo svizzero, manico in plastica, di varie dimensioni; 1 coltello
multiuso in acciaio; 1 coltello multiuso con manico in plastica nero; 2
coltelli da cucina in acciaio; 1 coltello da cucina con manico in legno; 1
coltello da cucina con manico in plastica nero; 1 paio di forbici da cucina;
1 set da tasca di chiavi esagonali e cacciavite; 2 mazze da carpentiere con
manici in legno; 1 piccone con manico in plastica dura; 1 pala da
carpentiere con manico in legno; 1 mezza bottiglia di plastica con chiodi; 1
tubo Innocenti ricurvo; 1 Kriptonite, con due chiavi; 3 mazze di ferro; 6
mazzette in alluminio ricurve; 2 spuntoni di ferro; 5 bombolette di vernice
spray; 2 thermos; 2 dadi in alluminio; 1 scatolato in ferro; 1 lastra in
porfido; 2 cinghie borchiate; 1 cinghia metallica; 1 cinta in tela; 1
bracciale cuoio borchiato; 1 catena in ferro legata ad una camera d'aria; 1
elastico di gomma; 4 contenitori per sostanze lacrimogene del tipo usato
dalla polizia; 1 capsula spray urticante usata; 1 manetta in
ferro; 15 maschere antigas; 8 maschere da sub; 13 occhialetti da piscina; 1
filtro maschera antigas; 3 caschi da motociclista; 2 caschi da cantiere; 1
brandello di bandiera rossa; 1 parrucca color castano; 1 rotolo di
imballaggio; 5 passamontagna modello Mefisto; 1 cappello lana nero; 3
mascherine paraocchi da lavoro; 6 parastinchi di plastica uso sportivo; 4
ginocchiere di tipo sportivo; 11 protezioni fisiche artigianali di plastica
resistente; 1 paio di guanti di lana nera; 2 minidisk di marca Sony; 6
rullini; 3 cassette audio; 1 floppy disk privo di etichetta; 3 cellulari; 17
macchine fotografiche; 2 walkman; 1 agendina di colore rosso e nero; una
bustina trasparente contenente 14 pasticche di colore bianco; 4 capsule con
polvere marron e una capsula vuota; 1 bandiera rossa con effigie riportante
pugno chiuso di colore giallo; 1 striscione di 10 metri di lunghezza con
sfondo nero ed effigie in giallo con su scritto «you can't forbit it and
you can't ignore it you try to frighten but you will not stop it» seguita
da una stella a cinque punte; 60 magliette nere, alcune con scritte
inneggianti alla resistenza, alla violenza e contro lo Stato; 15 pantaloni
neri; 16 giacche nere; 17 giubbotti neri; 5 sciarpe nere; 4 cappelli neri;
una pettorina gialla con la scritta «giornalista»; un'agenda blu con la
cartina topografica di Genova con riportate a penna indicazioni sulle zone
della città interessate ai cortei; vario materiale cartaceo e striscioni di
cartone».
«A carico del cittadino tedesco Szabo Jonas, 24 anni, sono stati
sequestrati 2 coltelli multiuso; 1 coltello a serramanico e 8 fogli
dattiloscritti in lingua inglese, numerati da pagina 3 a pagina 11 e privi
della pagina 10 [..]. Quanto sequestrato sostiene l'ipotesi investigativa
relativamente alla localizzazione del luogo destinato dai vertici
dell'organizzazione delle "Tute Nere" ad accogliere i militanti
provenienti da tutta Europa per il G8. Tale luogo era evidentemente
indispensabile per il necessario supporto logistico e per attuare
l'obbiettivo, attraverso devastazioni e saccheggi, attentati a impianti di
pubblica incolumità, detenzione ed uso di armi anche da guerra.
La certa appartenenza dei citati giovani all'organigramma delle "Tute
Nere" è, peraltro, pienamente confermata dal ritrovamento e dal
sequestro di numerosissimi capi di abbigliamento proprio di quel colore. Non
sarebbe altrimenti spiegabile la presenza nella Diaz di numerosissimi
giovani di diversi paesi europei. Quanto accertato consente di stabilire che
il sodalizio in oggetto si sia palesemente interessato di reperire sia i
mezzi per raggiungere il luogo convenuto che le armi indispensabili per
realizzare i delitti indicati». «Il contenuto di un manoscritto trovato
fra gli effetti personali di Szabo
Jonas, consente, inoltre di stabilire che egli è uno degli esponenti di
maggior rilievo» delle "Tute nere", perché il testo «descrive
nei dettagli la preparazione di un giubbotto speciale da usarsi in occasione
di contatti con le forze dell'ordine» . Questo «conferma la posizione di
rilievo di Jonas nell'organizzazione, e dimostra che la Diaz era il luogo
destinato alla pianificazione strategica e al materiale confezionamento
degli strumenti destinati all'offesa delle forze dell'ordine.[...] «Dai
fatti narrati» si intuisce «anche il programma criminoso
dell'organizzazione» che voleva compiere «una serie non determinata di
delitti». Pare ovvio, anche, che [...] «ogni componente dell'associazione
avesse la consapevolezza che il suo atteggiamento contribuiva in maniera
determinante alla realizzazione delle comuni finalità». [...] Nel corso
della perquisizione, sono stati feriti numerosi giovani presenti nella
scuola, alcuni dei quali ancora ricoverati in ospedale, e molti agenti di
polizia...». (29 luglio 2001)
ritorna all'indice
|
Ripensiamo, amici, a ciò che è accaduto a
Genova, ma smettiamola di parlare solo di botte e manganellate, degli
episodi di violenza accaduti nelle giornate del 20 e del 21 se ne è già
parlato e se ne continuerà a parlare ancora tanto (speriamo!!!), ma questo
non è l’unico fatto scandaloso che è accaduto a Genova. È giusto
denunciare le violenze che sono state consumate da parte di polizia e
carabinieri all’indirizzo di tutti, pacifisti compresi, ma DOBBIAMO ANDARE
OLTRE, non dobbiamo fermarci alla cosa più eclatante. Dobbiamo
assolutamente urlare la nostra indignazione nei confronti di quegli otto
grandi… (al posto dei puntini potete aggiungerci quello che vi pare!) che
si sono seduti attorno ad un tavolo con la presunzione e la pretesa di farci
credere di voler risolvere i problemi dei poveri della terra! … e che alla
fine del summit hanno avuto la faccia tosta di dire, per bocca di Bush e
Putin, che “i manifestanti di Genova non rappresentano i poveri della
terra, non hanno alcun mandato da quanti soffrono in tutto il mondo e
pertanto la loro protesta appartiene in realtà ai paesi ricchi”. Forse mi
sfugge un dettaglio, ma loro che si sentono così autorizzati a decidere del
destino del mondo, sono forse stati legittimati dai poveri della terra? Non
sono forse loro per primi i rappresentanti dei paesi ricchi?!!
Questo è il mio suggerimento: accantoniamo un attimo il discorso dei
manganelli di Genova e riflettiamo di più su quello che hanno deciso (o
forse sarebbe meglio dire non hanno deciso), i rappresentanti dei
paesi più ricchi della terra per “aiutare” i più poveri. Di questo e
del perché 200mila persone siano arrivate a Genova, penso che dovremmo
parlare nell’incontro di Lilliput di settembre, sia che si faccia a
Bologna, sia che si faccia altrove, perché altrimenti rischiamo di fare il
Loro gioco…
L’ultima cosa, poi vi lascio in pace: ho sentito che da più parti è
stato sollevato il dubbio se sia gusto o meno continuare a far parte del
movimento antiglobal continuando a convivere con esperienze molto diverse
dalla nostra. Per quel che mi riguarda, sono un convinto sostenitore di
questo movimento anche per la sua eterogeneità, però sarei anche
favorevole a discutere sulla possibilità di manifestare nei prossimi due
appuntamenti (Napoli e Roma) separatamente dai centri sociali. Questo non
per prendere le distanze dalle altre realtà del movimento, a cui in realtà
mi sento molto vicino, ma perché sono stanco di leggere sui giornali che a
Genova eravamo 200mila persone di cui circa 2mila black block e 10mila
giovani dei centri sociali; …e gli altri 188mila chi erano? Inoltre
c’è un discorso di sicurezza, la nostra sicurezza, dopo quello che è
accaduto a Genova c’è poco da stare allegri, soprattutto se si pensa che
il prossimo appuntamento sarà a Napoli, dove i disoccupati organizzati
sono presenti a tutte le manifestazione con l’unico intento di fare
casino, quindi si rischierebbe di nuovo di prendere delle manganellate perché
qualcuno che non fa parte del movimento viene lì a rompere le palle solo
per catalizzare l’attenzione dei media. Questo è un argomento importante,
che probabilmente meriterebbe di essere approfondito perché ho già sentito
più persone che non parteciperanno alle prossime manifestazioni per paura
di prendere delle botte. Se invece facessimo le manifestazioni di tutti i
movimenti pacifisti del Gsf in altre città (Bologna e Firenze), molto
probabilmente riusciremmo a raccogliere molte più adesioni e potremmo
vedere in piazza anche le famiglie e i ragazzini delle scuole, e finalmente
faremmo parlare di noi!
un
saluto da Alessandro
ritorna all'indice
|
Basta con le
radicalizzazioni!
La gente comincia a prendere le distanze dal Genoa Social Forum e si corre
il rischio che sia etichettato come movimento violento e intollerante. Così
passiamo dalla parte del torto! Il fascino tremendo delle barricate lo
dobbiamo abbandonare, come ha scritto di recente Dario Fo. Occore
rimboccarsi le maniche e dialogare con la gente fare un lavoro di contatto
persona per persona, una sorta di "porta a porta". E'
altrettanto chiaro che a poliziotti e carabinieri il "popolo di
Seattle" è stato dipinto come uno spauracchio. Molti di loro non solo
non condividono motivi della contestazione ma li ritengono al di fuori
della legge. Responsabili delle violenze sono i vertici dello Sco e i
dirigenti dei Nocs. I black block hanno disturbato e invaso i cortei
pacifici di Genova. Ma le forze dell'ordine hanno fatto di tutta l'erba un
fascio e sono arrivate a violenze nei confronti di manifestanti incolpevoli.
Ho molti amici tra i Carabinieri, la polizia, la guardia di finanza,
l'aeronautica e l'esercito. In questi ambienti circola in effetti una
mentalità squadrista ed anti-democratica. Del resto non possiamo
dimenticarci della lezione di Pier Paolo Pasolini che durante gli scontri di
valle Giulia a Roma nel 1968 prese posizione a favore dei poliziotti perché
per un misero stipendio e per necessità di lavoro furono mandati a sedare i
manifestanti che, per la maggior parte erano "figli di papà". Il
ministro degli interni Scajola ha fatto notare che le forze dell'ordine non
erano pronte ad affrontare la guerriglia urbana. Così queste hanno pensato
bene di picchiare e far male alla gente! Quante persone innocenti e non
facinorose hanno picchiato! Come non dimenticare poi le strumentalizzazioni
politiche da parte dell'opposizione e da parte del governo! Si poteva
immaginare che non sarebbero mancate! L'opposizione ha accusato il governo
di aver cambiato i piani per Genova durante gli ultimi giorni e il governo
ha accusato la vecchia maggioranza di essere responsabile delle violenze di
Genova a causa dei piani che aveva preparato!
Non dobbiamo perdere la nostra opposizione contro i potenti e la nostra
opzione per i deboli ma dobbiamo anche essere capaci di formulare proposte
alternative, di vivere stili di vita più sobri ed equi. Pensiamo al consumo
critico e al commercio equo e solidale. Dobbiamo lavorare per disegnare una
società meno ingiusta di quella in cui viviamo. Sono in tanti coloro che già
lo fanno in modo discreto come la rete di lilliput, bilanci di giustizia, la
rete del commercio equo e solidale, alcuni ONG e altri ancora. Credo che ora
sia tempo di intensificare questo lavoro, di declinarlo in tutti i risvolti
sociali, economici, ambientali possibili. L'obiettivo di certo non deve
essere quello di fare proselitismo ma occorre una guerra dei
contenuti, dell'approfondimento delle tematiche della salvaguardia del
creato e quindi dell'ecologia, della globalizzazione (che è cosa buona!) e
del suo rapporto con la mercantilizzazione (che è cosa cattiva!), della
mondialità, dell'intercultura, della finanza etica, del turismo
responsabile. Da Seattle in poi c'è un fermento, una rinnovata stagione di
impegno sociale che ora bisogna lasciare che si espanda a macchia d'olio.
Bisogna fare proprio una bella chiazza in modo che i potenti ci scivolino
sopra e si facciano male, molto male!
Dobbiamo sostituire le manifestazioni a rischio di violenze con degli
happening di festa! Dobbiamo fare festa. La festa destabilizza il sistema,
è "un altro tempo", è il tempo della solidarietà, dei rapporti
sociali, dell'espressione della creatività...
Giuseppe Vitale
ritorna all'indice
|
Genova, vista da quaggiù
(di Fabio Pipinato, 22/08/2001)
Dal Kenya, Fabio Pipinato, già direttore di
Unimondo e ora cooperante nel continente africano ci scrive: "Non usano
mezzi termini gli opinionisti locali: il G8 un coro di ipocrisie ed ambiguità".
The Nation, il giornale più letto in Kenya,
riporta quasi quotidianamente scritti di politologi e saggisti riguardo i
fatti accaduti durante l'ultimo G8. Non usano mezzi termini gli opinionisti
locali nel definire il G8 un coro di ipocrisie ed ambiguità essendo i loro
paesi esclusi dal meeting annuale.
Anche gli altri maggiori giornali africani,
da Jeune Afrique a The Sunday Indipendent, si sono apertamente schierati con
il movimento di protesta per quanto contraddittorio esso sia stato nelle sue
diverse anime. Senza questo movimento transnazionale non sarebbe però stato
possibile, a loro avviso, 'allargare' il prossimo anno il G8 a dieci governi
africani
impegnati sulla strada delle riforme suggerite dal Fondo Monetario
Internazionale.
Ma non si tratterà affatto di un G18 (10+8)
ma di un meeting parallelo con tutt'altra Agenda. I Governi, diversamente
dagli opinionisti sovracitati, hanno purtroppo accolto l'invito ad andare
nelle montagne rocciose del Kanakaskin per il 2002, come una vittoria. Non
siamo distanti dal periodo post-coloniale ove i neo governi erano abituati a
rincorrere i
donors o le concessioni dei Paesi più industrializzati dimostrando nel
contempo incapacità di auto-progettazione economico-politica indipendente.
Dall'altra parte della barricata vi sono
invece alcuni componenti del network per i Diritti Umani del Kenya i quali
hanno avanzato l'idea, dopo i fatti di Genova, di un percorso di formazione
alla nonviolenza rivolto al 'Popolo di Seattle' con docenti dal Sud del
mondo.
Qui le manifestazioni di protesta hanno
infatti cadenze mensili e la polizia non è certo migliore di quella
italiana ma vi è forse una maggiore capacità da parte dei contestatori di
identificarsi come movimento con un servizio d'ordine che allontana proprio
i più esaltati. E' inutile dire che a capo di molte di queste
manifestazioni è presente il trentino padre Alex
Zanotelli.
Recentemente è stata sospesa con la forza
una manifestazione a favore della cancellazione del debito estero. Ciò sta
a dimostrare che la violenza è sempre accompagnata dall'ignoranza ed
entrambe non hanno confini. La manifestazione andava infatti a favore dei
conti pubblici del governo che l'ha soppressa.
Essendo il Kenya tra i paesi più indebitati
proprio con i Paesi del G8 si auspicava una definitiva cancellazione del
debito estero, ma dal meeting di Colonia in Germania a quello di Okinawa in
Giappone le promesse per la
cancellazione del debito sono identiche a quelle fatte a Genova. Sin d'ora
solo 23 Paesi dei 41 più altamente indebitati hanno beneficiato di una
qualche riduzione pari a 53 miliardi di dollari su un ammontare totale di
2550.
La cancellazione permetterebbe di far fronte,
se venissero utilizzati a dovere i fondi con mirati controlli, a bisogni
essenziali della popolazione residente e non. I rifugiati in questo paese
sono infatti moltissimi a causa delle guerre circostanti.
A proposito di guerre circostanti sarebbe
impensabile a Nairobi un meeting di Capi di Stato, magari presieduto
dall'OUA (Organizzazione per l'Unità Africana) che non affronti il
drammatico problema dei Grandi Laghi, forse perché l'attuale mediatore è
Nelson Mandela ed il precedente il compianto Maestro Julius Nyerere. Sembra
invece possibile un meeting a Genova ove il conflitto macedone e la stabilità
nei Balcani non solo non faccia parte dell'Agenda dei Big ma nemmeno di
quella dei contestatori. La solidarietà che entrambi propinano, in modi
diversi, fuori o dentro la zona rossa, evidentemente non inizia dai rapporti
di vicinato ma è una solidarietà lontana.
All'ordine del giorno c'era invece la lotta
all'AIDS. La promessa di un fondo internazionale di un milione di dollari
fatta dagli otto big per far fronte alla piaga è stata ripresa dagli
opinionisti locali, a differenza di giornali come Le Figaro ed il Wall
Street Journal, come una grande farsa.
A nessuno dei giornali africani, da me
consultati, è infatti sfuggito che il Segretario Generale delle Nazioni
Unite Koffi Annan aveva chiesto dieci volte tanto solo come fondo di
emergenza. E di AIDS in Africa si muore nonostante la recente vittoria a
Pretoria del Ministero della Sanità Sudafricano contro le Multinazionali
farmaceutiche che ha permesso un
estendersi della normativa anche all'Est Africa.
Anche la proposta di portare l'alta
tecnologia nel Sud del mondo, con l'unico documento ufficiale approvato in
sede G8, è sembrata assai illusoria. Nei paesi industrializzati la scelta
di portare internet là dove ci sono le capanne è sembrato a molti più un
business della telefonia che un concreto aiuto mentre qui, dall'altra parte
dell'equatore, in molti attendono un accesso meno oneroso all'alta
tecnologia per inserire le microimprese nel mercato globale.
Nelle capitali africane vi sono ovunque
scuole di ingegneria multimediale ma il problema non è la formazione ma il
costo del bene. Anche internet come il cemento, i farmaci ed altri beni
fondamentali che permetterebbero lo sviluppo sono controllati dall'esterno
ed hanno prezzi esorbitanti. A titolo di esempio io pago £ 60.000 al mese
(pari allo
stipendio minimo di un operaio locale) per la sola connessione alla posta
elettronica, attraverso un server che dista duecento chilometri dalla mia
attuale abitazione.
Gli otto grandi baderanno bene in futuro,
come è accaduto per la cancellazione del debito, a promettere e nel
contempo controllare la limitata espansione di questo bene che ha avuto una
rapida diffusione in altri Paesi del sud del mondo come l'India, già leader
internazionale in pochi anni. Non è un caso che le compagnie aeree come la
Swiss Air stiano fuggendo dall'Europa per rifugiarsi nel Subcontinente
indiano ove il costo di ingegneri multimediali è di gran lunga inferiore.
Sia i capi di stato che le società civili
dell'Africa devono smetterla di rincorrere i grandi della terra nelle
capitali del nord del mondo e cercare di rafforzare i loro meeting (OUA,
gruppo 77), magari organizzandoli parallelamente ai meeting che hanno luogo
nel nord del mondo.
Il Sud, ove è nata la nonviolenza, la
capacità di networking (fare rete) proprio della società civile, il
microcredito che sta sradicando la povertà in molte microrealtà, ha
dimostrato più volte di essere in grado di elaborare una propria Agenda ed
un proprio modo di pensare lo sviluppo, nonostante l'incapacità di governo
dimostrata dalla maggioranza delle classi dirigenti.
Come l'America Latina ha creato il World
Social Forum a Porto Alegre (Brasile) in contrapposizione al World Economic
Forum di Davos (Svizzera) così l'Africa potrebbe elaborare un 'tutt'altro
G8' in piena contrapposizione a quello esistente con otto donne di colore in
rappresentanza del mondo impoverito al posto degli attuali otto maschi
bianchi in rappresentanza del mondo arricchito; con politiche di sviluppo
umano sostenibile al posto di politiche imposte da Istituzioni
Internazionali riconosciute solo dai potenti. L'esito di quest'altro G8 non
sarà un generico disaccordo sul protocollo di Kyoto ma potrà essere una
politica per il 'bene comune'.
Recentemente il Presidente Senegalese
Abdoulaye Wade ha rifiutato all'Eliseo l'offerta di un indennizzo per la
schiavitù e la colonizzazione subita in quanto un dramma così intenso non
ha prezzo. Uno gesto di dignità fatto di fronte ad uno degli otto big,
Jacques Chirac. Un gesto che da speranza al pluriverso di movimenti ed
organizzazioni che anche quaggiù lottano per 'un altro mondo possibile'.
ritorna all'indice
|
Navigando sotto costa
Scrivere o prendere la parola in pubblico è l’atto
politico per eccellenza. Nel ventesimo secolo questo atto politico veniva
interpretato contemporaneamente come l’occasione e lo strumento della
conquista e dell’egemonia di una parte sul tutto.
Nel ventunesimo secolo questo non è più vero e Genova segna lo spartiacque
dei percorsi di cambiamento e innovazione sociale, modifica radicalmente i
metodi ed il senso dell’agire comune, cioè della Politica che diviene,
finalmente, la condivisione tra pari dello spazio della scelta, l’arte
del possibile, progetto di costruzione comunitaria
del Comune.
Esiste una frattura, esiste un prima ed un dopo nel nostro interpretare il
terzo millenio e la cifra di questa cesura storica insiste nelle giornate
del 20 e 21 luglio 2001.
Ci pare che vi sia una centrale differenza tra quanto abbiamo compiuto a
Seattle e quanto si è verificato a Genova. Le straordinarie giornate di
Seattle hanno sostanzialmente mostrato al Mondo come fosse possibile
fermarli, hanno realizzato ciò che per molti, sinceramente anche di noi,
era solo un sogno collettivo: violare la legittimità dell’Impero a
dirigere spocchiosamente dei destini del Mondo.
Ma i ragazzi di Seattle hanno fatto qualcosa di più: ci hanno spiegato che
per fermarli è necessario essere in molti e capaci di ascoltarsi, di
camminare insieme. Seattle ci ha detto che per cambiare il loro Mondo è
necessario condividere i nostri Molti Mondi.
A Seattle perciò l’Impero ha perso. Si badi che non ha tanto perso
militarmente, anche se poi il vertice è stato sospeso, quanto, piuttosto,
perduto la vera base su cui costruisce il suo Potere: il consenso.
Dopo Seattle il movimento di movimenti ha compiuto molta strada, è
cresciuto, si è ampliato nei temi, nelle sensibilità e nelle culture che
hanno cominciato ad attraversarlo ed è arrivato a Genova con tre punti di
forza in più: la capacità effettiva di costruire un altro Mondo
possibile, un consenso sociale enorme, mai conosciuto dai movimenti dello
scorso secolo, la capacità di dialogo e la volontà di camminare insieme di
“cattolici” e “laici”.
Questo ultimo quid ci sembra straordinariamente importante perché ha
permesso di trovare lessici comuni a due mondi fino a ieri artificiosamente
separati dalle diversità di linguaggio e di biografie, rendendoli capaci di
dialogare ed una delle scommesse più affascinanti per i nascenti Social
Forum insiste proprio sulla capacità di continuare il dialogo tra
“cattolici di base” e “disobbedienti”.
A Genova l’Impero non sono è stato reso nudo, ma le moltitudini
dispiegate nella lunga, straordinaria e tragica settimana di luglio lo hanno
terrorizzato perchè il consenso della Società Civile era con noi e perché
nei piccoli passi compiuti insieme, nel nostro essere uniti nelle
differenze, abbiamo dimostrato di poter effettivamente praticare un Mondo
Migliore.
L’Impero si è trovato con le spalle al muro e la scelta che ha operato è
stata di massacrare e distruggere militarmente le nostre idee e di recidere
i nodi delle nostre reti con un colpo di spada, militare, violento,
assassino.
Genova rappresenta una frattura, che obbliga tutti noi a ridiscutere molte
delle scelte che abbiamo fatto: dobbiamo essere onesti e riconoscere che le
certezze che avevano supportato il nostro percorso verso Genova, sono venute
meno e che dobbiamo essere capaci di ripensare il nostro agire comune tra
molti, ripensare il nostro cammino, senza abbandonare alcuni punti fermi che
devono sopravvivere e che sarebbe miope, ed anche un po’ incosciente,
abbandonare.
Tra questi il più importante è sicuramente il nostro, vostro, desiderio di
continuare a ragionare insieme, a discutere, anche aspramente quando serve: camminare
domandando nei territori sociali dove la Società Civile si sta già
preparando e organizzando in decine di Social Forum, cantieri di un autunno
che ci permetterà di ritornare a concentrarci sulla parola, sugli universi di discorso che vogliamo ricominciare a
costruire, insieme.
E’ anche per Carlo che dobbiamo dirigere la prua delle nostre barche verso
approdi comuni, navigando sotto costa, capaci di scrutare piccole
insenature, golfi, fiordi e baie tutte diverse l’una dall’altra, tutte
capaci di realizzare un mondo migliore, fatto di equità, solidarietà,
democrazia, un Mondo agito comunemente.
Che è già in costruzione.
Gianmarco De Pieri CS TPO
Laboratorio Disobbedienza Sociale dello Stadio Carlini
ritorna all'indice
|
GENOVA, 20/21 LUGLIO 2001:
DOVETE SAPERE LA VERITA'!!!!!
Sono Daniele Simondi, di Dronero (CN) e ho deciso di scrivere queste pagine
perché, dopo essere stato a Genova per la protesta contro il G8, sono
tornato a casa e ho scoperto che i telegiornali vi hanno raccontato un sacco
di bugie e vi hanno mostrato solo una parte di ciò che è successo. Io
c'ero e senza troppe pretese voglio comunicarvi ciò che ho vissuto, visto e
sentito in due giornate impossibili da dimenticare.
Per combattere la disinformazione televisiva, invierò questo resoconto
(ovviamente limitato alla parte di eventi di cui sono stato diretto o
indiretto testimone) a tutti gli indirizzi e-mail che riuscirò a recuperare
nei messaggi pervenutimi in passato. Mi scuso quindi fin d'ora se queste
pagine arriveranno anche a chi non è interessato (anche a queste persone
chiedo però di leggere ciò che ho scritto, perché in pochi minuti
potranno avere l'occasione di farsi un'idea di ciò che è davvero successo
laggiù).
Le mie capacità sono estremamente limitate e invito quindi tutti coloro la
cui voglia di verità sarà stuzzicata dalla mia piccola testimonianza a
visitare il sito internet www.retelilliput.it,
dove troveranno ampie e fondate delucidazioni.
A tutti coloro che mi conoscono chiedo di farmi sapere che ne pensano, perché
in questo momento è più che mai necessario aprire un profondo dibattito su
quanto è successo.
Se poi, invece di fidarvi della televisione bugiarda che cerca di governare
le nostre menti, sceglierete di credere al sito della ReteLilliput e alle
altre organizzazioni nonviolente che hanno partecipato alla manifestazione
di Genova, allora vi chiedo di inoltrare a tutti gli indirizzi della vostra
rubrica questo messaggio.
Sono cose che la gente deve sapere: la protesta anti-G8 non è stata solo
guerriglia urbana come hanno mostrato i telegiornali.
Anzi, probabilmente la guerriglia urbana è stata abilmente sfruttata dai
potenti per delegittimare e zittire la protesta pacifica, di gran lunga
superiore numericamente (almeno 150mila pacifici contro poche migliaia di
violenti).
Eccovi la mia esperienza.
VENERDI' 20 luglio 2001
Partiamo da Cuneo in cinque, tutti intorno ai vent'anni, col treno delle
5.30. Giunti a Savona proseguiamo con un treno navetta verso Genova Voltri,
una quartiere a Ponente della città, dove il treno si ferma. Più in là
non può andare. Proseguiamo quindi in bus, arrivando senza difficoltà nel
centro di Genova.
La nostra prima tappa, verso le 9.30, è piazzale Kennedy, sul mare, dove è
situato il Centro di Convergenza del GSF (Genoa Social Forum,
l'organizzazione che raggruppa tutti i movimenti non violenti che hanno
aderito alla protesta contro il G8). Lì ci indicano dove dovremmo dormire
quella sera: siccome noi abbiamo due tende e i posti al coperto sono
limitati, ci consigliano di raggiungere, alla fine della giornata, il parco
di Nervi, abbastanza lontano da lì, ma destinato ad accogliere i
manifestanti.
Lasciamo piazzale Kennedy dopo aver visitato gli stand di varie associazioni
aderenti al GSF e ci dirigiamo verso piazza Manin, più in alto (Genova, per
chi non la conoscesse, è una città in discesa verso il mare).
Questa piazza è occupata dai manifestanti della Rete Lilliput (visitate www.retelilliput.it),
l'associazione nonviolenta con la quale vogliamo partecipare alla protesta e
alla quale ci sentiamo più vicini come metodi (nonviolenti) ed obiettivi
(centrati su commercio equo e consumo critico). In piazza Manin sono stati
allestiti dalla Rete Lilliput diversi banchetti informativi su
commercio equo e solidale, finanza etica, spese militari ecc.
Verso le 14 si radunano, sempre in piazza Manin, tutti i lillipuziani e si
parte verso la zona rossa, quella rigorosamente off-limits, per attuare un
sit-in di protesta davanti alle reti che proteggono questa inespugnabile
fortezza (e non è un esagerazione chiamare così un'area chiusa da enormi
blocchi di cemento con su montate reti d'acciaio alte quattro metri). La
strada che da piazza Manin scende verso la rete della zona rossa è
abbastanza lunga e la percorriamo tutti con le mani dipinte di bianco in
segno di nonviolenza, facendoci sentire il più possibile. Si canta
"Bella Ciao", si scandiscono slogan come "Genova libera"
e "Un mondo diverso è possibile". I genovesi rimasti a casa ci
guardano dalle finestre, qualcuno applaude: ricordandoci gli ammonimenti del
damerino Berlusconi (che li aveva invitati a non stendere al sole i loro
poco dignitosi panni.), urliamo loro "Genovesi fuori le mutande!".
Alcuni approvano, fanno segno di aspettare e tornano alla finestra con un
bel paio di mutandine, accolti dalla nostra ovazione. Gli elicotteri della
Polizia volteggiano su di noi ed ogni volta che si abbassano alziamo le mani
bianche verso di loro, gridando "Nonviolenza! Nonviolenza!".
I telegiornali hanno detto che alzavamo le mani in segno di resa: ovviamente
non era quello il nostro messaggio. Con grande determinazione, rifiutando
categoricamente la violenza, volevamo dire alle forza
"dell'ordine" che non ci avrebbero fermati e che la loro presenza
intorno a noi non era necessaria.
Che andassero piuttosto a fermare i violenti.ma di questo parleremo più
avanti.
Quando la testa del corteo raggiunge la rete e risulta impossibile
proseguire, ci sediamo tutti: la strada che scende da piazza Manin è quasi
piena di Lillipuziani pacifici che assediano con la forza delle loro idee e
della loro voce gli 8 potenti riuniti dietro la rete d'acciaio.
Il sit-in però non dura molto: stanno per entrare in scena quelli che, pur
essendo una frangia nettamente minoritaria della protesta, hanno conquistato
con la violenza tutti gli spazi dei telegiornali. I responsabili della Rete
Lilliput, informati dell'imminente arrivo dei cosiddetti Black Blocks
(teppisti armati vestiti di nero, senza proposte politiche e con tanta
voglia di fare a pezzi la città), ci dicono di alzarci e tornare su in cima
alla salita, in piazza Manin: c'è il rischio che, restando lì, ci troviamo
in mezzo tra la polizia e i teppisti.
Con i miei quattro amici, decidiamo di non seguire il grosso dei
lillipuziani, che stanno tornando in piazza Manin, ma di restare lì nei
pressi della zona rossa. Adocchiamo alcune possibili vie di fuga laterali,
per poter scappare in caso di pericolo. Per un po' non succede nulla, poi
dalla cima della salita, preceduti dal lugubre suono dei loro tamburi,
compaiono i Black Blocks, tutti con il volto coperto, armati di spranghe,
mazze, pietre e bottiglie molotov. Non nego di aver avuto davvero paura, e
come me tutti i pacifici dimostranti che si trovavano lì. In realtà, chi
doveva avere paura per davvero erano tutti quelli che erano risaliti in
piazza Manin, come dirò dopo.
I Black Blocks scendono lentamente, preceduti dai loro tamburi. Noi ci
spostiamo ai margini della discesa, con la schiena contro i muri delle case
e le mani bianche alzate. Mentre ci passano davanti, gli urliamo con tutto
il fiato che ci rimane "Nonviolenza! Nonviolenza! Nonviolenza!"
per fargli capire che ci dissociamo completamente da ciò che fanno. Ancora
non sappiamo degli scontri che stanno avvenendo tra Black Blocks e polizia
nella zona della stazione Brignole. Ci guardano male, ma proseguono verso il
fondo della strada, bloccato dalle reti della zona rossa. Dopo il loro
passaggio, decidiamo che è meglio andarsene e risaliamo verso piazza Manin
per un'altra strada, facendo un giro un po' più largo. Passiamo in strade
che sono già state percorse dai teppisti neri: è un disastro, come quelli
che avete visto in TV.
Quando arriviamo in piazza Manin, c'è una strana agitazione. Ci raccontano
che mentre noi siamo rimasti giù nella via che scende verso la zona rossa,
il grosso del gruppo della Rete Lilliput, tornato in piazza Manin, è stato
caricato dalla Polizia. - Ma come? - chiediamo - quei teppisti sono scesi giù
verso la zona rossa senza che vedessimo l'ombra di un poliziotto e la
polizia ha caricato voi?-.
Nessuno ha una risposta, ci spiegano solo che la polizia è arrivata dietro
un gruppo di Black Blocks che hanno attraversato la piazza e si è fermata a
caricare i lillipuziani, che la aspettavano con le mani bianche alzate
urlando "Nonviolenza! Nonviolenza!". Hanno usato i manganelli e ci
sono diversi feriti.
Intanto le notizie dei tremendi scontri tra polizia e teppisti giù verso il
mare si susseguono e corre voce che ci sia anche un morto. Iniziamo ad
essere consapevoli che i Black Blocks stanno rovinando tutto, quando un
altro loro gruppo arriva nella piazza. La rabbia che abbiamo dentro esplode.
Sono costretti a passare tra di noi fra fischi e insulti. Teniamo sempre
tutti le mani dipinte di bianco alzate. Urliamo "Nonviolenza!
Nonviolenza! Buuuuuuuu! Bastardi! Fascisti! Andate via!" Sfilano fra di
noi col medio alzato, c'è grande tensione. Uno di loro lancia una spranga
contro il gruppo lillipuziano, volano verso di noi anche alcune bottiglie,
ma poi i teppisti se ne vanno. La frattura tra noi e loro è totale, ma
questa scena in televisione non l'avete certo vista.
L'obiettivo dei potenti era fare di tutta l'erba un fascio. E temo ci siano
riusciti.
Solo dopo che se ne sono andati arriva la polizia, che, come scopriremo più
tardi, per tutta la giornata è andata dietro ai teppisti senza fermarli,
limitandosi a scontrarsi con loro nella zona centrale e permettendo loro di
sfasciare completamente la città. Ora la Polizia è in piazza Manin,
schierata in ranghi serrati di fronte al nostro gruppo. Ci comunicano che
vogliono solo attraversare la piazza, ma dimenticano che pochi momenti prima
hanno caricato dimostranti inoffensivi e pacifici. Ci sediamo a terra,
occupando tutto il passaggio. Mostriamo loro le mani bianche alzate, urlando
"Nonviolenza! Nonviolenza! Andate via, non ci serve la polizia! Siete i
Blu Blocks!". La situazione resta tesa per qualche minuto: ci sono una
trentina di agenti in tenuta antisommossa con maschera antigas, scudi e
manganelli, schierati di fronte a qualche centinaio di dimostranti con le
mani bianche alzate.
Se ne vanno.
A questo punto i responsabili di ReteLilliput decidono di farci scendere
tutti insieme verso il mare, per raggiungere nuovamente piazzale Kennedy e
il Centro di convergenza del GSF (di cui Lilliput fa parte). Per compiere un
tragitto che richiederebbe mezz'ora di cammino impieghiamo due o tre ore,
costretti a deviare e fare lunghe soste per evitare le zone dove sono in
corso gli scontri.
Passiamo, alla fine del tragitto, in corso Torino, completamente devastato.
E' una scena apocalittica, che avevo visto solo nei film. Tutte le vetrine
sono distrutte, le macchine incendiate, i bidoni dell'immondizia rovesciati
e ancora fumanti, le sedi di alcune banche devastate, con i computer
sfasciati lasciati sul marciapiede.
Sarebbe stato bello se i telegiornali avessero aperto l'edizione serale
facendo vedere non i Black Blocks che sfasciavano tutto, ma i Lillipuziani
che sfilavano tra le macerie, avviliti, in un silenzio irreale rotto solo
dal rumore dei bidoni della spazzatura, che venivano tutti rialzati e
rimessi ai bordi della strada. Era l'unica cosa che potevamo fare, ma ormai
quei bastardi teppisti e chi aveva deciso di lasciar loro campo libero
avevano rovinato tutto.
Alla fine arriviamo in piazzale Kennedy e mettere qualcosa sotto i denti è
il primo pensiero.
Arriva la conferma che è stato ucciso un ragazzo, sul palco si susseguono
gli interventi: bisogna continuare la protesta, dicono, ma si è ormai
creata un'atmosfera tesissima.
Ci informano che uscire dal Centro di Convergenza di piazzale Kennedy è
pericoloso: c'è il rischio di rappresaglie della polizia, che continua a
colpire sia i teppisti che i manifestanti. Inoltre, dopo gli episodi del
pomeriggio, non vorremmo riincontrare una truppa di Black Blocks. Decidiamo
quindi di passare la notte nel piazzale.
Montiamo la tenda lì sul cemento e ci mettiamo a dormire, con gli
elicotteri della polizia che girano per tutta la notte bassi sulle nostre
teste.
D'altronde, siamo noi quelli pericolosi.. Inutile pensare che sia possibile,
per i 20.000 poliziotti presenti a Genova, fermare i duemila Black Blocks
per impedire disordini domani.
Che cosa c'è di meglio dei disordini per togliere fiato alla nostra
protesta? I telegiornali parlano solo di disastri, il nostro messaggio
l'abbiamo gridato al vento e gli otto grandi se ne stanno là tranquilli
nella loro lussuosissima nave, felici di aver stanziato un'elemosina contro
l'AIDS.
Molti pensieri sul cuscino, ma anche tanta stanchezza, ed è presto mattina.
SABATO 21 LUGLIO 2001
Il sole inizia a picchiare duro sul cemento di piazzale Kennedy e rimanere
ancora nelle tende è impossibile. Smontiamo tutto, cerchiamo un bar aperto
per una veloce colazione e ci dirigiamo a Punta Vagno, poco distante da
piazzale Kennedy, dove sta iniziando la riunione di ReteLilliput. E'
coordinata da Francesco Gesualdi (autore della Guida al consumo critico) e
da Fabio Lucchesi, un altro dei responsabili della Rete.
Gli interventi si susseguono, mentre sui quotidiani vediamo le foto del
ragazzo ucciso il giorno precedente. L'atmosfera è di grande delusione,
perché un po' tutti ci stiamo rendendo conto che la nostra protesta non ha
fiato sui media e che gli 8 potenti di Palazzo Ducale non ci considerano
nemmeno di striscio. Si discute sul come tenere il corteo di oggi. Alcuni
propongono di sfilare in silenzio, ma alla fine si decide di manifestare
normalmente, cercando di farsi sentire il più possibile e di organizzare ai
due lati del gruppo un cordone di sicurezza che impedisca le infiltrazioni
dei Black Blocks e le conseguenti cariche della Polizia.
Non sappiamo ancora che finirà proprio in questo modo, con i teppisti che
inseguiti dalle forze "dell'ordine" si infileranno nel corteo
pacifico, che verrà così violentemente caricato.
Terminata la riunione, ci allontaniamo da piazzale Kennedy dirigendoci verso
levante, sul lungomare, fino al luogo di inizio del corteo. C'è grande
confusione, molta folla, e presto io ed i miei quattro amici ci troviamo
separati dal resto del gruppo lillipuziano. Dopo poco, però, incontriamo
per caso un gruppo di cuneesi che conosciamo: sono arrivati stamattina con
un pullman organizzato dall'ACLI. Ci aggreghiamo a loro ed iniziamo a
sfilare. Gli slogan sono quelli della giornata precedente, la determinazione
nonviolenta anche. Il corteo sfila sul lungomare, tornando verso piazzale
Kennedy. Dopo poco, però, ci blocchiamo: giunge la notizia di nuovi
scontri, proprio in piazzale Kennedy, prontamente confermata dal fumo che
vediamo alzarsi da quella zona, laggiù in fondo.
Fumo nero degli incendi dei teppisti e fumo bianco dei lacrimogeni della
Polizia: uniti nel distruggere di nuovo la nostra manifestazione.
Ci spiegheranno solo più tardi che cosa stia veramente succedendo là
davanti. Giunto sul lungomare nella zona di piazzale Kennedy, il corteo
dovrebbe svoltare a nord, salendo verso l'interno della città: viene però
spezzato in due, perché i Black Blocks che si stavano scontrando con la
polizia in piazzale Kennedy forzano il cordone di sicurezza allestito in
quel punto da Rifondazione Comunista e dalle Tute Bianche a protezione del
corteo del GSF. I teppisti si mischiamo ai manifestanti pacifici e la
polizia carica indiscriminatamente, spezzando in due il corteo. Noi intanto,
siamo ancora là dietro, a levante, ignari di tutto questo e bloccati sul
lungomare.
Poi possiamo ripartire. Deviamo verso nord un po' prima di piazzale Kennedy,
evidentemente per evitare la zona più calda, e ci dirigiamo nell'interno
della città. Poco dopo aver abbandonato il lungomare, però, da un corso
laterale a quello che stiamo percorrendo sbuca un folto gruppo di teppisti,
come al solito seguiti dalla Polizia. Come da copione, i Black Blocks
forzano il cordone di sicurezza e si infilano nel corteo: le forze
"dell'ordine" arrivano sparando lacrimogeni e la folla dei
pacifisti, non preparata ad alcun tipo di scontro, rischia di farsi prendere
dal panico. Molti iniziano a correre e la calca si va facendo pericolosa.
Riusciamo a fare iniziare il solito coro "Nonviolenza!
Nonviolenza!", e proseguendo verso nord la situazione si tranquillizza.
Con un po' di spavento e gli occhi un po' gonfi per i lacrimogeni
proseguiamo la manifestazione, arrivando alla piazza dove il corteo si deve
sciogliere.
La folla inizia a defluire, mentre ci comunicano che in alcune zone della
città continuano gli scontri. Grazie agli utili consigli di genovesi molto
disponibili, individuiamo i bus da prendere per raggiungere la Stazione di
Voltri, dove un treno navetta ci riporterà verso Savona e verso casa.
Su entrambi i bus incontriamo testimoni degli eventi della giornata. Ci
raccontano la loro esperienza, che poi vedremo confermata nei comunicati del
GSF e sui giornali.
Sul primo bus che prendiamo c'è una signora sui cinquant'anni, con gli
occhiali, una lunga gonna e un paio di sandali ai piedi. Il tipico esempio
di pericoloso teppista. Ci mostra grossi lividi su un braccio. - Mi sono
trovata in mezzo quando la Polizia ha caricato il corteo - ci racconta - non
sono riuscita a scappare, mi sono fermata e messa in ginocchio, con le mani
in alto. Ho ricevuto delle manganellate, ero spaventata e piangevo, un
poliziotto mi ha urlato in faccia "Brutta puttana! Che cazzo piangi!
Avevi solo da startene a casa!" -.
Iniziamo a capire meglio che cosa è successo a Genova in queste due
giornate, e giunti a casa avremo conferme dai comunicati di Lilliput e del
GSF.
Sul secondo bus su cui saliamo troviamo un signore, anche lui più o meno
cinquantenne, pantaloni e camicia, che ci racconta: - Ho visto teppisti
vestiti di nero e col volto coperto spaccare vetrine e lanciare sassi, poi
improvvisamente correre verso le linee della polizia, tirare fuori da sotto
la maglietta un cartellino ed infilarsi tra le loro linee -. Rimaniamo di
stucco: avevamo già sentito parlare della presenza di agenti provocatori
infiltrati, ma credevamo che fossero fantasie. Dopo la testimonianza sentita
sul quel bus, arriverà la conferma di don Vitaliano Della Sala, che ha
sfilato con le Tute Bianche e che afferma di aver visto tre individui
abbigliati da Black Blocks scendere da una camionetta della polizia per
unirsi ai gruppi dei teppisti. In seguito, in TV, verremo anche a sapere
delle foto scattate dalle Tute Bianche, che ritraggono individui vestiti da
teppisti mentre chiacchierano tranquillamente con i poliziotti.
Su questi bus, la gravità di ciò che è accaduto a Genova inizia ad
apparirci in tutta la sua enormità: gli scontri tra polizia e Black Blocks
ci sono stati e sono stati violentissimi, ma le forze
"dell'ordine" sono state organizzate in modo da non fermarli,
perché potessero distruggere la città e oscurare così la protesta
pacifica. Agenti provocatori infiltrati hanno completato il capolavoro,
aiutati anche (secondo rapporti dei servizi segreti divulgati sui giornali
nelle settimane antecedenti il vertice) da infiltrazioni tra i teppisti di
gruppi neofascisti come "Ordine Nuovo" e "Forza Nuova",
nemici giurati del GSF, politicamente molto vicino agli ambienti di
sinistra.
Coi bus arriviamo a Voltri e i treni di linea ci riportano a Cuneo, dove
arriviamo poco dopo le 23.
A casa, dopo una doccia, davanti ad una videocassetta coi telegiornali dei
giorni precedenti, mi viene da piangere. Solo scontri, scontri e ancora
scontri.
Il nostro movimento pacifico è stato distrutto e zittito da un gruppo di
teppisti da stadio astutamente sfruttato e manovrato dai potenti contro i
quali volevamo combattere.
E' ora di andare a letto, sono state due giornate pesanti.
Nella notte, la Polizia assalterà il centro stampa del GSF, facendo
numerosi feriti e completando il capolavoro.
Berlusconi dichirarerà : - Non c'era possibile distinzione fra la minoranza
violenza e il Genoa Social Forum che li ha favoriti e coperti -.
Ma lui era tra i velluti di Palazzo Ducale mentre i Lillipuziani, in piazza
Manin, dopo aver subito la violenta carica della Polizia, urlavano contro i
Black Blocks, mostrando loro le mani dipinte di bianco: - Nonviolenza!
Bastardi! Andate via! Nonviolenza! Nonviolenza! Nonviolenza! -.
Io c'ero, e farò tutto quanto in mio potere perché la gente sappia.
Con preghiera di massima diffusione,
Daniele Simondi
ritorna all'indice
|
QUANDO LA CHIESA DISTURBA IL MANOVRATORE
Enzo Bianchi, Priore del monastero di Bose, "Repubblica" del 17
Agosto
Rincresce dover constatare che l'opportunità di approfondire il dibattito
sul "senso della storia", sul futuro del mondo possibile,
auspicabile o ineluttabile - opportunità offerta dallo svolgimento del G8 a
Genova - stia finendo vittima anch'essa delle violenze che hanno
tragicamente segnato quelle giornate. Così l'attenzione della maggioranza
dei commentatori si è concentrata dapprima sui "preparativi" in
vista dello "scontro", poi sugli scontri fisici veri e propri e,
ultimamente, sulle vere o presunte fratture tra occidente e chiesa, o in
seno alla chiesa cattolica, con qualche colorita digressione su una
fantomatica risurrezione del cattocomunismo.
Chiamato nominalmente in causa sulla prima pagina di un grande quotidiano
nazionale da un commentatore laico, vorrei pacatamente ribadire alcune
riflessioni che ritengo non oziose per un proficuo dibattito culturale e
sociale, confidando che non vengano nuovamente interpretate come
"invettiva contro lo sfruttamento capitalistico". Capisco infatti
che il crollo delle ideologie - sarebbe più corretto dire l'affermarsi su
scala planetaria di un'unica ideologia, quella del mercato - ha privato
molti del comodo schematismo della divisione di persone, idee, stati,
economie, visioni della società in due blocchi antagonisti, con la più o
meno gradita presenza della chiesa cattolica a suggerire un'improbabile
"terza via", a fornire correttivi etici o sterili proteste nei
confronti dell'ideologia vincente.
Ma gli schematismi sono più duri da abbattere di qualsiasi muro, così
quando un fenomeno sociale vecchio di alcuni secoli - l'interdipendenza tra
popoli, risorse ed economie - ha subìto una rapida accelerazione e si è
visto assegnare la definizione polivalente di "globalizzazione",
gli orfani degli spartiacque ideologici si sono affrettati a dividere il
genere umano in pro e contro questa realtà. Ora, trattandosi appunto di un
"fenomeno" di portata mondiale, di un "dato di fatto",
non si vede come si possa essere "pro o contro": sarebbe come
chiedersi se si è pro o contro l'aria che respiriamo o
l'acqua che beviamo. Certo, alcuni saranno soddisfatti della qualità che
questi elementi possiedono, altri cercheranno di avere un'aria meno
inquinata e un'acqua più potabile, altri ancora faranno di tutto per avere
quel minimo di aria e di acqua necessario per vivere... Questa ambiguità si
ingarbuglia ancor di più e nel contempo crea le condizioni per una
contrapposizione, quando si opera un'indebita identificazione tra "globalizzazione"
e occidente, facendo di entrambi un tutto indivisibile: allora sì che
essere contrari o dubbiosi o perplessi nei confronti di alcuni aspetti
deteriori del fenomeno significa automaticamente schierarsi contro l'intera
civiltà occidentale.
Se invece ci si interroga su come "governare" il fenomeno, come
correggerlo, come indirizzarlo, come limitarne i difetti e accrescerne le
potenzialità - e questo dovrebbe essere il compito della politica e della
cultura - allora certezze e schematismi saltano e difficoltà e problemi
emergono: le attuali istanze statali e sovranazionali sono adeguate?
Dispongono di strutture decisionali solidamente democratiche e di strumenti
applicativi efficaci e riconosciuti? Hanno uomini e mezzi sufficienti per
far fronte a un impegno di così vasta portata e di così lunga durata? E
non bisognerà porre alcuni principi fondamentali di giustizia, di
solidarietà con gli ultimi e i più deboli? La carta universale dei diritti
dell'uomo deve lasciare il posto alla legge del più forte economicamente?
E, ancora, si dovrà accettare il fenomeno a scatola chiusa, dando per certo
che non produce vittime o che queste non devono "disturbare il
manovratore"? Non vorrei che chiunque osi sollevare interrogativi di
fronte alle "mirabili e progressive sorti" dell'umanità affidata
al mercato si veda accusato di "disfattismo" antioccidentale,
annoverato tra gli "sconfitti dalla storia" e come tale ridotto al
silenzio.
Sintomatico di questo atteggiamento mi pare il tentativo di dipingere la
chiesa come maggioritariamente "antiglobale" o affascinata da un
rigurgito di analisi marxista della società. La chiesa in questo frangente
e su questo
argomento si sta muovendo da decenni - perlomeno dalla "Pacem in terris"
di
papa Giovanni nel 1963, ma si potrebbe risalire fino a Leone XIII, per
limitarsi all'epoca contemporanea - in modo sostanzialmente compatto e
concorde nonostante il mutare dei pontefici, e lo sta facendo sulla base di
"principi radicati nella rivelazione biblica e nella dottrina della
tradizione patristica dei primi secoli: è farina del sacco della chiesa,
non
mendicata da fonti aliene, più o meno veteromarxiste", come ha
giustamente
osservato un vaticanista cattolico sul quotidiano economico della
Confindustria (dunque da un pulpito difficilmente tacciabile di
criptocomunismo). Sì, basterebbe leggere le parole di Gesù sui poveri e
sui
ricchi contenute nei Vangeli, oppure gli scritti di san Basilio o le omelie
di sant'Ambrogio, le opere di san Francesco d'Assisi o di Bartolomeo
de las Casas per capire che la diffidenza della chiesa verso la ricchezza
e la lotta all'ingiustizia che da questa può scaturire ha radici molto
antiche e genuinamente evangeliche. Ma tant'è.
Per certi osservatori laici la chiesa "serve", è utile, è
ricercata, adulata
e corteggiata quando fornisce un supplemento di etica a una società che
ne è sprovvista, quando supplisce a carenze assistenziali o educative,
quando tranquillizza le coscienze inquiete. Non appena essa accenna però a
uscire dal confino dorato della "religione civile" e pretende di
alzare la
voce a nome di chi è senza voce - siano essi i poveri della terra o gli
ammalati di AIDS o i bambini iracheni o i civili serbi o gli immigrati e i
profughi - allora viene zittita, tacciata di "falso moralismo",
confinata
nella dimensione interiore, espulsa dai consessi in cui si ragiona
"delle
cose dure e prosaiche della politica". "Se mi prendo cura dei
poveri sono un
santo - osservava amareggiato Helder Camara, vescovo di Recife - se dico
perché sono poveri sono un comunista!". Non si dimentichi che la
chiesa, se
resta fedele al mandato ricevuto, è sempre capace di alzare una voce
profetica e di chiamare con coraggio i problemi con il loro nome:
ingiustizia, oppressione, violenza, idolatria. Come ricordavo nella mia
"invettiva" criticata, i cristiani sanno che i poveri sono coloro
che
giudicheranno l'umanità nel giudizio finale (cf. Matteo 25) e che in loro
si
ritrova il volto di Dio, di quel Dio che non solo si è fatto uomo, ma si è
fatto povero (cf. 2 Corinti 8,9). Davvero la chiesa non ha alcun debito da
pagare al marxismo, e chi mi conosce sa che anche per me questa
non è una novità dell'ultima ora.
Del resto, per tastare il polso della chiesa, per verificare dove attinge
ancora oggi i suoi criteri di discernimento, per misurare la fondatezza di
pretese nostalgie marxiste nella sua lettura della società, qualsiasi
commentatore laico potrebbe proficuamente fare riferimento all'intero
magistero di Giovanni Paolo II: è lui che in questi anni, così sfavorevoli
ai poveri, ha continuato a ricordare la loro presenza e a farsi loro voce, rinnovando costantemente il messaggio del Vangelo, riproposto con forza
negli anni del concilio dall'intero episcopato in comunione con il vescovo
di Roma. Sì, è nella storia di santità della chiesa, nella sua profezia
che
vede primi clienti di diritto del Vangelo i poveri, che si può riscoprire
l'afflato spirituale ed evangelico, la preoccupazione pastorale e lo stimolo
missionario che anima il cattolicesimo all'inizio del nuovo millennio.
ritorna all'indice
|
DAL SETTIMANALE VITA
Cattolici, non tiratevi indietro
di Giuseppe Frangi (g.frangi@vita.it)
30/08/2001
E ora a chi tocca? I 200mila di Genova, le loro domande per uno sviluppo più
umano, la loro voglia di essere una presenza costruttiva, che cosa
incontreranno sul loro cammino? Sono le domande che domineranno il settembre
di quel mondo così variegato ma così vivo, che non si riconosce più in
nessuna appartenenza politica, ma che ha dimostrato di "esserci".
A questa domanda, da dentro e da fuori, arriva sempre più insistente
un'ipotesi di risposta: a prendere le fila di questo grande movimento
dovrebbero provarci i cattolici. Lo dicono personaggi così lontani per
storia, per sensibilità, per visioni del mondo. Lo dice un Luca Casarini in
evidente difficoltà di leadership, ma i suoi toni suonano sinceri. Lo dice
un osservatore severo come Galli Della Loggia che riconosce nei cattolici
una presenza non riducibile al modello occidentale vincente. Ma ora sapranno
essere i cattolici così aperti, così autorevoli e così appassionati da
assumere una guida a cui in
tanti sembrano chiamarli?
La prima verifica la si potrà avere a Vallombrosa, dove per tre giorni
oltre mille quadri delle Acli sono chiamati a una riflessione su una
questione decisiva: il destino delle persone tra solitudine e rinascita
della comunità. Il parterre degli invitati è di grande interesse e copre
tutte le appartenenze culturali e politiche. Da Ilvo Diamanti a Marco
Revelli, da Marcello Veneziani a Massimo Cacciari, da Franco Garelli a
Riccardo Petrella. Poi ci saranno i leader delle più grandi associazioni
cattoliche e non solo. E non mancano i rappresentanti della gerarchia
ecclesiale con il cardinal Ersilio Tonini e monsignor Giacomo Crepaldi,
segretario del pontificio consiglio Justitia et pax. Centro della tre giorni
la relazione di
Paul Hirst, docente all'Università di Londra, che presenterà il suo studio
sul futuro della democrazia associativa.
E non mancherà, naturalmente, il padrone di casa, Luigi Bobba, presidente
delle Acli da tre anni, e ormai diventato interlocutore e punto di
riferimento per un mondo che ha rotto con le griglie rigide delle sigle
gloriose di storia e che è pronto a giocarsi su un presente appassionante.
Bobba parla con orgoglio e apprensione delle giornate di Vallombrosa e di
tutte le scadenze che seguiranno. è convinto che il capitolo Genoa social
forum sia un capitolo chiuso. Ma che le domande espresse dal Gsf siano un
capitolo assolutamente aperto.
Per costruire è meglio far la spunta degli errori fatti. E Bobba ne ha in
mente immediatamente uno: «è l'idea che si debbano inseguire le scadenze
istituzionali internazionali. Quando si diventa attori su questi
palcoscenici, il carattere teatrale dell'evento prende il sopravvento. E non
sai mai chi tenga le fila della regia. La sensazione è che tu alla fine
venga usato per una rappresentazione pensata allo scopo di tenere sullo
sfondo le questioni vere».
Concretamente questo cosa significa: «Che dobbiamo smetterla di consumarci
sulle strategie per Napoli e per il vertice Fao e concentrarci su scadenze
nostre, che nessuno può usare per altri scopi». Quindi niente viaggi a
Napoli e niente Roma? «Quelle scadenze affidiamole ai soggetti titolati per
dire qualcosa di utile e costruttivo. Per esempio, sul vertice Fao ci sono
400 Ong che conoscono nei minimi dettagli le problematiche che li verranno
affrontate. Se diventeranno loro gli interlocutori otterremo risultati molto
più concreti che non portando in piazza qualche decina di migliaia di
persone. Insomma, smettiamola di inseguire i vertici in ogni angolo del
mondo. Quella è la logica di Bovè, ma crea una personalizzazione del
conflitto, proprio come piace ai media». E gli altri devono starsene tutti
a casa: «Beh, non è che un mondo più giusto lo costruisci andando in
piazza un paio di volte all'anno. Lo costruisci dove vivi, dove studi, dove
lavori dando corpo a reti e a rapporti associativi nuovi. E poi c'è una
grande scadenza per tutti, questa sì importante: la marcia Perugia Assisi.
Quello è un gesto che appartiene alla nostra storia e che ci permette di
dire al mondo le cose che più ci premono».
In tanti chiedono ai cattolici di esser più protagonisti all'interno di un
ipotetico Italy social forum. Lei è d'accordo? «Come potrei non esserlo.
Non per il gusto di un'egemonia ma per condividere un'esperienza di vita,
fondata sul Vangelo, e che è irriducibile a ogni visione schematica delle
cose». E i cattolici che a Genova non c'erano. «C'è una grande positività
anche in loro. Anche se non sono d'accordo in questo privilegiare la
testimonianza come alternativa a un progetto di dimensione pubblica e di
valore politico. Per me non sono alternativi, una dimensione rafforza e
rende più vera l'altra».
Lei si riferisce in particolare alla Compagnia delle opere. Settimana scorsa
è stato ospite del Meeting, che impressione ne ha tratto: «Ho visto una
cosa molto diversa da quella raccontata dai giornali. Ho visto un grande
impegno educativo, legato al tema scelto che era davvero decisivo: il
rapporto tra l'uomo e l'eternità. Ero con mia figlia quindicenne, che poco
sa di chi aveva organizzato il Meeting, ma che è rimasta affascinata da
quelle mostre e dalle ipotesi che suggerivano. Poi sui giornali si leggeva
un'altra storia»".
Morale? «Come nel caso di Genova dobbiamo imparare che l'illuminazione
mediatica porta a volte più danni che benefici. Dobbiamo smetterla di
inseguire i titoli dei giornali. La realtà la si costruisce da un'altra
parte.»
Alcune opinioni
Galli della Loggia
Quale senso storico, e diciamo pure quale convenienza politica, avrebbe mai
oggi, per una Chiesa che si vuole di tutte le genti, identificarsi con un
sesto appena della popolazione del pianeta e con un sistema culturale non
solo inviso ai rimanenti cinque sesti ma il quale mostra per giunta, con
mille segni, cosa farsene di lei e della sua sede? Dopo la secolarizzazione
la Chiesa non potrà mai più tornare ad essere la Chiesa dell'Occidente,
soltanto dell'Occidente.
Massimo Cacciari
Caso unico in Europa, in questo movimento c'è una componente cattolica
molto forte che è cresciuta durante l'anno giubilare. È un fenomeno di
grande importanza e valore per questo Paese. Finalmente si vede una nuova
generazione
che si appassiona e che partecipa.
Vittorio Agnoletto
Desidero esprimere la mia piena solidarietà a tutte quelle realtà del
mondo cattolico che hanno deciso ognuna secondo un proprio originale
percorso (dentro o fuori il Gsf), di esprimere il proprio dissenso dalle
regole di questa globalizzazione; la testimonianza concreta di
un'ispirazione religiosa, che si confronta concretamente con la dimensione
storica del presente, è un'importante risorsa per tutti.
Luca Casarini
I cattolici sono una grande risorsa di questo movimento. Te lo giuro: sarei
disposto a qualunque sacrificio politico per non rinunciare all'unità coi
cattolici. Guarda che la mia non è un'idea tattica, è un'idea strategica,
di valori. Perché i gruppi cristiani ci hanno insegnato tantissime cose. La
concretezza, il senso vero della solidarietà, e poi ci hanno insegnato la
cultura, cioè la necessità di cambiare gli stili di vita, le aspirazioni.
La sinistra tradizionale questo non lo aveva mai capito. Era interna al
modello culturale del capitalismo. Se perdiamo il movimento dei cattolici
perdiamo più della metà del movimento. Anche per questo io sono
disponibile a qualunque mediazione. Insieme...
Adriano Sofri
Anche chi non abbia letto Gandhi o visto il suo film, e si ricorderà di
quelle file successive di persone che prendevano il loro posto per essere
bastonate a sangue in Sudafrica. E che la nonviolenza non è un mezzo, da
preferire o meno alla violenza, ma un fine. I cattolici, che hanno preso
tanta e così varia parte, allo stato d'animo che un giorno si è messo
insieme a Genova, hanno un esempio turbante, a prenderlo sul serio, in quel
Gesù e nella sua condanna a morte.
ritorna all'indice
|
ore 12,30
COMUNICATO STAMPA DEL CONSIGLIO NAZIONALE DI PAX CHRISTI
Il Consiglio Nazionale di Pax Christi, riunitosi il 15 e 16 settembre 2001 a
Firenze, ha effettuato una verifica in merito alle manifestazioni svoltesi a
Genova in occasione del vertice dei G8, a cui il movimento ha partecipato
con una forte rappresentanza.
Ribadendo ancora una volta la propria condanna per gli atti di violenza
perpetrati da una minoranza di manifestanti e parte delle forze dell'ordine
durante le manifestazioni di piazza, all'interno delle strutture di
Bolzaneto e S. Giuliano e in occasione dell'irruzione alla sede del GSF,
esprime tuttavia un giudizio positivo sull'elevata mobilitazione attorno a
temi fondamentali, che il vertice del G8 ha completamente ignorato, quali
l'esigenza di una globalizzazione dei diritti e delle opportunità al posto
dell'attuale modello neoliberista.
Secondo quanto già dichiarato al Comitato di indagine parlamentare,
riconosce il valore dell'esperienza del GSF e dell'operato del suo portavoce
Vittorio Agnoletto a cui rinnova fiducia e stima ed esprime solidarietà per
le accuse verbali e le ritorsioni di cui è stato fatto oggetto.
A tale proposito ritiene pretestuose e ingiustificate le motivazioni per le
quali è stato rimosso dall'incarico di consulente presso le Commissioni per
la lotta alla tossicodipendenza e per la lotta all'AIDS che rivestiva per le
sue riconosciute competenze e chiede che sia immediatamente reintegrato nel
pieno rispetto delle garanzie costituzionali.
Consiglio Nazionale di Pax Christi
ritorna all'indice
|
No global, "arruolate" anche i carabinieri (intervista del settimanale
VITA a Sergio Paronetto, 14/09/2001)
Questa la proposta provocatoria di Sergio
Paronetto di Pax Christi. "Il movimento deve scegliere la non violenza se
vuole continuare a esistere." «Pochi giorni
prima di morire, Martin Luther King disse: "Non è più questione di scegliere
tra violenza e non violenza. Ma tra non violenza o non esistenza"». Per
Sergio Paronetto, professore di lettere veronese e consigliere nazionale di
Pax Christi (associazione aderente al Genoa Social Forum), da trent'anni
studioso di pacifismo e non violenza, questa citazione del grande profeta
nero della pace è diventata quasi un'ossessione. La ripete ai suoi studenti,
nelle assemblee di Lilliput cui lo invitano a intervenire, ai giornali
che lo intervistano. Senza stancarsi, con un tono solenne, quasi
da "vescovo laico", che lo rende inattaccabile da ogni accusa di ingenuità
o sprovvedutezza. Perché per lui, da cui abbiamo sentito nei giorni scorsi
forse la più lucida analisi dei fatti di Genova, nonché la mappa più
realistica dei veri nemici degli anti-global, il futuro del movimento «sarà
non violento o non sarà». Vita: Professor Paronetto, a quasi due
mesi di distanza, secondo lei che cosa è davvero successo a
Genova? Sergio Paronetto: C'è stata una vasta zona grigia che è
bene ora affrontare con calma. Perché le difficoltà di crescita
del movimento per la pace riguardano anche il modo di pensare e di fare
di alcuni "pacifisti" o "antiglobalizzatori". Penso infatti che ci
sia stato un difetto iniziale di coloro che si sono proposti prima
di "bloccare il G8", e poi di "violare la zona rossa". L'enfasi su
questi obiettivi, più la famigerata dichiarazione di guerra delle
tute bianche, ha modificato l'ordine delle priorità. L'attenzione,
complici i mass media, si è spostata lontano dai grandi problemi
delle ingiustizie nel mondo, e si era in attesa di possibili
incidenti. Che purtroppo si sono verificati. Vita: Per colpa di
chi? Paronetto: Anche di una parte dei manifestanti. Che a
volte, nel clima teso, ritengono secondaria la presenza di "microviolenti"
disposti a usare sassi, bastoni, scudi o a fare guerriglia
urbana. Pur dissentendo o denunciando il fatto, qualche "pacifista" pensa che
si tratti di compagni che sbagliano. È un abbaglio! I violenti
sono pericolosi avversari del movimento per la pace. Lo umiliano.
Lo sgretolano. Lo screditano. È per questo che, a volte, vengono
lasciati fare da chi dovrebbe fermarli. È una storia vecchia. .. Il
modo migliore per eliminare o indebolire un soggetto politico alternativo
è quello di minarlo dall'interno, portandolo al suicidio. Vita:
Non le sembra una posizione un po' assolutista? In fondo scendere in piazza
con degli scudi non significa automaticamente essere violenti. O
no? Paronetto: Cerco di precisare ulteriormente. Luca
Casarini dichiarò a Repubblica che «lanciare i sassi per fermare un inferno
mi sembra legittimo». A mio parere, queste frasi rivelano disponibilità
a tollerare la violenza. Casarini e gli altri non si rendono conto
di usare proprio l'argomentazione di chi prepara le guerre o la corsa agli
armamenti. Dire "la vera violenza è quella dei potenti", "ci sono violenze più
grandi" è pericoloso. La violenza fa sempre il gioco dei potenti, e le
microviolenze rafforzano, imitano e giustificano le macroviolenze. Anzi: sono
figlie e complici delle grandi violenze. Vita: Venendo all'oggi,
che rischio corre il movimento se non farà, come suggerisce lei, una scelta
assoluta per la non violenza? Paronetto: Il rischio è
arrendersi. Cadere nella disperazione, incubare il cinismo. Il popolo della
pace deve esprimere in tutti i modi la sua radicale estraneità, i suo
irriducibile antagonismo nei confronti di ogni forma di violenza. La violenza
è male perché è disumana. Come disse l'antropologo René Girard
quando analizzò il "ciclo della rivalità mimetica". I nemici diventano
l'uno lo specchio dell'altro, preda del contagio o "invasamento
mimetico". L'automatismo della logica botta-risposta, amico-nemico, occhio
per occhio è devastante. Vita: Qual è l'alternativa,
allora? Paronetto: Lo ripeto: la nonviolenza, che rappresenta
una "biofilia operosa". Una forma di sanità mentale, in definitiva.
E attenzione: non sto parlando di un ambiguo e generico "pacifismo", ma di
una non violenza realista, che assume il conflitto, lo attraversa, lo
accompagna e lo conduce in modo costruttivo. Viviamo immersi nei conflitti.
La vita personale è un conflitto, così come la storia. Ma il conflitto, che
di per sé è un pericolo, può trasformarsi in sfida. Vita: La
prospettiva, in effetti, è affascinante. Ma non sarà un po' troppo teorico
quello che lei dice? Paronetto: Alla base della non violenza c'è un
principio molto semplice da realizzare: la reversibilità. Occorre
astenersi dall'irreversibile. Non si vince e non si perde mai
"definitivamente". La non violenza lavora in profondità, può fiorire in
luoghi che sembrano lontani da essa. Nei giorni, 62 studenti israeliani
hanno scritto a Sharon dichiarandosi contrari a svolgere servizio
militare in un esercito che viola i diritti umani. Marco Revelli dice che
oggi stanno nascendo nuovi cittadini "alla ricerca del luogo", animati
dal senso di responsabilità e dalla logica di gratuità e
solidarietà. Dobbiamo essere dei loro. Vita: Il movimento degli
anti-global ha un autunno molto intenso davanti a sé. E altre piazze da
affrontare. Come evitare che si ripetano i fatti di Genova?
Paronetto: Non ci si deve logorare nell'inseguire tutti i vertici mondiali.
Ma valorizzare la formazione personale e collettiva, cioè il lavoro di base e
di profondità. Non penso sia nostra intenzione limitarsi a gridare contro i
grandi. O parlare ai vicini, ai già convinti. I nostri interlocutori o
alleati non possono essere solo le persone o i gruppi già attivi ma gli
uomini di buona volontà, le associazioni, le parrocchie, la scuola, gli
artisti, i giovani gli anziani. Anche i carabinieri e i poliziotti, i
soldati. Occorre moltiplicare i luoghi della comunicazione dentro e vicino ai
luoghi della vita quotidiana, e crescere in sovranità civile. La
fantasia della nonviolenza è feconda. Usiamola.
ritorna all'indice
|
ROMA, 2 OTT. - (ADNKRONOS) -
G8: VESCOVI, BENE I CATTOLICI MA DISTINTI DA CONTESTAZIONE
APPREZZAMENTO PER CONVEGNO 7-8 LUGLIO, DISTINZIONE NETTA
"APPREZZAMENTO" PER L'INIZIATIVA DI
"NUMEROSE ORGANIZZAZIONI CATTOLICHE" CHE IL 7 E 8 LUGLIO HANNO
SVILUPPATO UNA RIFLESSIONE SUI PROBLEMI TRATTATI DAL G8 APPOGGIATA DALLA
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, "DISTINGUENDOSI PERO' IN MODO
NETTO E INEQUIVOCABILE SIA NEI TEMPI CHE NEI MODI DA ALTRE FORME DI
MOBILITAZIONE". E' QUESTA LA CONCLUSIONE ALLA QUALE SONO GIUNTI I
VESCOVI ITALIANI SUI GRAVISSIMI FATTI DI CRONACA CHE HANNO AVUTO LUOGO
DURANTE IL SUMMIT DI GENOVA, PRESENTATA STAMANE DAL SEGRETARIO GENERALE
DELLA CEI, MONS. GIUSEPPE BETORI, AL TERMINE DEL CONSIGLIO PERMANENTE CHE SI
E' SVOLTO A PISA.
IL "PARLAMENTINO' DEI VESCOVI HA VOLUTO
SOTTOLINEARE IL "GIUDIZIO POSITIVO" SUL CONVEGNO DELLE ACLI,
AGESCI, AZIONE CATTOLICA, COMUNITA' DI SANT'EGIDIO ED ALTRE ASSOCIAZIONI
CATTOLICHE CHE HANNO VOLUTO ESPRIMERE "LA VALUTAZIONE DEL MONDO
CATTOLICO SUL PROCESSO DI GLOBALIZZAZIONE". UNA PRESA DI POSIZIONE, HA
SOTTOLINEATO STAMANE BETORI, NETTAMENTE DISTINTA DA QUANTI HANNO PRESO PARTE
IN QUANTO "CATTOLICI" AL GENOA SOCIAL FORUM, AVALLANDO "FORME
CONTESTATIVE CHE RIFIUTANO LA GLOBALIZZAZIONE IN SE STESSA E CHE SI
DISTINGUONO COSI' DA QUANTO IL PAPA E LA CHIESA ITALIANA HANNO DICHIARATO
SULLA SFIDA DEL PROCESSO DI GLOBALIZZAZIONE".
"C'E' STATA FIN DALLE SETTIMANE
PRECEDENTI AL VERTICE -HA SOTTOLINEATO BETORI- UNA VIOLENZA VERBALE CHE NON
PUO' IN ALCUN MODO ESSERE CONDIVISA, PER QUESTO I VESCOVI APPREZZANO QUEI
CATTOLICI CHE PER RENDERE EVIDENTE LA PECULIARITA' DELLA LORO POSIZIONE SI
SONO ESPRESSI CON MODI E TEMPI DIVERSI".
(MBR/IDB/ADNKRONOS)
02-OTT-01 13:11
ritorna all'indice
|
|
Credo sia interessante leggerlo per capire, capirci tra cattolici
...anche
se trovo questo documento davvero assurdo e un pò deprimente!
Firma il manifesto dei cattolici
Non conformatevi!
G8 e Anti G8. Da cristiani a cristiani. Contro il "pensiero unico"
C'è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa e ciò
che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di
Gesù nel Vangelo di san Luca: Quando il Figlio dell'Uomo tornerà, troverà
ancora la fede sulla terra? Ciò che mi colpisce quando considero il mondo
cattolico, è che all'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare
un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non
cattolico all'interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma
esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa"
(da "Paolo VI segreto" di Jean Guitton)
Da "Lettera ai cristiani d'occidente" di Josef Zverina (teologo
cecoslovacco) anno 1975
Fratelli,
voi avete la presunzione di servire alla costruzione del Regno di Dio,
assumendo quanto più possibile dal cosiddetto mondo d'oggi: i suoi modi di
vita, il suo linguaggio, i suoi slogans, il suo modo di pensare.
Riflettete, vi prego: che vuol dire simpatizzare con il mondo d'oggi?
Significa, forse, che bisogna lentamente vanificarsi in esso? Sembra
purtroppo che vi muoviate proprio in questa direzione "Fratelli
ammoniva
san Paolo nella lettera ai Romani (12,2) non conformatevi alla mentalità di
questo secolo, ma trasformatevi, rinnovando la vostra mente". "Non
conformatevi!". In greco: "mè suskèmatìzesthe". Il verbo
contiene la radice
della parola "schema". Per dirla in breve: ogni modello esteriore,
ogni
schema è vuotoRiflettete sulle parole di san Paolo e si ridimensionerà
tanta ingenua fiducia nella cosiddetta rivoluzione o nella violenza (della
quale, comunque, voi non siete capaci) "Esaminate voi stessi, se siete
nella fede, mettetevi alla prova" scriveva l'apostolo ai Corinti (2Cor
15,
5). O forse non riconoscete neppure che Gesù Cristo abita in voi? Noi non
possiamo ricopiare il mondo, proprio perché ci è chiesto di giudicarlo.
Non, certo, con orgoglio e superiorità. Ma con amore: così come il Padre
ha
amato il mondo (Gv 3, 16) e per questo ha pronunciato il suo giudizio su di
esso.
Josef Zverina
1. Gesù Cristo centro del cosmo e della storia
Noi firmatari di questo manifesto siamo semplici cattolici, non
rappresentiamo che noi stessi. Abbiamo deciso di intervenire dopo aver
letto con inquietudine il "Manifesto delle associazioni cattoliche ai
leaders del G8", sottoscritto da decine di organizzazioni
ecclesiastiche.
Confessiamo il nostro profondo disagio di fronte a un documento che rischia
di far tornare i cattolici alla situazione di venticinque anni fa, cioè a
una condizione di sudditanza alle ideologie e perfino agli slogan di gruppi
e movimenti politici che nulla hanno a che fare con la nostra fede e le
cui ricette politiche, peraltro, hanno sempre dato dove applicate risultati
terribili. A una situazione cioè dove non è più chiaro qual è
l'originalità
della presenza dei cristiani nel mondo.
Innanzitutto noi crediamo che il primo e fondamentale contributo che i
cristiani portano all'umanità, anche per la promozione sociale e civile dei
popoli (come dimostra la storia), sia l'annuncio di Gesù Cristo: Dio fatto
uomo per sconfiggere il male e dare all'uomo la redenzione e la vita eterna.
Rileviamo invece che le associazioni cattoliche firmatarie del Manifesto si
dilungano a discettare delle materie più varie (dalle percentuali di pil
alla proposta di tassare le transazioni valutarie, dal divieto di monopoli
nell'editoria agli organismi geneticamente modificati), ma non ritengono di
affermare da nessuna parte che Gesù Cristo è l'unico salvatore dell'uomo e
che questo annuncio è il loro fondamentale compito.
Non si stanca di ripeterlo invece il Santo Padre, che pure non ha fatto
mancare la sua parola e i suoi appelli sui problemi relativi al debito dei
Paesi del Terzo Mondo, sulla pace e il rispetto dei diritti umani, sulla
protezione della dignità e della vita umana, dal suo concepimento alla sua
fine naturale. In tutti questi pronunciamenti di Giovanni Paolo II noi ci
riconosciamo e chiediamo alle organizzazioni internazionali di non
lasciarli cadere nel vuoto. Dobbiamo assumerci, come Stati e come singoli
cittadini, le nostre responsabilità per la difesa dei diritti dell'uomo e
dell'ambiente.
Il Manifesto delle organizzazioni cattoliche, oltre a
"dimenticare"
l'essenziale della presenza dei cristiani nel mondo, prospetta argomenti e
soluzioni che sembrano assunte (perché vi si ritrovano tali e quali) dai
vari pronunciamenti del movimento anti-globalizzazione, il cosiddetto
"popolo di Seattle", al quale questo mondo cattolico sembra
essersi
accodato in modo acritico.
Tanto che il documento delle associazioni cattoliche ha addirittura
censurato tutti quei temi che invece il magistero di Giovanni Paolo II
continuamente e drammaticamente richiama i quali avrebbero potuto
diversificarlo dal cosiddetto "popolo di Seattle". Colpisce, ad
esempio, la
lunga premessa sulla necessità di difendere la dignità e la vita umana che
poi trae conclusioni solamente contro la guerra e la miseria economica (e
chi è mai a favore della guerra e della miseria?), ma non proferisce parola
per esempio contro l'aborto di massa, l'eutanasia, i programmi di
sterilizzazione collettiva nei paesi del Terzo Mondo (questo sì, vero
colonialismo), né contro l'uso sperimentale della genetica sull'uomo.
Va detto che il movimento "anti G8", lungi dall'essere vicino alla
Chiesa e
alla fede cattolica, ha, secondo noi, alla sua base uno schematismo
ideologico, una brutalità manichea, uno sprezzo della ragione umana, che
sono assolutamente inconciliabili con quella positiva apertura alla ricerca
della verità a cui ci educa l'esperienza cristiana, la quale suggerisce
così una cultura fondata non sul pregiudizio o sull'anatema, ma su una
coscienza critica e sistematica della realtà.
2. Un'ideologia impermeabile all'esperienza
Non a caso, tale movimento è egemonizzato da gruppi che praticano
sistematicamente la violenza contro cose e persone (e anche a questo
proposito nel documento delle organizzazioni cattoliche si nota un
desolante silenzio).
Innanzitutto c'è una fortissima componente marxista (sia pure un marxismo
dilettantesco e superficiale) che si esprime come odio ideologico
dell'Occidente capitalistico e del libero mercato, considerati come un
imperialismo planetario che complotta ai danni dei poveri (dimenticando
peraltro che enormi sacche di fame e sottosviluppo sono state lasciate in
eredità dai fallimentari sistemi comunisti).
Un marxismo grossolano che riesce perfino a demonizzare oltre alla
proprietà e al mercato anche lo sviluppo, la tecnologia e la scienza.
Cosicché va ad incontrare inconsapevolmente ideologie di estrema destra che
già da decenni demonizzano "l'americanizzazione del mondo".
3. Un ecologismo da fanatismo religioso
L'altra componente è un ecologismo radicale che oltre ad essersi
dimostrato disastroso e oltre ad alimentare irresponsabilmente fobie
collettive, fuori da ogni serio dato scientifico, intende abbattere
esplicitamente il fondamento della tradizione giudaico-cristiana, cioè il
primato dell'essere umano e la bontà della sua presenza sul pianeta.
Non dovrebbe sfuggire ai cristiani quanto sia pericolosa la concezione
pagana e panteista connessa con una simile difesa dell'ambiente. La difesa
della "Madre Terra" dall'uomo, ritenuto il cancro del pianeta, e
l'adorazione di Gaia sono concezioni che appartengono a un mondo pagano.
Vorremmo ricordare quanto terribile sia stato nel XX secolo il riemergere
in ideologie politiche del neopaganesimo ispirato a certe concezioni
bio-ecologiche.
Condizione umana e mondo comune.
Alcuni dati di fatto, nel merito dei problemi.
1. C'è un progresso innegabile
La storia dell'umanità dimostra che il progresso scientifico, tecnologico,
culturale ed economico generato dall'uomo ha reso il nostro pianeta più
vivibile. L'umanità vive meglio e più a lungo. Dal 1960 ad oggi, nei paesi
in via di sviluppo, i tassi della mortalità infantile sono stati ridotti
della metà, i tassi di malnutrizione del 33 per cento e la percentuale di
ragazzi in età scolare che non frequenta alcun corso di studi è calata
dalla metà a un quarto. Le famiglie rurali che non hanno accesso all'acqua
salubre sono passate dai nove decimi a un quarto. La durata media
dell'esistenza nei paesi industrializzati è di 77 anni (era di 50 nel 1900
e di 40 nel 1820) ed è cresciuta anche nei paesi arretrati a più di 60
anni
(la media mondiale è di 67 anni). Nell'arco del secolo il reddito
individuale medio mondiale è quadruplicato. Naturalmente esistono anche
gravi ingiustizie, fame e nuovi drammi sociali che occorre affrontare e
risolvere (per questo ci siamo richiamati agli interventi del Papa). Ma è
insensato misconoscere gli enormi progressi fatti. Anche il rapporto con
l'ambiente con buona pace dei catastrofisti - è notevolmente migliorato. Lo
sviluppo delle attività agricole ha permesso di ottenere una produzione
alimentare che oggi può sfamare l'intera umanità con un utilizzo di terre
e
di forza lavoro sempre più piccole (e alleviando enormemente anche la
fatica umana). Le zone protette si sono moltiplicate per venti negli ultimi
dieci anni. Le città dei Paesi avanzati sono più pulite e anche certe
forme
d'inquinamento dei mari sono fortunatamente diminuite.
2. E c'è un sonno della ragione che genera mostri
Di fatto i paesi che sono più aperti al commercio hanno una crescita più
rapida di quelli che non lo sono. Inoltre è stato dimostrato che non
bastano affatto gli aiuti dell'Occidente (che anzi talora possono essere
anche controproducenti) per battere la povertà e il sottosviluppo. Occorre
prima una crescita giuridica e culturale in quei paesi: senza il
riconoscimento dei diritti umani, civili ed economici delle persone (e
senza la formazione e le conoscenze) il Terzo Mondo non esce dal
sottosviluppo.
Eppure il modo in cui oggi si discute di fame, processi economici e difesa
dell'ambiente mette sul banco degli imputati i Paesi e gli uomini che hanno
favorito lo straordinario progresso di questi decenni. Bastano poche voci
confuse, argomentazioni pseudo-scientifiche, e tanta ideologia basata sulla
lotta di classe per criminalizzare intere categorie sociali e diffondere
pena e panico sul futuro. I parametri culturali entro i quali sono stati
collocati i problemi di sottosviluppo e ambientali risentono di una visione
del mondo in cui le popolazioni ricche vengono accusate di sfruttare i
poveri ed il progresso scientifico e tecnologico viene contrapposto alla
conservazione dell'ambiente. Sembra quasi che eliminando le economie
sviluppate si vincerà la povertà e che tutto ciò che è umano,
scientifico e
tecnologico rovini il pianeta. Così, in nome di una presunta difesa dei
poveri e dell'ambiente sono state scatenate vere e proprie azioni di
guerriglia urbana, uomini sono stati feriti, si sono devastate città.
Peraltro non risulta che il cosiddetto "popolo di Seattle" che
pretende di
presentarsi come "la voce degli emarginati" - sia stato delegato
dai paesi
poveri. Al contrario, risulta che i Paesi del Terzo Mondo abbiano idee
esattamente opposte a quelle del "popolo di Seattle" su
biotecnologie,
apertura ai mercati e Protocollo di Kyoto, sulla cui fondatezza, per altro,
la comunità scientifica sta ancora discutendo. In vari recenti interventi
di personalità dei paesi poveri, il "movimento di Seattle" è
stato
esplicitamente accusato di impedire una vera lotta alla fame.
3. Il dogmatismo del "pensiero unico"
È sconcertante notare l'adesione acritica a slogan e "frasi
fatte" al di
fuori di ogni acquisizione scientifica e di ogni seria evidenza storica.
Per esempio, con l'agricoltura biologica non sarebbe possibile produrre
risorse alimentari per nutrire tutta l'umanità neanche sfruttando tutte le
terre oggi coperte da foreste (che sarebbe, questo sì, un incalcolabile
disastro ecologico).Inoltre non è il tanto demonizzato sviluppo che crea
fame, ma il sottosviluppo. L'evidenza elementare è che quanti vogliono
aiutare il prossimo devono essere consapevoli che solo una ricchezza
prodotta può essere distribuita e che per questo è irresponsabile
demonizzare la produzione e lo sviluppo. Contrariamente a ciò che recitano
i dogmi del "pensiero unico" oggi amplificato dai mass media, il
progresso
tecnologico e la crescita economica sono gli unici strumenti per sanare le
piaghe della fame, per vincere le malattie e difendere l'ambiente.
4. Chi vuole mantenere i poveri più poveri?
Fino a prova contraria è vero che la democrazia politica è compatibile
solo
con un'economia di mercato. L'unione di capitalismo e democrazia non
porterà il Regno dei Cieli sulla Terra; ma, per liberare i poveri dalla
miseria e dalla tirannia e per dar spazio alla loro creatività, il
capitalismo e la democrazia possono fare molto di più di quanto sia in
potere di tutte le altre alternative esistenti.
Per questo non possiamo non fare nostre le amare considerazioni del noto
editorialista liberal americano Thomas Friedman, che sul non certo sospetto
di tendenze confessionali e conservatrici New York Times ha descritto il
"popolo di Seattle" come "la coalizione che vuole mantenere
poveri i più
poveri".
5. La lezione di don Sturzo
Invitiamo dunque tutti i cattolici a riflettere su questa lungimirante
pagina una previsione della globalizzazione - scritta nel 1928 da don Luigi
Sturzo: "Alcuni hanno timore della potenza enorme che ha acquistato e
acquista sempre più il capitalismo internazionale che, superando confini
statali e limiti geografici, viene quasi a costituire uno Stato nello
Stato. Tale timore è simile a quello per le acque di un fiume; davanti al
pericolo di uno straripamento, gli uomini si sforzano di garantire città e
campagne con canali, dighe e altre opere di difesa: nel medesimo tempo lo
utilizzano per la navigazione l'irrigazione, la forza motrice e così via. Il
grande fiume è una grande ricchezza e può essere un grave danno: dipende
dagli uomini, in gran parte, evitare questo danno. Quello che non dipende
dagli uomini è che il fiume non esista. Così è del grande fiume
dell'economia internazionale. La sua importanza moderna risale alla grande
industria del secolo scorso: il suo sviluppo, attraverso invenzioni
scientifiche di assai grande portata nel campo della fisica e della
chimica, diverrà ancora più importante, anzi gigantesco, con la razionale
utilizzazione delle grandi forze della natura. Nessuno può ragionevolmente
opporsi a simile prospettiva: ciascuno deve concorrere a indirizzare il
grande fiume verso il vantaggio comune (). Contro l'allargamento delle
frontiere economiche dai singoli stati ai continenti, insorgono i piccoli e
grandi interessi nazionali, ma il movimento è inarrestabile; l'estensione
dei confini economici precederà quella dei confini politici. Chi non sente
ciò, è fuori della realtà".
Primi firmatari:
Fabio Massimo Addarii, avvocato
Luigi Amicone, giornalista
Gianni Baget Bozzo, teologo e politologo
Giampaolo Barra, giornalista
Marco Biscella, giornalista
Rino Cammilleri, scrittore
Giovanni Cantoni, saggista
Rodolfo Casadei, giornalista
Ubaldo Casotto, giornalista
Roberto Defez, biologo
Gian Pietro De Gaudenzi, ingegnere
Paolo De Marchi, notaio
Stefano Filippi, giornalista
Gianni Fochi, Scuola Normale Superiore di Pisa
Giovanni Formicola, avvocato
Giusppe Fornari, filosofo
Antonio Gaspari, giornalista
Claudio Gelain, giornalista
Piero Gheddo, giornalista e missonario PIME
Carlo Lottieri, saggista
Andrea Morigi, giornalista
Alessandra Nucci, giornalista
Marcello Pacini, saggista
Giovanni Palladino,Presidente Centro Internazionale don Luigi Sturzo
Ernersto Pedrocchi, ordinario di Energetica al Politecnico di Milano
Carlo Pelanda, economista e Presidente Associazione Nazionale del
Buongoverno
Angela Pellicciari, storica
Giuseppe Rasi, economista
Marco Respinti, pubblicista e saggista
Robi Ronza, giornalista
Enrico Salomi, giornalista
Antonio Socci, giornalista
Ugo Spezia, ingegnere nucleare e giornalista scientifico
Marco Tangheroni, Università di Pisa
Stefano Zurlo, giornalista
Anna Bono, docente di Storia e istituzioni dell'Africa all'Università di
Torino, facoltà di Scienze Politiche.
Giulio Dante Guerra, chimico, Primo ricercatore delle Ricerche Centro Studi
sui Materiali Macromolecolari Polifasici e Biocompatibili del CNR, Pisa.
Giovanbattista Demma, Primo Ricercatore CNR.
Antonio Malorni, Direttore Istituto Scienze dell'Alimentazione, Avellino
Paolo Blasi, professore ordinario di Fisica Sperimentale, Università di
Firenze
Tullio Regge, fisico (non sono credente ma concordo con le preoccupazioni
esposte nel documento).
Franco Battaglia, docente università Roma Tre
Cosma Gravina, assessore lavoro e attività economiche della Provincia di
Milano
Fra Aldo Motta, ofmcapp
Mario Palmaro, docente di Filosofia del Diritto all'Università degli Studi
di Milano
Irene Lobeck, membro del consiglio pastorale parrocchiale, S. Maria
Liberatrice, Milano
Eugenio Corti, storico e scrittore, Premio nazionale cultura cattolica
Padre Roberto Sirico, presidente Acton Institute for the study of Religion
and Liberty
Flavio Felice, responsabile Italia dell'Acton Institute for the study of
Religion and Liberty
Michael Novak, ricercatore presso l'American Enterprise Institute
Cesare Cavalleri, direttore di Studi Cattolici
mons. Andrea Gemma, vescovo di Isernia Venafro
Marco Fusco, responsabile comunicazioni sociali di mons. Andrea Gemma,
vescovo di Isernia Venafro
Firma anche tu !!!
ritorna all'indice
|
|
COMUNICATO STAMPA
Bologna, 22.11.2001
"La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma
di comunicazione sono inviolabili [.]" (Costituzione della Repubblica
Italiana, Art. 15)
Chi ha violato la nostra Costituzione a Genova pensa di poter continuare a
farlo impunemente.
Una busta contenente una videocassetta prodotta da Indymedia sui fatti del
G8 di luglio, che sta circolando da mesi, spedita da Bologna a Ferrara, e
che avrebbe dovuto essere proiettata pubblicamente domani sera, è stata
aperta.
Qualcuno ha parzialmente distrutto la videocassetta e vi ha tracciato sopra
una croce celtica, rendendo manifesta la matrice fascista e intimidatoria
del gesto.
Il gesto è ancora più grave per il fatto che la busta è stata spedita da
privato cittadino a privato cittadino, e non riportava alcuna palese
indicazione del contenuto né simboli di associazioni o partiti politici.
Questo vuol dire che esistono lunghe liste nere in cui figurano nomi di
studenti universitari che fanno politica nelle proprie facoltà? Oppure
tutta la corrispondenza di questo Paese rischia di passare nelle mani di
qualcuno che non resiste alla tentazione di imbrattarla con simboli
fascisti?
Chi ha compiuto questi gesti non pensi di intimidirci in alcun modo; oggi
abbiamo avuto l'ulteriore conferma che i diritti e la democrazia nel nostro
Paese sono più a rischio che mai.
Ci rivolgiamo alle istituzioni, polizia e magistratura, che ci dovrebbero
tutelare, perché identifichino al più presto l'autore del gesto e
dimostrino di non essere conniventi con la violazione sistematica delle
nostre libertà costituzionali.
Gli studenti e le studentesse dello
Spazio Sociale Studentesco
di via Belmeloro
ritorna all'indice
|
|
Da laico (non credente, ateo ... mettetela come volete) forse sono un
intruso e se intervengo è solo perchè dopo Genova mi sono reso conto che
non si può continuare a vivere nella propria "parrocchia" (i
cattolici mi perdonino l'uso profano del termine:-) senza mettere mai il
naso fuori. A Genova ho scoperto che i motivi per cui mi trovavo li, per una
"chiamata di partito" (Verdi)- che naturalmente condividevo, erano
gli stessi della rete lilliput e di tante altre associazioni. Ho visto
religiosi con la "divisa" (non conosco il termine appropriato) con
su gli adesivi di DROPT THE DEBT.
Mi ha stupito trovare tanti cattolici partecipi alla protesta per le
politiche economiche ed alimentari dei signori della terra.
Magari la sinistra ne fa una battaglia di giustizia mentre per i cattolici
è più una questione di solidarietà ma l'obiettivo mi pareva lo stesso...
La posta di Nadia mi pone un dubbio.
Un dubbio profondo proprio sugli obiettivi.
Tante forze prima disperse (e quindi ininfluenti) si sono ritrovate nel
forum condividendo risorse e conoscenze, mettendo a punto iniziative che
reputo "di crescita", se non altro culturale.
Ma la cultura "popolare" e "laica" - nella quale mi
riconosco - si colloca in una linea strategica di critica del sistema,
cosidetto "capitalista", dove tutto è merce e serve ad accumulare
capitale privato. A scapito della qualità del lavoro, del cibo,
dell'ambiente nel quale viviamo ...
La lettera di Nadia mi apre uno scenario, invece, che mi pare
<<esclusivamente>> di solidarietà verso i più deboli ...
Non che ci sia nulla di sbagliato, anch'io ho lavorato - da adolescente -
con l'Operazione Mato Grosso dei salesiani ...
E' quel supposto <<esclusivamente>> che mi lascia perplesso e mi
crea nuovi dubbi sulla lettura che avevo applicato a quanto avevo visto a
Genova, dove la presenza di tanti cattolici mi era parso il segno di una
nuova era, per una società che acquista consapevolezza di se e si alza a
reclamare giustizia ed equità per tutti (scusate l'immagine retorica, mi è
scappata!). A prescindere dal credo e dai partiti.
Ma in questo discorso CL, che ho sempre considerato la DESTRA cattolica,
reazionaria, in difesa dei valori su cui si fonda questo sistema,
integralista e furba (Biffi e Andreotti) non dovrebbe centrarci se non come
i cavoli a merenda. E la distanza tra il sottoscritto e CL è enorme e
felicemente (per me) incommensurabile.
Nadia sostiene, nel suo resoconto, che tutte e due le iniziative, anche se
per strade diverse, erano iniziative di "carità" e quindi
lodevoli (proprio perchè l'altra organizzata da CL).
Sono convinto che un atto, come raccogliere alimenti per i più deboli, non
può essere visto solo per quello che appare ma anche per le implicazioni più
celate e recondite, come quella di oscurare la GNA.
Ora, il dubbio che mi prende è il seguente: che non abbia capito niente?
Per favore, spiegatemi ...
Renzo
ritorna all'indice
|
|
dal sito di repubblica:
A sparare in piazza Alimonda a Genova il 20 luglio, quando durante gli
scontri del G8 fu ucciso Carlo Giuliani, potrebbe non essere stata solo la
pistola di ordinanza del carabiniere di leva Mario Placanica, ma anche
un'altra arma. A gettare dubbi sulla ricostruzione della sequenza della
morte di Giuliani è la perizia balistica, depositata nei giorni scorsi in
procura dal perito d'ufficio Valerio Cantarella.
La perizia ordinata dal pubblico ministero Silvio Franz, che indaga sulla
morte di Giuliani, ha stabilito che uno dei due bossoli trovati in piazza
Alimonda - quello che era all'interno della camionetta - è stato sparato
dalla pistola di Mario Placanica, il carabiniere accusato di omicidio
volontario. Per il bossolo ritrovato in terra invece, il tasso di
compatibilità con l'arma del carabiniere è bassissimo: a spararlo dunque
potrebbe essere stata un'altra arma.
La perizia, sottolineano gli esperti, non modifica la ricostruzione della
morte di Giuliani: a uccidere il manifestante, senza nessun dubbio, è stato
un proiettile sparato dalla pistola di Placanica. Lo conferma l'autopsia e
l'analisi della traiettoria del colpo.
I risultati resi pubblici oggi però mettono in dubbio la versione finora
accreditata dei fatti di piazza Alimonda: fino a oggi si era sempre pensato
che a sparare fosse stata un'unica pistola. Ora questo non è più certo.
La novità apre anche un altro interrogativo: Placanica ha ammesso di aver
sparato due volte. Se il secondo bossolo ritrovato nella piazza non
apparteneva alla sua arma chi altro ha fatto fuoco quel giorno? E dove si
trova il secondo bossolo della pistola del carabiniere indagato? Tutte
domande a cui dovranno rispondere gli investigatori: è probabile che nelle
prossime settimane siano interrogati di nuovo tutti i protagonisti della
vicenda.
(10 dicembre 2001)
ritorna all'indice
|
|
L'affermazione di Scajola ha proprio colpito la sensibilità di tutti i
cittadini se necessita di una presa di distanza tanto dura ed
incondizionata del funzionario di polizia: "..sarebbe stato - un ordine
- comunque manifestamente criminoso e i funzionari di Polizia si sarebbero
semplicemente rifiutati di eseguirlo".
LA SMENTITA DEI FUNZIONARI DI POLIZIA - «Le dichiarazioni del ministro
Scajola lasciano assolutamente sorpresi coloro che a Genova hanno avuto le
maggiori responsabilitá dell'ordine e della sicurezza pubblica. C'è da
dubitare che il ministro possa essere stato del tutto frainteso in quanto si
può affermare con certezza che nessun funzionario di quelli che avevano,
anche ai massimi livelli, le responsabilitá operative dell'ordine pubblico
a Genova, abbia mai ricevuto l'ordine di sparare sulle folle in caso di
invasione della zona rossa». Lo afferma Giovanni Aliquò, segretario
dell'Associazione Nazionale dei Funzionari di Polizia, in prima linea a
Genova nei giorni del G8. L'ordine di sparare del quale ha parlato il
ministro dell'Interno, in caso di invasione della zona rossa, «ove fosse
stato impartito - aggiunge Aliquò - sarebbe stato comunque manifestamente
criminoso e i funzionari di Polizia si sarebbero semplicemente rifiutati di
eseguirlo mantenendo l'ordine pubblico ed assicurando l'incolumitá dei
partecipanti al summit con gli strumenti ordinari, atteso che all'interno
della zona rossa era stata provvidenzialmente creata una seconda cintura di
sicurezza».
FORZE ARMATE - «Se il ministro intendeva, invece, riferirsi all'impiego dei
mezzi e delle potenzialitá delle forze armate in caso di attacco dai cieli
o con metodologie di guerra, è certo che ciò travalica le competenze
ordinarie
ed implica livelli di responsabilitá diversi e più alti da quello del
dicastero dell'Interno - osserva ancora Aliquò -. Conosciamo le minacce che
hanno gravato sul G8, e sappiamo che, al di lá di marginali problemi di
ordine pubblico, la Polizia di Stato italiana, con le altre forze, ha
garantito in condizioni eccezionali un evento eccezionale».
ritorna all'indice
|
|
da Alto Adige, sabato 9 marzo 2002
G8, caccia ai poliziotti che picchiarono i manifestanti Nicola Canestrini:
«Denunceremo il funzionario che ordinò le cariche»
Le violenze avvennero in piazza Manin
ROVERETO. Identificare i responsabili delle violenze ai danni dei
manifestanti trentini al G8 di Genova. E' questo l'obiettivo più immediato
di Nicola Canestrini, che vuole dare un volto ai poliziotti coinvolti nelle
cariche e nel lancio dei micidiali lacrimogeni al Cs. «Stiamo lavorando con
i colleghi del Genoa Legal Forum per riuscire a risalire ai diretti
responsabili», dice il legale roveretano che è anche direttore del Centro
italiano studi per la pace e professore a contratto in Mediazione dei
conflitti all'Università di Ferrara.
Attraverso la visione dei filmati prodotti dalle tv nazionali e dai singoli
manifestanti, il team di avvocati punta ai nomi e ai cognomi di chi colpì
con violenza uomini e donne inermi, insegnanti, preti, impiegati,
infermiere, in gran parte membri di associazione pacifiste.
Quasi tutti avevano il volto coperto con caschi protettivi e lacrime
antigas. Tranne uno, che era vestito in borghese. Si tratta di Salvatore
Pagliuzzo Bonanno, il funzionario della polizia che coordinava gli agenti
schierati in piazza Manin venerdì 21 luglio.
«Era lui che aveva la facoltà di dare l'ordine di caricare e sparare i
lacrimogeni», dice Canestrini. «Lo denunceremo per responsabilità diretta
qualora emergesse che le cariche erano illegittime. Questo avviene quando
non ricorrono i presupposti dell'articolo 53, secondo cui la polizia può
ricorrere a mezzi di coazione fisica solo se costretta dalla necessità di
respingere una violenza o di vincere una resistenza. Ma potrebbe esservi
anche responsabilità omissiva, perché come pubblico ufficiale aveva
l'obbligo di intervenire se avesse assistito a soprusi come l'atto di
colpire con il manganello persone a terra».
Gli avvocati del Genoa Legal Forum stanno anche valutando se il fatto di
agire con il volto camuffato da maschere antigas sia da ritenersi un
comportamento punibile dalla legge, che vieta di coprirsi il volto in
pubblico.
C'è poi il fronte dei gas contenuti nei lacrimogeni e ritenuti molto
pericolosi per la salute. L'associazione si è messa in contatto con
analoghi sodalizi di altre nazioni per condurre una battaglia comune contro
l'utilizzo del "Cs", che sarebbe in grado di causare polmoniti,
edemi polmonari, gastroenteriti, ulcere perforanti e gravi dermatiti.
ritorna all'indice
|
|
La notizia che per noi non è certo inattesa è stata riportata adesso da
repubblica on line e ve la rimando tal quale. C\'è un forse ma si sa che in
questi casi è d\'obbligo.
Genova, 17:33
G8, Diaz: Ris, forse agente simulò accoltellamento.
Una perizia mette in dubbio che un agente abbia subìto un tentativo di
accoltellamento nella scuola Diaz durante il G8 di Genova. Le coltellate
"parate" dal giubbotto antiproiettile furono presentate, durante e
dopo l\'irruzione nella scuola, come causa scatenante della violenza per la
quale ieri i magistrati hanno inviato 48 avvisi di garanzia a altrettanti
agenti
di polizia (leggi qui). Ora però la procura ipotizza la simulazione.
Il Reparto investigativo scientifico di Parma ha impiegato due mesi per
analizzare il corpetto antiproiettile e il giubbotto in dotazione all'agente
scelto Massimo Nucera. Nucera aveva denunciato di essere stato accoltellato
da un manifestante mentre iniziava l'irruzione insieme ai suoi colleghi. Gli
esami sulle lacerazioni agli indumenti, una verticale e l'altra obliqua,
provocate da un coltello a lama dentata, mettono in serio dubbio il racconto
del poliziotto. E la procura di Genova non esclude l'ipotesi che sia stato
lo stesso Nucera, forse con l'aiuto di un collega, a danneggiare gli
indumenti per giustificare le violenze. (Red)
ritorna all'indice
|
|
Alla società civile,
Ai movimenti, alle reti e alle singolarità in cammino,
costruendo un altro mondo possibile
un anno fa, di questi giorni, ci incontravamo in tutte le città italiane e
del mondo per raccogliere insieme la sfida degli Otto Grandi della Terra,
attesi per il luglio successivo a Genova. Gli oscuri messaggi di
intimidazione e repressione raccolti a Gotebor e Barcellona non ci
fermarono. Non fermarono una mobilitazione che aveva già seguito un
percorso di continua crescita, da Amsterdam a Seattle, dalla Selva Lacandona
a Porto Alegre, da Seoul a Bologna, da Johannesburg a Praga, dalla stessa
Genova a Washington, da Napoli a Quebec City.
Il movimento globale ha affermato come non mai, quel luglio, a Genova, la
sua novità e la sua singolarità. Movimenti di lotta e cooperazione contro
il neoliberismo, reti di pratiche libertarie e solidali, organizzazioni
politiche e sociali e, soprattutto, singole e singoli hanno composto, pur
con mille difficoltà ed impacci, contaminazione tra differenze e
determinazione comune. Ha assediato il G8, si è rifiutato di riconoscerne
l'autorità e per questo ha subito una repressione senza precedenti,
affidata al governo Berlusconi ed agli apparati di Stato italiani e
internazionali. Un giovane, Carlo Giuliani, è caduto ucciso.
Migliaia sono stati perseguitati per le strade. Centinaia sequestrati e
torturati.
Il movimento globale ha investito l'Italia, la vita delle sue cento città:
ne ha riempito le piazze diffondendosi proprio contro quella repressione,
anziché scompaginarsi. Sono state nuove brecce, che comunque rimangono,
aperte a tutte le articolazioni e alla descrizione d'una inedita cartografia
del conflitto sociale e d'una nuova costruzione civile. Il movimento che
s'era evocato adottando il nome raccolto dalla prima Porto Alegre, quello
dei Forum sociali, quando ha conservato
lo spirito di Genova, non si è mai espresso come soggetto unico ed omogeneo
ma come vero e proprio movimento di movimenti.
Quante e quanti si erano ritrovati e riconosciuti nello Stadio Carlini di
Genova e nel corteo della disobbedienza civile a via Tolemaide, che avevano
dovuto vedere il sangue di Carlo Giuliani versato sull'asfalto di piazza
Alimonda, che avevano sofferto insieme la riflessione su quella morte
subita, decisero di affermare la loro consapevolezza: di come quella
repressione avesse travolto la pratica scelta, ma anche di come un nuovo
valore fosse stato generato dall'esperienza, un valore di socializzazione e
di comune protagonismo, nella disobbedienza al dominio e nel rifiuto
dell'ordine presente. Hanno affermato la volontà di sperimentare
un'estensione e una trasformazione della pratica disobbediente, che fosse
aderente alla produzione di soggettività e ne promuovesse il conflitto e il
consenso. Ci siamo costituiti per questo in Laboratorio della disobbedienza
sociale, per condurre e contribuire con un nuovo esperimento.
Poi è venuto il tempo della Guerra Globale Permanente. Con la strage
dell'11 settembre il tragico gioco di specchi in cui si delinea l'ordine
imperiale dei poteri sulla globalizzazione, la guerra infinita con cui
riprodurre comando ed esclusione, controllo e separazione, ha imposto i suoi
abbagli.
E' venuta la guerra, ma in Italia il movimento non si è fermato: ciò che
da Genova era fluito riuscì a declinare il contrasto al governo
capitalistico della globalizzazione e alle sue politiche neoliberiste con
quello al loro strutturale compendio, un ordine di guerra, militare ma anche
economica e sociale, arrivando fino alla seconda Porto Alegre.
Proprio in faccia alla ferrea ricodificazione della guerra permanente, la
capacità di iniziativa del movimento ha esibito elementi di un nuovo ciclo
di conflittualità. In quel momento, centinaia di migliaia non cessarono di
dimostrare la nuova capacità di radunarsi nelle stesse strade, e sul
medesimo cammino, a manifestare un'insorgenza di milioni: contro la guerra
come contro gli attacchi del padronato industriale al lavoro, contro l'aziendalizzazione
dell'istruzione come contro le leggi razziste.
Il movimento era andato oltre quegli stessi spazi che si era dato, abitando
le scuole e gli atenei, le fabbriche, le baracche e le filiere produttive
del lavoro migrante. Ha diffuso la sua autonarrazione, dispiegando gli
strumenti della comunicazione indipendente, sottraendosi ai monopoli di
quella ufficiale, ma anche aprendovi fronti. Ha oltrepassato la stessa rete
di relazioni di una società civile divisa dal saliente della guerra come da
una spada, e si è espresso come insieme di movimenti sociali. Al cospetto
del nuovo ordine di poteri, che le destre interpretavano in Italia. Fuori e
oltre la palude della sconfitta lasciata da quanti a Genova non erano voluti
venire, e di cui ora il movimento investiva le basi di consenso, dove si
producevano ulteriori pratiche di mobilitazione.
Noi stessi, realtà e luoghi dove l'esperimento della disobbedienza sociale
si era inizialmente prodotto, trovammo che essa era diventato un nome comune
dell'insubordinazione. L'esperimento si era diffuso, disseminandosi in nuove
reti e in una rinnovata produzione di soggetti, motore di conflitto. Da qui
la decisione di riconoscerci movimento tra i movimenti, per porre a valore
questa differenza e questa diffusione: movimento delle e dei disobbedienti.
Poi, ancora, non siamo stati più soli. Dopo tre scioperi generali del
sindacalismo di base, dopo l'evocazione disobbediente del tema della lotta
generale per i diritti, dal movimento studentesco a quello, nuovo e
importante, delle
e dei migranti, si è imposto finalmente all'orizzonte lo sciopero generale
delle grandi confederazioni e un grande, per quanto obbligato, ritorno alla
lotta della maggiore, la Cgil.
Il conflitto sociale, ridislocato e rideterminato dal movimento di Genova,
ha preso corpo e trovato la sua punta di lancia sul terreno dello scontro
diretto tra capitale e lavoro, e nelle stesse articolazioni tradizionali di
questo.
Un quadro diverso, che ha posto al movimento dei movimenti altre
interrogazioni, altre esigenze di prospettiva. Una riflessione che, però,
si è dispersa, sulla traccia complessa di un filo resosi nei fatti meno
visibile: quello della natura globale del movimento e della globalità del
tema che aveva posto, la decisione comune.
Noi stessi, disobbedienti, abbiamo interpretato questo limite: ad esempio,
sottraendoci fino ad oggi al percorso verso il primo Foro sociale europeo,
fissato nell'ultima Porto Alegre proprio in Italia, a Firenze, per il
prossimo novembre. Così come l'intero movimento italiano ha segnato la sua
assenza da un appuntamento che proprio di quel percorso avrebbe dovuto
rappresentare la prima occasione pratica: il controvertice di Barcellona,
che ha superato lo stesso tetto di partecipazione toccato da Genova. Mentre
già si affaccia una nuova data europea, quella del controvertice di
Siviglia contro la piattaforma anti-sociale dell'Ue, e torna il rischio d'un
mancato incontro da parte dei movimenti italiani.
Noi disobbedienti, pur in presenza dell'esperienza straordinaria compiuta
con la partecipazione alla Carovana di Action For Peace in Palestina e
all'affermazione in essa d'una nuova azione contro la Guerra Globale
Permanente, attraverso
l'ingaggio di corpi e linguaggi pratiche di protezione diretta dei civili e
di diplomazia dal basso, abbiamo riscontrato questa difficoltà. Non ci si
è saputi sottrarre ai termini vecchi e angusti della mobilitazione classica
e rituale che non poteva che favorire chi ha sempre sperato nella morte e
non nella vitalità dei movimenti. Non si è saputo riportare l'innovazione,
in termini di pratica e di pensiero, rappresentata da ciò che avevamo
imparato nel cuore della Guerra.
Le lacerazioni che si sono verificate in Italia sono state un regalo
all'apartheid di Sharon e allo sviluppo, senza troppi intoppi, in Israele
d'uno dei nuovi e più avanzati laboratori della medesima Guerra Globale.
Lo sciopero del 16 Aprile per noi doveva diventare da "generale" a
"generalizzato".
Grazie a questo concetto, che di fatto è divenuto un'idea forza assunta da
tutte e tutti, si è riusciti finalmente a dare corpo e anima al vecchio
ragionamento sullo sciopero di cittadinanza.
Non è cosa da poco anche perchè innervata nella ricomposizione delle
vecchie e nuove figure del lavoro resa possibile dalla lotta per l'art.18
assunta come lotta per i diritti, quelli che il governo vuole sopprimere o
non riconoscere.
Le iniziative di generalizzazione prodotte nella giornata dello sciopero del
16 aprile, per quanto ci compete recano un bilancio di diffusione
straordinaria di azioni di disobbedienza sociale, anche se confermano che
quando la gestione è troppo timida nell'articolare un discorso che proponga
le differenze come parte viva, visibile e conflittuale per la contaminazione
e la ricomposizione dentro la moltitudine, prevale la divisione in percorsi
che alla centralità del conflitto antepongono l'insegna, proclivi ad un
approccio ridotto alla nicchia e alla delimitazione.
Nella recente scadenza delle elezioni amministrative, diverse realtà
disobbedienti si sono impegnate in alcuni percorsi, tra loro differenti, di
incursione in quel passaggio, ad un livello piuttosto prossimo e incombente
sulla quotidianità dell'agire delle reti sociali, il livello dei nessi
amministrativi; e al cospetto delle problematiche poste sul terreno dello
sviluppo del movimento, ossia il rapporto tra la sua autonomia - e
singolarità - e lo spazio presente della politica, la crisi degli statuti
di questa e i temi e le pratiche imposti dal ciclo di mobilitazioni di
quest'anno. Nel contesto, peraltro, di un tentativo - non solo italiano - di
riorganizzazione del consenso intorno alla sinistra moderata e alla sua
ipotesi di governo temperato della globalizzazione neoliberista, proprio
quando il suo disastro tocca il massimo e più che mai pericoloso grado di
conferma in Europa.
Le sperimentazioni, differenti anche negli esiti, confermano per noi la
centralità del tema del municipalismo, delle articolazioni che esso porta
con sè, come gli elementi di partecipazione e democrazia diretta.
Come altri dati che, grazie al fatto che le sperimentazioni qualcuno le fa,
senza paura di essere "scomunicato", ci hanno consegnato un quadro
che dice chiaramente che un conto è parlare di "crisi della
rappresentanza", un altro quello di dare per scontato che questa
situazione provochi la "crisi dei partiti". Un conto è dire che i
simboli dovrebbero essere superati e non diventare un feticcio, ed un altro
è dire che questo è già accaduto.
I simboli ed i partiti, in queste elezioni, contano, e contano molto. La
stessa discriminante contro la guerra, non ha inciso minimamente sulla
raccolta di consensi che si è determinata sull'antiberlusconismo in massima
parte. Le riflessioni sono aperte ma certo è che i nodi sono tutti da
sciogliere e le strade tutte da percorrere. E' chiaro che poi una rete di
amministratori, consiglieri di comuni grandi e piccoli che hanno come
priorità lo sviluppo di percorsi di rottura in senso municipale, oggi
esiste. Ne rivendichiamo tutta la positività e la potenzialità.
La mancata mobilitazione dei movimenti in occasione dell'arrivo di George
Bush II a Roma e per il vertice Nato-Russia a Pratica di Mare, crediamo
debba essere utilizzata da tutti per aprire una riflessione.
Come disobbedienti partiamo dall'autocritica, ma la delusione per non essere
noi riusciti, in primo luogo, a fare la nostra parte, non può nascondere
che i problemi sono di natura anche generale e riguardano tutti. Sono
secondo noi di almeno due ordini: uno riguarda il meccanismo di
riconoscimento,condivisione, attrazione dei social forum. Secondo noi oggi
è necessario dire con forza che quello che è importante è lo spirito di
Genova e non un logo, tra l'altro ormai incapace di attrarre, di diventare
motore come fu per alcuni mesi.
Dobbiamo superare l'idea che è "irrigidendo" o mantenendo
burocraticamente il simulacro dei luoghi di movimento, si fa movimento.
Dobbiamo uscire da noi stessi, ritrovarci perchè ne sentiamo il bisogno,
perchè c'è un sacco di gente che partecipa, condivide, si sente coinvolta.
Potremo stare a discutere per molto tempo sul perchè il meccanismo del
social forum in moltissime parti del paese è divenuto uno strumento
inservibile.
In altre realtà, più piccole in genere, è divenuto il primo ed unico
luogo e forse per questo ha mantenuto la sua capacità di essere reale. Però
dobbiamo cominciare a dircelo, senza paura che questo significhi la fine
dello "spirito" di Genova.
Trasformare i social forum in una sorta di modellino preconfezionato e
scontato non ha fatto bene al movimento. Cominciamo col dire che i luoghi,
gli spazi pubblici sono molteplici e funzionano se sono in grado di
attrarre, volta per volta, di misurarsi con il convincimento e con la
capacità di produrre azione politica, conflitto e consenso.
Togliamo questa sacrale inerzia dai nostri modi di fare. Ne avremo tutti un
beneficio.
L'altro grande problema è la piazza. Non possiamo nasconderci che il limite
è anche di natura profondamente materiale e politico allo stesso tempo.
Cosa saremmo stati in grado di proporre come azione collettiva a Pratica di
Mare? Un'altra grande e ordinatissima sfilata? Dopo Genova, dopo quello che
è accaduto, noi dobbiamo fare i conti con questo. La pratica dell'illegalità,
cioè della produzione dal basso di nuova legalità contrapposta alla legge
ingiusta dell'Impero, sia essa limitazione della libertà di manifestare o
imposizione di politiche criminali che provocano la morte a milioni di
esseri umani ogni anno, non è un nodo "tattico" e tantomeno
"tecnico". Da quel blocco dell'accesso del Wto round di Seattle
nel 99 a Genova, questo siamo stati capaci di fare. Dallo smontaggio del Mc
Donald's operato da Bovè, a quello del centro di detenzione per migranti di
Bologna, questo abbiamo fatto. Liberare il desiderio di cambiare e produrre
senso nel farlo, pensare al rapporto con la legge, l'ordine costituito come
un rapporto non immutabile. Questo significa per noi anche forzare il ruolo,
la delimitazione, di concetti come società civile, fare società,
conflitto, consenso, trasformazione.
Dopo Genova abbiamo ragionato poco su questo. Salvo poi ritrovarci in
Palestina a dover fare i conti esattamente con lo stesso problema, nelle
azioni dirette di protezione dei civili. Quindi crediamo importante porre a
noi per primi e poi a tutti la domanda. La risposta, è chiaro, non può che
essere frutto di grandi contaminazioni.
Adesso, bussa alle porte l'appuntamento con la settimana della Fao a Roma,
indicato ancora una volta dal Foro sociale mondiale di Porto Alegre: sarà
come sempre una nuova occasione di verifica, a partire dalla manifestazione
internazionale dell'8 giugno, la prima in Italia dopo Genova, e dalle azioni
decentrate fissate per quei giorni e cui comunque, al di là delle date, ci
sentiamo chiamati per affermare il rifiuto del controllo del WTO sulle
politiche agricole e dell'alimentazione, dell'uso dei brevetti delle
multinazionali, del potere sulla vita esercitato duplicemente con
l'estensione del transgenico.
PER L'AUTONOMIA E LA CREATIVITA' DEL MOVIMENTO DEI MOVIMENTI.
Vorremmo che si aprisse su questi punti un dibattito pubblico. Una
consultazione che investa di discussioni e bilanci tutte le realtà presenti
fin qui nella nostra sperimentazione, con la quale riprendere il lavoro
interrotto d'una nuova mappa del conflitto e delle pratiche disobbedienti, a
partire dai laboratori locali che dovranno rendersene protagonisti; e nel
cui corso nessuno più parlerà per le ed i disobbedienti, ma come
disobbediente, con tutta la propria peculiarità.
Mentre l'agenzia di comunicazione, strumento di cui ci siamo dotati per la
relazione interna ed esterna e per la verifica delle decisioni, resterà
come riferimento di servizio per la consultazione stessa, strutturandosi via
via intorno ai suoi risultati.
Una consultazione attiva, perché siamo consapevoli che solo un rilancio
dell'azione disobbediente potremo contribuire al rilancio della dinamica
conflittuale complessiva del movimento dei movimenti.
Come pure parteciperemo alle giornate di Siviglia per avviarci su un nuovo
cammino di relazioni pratiche continentali, tra disobbedienze diverse,
capaci d'iniziativa comune: affinché il passaggio del Foro sociale di
novembre a Firenze, nel cui percorso di costruzione sia pure tardivamente ci
immetteremo adesso, non sia foriero di rinnovate separatezze nel movimento e
sopra di esso, ma invece sia un passaggio davvero fondamentale
PER L'UNIFICAZIONE EUROPEA DELLE LOTTE SOCIALI.
Una consultazione attiva, perché sarà rivolta fuori di noi. Per aprire la
discussione sulle forme e le pratiche della decisione comune nel conflitto,
a fronte della moltiplicazione delle possibilità e dei soggetti del suo
esercizio, nei mesi a venire. Per aprire la discussione su come questa
decisione comune possa calcare il cammino della costruzione di momenti e
luoghi aperti di democrazia radicale.
Attiva, perché dovrà non interrompere ma proseguire e vivificare gli
esperimenti di disobbedienza sociale, anzitutto rivolgendosi all'universo
delle disobbedienze che non si nominano tali ma anche facendo valere una
soggettività di movimento capace di sostenerle.
Specialmente, attiva nel produrre la verifica di nuovi percorsi di rete
intorno alla proposta di reddito sociale garantito, e della sua capacità di
legarsi alla moltiplicazione di istanze di conflitto nella combinazione
delle figure del lavoro vivo, di recare un apporto al proseguio della lotta
per l'unità del lavoro organizzato e del precariato sociale che lo
attraversa e lo circonda.
Attiva, ancora, nel proseguire la sperimentazione della disobbedienza sul
fronte centrale nel futuro della battaglia sui diritti, sul fronte del
movimento del lavoro migrante, rilanciando le azioni contro i Centri di
permanenza temporanea e inserendole nel contributo a quella nuova contro la
legge Bossi-Fini e contro la discriminazione ed il sicurismo sociale.
Attiva nel fare del Movimento di Massa Anti Proibizionista un vettore di
iniziativa socializzata a tutte e tutti i disobbedienti, per spingere avanti
l'attivazione dei soggetti e del conflitto contro la solidificazione degli
strumenti d'ordine della società di controllo.
Attiva, infine ma non per ultimo, perché a Genova noi intendiamo che
vengano realizzate assemblee del movimento dei movimenti, davvero aperte
all'esibizione della sua capacità conflittuale, senza timidezze né gelosie
né prevaricazioni
né sottintesi, ma per rilanciarlo oltre ogni limite riscontrato e guardando
ai soggetti reali. E perché intendiamo che la giornata del 20 luglio, a
Genova, ad un anno dalla sua uccisione veda ancora con noi Carlo Giuliani,
in una nuova vera manifestazione globale, non già per invocare ma per
affermare, con gli occhi e le voci di tutti e in tutte le lingue del
pianeta, due semplici parole: VERITA' E GIUSTIZIA!
Da un luogo indifferente, Italia, Europa, Pianeta Terra
Maggio-Giugno 2002, anno secondo della Guerra Globale Permanente
MOVIMENTO DELLE E DEI DISOBBEDIENTI
ritorna all'indice
|
|
Ciao a tutti,
come sapete dallo scorso dicembre è nato l'unico ente che si propone come
obiettivo la diffusione della cultura nonviolenta Si chiama No Violence,
conta un numero di 13-14 iscritti ed è nata dopo il G8 di Genova, che ho
vissuto in modo drammatico per motivi personali, con lo scopo di promuovere
iniziative per la prevenzione di scontri violenti in
varie manifestazioni di disobbedienza civile e propagandare l'uso della
nonviolenza all'interno del movimento No Global. Per luglio abbiamo indetto
il 1° Memorial Carlo Giuliani, una tre giorni che ha l'obiettivo di
ricordare intanto i gravi scontri di Genova e naturalmente anche Giuliani,
discutere l'uso della nonviolenza all'interno delle ideologie No Global o comunque
di sinistra e ripercorrere le tappe della storia della nonviolenza da Gandhi
ad oggi.
Vi chiedo gentilmente di aderire all'iniziativa, sperando che possiate darci
una sua risposta il più presto possibile.
Grazie per l'attenzione e a presto,
Marco Bonardelli
Fondatore di
No Violence
Club multimediale per la protesta nonviolenta
ritorna all'indice
|
|
L' appello del Genoa Social Forum per (re)incontrarsi a Genova i giorni
19/20/21 Luglio 2002
GENOVA : LE NOSTRE RAGIONI
Noi che nel Luglio scorso abbiamo dato vita alla straordinaria e plurale
esperienza del Genoa Social Forum rivolgiamo un appello a tutti e tutte
coloro che lo scorso anno sono venuti a Genova per manifestare il loro
dissenso contro il governo abusivo del pianeta, il G8, e le sue politiche di
morte.
A tutti e a tutte coloro che, riconoscendosi nel patto di lavoro che dette
origine al Genoa Social Forum e nella dichiarazione d'intenti del GSF di non
recare danno alcuno a cose e persone, si sono visti negare il loro diritto a
manifestare liberamente ed hanno subito una repressione senza precedenti
nella storia della Repubblica Italiana.
Ci rivolgiamo alle donne ed agli uomini che, pur non essendo fisicamente a
Genova, c'erano con il cuore e con la mente.
A tutti e a tutte coloro che hanno avvertito il grande segnale di quei
giorni : i poveri che riprendevano la parola, gli ultimi che si rimettevano
in cammino, una nuova generazione che scopriva il gusto e l'importanza
dell'impegno politico.
Ci rivolgiamo anche a coloro che a Genova non c'erano per scelta e che solo
dopo hanno capito l'importanza dell'evento.
Ci rivolgiamo ai registi che hanno filmato i colori e le percosse, ai
giornalisti che si sono opposti alla disinformazione organizzata facendo il
loro mestiere, agli uomini e donne di cultura che hanno avvertito la
tragicità dei fatti ma anche l'inarrestabile voglia di dibattere, discutere
raddrizzare i torti enormi che si continuano a consumare e di cambiare il
mondo che tutte le persone venute e Genova condividevano.
Noi vogliamo riprendere le proposte emerse nel Public Forum che precedette
l'apertura del summit del G8.
Vi chiediamo di tornare a Genova un anno dopo, nella settimana che termina
con il 19, 20, 21 Luglio, per dire al mondo ciò che la repressione ha
voluto nascondere.
Per dire le nostre ragioni.
Voi G8, noi 6miliardi: era vero ieri lo è ancora di più oggi.
Anche i pochi impegni assunti dagli otto paesi più ricchi del mondo per la
lotta alla povertà sono rimasti lettera morta.
In questo anno gli otto governanti abusivi del pianeta si sono macchiati di
nuovi crimini contro l'umanità e risulta ancora piu' chiaramente che la
loro modalita' di potere addensa ulteriori ed imminenti guerre che
coinvolgono intere popolazioni civili.
Lo sterminio per fame e per malattie altrimenti curabili, l'inaccessibilità
all'acqua potabile, lo sfruttamento inumano della forza lavoro,
l'inquinamento dello biosfera e l'avvelenamento dei mari sono proseguiti
senza alcun freno.
Tutto cio' viene messo in atto per garantire il massimo di profitto ad un
gruppo di transnazionali che incamerano nelle loro mani ricchezze superiori
a quelle del PIL di interi paesi.
Una guerra economica, sociale e militare è stata dichiarata dagli otto
paesi più ricchi contro l'intera umanità.
Una guerra che uccide con l'arma del debito e degli aggiustamenti
strutturali, con il controllo delle proprietà intellettuale da parte delle
multinazionali e con la demolizione di ogni straccio di legislazione sociale
che sia di impedimento alla selvaggia e libera espansione del mercato.
Una guerra che uccide con la crescita senza precedenti delle spese militari
e con la costruzione di nuovi sistemi di morte come lo scudo stellare.
Una guerra che ci hanno detto voler essere permanente, sovrana regolatrice
della dittatura del mercato, volano ricercato per superare ogni recessione e
far girare al massimo la macchina dell'ingiustizia.
A questo tipo di guerra seguono le guerre "guerreggiate" che tanti
lutti continuano a produrre tra le popolazioni.
I potenti chiusi nella loro zona rossa, isolati dal mondo insieme al loro
esercito privato, hanno avuto paura dei trecentomila di Genova.
Temevano che il tarlo di Seattle avesse scavato così a fondo da far
vacillare il granitico consenso di cui hanno bisogno.
Per questo hanno scelto la repressione.
E Genova è stata violentata nel corpo e nell'anima, fino a versare il
sangue di uno dei suoi figli: Carlo Giuliani.
Non immaginavano che il nostro dolore diventasse il dolore di una parte così
vasta dell'umanità , che il nome di Carlo e di Genova varcasse gli oceani e
le montagne, narrasse dolcemente alle orecchie di chi contadino/a,
operaio/a, studente/ssa, disoccupato/a, senza casa, senza terra, senza
speranza, che la storia non è affatto chiusa e che il loro destini possono
essere riscritti con l'inchiostro della giustizia sociale, della libertà,
della pace.
Torniamo a Genova un anno dopo.
A rincontrare i genovesi, in primo luogo quelli che ci hanno accolto con
simpatia e condivisione dei nostri ideali, nonostante una ossessionante
campagna intimidatoria, per la loro civiltà e per la loro pazienza, ma
anche quelli di loro che erano stati indotti ad allontanarsi da una
propaganda intimidatoria o che lo avevano scelto, perché capiscano che la
violenza stava dentro e dietro le grate e non nasceva dentro un movimento di
migliaia di persone che scendevano in piazza per un mondo migliore.
A riscoprire Genova libera da cancelli, grate, posti di blocco. A continuare
la riflessione, che e' cresciuta e lievitata in mille iniziative durante
questo anno in Italia e nel mondo. A riflettere e a discutere sul nostro
domani, sulla possibilita' di una reale alternativa alla globalizzazione
neoliberista, con una modifica radicale dei saperi che metta al centro la
formazione e la scuola come diritti per tutte e tutti, delle produzioni e
degli stili di vita, a cominciare, dal ripensamento dei
consumi e dal rifiuto di utilizzare cibi geneticamente modificati,
rilanciando l'agricoltura biologica, per continuare con la radicale ed
indifferibile messa in discussione dei rapporti di produzione. Ad appoggiare
e rilanciare tutte le campagne che si stanno sviluppando, come, ad esempio,
quella contro la modifica della legge sulla produzione e il commercio delle
armi, quelle per il boicottaggio di aziende e marchi responsabili di gravi
violazioni di diritti e di attacco all'ecosistema,
quelle per la difesa e l'estensione delle garanzie dello Statuto dei
Lavoratori e la lotta contro ogni forma di precariato, quella per
l'affermazione dei principi di civiltà e di giustizia violati dalla legge
sull'immigrazione Bossi - Fini, quelle per gli acquisti trasparenti e per la
sicurezza alimentare, quella per la fine dell'embargo all'Iraq, quella
contro la Nato, quella che intende riaffermare la difesa e la
riqualificazione della scuola pubblica.
Torniamo a Genova perché le nostre ragioni sono ancora tutte presenti .
Sono ancora di più in movimento.
Nel chiedere al Comune di Genova di contribuire fattivamente a colmare
queste ultime lacune organizzative, si ribadisce il calendario dei tre
giorni clou della prossima settimana:
da Lunedì 15 a domenica 21 mostre fotografiche, spettacoli teatrali e di
strada, proiezioni di video
Venerdi 19 ore
10-13 assemblea
plenaria Social Forum nazionale
Venerdi 19 ore
15-20 assemblee
tematiche di approfondimento
... Alimentazione e agricoltura
... Ambiente
... Guerra
... Immigrazione
... Lavoro e non lavoro
... Narcomafie e antiproibizionismo
... Sanità
Venerdi 19 ore
20-22 dibattito
"dalla FAO a Johannesburg"
Sabato 20 ore
10-13 assemblea
organizzata dal enoa Legal Forum sulle tematiche connesse ai
tentativo in atto di limitare il diritto al dissenso
Sabato 20 ore
15
piazze tematiche
Sabato 20 ore
18
corteo
Sabato 20 ore
20,30 concerto di
presentazione del CD "Genova chiama"
Domenica
ore
10-18 assemblea
plenaria Social Forum nazionale
Domenica
ore
20.30 concerto
Il Social Forum genovese e nazionale parteciperanno ovviamente a tutte le
manifestazioni organizzate dal Comitato Piazza Carlo Giuliani onlus in
ricorrenza dell'anniversario della morte di Carlo e delle violenze subite da
chi era in piazza col GSF a manifestare contro il summit dei G8.
I luoghi degli eventi, al pari dei loro "titoli" precisi, nonché
l'elenco dei principali relatori, verrà fornito non appena
compiutamente definiti.
Nell'informare che è sereno il clima che ha contraddistinto gli incontri
con i responsabili del Comitato per la Sicurezza Pubblica, si comunica che
le notizie pervenuteci offrono un quadro di grande mobilitazione genovese e
nazionale (sono già stati prenotati diversi treni speciali e molti pulman)
e che lo sforzo del SF genovese e nazionale è in questo senso attualmente
indirizzato all'affinamento della struttura organizzativa.
Il gruppo stampa del Social Forum Genovese
E mail : forumsocialegenova@katamail.com
In allestimento www.genoasocialforum2002.org
ULTIMA EDIZIONE DEL PROGRAMMA INIZIATIVE GENOVA LE RAGIONI IN
MOVIMENTO
VENERDI 12 LUGLIO c/o Palazzo della Circoscrizione di Bolzaneto Via
Pastorino 8:
VERITA' SU BOLZANETO!
Parteciperanno:
Laura Tartarini Genoa Legal Forum
Marcello Zinola Rappresentante provinciale del sindacato dei giornalisti
Durante la giornata sarà esposta un mostra sugli eventi del G8 in piazza
Rissotto.
Mostre fotografiche (SOTTOPORTICATO DI PALAZZO DUCALE )
1. "Porto Alegre" a cura del Gruppo Comunicazione del Milano
Social Forum
2. "Un altro mondo e' possibile" a curo di Luciano Ferrara
3. "Libro bianco" a cura del Gruppo Comunicazione del Milano
Social Forum
4. "L'anti G8 dei più" a cura di Silvestro Reimondo
5. "All'ombra del recinto" a cura del Forum Sociale del Ponente
Genovese.
6. "Prima di Carlo" a cura dei comitati Roberto Franceschi, Luca
Rosso, Francesco Lo Russo, Fausto e Iaio, Peppino
Impastato, Franco Serantini ed altri.
7. Testimonianze su Carlo Giuliani raccolte dall'Archivio ligure di
scrittura popolare della Facoltà di Storia di Genova a
cura del prof. Antonio Gibelli
15 - 19 luglio Mostra artisti della CGIL, Biblioteca Berio
dal 17 al 19 LUGLIO : nella SALA MERCATO DEL TEATRO MODENA
17 LUGLIO ORE 21.00 : pièce teatrale del Teatro Danza di Torino
" 22.30 : "
" a cura del Gruppo Limpido
18 LUGLIO ORE 21.30 :
"
" a cura del gruppo Homonovo
19 LUGLIO ORE 21.00 : "
" a cura del Collettivo di Ricerca
teatrale di Vittorio Veneto
"
"
" 22.30 :
"
" a cura degli amici e delle amiche di
Carlo
dal 16 LUGLIO al 18 LUGLIO nel PORTICO DI PALAZZO DUCALE
16 LUGLIO ORE 21.30 : lettura di poesie a cura della CASA PARLANTE
17 LUGLIO " 18.00 :
incontro-dibattito sul tema "Credenti e non credenti nel processo
di globalizzazione"
18 LUGLIO " 21.30 :
"Oggi per la prima volta" pièce teatrale a cura degli amici e
delle amiche di Carlo
Presentazione libri:
18 luglio 2002 ore 16.30 presso Sottoporticato Palazzo Ducale
"L'informazione tradita" ed. Zelig con Angelo Ferrari,
Luciano Scalettari giornalista Famiglia Cristiana
18 luglio 2002 ore 17.30 presso Sottoporticato Palazzo Ducale
"La trappola"; controinchiesta dei fatti di Genova e sul movimento
globale; editori Riuniti
18 LUGLIO " 18.30 presso
Sottoporticato Palazzo Ducale
"Un anno senza Carlo" di Antonella
Marrone ed.Balbini-Castoldi
INIZIATIVE
17 luglio 2002 Biologgia 5 a Loggia Banchi
15 luglio 2002 ore 21 incontro con i Sem Terra Brasiliani Loggia Banchi
18 luglio 2002 ore 21 atrio Palazzo Ducale Concerto di gruppi con
presentazione del CD 'Piazza Carlo Giuliani'.
19 luglio 2002 dalle 15 alle 21 spazi per l'agricoltura biologia e
l'alimentazione responsabile in Piazza Matteotti e
Loggiato Palazzo Ducale.
19 di luglio : consiglio nazionale ARCI alle ore 21 sessione aperta
dei lavori dal titolo
"Società civile, movimenti democratici per il cambiamento a un anno
dai fatti di Genova".
19 luglio alle ore 21.30 : LETTURE DALLA MEMORIA DEL FUOCO di
Edoardo Galeano , a cura della Comunità
di S.Benedetto al Porto e del Connettivo Oskar Matzerath - porticato di
Palazzo Ducale
LE RAGIONI IN MOVIMENTO
19 luglio 2002 ore 10 - 13 Teatro della Corte, uscendo da stazione
Brignole a sinistra.
Assemblea plenaria di presentazione delle tematiche che verranno affrontate
19 luglio 2002 ore 15 - 20 FORUM da tenere in parallelo
Migranti : Commenda di Pre, vicino stazione Principe
Alimentazione - Agricoltura : Loggia Banchi, dietro piazza Caricamento
Antiproibizionismo : Sala Cambiaso, salita S. Francesco vicino piazza
Meridiana
Ambiente : Sala del Camino, via Garibaldi
Guerre : Teatro della Corte
Sanitari del GSF : Villa Rosazza, uscendo da stazione Principe a sinistra.
Lavoro - Non lavoro - precarieta’ : Palazzo San Giorgio, piazza
Caricamento
VERITA' E GIUSTIZIA SUI FATTI DI GENOVA
20 luglio 2002 ore 10 - 13 Convegno gestito dal Genoa Legal Forum Teatro
della Corte
20 luglio 2002 ore 10 - 13 consiglio nazionale forum ambientalista sala
ermi, vico Boccanegra, traversa di via Garibaldi.
20 luglio 2002 ore 10 - 15 incontro cooperative sociali sala Cambiaso.
20 luglio 2002 pomeriggio Incontro di Action for Peace presso Loggia
Banchi
BiciG8 da Bolzaneto a Piazza Alimonda
PIAZZE TEMATICHE : Migranti : piazza della Commenda
Disobbedienza, antiproibizionismo : piazza delle Americhe
Guerre : Piazza Paolo da Novi
ATTAC : Piazza Palermo
sono in via di definizione altre piazze (Legambiente ...)
IL 20 LUGLIO in Piazza Alimonda dalle ore 9.00 alle ore 19.00 il
omitato Piazza Carlo Giuliani accoglierà il fluire delle
persone che verranno a rendere testimonianza a Carlo con musica, lettura di
testi, di poesie
ore 18 : piazza Verdi CORTEO per i diritti.
20 luglio 2002 ore 21 CONCERTO di presentazione del CD 'Genova chiama' Ponte
Parodi
21 luglio 2002 ore 10 - 18 ASSEMBLEA PLENARIA sulle PROPOSTE DEL MOVIMENTO
DEI MOVIMENTI
Teatro della Corte
21 luglio 2002 ore 21 CONCERTO a Ponte Parodi
Pola Manduca
010 2470145 tel e fax
Genova
Email magma2@libero.it
ritorna all'indice
|
|
--- In noocse-bo@y..., "titta"
<trustnone@l...> ha scritto:
www.ilnuovo.it
GENOVA - Ha raccolto due bottiglie incendiarie in Piazza Italia, nel
pomeriggio. Poi, rispondendo a un "ordine di un superiore", le ha
portate nella scuola Diaz, mentre i colleghi delle forze dell'ordine davano
il via al pestaggio di chi vi dormiva.
Arriva a un anno di distanza dal G8 di Genova la confessione choc di A. B.,
25 anni, autista della Polizia di Stato. Lui, primo "pentito"
delle forze dell'ordine, confessa: "le due molotov nella scuola Diaz le
ho portate io.
Ho obbedito all'ordine di un mio superiore".
Stando a quando anticipato dal quotidiano La Repubblica, l'agente avrebbe
anche fatto il nome dell'ufficiale che gli avrebbe imposto di trafugare le
bottiglie incendiarie per giustificare il pestaggio della Diaz. Si tratta
del vice-questore Pietro Troiani del Reparto Mobile di Roma, già indagato
per falso e calunnia dopo che un collega lo aveva accusato di aver
manipolato le informazioni che innescarono l'irruzione del 21 luglio.
(28 LUGLIO 2002, ORE 10:48)
ritorna all'indice
|
|
Lettera aperta di 4 della Diaz
"ERAVAMO ALLA DIAZ, PER FAVORE PROCESSATECI"
Eravamo dentro la scuola Diaz la notte del 21 luglio 2001. Oggi abbiamo una
richiesta da fare: chiediamo di essere processati. Il pm l'altro ieri ha
chiesto al gip di archiviare le accuse contro di noi: resistenza a pubblico
ufficiale, lesioni plurime aggravate, detenzione di armi. Secondo il pm,
quelle accuse vanno archiviate (resta aperta l'inchiesta per assozciazione a
delinquere) perché - scrive - "è risultata carente da parte della
polizia giudiziaria l'individuazione soggettiva dei responsabili delle varie
ipotesi criminose". In sostanza si propone al gip il proscioglimento
perché non è possibile stabilire chi, fra i 93 finiti nella mattanza di
quella notte, avrebbe opposto resistenza, aggredito i poliziotti, custodito
le armi.
Noi diciamo no a questa motivazione. Preferiamo un processo: vogliamo che
tutte le accuse siano esposte pubblicamente. Noi non abbiamo nulla da temere
e soprattutto crediamo che tutti i cittadini abbiano diritto di sapere se e
come qualcuno ha mentito nel ricostruire i fatti della Diaz. Nell'ordinanza
del pm si parla di aggressioni subite dai poliziotti, ma per l'episodio più
grave, l'accoltellamento denunciato dalll'agente Nucera, lo stesso pm cita
la perizia dei Ris dei carabinieri che smentisce la sua versione. E sempre
il pm scrive che "altri agenti riportavano lesioni di modestissima
entità, per alcuni indipendenti dall'azione degli occupanti". Ci
risulta che gran parte di questi agenti di fronte ai magistrati si siano
addirittura avvalsi della facoltà di non rispondere: avevano forse paura di
raccontare le aggressioni subite?
Il pm ci accusa di resistenza anche perché appena prima dell'irruzione
qualcuno, dall'interno, chiuse il cancello e il portone della scuola. Cita
anche il lancio di oggetti dalla finestre. Sono ipotesi di reato che
potremmo valutare durante il dibattimento, per una ricostruzione accurata di
tutti i fatti accaduti alla Diaz e durante i giorni del G8. Dentro quella
scuola siamo stati pestati selvaggiamente. Ne siamo usciti in barella e in
stato d'arresto, mentre il portavoce della polizia spiegava ai giornalisti
che il nostro sangue, le nostra ossa rotte dai managanelli, erano
"ferite pregresse". L'arresto era motivato dal ritrovamento di
"armi", ossia due molotov, all'interno della scuola. Oggi
sappiamo, dalle testimonianze degli stessi agenti, che le due molotov furono
portate lì dalla polizia: per questa ragione agenti e funzionari sono sotto
inchiesta.
E' normale tutto questo? E' normale che la polizia ricostruisca un pestaggio
mascherato da "perquisizione" (63 persone finirono in ospedale) in
modo così fasullo e spesso infamante? Noi vogliamo il massimo della
trasparenza, perciò non accettiamo un'archiviazione così ambigua. Il blitz
alla Diaz è stato un sistematico pestaggio, corredato da ricostruzioni
ufficiali false e reticenti. Come vittime e come cittadini abbiamo il
diritto di chiederne conto. Vogliamo il processo, in modo che i poliziotti
possano esporre pubblicamente le loro accuse. Noi diremo la nostra. Abbiamo
il vantaggio di non avere nulla da nascondere.
Arnaldo Cestaro, Lorenzo Guadagnucci, Matteo Bertola, Sara Gallo Bartesaghi
ritorna all'indice
|
COMUNICATO STAMPA
Genova, 7 dicembre 2002
Il Forum
Sociale di Genova, Il Comitato Piazza Carlo Giuliani, il Comitato Verità e
Giustizia per Genova e la CGIL chiamano tutti ad una giornata di
controinformazione e mobilitazione da tenersi a Genova sabato 14 dicembre.
Gli arresti della scorsa notte, la richiesta di archiviazione per Mario
Placanica, delineano una tendenza ed una volontà chiara sui fatti di
Genova: chiudere al più presto le inchieste, cancellare la memoria, evitare
accuratamente di indagare sulle responsabilità delle forze dell'ordine
nelle vicende del luglio 2001.
Noi non ci stiamo.
Insieme a tantissimi cittadini di
questo paese e di tutto il mondo chiediamo, ormai da 17 mesi, verità e
giustizia per i fatti di Genova. Non possiamo accettare che le inchieste si
chiudano ancora una volta creando un'altra pagina nera nella storia
d'Italia. E non possiamo accettare che la Procura di Genova, indaghi a senso
unico sui manifestanti, e che non abbia neppure ipotizzato di avviare una
inchiesta sulla gestione criminale e repressiva dell'ordine pubblico con
l'uso di armi e gas CS nei confronti delle manifestazioni di piazza durante
il G8.
Chiediamo ancora oggi una
Commissione Parlamentare d'Inchiesta sui fatti di luglio 2001, perché non
possiamo dimenticare e permettere che a scrivere la storia di quelle
terribili giornate siano solo magistrati. Chiediamo che siano
individuate anche le responsabilità politiche di chi ha gestito l'ordine
pubblico di quei giorni, di chi ha operato una sospensione dei diritti
costituzionali di migliaia di persone, picchiando, torturando e sequestrando
manifestanti pacifici e inermi.
Denunciamo inoltre l'uso illegittimo
ed intimidatorio della custodia cautelare, ad un anno e mezzo dai fatti, nei
confronti delle persone indagate.
Invitiamo tutti ad una grande mobilitazione nazionale sabato 14 dicembre
2002, per ottenere verità e giustizia su Genova e contrastare il clima di
criminalizzazione del dissenso che sta prendendo piede nel nostro paese. Per
ribadire oggi come allora le ragioni che ci hanno visto insieme a Genova,
come a Firenze, Cosenza e Torino.
ritorna all'indice
|
LA LETTERA DI DE GENNARO SUL G8 AL SECOLO XIX
30.12.02
De Gennaro sul G8 «Autocritica per gli errori ma polizia all'altezza»
GIANNI DE GENNARO
Caro Direttore, rispondo al cortese invito che Maurizio Maggiani mi ha
rivolto dalle colonne del suo giornale, pur essendo fermamente convinto che
chi come me ha scelto di servire lo Stato debba prediligere - non per voto,
ma per dovere - la discrezione e la riservatezza.
Considero, tuttavia, oggi mio dovere dare voce alle migliaia di uomini e
donne della Polizia di Stato e di tutte le forze dell'ordine che ogni
giorno, in ogni angolo d'Italia, in silenzio, assolvono ai loro compiti
assumendo su di sé rischi e responsabilità. Lo farò nel doveroso rispetto
della Procura di Genova, cui sono grato per il lavoro che sta serenamente
svolgendo per ricostruire, con puntualità e rigore, fatti e circostanze
accaduti in quei tremendi giorni del luglio 2001.
Sono certo che dalla Magistratura genovese verrà una risposta chiara ed
esauriente sulle specifiche responsabilità di chiunque risulterà abbia
commesso reati.
Per parte mia il contributo alla verità che posso offrire è quello che mi
ha già portato, anche nelle sedi istituzionali e giudiziarie, a condividere
con i miei collaboratori la responsabilità della gestione di una vicenda
assai complessa, cui abbiamo dedicato professionalità ed onestà
intellettuale, animati dal solo proposito di operare per la migliore
riuscita dell'evento. Proprio per questo penso che sia necessario accertare
gli errori ed individuarne i responsabili, senza però nulla concedere a
giudizi affrettati o ricostruzioni parziali.
Le forze di polizia a Genova hanno dovuto affrontare un compito gravosissimo
che, per la durata e la concentrazione degli eventi, non mi risulta abbia
avuto precedenti nel nostro Paese. Vi era infatti la triplice necessità di
garantire contestualmente la sicurezza dei capi di Stato e di Governo, la
libertà di manifestazione, la protezione dei genovesi.
Il tutto con un incombente rischio di terrorismo internazionale che pochi
mesi prima aveva portato le autorità statunitensi a chiudere la propria
Ambasciata a Roma; mentre il terrorismo nostrano si era risvegliato proprio
alla vigilia del G8 con una studiata scansione di attentati incendiari e
dinamitardi che, solo per caso, non avevano mietuto vittime.
Ebbene, nonostante questo quadro generale e nonostante le difficoltà
operative accentuate dal particolare assetto urbano di Genova, le forze
dell'ordine si sono dimostrate all'altezza della situazione.
Basti ricordare che è stato predisposto un piano di protezione dei luoghi
di lavoro e di residenza per oltre ottomila delegati italiani e stranieri e
per quasi cinquemila rappresentanti della stampa italiana ed estera; è
stata resa assolutamente sicura una vasta porzione della città con i suoi
trentamila residenti; sono state adottate misure precauzionali con la
chiusura di svincoli autostradali e snodi ferroviari, pur senza impedire la
libera circolazione.
Impossibile dire quanti imprevisti abbiamo superato, quanti pericoli abbiamo
evitato.
Eppure, mentre qualcuno criticava le nostre scelte additandole alla pubblica
opinione come un tentativo di impedire surrettiziamente la libertà di
circolazione e di manifestazione, gli agenti della Polfer ed i loro
dirigenti si impegnavano, assieme ai vertici delle Ferrovie, ad allestire
treni speciali per favorire la mobilità dei manifestanti: almeno
centocinquanta persone hanno potuto raggiungere Genova per esprimere le loro
idee e ed il loro dissenso, grazie anche all'impegno ed allo spirito di
servizio delle forze di polizia.
La pure e semplice verità, caro Direttore, è che gli eventi hanno di gran
lunga superato l'immaginazione e le misure di prevenzione adottate; come
hanno certamente superato la buona fede di molti organizzatori delle
manifestazioni che forse avrebbero potuto, ascoltando con maggiore
disponibilità le nostre preoccupazioni, contribuire a ridurre i rischi e i
danni.
La verità che dunque posso offrire ai cittadini di Genova è quella che -
al di là di specifici episodi tuttora al vaglio del magistrato - emerge da
una obiettiva ricostruzione di quei terribili giorni e dalla serena
valutazione di numerose altre manifestazioni di protesta che si sono svolte
successivamente in tutta Italia.
Rispondo così ad una precisa sollecitazione del suo editorialista.
Una soltanto era la volontà della autorità di pubblica sicurezza preposte
a gestire un evento così difficile, quella di attuare in pieno le direttive
del Governo: sicurezza del vertice, protezione di Genova e dei suoi
abitanti, garanzia delle libertà di manifestare e tutela dei manifestanti
pacifici.
Per il raggiungimento di questi obiettivi si è concordemente mossa una
complessa macchina organizzativa che ha visto operare all'unisono oltre
quindicimila uomini e donne delle forze dell'ordine e delle forze armate,
migliaia di mezzi, decine di strutture di supporto. Carenze ed errori di
singoli, ora all'esame della Magistratura, non possono comunque mettere in
dubbio la complessiva correttezza e l'efficacia dell'operazione.
La preordinata violenza di una consistente minoranza di facinorosi,
l'adozione di tecniche di guerriglia urbana che non è stato, al momento,
possibile contrastare, la forte tensione che ne è conseguita, il necessario
impiego della forza per garantire l'ordine pubblico che spesso determina
conseguenze non volute: tutto ciò costituisce il riepilogo drammatico di
una vicenda che ha insegnato a tutti qualcosa.
La verità è che la stragrande maggioranza pacifica dei dissenzienti ha da
allora meglio compreso che occorre isolare chiunque voglia esprimere le
proprie idee con il ricorso alla violenza. E così si è impegnata a fare
dopo le tragiche vicende del G8.
La verità è che le forze di polizia, eredi di una profonda e radicata
tradizione democratica di tutela delle libertà, credono nei valori della
nostra Costituzione, detestano la violenza e ricorrono all'uso della forza
solo quando è assolutamente indispensabile, preferendo invece l'arma del
dialogo e il metodo della prevenzione.
Vengono dalla sincera condivisione di queste verità le decine di
manifestazioni pacifiche che quotidianamente si svolgono nelle strade e
nelle piazze delle nostre città; e vengono da qui la capacità di fare
autocritica per gli errori commessi e la forte richiesta delle donne e degli
uomini delle forze dell'ordine di essere capiti nelle loro difficoltà e di
essere aiutati a superarle per il bene di tutti.
Non ci sono altre verità, c'è invece il desiderio ed il bisogno di
ringraziare la città di Genova, per la tenacia e la tolleranza dei suoi
cittadini, che ancora una volta hanno dimostrato di saper comprendere e di
saper affrontare disagi e difficoltà dando a tutti una persuasiva lezione
di civiltà.
Signor Direttore, so qual è l'impegno che ci attende nel prossimo futuro,
quali sono le insidie - ed il vile attentato alla Questura ne è un triste
esempio - ma mi sento di poter dare piena garanzia a tutti che sulle nostre
forze dell'ordine, sulla loro affidabilità e disciplina, sul loro senso del
dovere e sul loro spirito di sacrificio ci si può contare, perché esse
sono
e vogliono essere un saldo presidio di libertà per tutti gli italiani. Buon
Anno.
Gianni De Gennaro
ritorna all'indice
|
LA REPUBBLICA: G8, I SUPERPOLIZIOTTI CONFESSANO: ALLA DIAZ ERRORI E
VIOLENZE
G8, i superpoliziotti confessano
"Alla Diaz errori e violenze"
Le accuse a Canterini e gli interrogatori dei pm genovesi
inventato anche l'accoltellamento di un agente
di MASSIMO CALANDRI e MARCO PREVE
GENOVA - "Una leggerezza", ammette il vice-questore Pasquale
Troiani. Fu una "leggerezza" portare nella scuola Diaz le due
molotov per incastrare i 93 no-global ospiti dell'istituto. Spartaco Mortola,
ex capo della Digos genovese, riconosce che quella notte arrestare i
manifestanti fu probabilmente "una forzatura giuridica". Francesco
Gratteri, capo dello Sco, spiega come il finto accoltellamento dell'agente
potrebbe essere servito a giustificare "l'eccesso di violenza" dei
Nuclei anti-sommossa. E riflette: "Oggi forse non ripeterei quello che
ora forse ritengo un errore, e cioè essermi recato là". Leggerezze,
forzature, eccessi, errori.
E' una sconvolgente confessione, quella che emerge dai verbali dei
super-poliziotti interrogati dalla Procura di Genova sul famigerato blitz
della notte del 21 luglio 2001, una delle pagine più nere della storia
della polizia italiana. Un'operazione che doveva permettere di recuperare
l'immagine delle nostre forze dell'ordine agli occhi del mondo, dopo che
quel pomeriggio la televisione aveva mostrato le devastazioni delle Tute
Nere: ma i giornalisti convocati a tempo di record dall'addetto stampa del
Viminale finirono per testimoniare quella che un altro funzionario,
Michelangelo Fournier, braccio destro di Canterini, ha definito
"un'azione da macellai". Arnaldo La Barbera, capo dell'Ucigos
scomparso nei mesi scorsi, sosteneva di averlo capito subito: "Mi
avvicinai a Canterini, sconsigliandolo di proseguire nell'operazione".
I "celerini" non avevano ancora sfondato il cancello della scuola,
erano da poco trascorse le 23. I verbali, che Repubblica è in grado di
anticipare, fanno parte della richiesta di archiviazione presentata dal
procuratore aggiunto Francesco Lalla per i 93 della Diaz, ma sono contenuti
anche nel delicatissimo fascicolo che i pm del pool G8 hanno ultimato in
questi giorni: le accuse per agenti e superiori vanno dalle lesioni al
falso, alla calunnia. Il rinvio a giudizio per gli indagati - un centinaio
di persone in tutto - è atteso nelle prossime settimane.
"La mia leggerezza".
Il vice-questore Pasquale Troiani, responsabile della logistica durante il
G8, non avrebbe mai dovuto essere in via Cesare Battisti. Invece si aggrega
ai Nuclei anti-sommossa, e prima di lasciare la questura giura di aver
saputo che sul furgone guidato dall'assistente Michele Burgio ci sono due
molotov, rinvenute nel pomeriggio in un'aiuola di corso Italia. Una volta
alla Diaz, confessa, "dissi a Burgio di portarmi le bottiglie".
Ricorda di averle consegnate nel cortile della scuola ad un collega, il
vice-questore Massimiliano Di Bernardini, alla presenza di Gilberto
Caldarozzi, vice di La Barbera. "Quando le ho portate e mi ha chiesto
dove fossero state trovate ho detto che erano state trovate nel cortile o
nell'immediatezza delle scale d'ingresso. Questa è stata la mia leggerezza,
e me ne rendo conto".
Michele Burgio, il poliziotto "pentito" che con la sua confessione
ha permesso ai magistrati di scoprire il primo dei clamorosi falsi, nel
pomeriggio aveva parlato di quelle molotov al generale Valerio Donnini,
responsabile dei Reparti mobili italiani che viaggiava sul furgone da lui
guidato. "Quando è arrivato il dottor Donnini gli ho fatto presente
che c'erano le bottiglie (chiedendo se non era il caso di portarle in
questura, spiega in un altro passaggio) e lui si è rivolto a me in modo
alterato, come se avessi fatto una domanda stupida o che comunque non dovevo
fare". La sera, davanti alla Diaz, "ho ricevuto una telefonata del
dottor Troiani che mi ha detto di portare le cose che avevamo sul
mezzo".
Le accuse di Gratteri.
Il capo dello Sco "non ricorda" quando nel cortile della Diaz i
super-poliziotti - lui compreso - osservano il sacchetto con le molotov, e
comunque spiega di essersi subito allontanato. Ma ha le idee chiare sui
presunti falsi: "Se dovessi impostare un'indagine su quanto è accaduto
alla Diaz, partirei dal dato che a determinare il caos all'interno della
scuola potrebbe essere stato qualcuno del reparto mobile o di altri reparti,
così come l'episodio dell'accoltellamento simulato possa essere servito a
parare l'eccesso di violenza usato nei confronti di alcuni occupanti della
Diaz; penso che anche l'episodio delle bottiglie sia stato montato per
giustificare quanto accaduto all'interno della Diaz; ritengo che sarebbe
importante determinare chi abbia comandato Troiani di venire alla Diaz; può
essere che egli si sia mischiato con gli altri e che abbia fatto quello che
hanno fatto gli altri del reparto mobile e che abbia pensato di coprire
quanto accaduto all'interno; ritengo che comunque molti potrebbero essere i
moventi concreti alla base dei fatti che sono stati contestati a una
componente della Polizia di Stato che non ritengo rappresentativa della
Polizia di Stato".
Le nuove contraddizioni.
Spartaco Mortola dà un'altra versione sulle molotov: le vede per la prima
volta al piano terra della scuola, gliele mostrano due agenti del reparto
mobile ("Guardate cosa abbiamo trovato"). Con lui ci sono due
colleghi che non ricorda bene: forse La Barbera, Gratteri. Dice di aver
visto dentro la Diaz "circa 50 persone a piano terra, tranquille e
apparentemente non ferite", spiega gli errori nell'attribuzione delle
prove a carico dei manifestanti sostenendo che "si era creata
confusione". E quando gli si chiede del perché dell'arresto dei 93,
risponde: "Posso solo dire, a posteriori, che c'è stata qualche
forzatura giuridica". Michelangelo Fournier, invece, nella scuola
ricorda ragazzi pacifici "con evidenti segni di pestaggio", e di
aver gridato agli agenti "Basta, basta!": "era uno sfogo
istintivo e rabbioso davanti a quanto avevo visto in quei locali".
(7 gennaio 2003)
ritorna all'indice
|
STRASBURGO E DIRITTI UMANI IN ITALIA
Strasburgo, 13:44
L'Europarlamento critica Italia sui diritti umani
L'Europarlamento ha criticato oggi a Strasburgo l'Italia nella relazione
annuale sullo stato dei diritti umani per la repressione delle
manifestazioni al G8 di Genova, per il conflitto di interessi e per i
processi lumaca.
Il documento sullo stato dei diritti umani nell'Ue, contro il quale si erano
pronunciati il Ppe e l'eurodestra, è stato adottato dalla plenaria con
cinque voti di scarto (274 a favore, 269 contrari e 14 astensioni) per
iniziativa della relatrice socialista olandese Joke Swiebel.
Nella relazione annuale dell'Europarlamento tutti i paesi comunitari sono
oggetto di critiche. L'Italia viene citata soprattutto su quattro punti.
L'articolo 28 della risoluzione "deplora le sospensioni dei diritti
umani avvenute durante le manifestazioni pubbliche e in particolare in
occasione della riunione del G8 a Genova". In un emendamento adottato
per iniziativa del Pse inoltre l'Europarlamento afferma che "per quanto
riguarda i disordini di Genova, continuerà ad accordare particolare
attenzione al seguito delle indagini amministrative avviate in Italia per
avvertire se in tale occasione si sia ricorsi a trattamenti o punizioni
disumane o degradanti".
Sul conflitto di interessi, il parlamento europeo nel comma 39 bis del
documento (adottato per iniziativa del Pse) si dichiara "preoccupato
per la situazione in Italia dove gran parte dei media e del mercato della
pubblicità è controllato - in forme diverse - dalla stessa persona" e
"ricorda che una tale situazione potrebbe costituire una grave
violazione dei diritti fondamentali a norma dell'articolo 7 del trattato Ue
modificato dal trattato di Nizza".
Al comma 132 invece l'aula esprime "apprensione per il grandissimo
numero di casi in cui la corte europea dei diritti umani ha constatato la
violazione da parte dell'Italia del diritto a un termine ragionevole"
nello svolgimento dei processi. "Questa tendenza nuoce alla fiducia
nello stato di diritto" afferma l'Europarlamento, che ha chiesto
"all'Italia di adottare tutte le misure necessarie per garantire
procedimenti attuati per tempo e equamente". Nel paragrafo successivo
l'Italia viene criticata con Ausria, Belgio, Francia, Portogallo, Svezia e
Regno Unito.
L'Europarlamento esprime "grande preoccupazione per il clima di impunità
che sta sorgendo in alcuni stati membri dell'Ue" - e qui cita questi
sette paesi - in cui gli atti illeciti e l'abuso della violenza da parte
degli agenti di polizia e del personale carcerario, soprattutto nei
confronti dei richiedenti l'asilo dei profughi e delle persone aderenti a
minoranze etniche, non vengono adeguatamente sanzionati".
ritorna all'indice
|
CANTERINI CHIEDE LA COMMISSIONE D'INCHIESTA PARLAMENTARE
dal manifesto 16 gennaio
ALESSANDRO MANTOVANI
Vincenzo Canterini ha perso la pazienza, faticano a trattenerlo: il
comandante del reparto mobile (ex celere) di Roma vuole la commissione
parlamentare d'inchiesta sul G8, chiede di istituirla al più presto.
Canterini punta il dito contro «la catena di comando che ha progettato e
fatto eseguire la perquisizione alla scuola Diaz», per la quale è indagato
per lesioni, falso e calunnia. Dice che a Genova «l'intelligence ha
sbagliato tutto, prevedendo i soliti scontri con i centri sociali e
sottovalutando, invece, la guerriglia dei black bloc, che ora si chiamano
black bloc ma all'epoca - ricorda - li chiamavano anarchici
insurrezionalisti». Canterini parla come membro della segreteria del Consap,
accompagnato per l'occasione da Filippo Bertolami dell'Associazione
funzionari di polizia (Anfp). E del resto la commissione d'inchiesta la
chiede già l'Usp di Gian Paolo Tronci, altro sindacato di ps tutt'altro che
di sinistra. Bertolami e Canterini hanno incontrato ieri i giornalisti a una
settimana dalla pubblicazione su manifesto, Repubblica e Secolo XIX dei
primi stralci dei verbali dell'inchiesta Diaz (7 gennaio). Volevano
rispondere a Francesco Gratteri, il direttore del Servizio centrale
operativo legato a doppio filo al capo della polizia, Gianni De Gennaro.
Perché Gratteri, anch'egli indagato, ha consegnato ai pm genovesi una
ricostruzione inaccettabile: sarebbe tutta colpa del reparto romano, non
solo per il pestaggio ma anche per «l'accoltellamento simulato»
(denunciato da un agente di Canterini, Massimo Nucera) e per le due
famigerate molotov (portate dal vicequestore aggiunto Pietro Troiani, in
passato in forza al reparto romano, ma poi finite a due alti funzionari come
Gilberto Calderozzi, vice di Gratteri allo Sco, e Gianni Luperi, numero due
dell'antiterrorismo). Ai pm Gratteri ha detto: «A determinare il caos nella
scuola potrebbe essere stato qualcuno del reparto mobile o di altri reparti,
così come l'episodio dell'accoltellamento simulato può essere servito a
parare l'eccesso di violenza usato nei confronti di alcuni degli occupanti;
penso che anche l'episodio delle bottiglie sia stato montato per
giustificare quanto accaduto. Sarebbe importante determinare chi abbia
comandato Troiani di venire alla Diaz, può essere che si sia mischiato con
gli altri e che abbia fatto quello che hanno fatto gli altri del reparto
mobile e che abbia pensato di coprire l'accaduto. Molti potrebbero essere i
moventi da parte di una componente della polizia che non ritengo
rappresentativa», ha concluso il capo dello Sco, che il 30 luglio scorso
era costretto a giustificarsi dinanzi al filmato che ritrae i big della ps
attorno al sacchetto azzurro delle molotov. A pochi metri c'era anche
Gratteri. E Canterini.
A parte il prefetto Arnaldo La Barbera, scomparso di recente, Gratteri era
il più alto in grado alla Diaz. Se uno come lui accusa una specifica «componente
della polizia» dovrebbe essere più preciso. Osservano Bertolami e
Canterini: «Riferendoci al ministro dell'interno Pisanu, il quale,
riconfermando che non coprirà eventuali responsabili, ha parlato delle
forze dell'ordine come di un corpo sano e di sicura fede democratica in
grado di riconoscere se al proprio interno sono stati commessi degli errori
e di porvi rimedio, dobbiamo registrare il fondato timore che in un clima di
sospetto diffuso possano volare gli stracci, finendo con il rompere il
classico vaso debole, che per ragioni di opportunità, fosse individuato».
In realtà gli stracci volano da un pezzo. E l'anello debole è la «celere»,
o magari quella «componente della ps» che non piace a Gratteri. «A cosa
si riferisce? Quale `componente'?», chiede il capo del reparto romano. «A
maggior ragione oggi - aggiungono Bertolami e Canterini - con l'Italia
condannata dall'Europa, vogliamo un'inchiesta parlamentare perché quella
penale non basta, nonostante sia condotta in modo eccellente e tra mille
difficoltà. Bisogna accertare cosa non ha funzionato, le ragioni della
mancanza di coordinamento che è sempre alla base dell'uso indiscriminato
della forza, la confusione nella linea di comando, la presenza di esponenti
politici in una sala operativa e non nell'altra» (Gianfranco Fini e altri
di An erano ospiti dei carabinieri, ndr).
Il reparto di Canterini al massacro ha partecipato, ma c'erano anche altri.
«Non lo dico solo io, lo dice il vostro collega del Carlino Lorenzo
Guadagnucci, pestato da un poliziotto in camicia bianca - s'infiamma
Canterini - E quelli non eravamo noi». Quelli dipendevano da una linea di
comando che - secondo gli atti - era tutt'altro che «confusa». Contano i
gradi, in polizia, e alla Diaz c'erano pezzi da novanta, tutti o quasi
provenienti dal mondo delle squadre mobili, dal mondo di De Gennaro,
specializzati cioè nella lotta al crimine ma digiuni di politica ed
eversione. E i capi si mantenevano in contatto con Roma, prima durante e
dopo.
ritorna all'indice
|
GLF: COMUNICATO STAMPA
GENOA LEGAL FORUM
Comunicato Stampa
Genova, 14 gennaio 2003
Due Colleghi sono stati raggiunti da informazione di garanzia - da parte
della Procura di Genova - per aver, secondo l'ipotesi accusatoria,
indebitamente rivelato alla stampa, consentendone la pubblicazione, il
contenuto dei verbali degli interrogatori di agenti e funzionari di polizia,
indagati per l'irruzione all'interno della scuola Diaz.
I due colleghi sono altresì stati raggiunti da provvedimento di sequestro
dei suddetti verbali, operato nella giornata di venerdì, 10 gennaio scorso,
presso i loro studi professionali.
Il GLF, così come la Procura formula le proprie ipotesi di lavoro (tale
deve ritenersi l'apertura di un procedimento penale, nei confronti dei due
Colleghi e dei giornalisti che sono con loro indagati), ha qualche
osservazione da formulare nella legittima aspettativa che qualcuno vi dia
riscontro.
1) Per quanto a nostra conoscenza, l'unico elemento che permette di
ricondurre la pubblicazione dei verbali in questione ai due Colleghi - cui
va, sarà il caso di precisarlo, la nostra incondizionata solidarietà - é
il fatto che essi avessero legittimamente richiesto ed ottenuto di estrarre
copia degli atti in questione.
Il fatto che, pur essendo potenzialmente molteplici le fonti da cui la
stampa potrebbe aver attinto il testo dei verbali "incriminati",
LA PROCURA pensi IMMEDIATAMENTE agli avvocati e passi nei loro confronti ad
azioni concrete, é in sé davvero significativo.
2) Al di là della considerazione che precede, non é fuori luogo far notare
che i suddetti verbali sono giunti, provenienti dalla Procura, nella
cancelleria del G.I.P. allegati alla richiesta di archiviazione del
procedimento a carico dei 93 manifestanti (ove le copie sono state
legittimamente richieste ed estratte) senza che fosse indicato il permanere
della loro "secretazione". Era, dunque, più che giustificato
ritenere che, per tale, sola circostanza, detto segreto dovesse
intendersi caducato.
3) Assolutamente sorprendente e per nulla condivisibile é infine
l'iniziativa della Procura che, nella giornata di venerdì u.s., ha ritenuto
di procedere al sequestro di copia dei suddetti verbali, presso gli studi
professionali dei due Colleghi.
A tale riguardo, é doveroso rimarcare come:
A) Il suddetto sequestro sia avvenuto in assoluto spregio alle garanzie di
legge che regolano il compimento di simili atti presso gli studi dei
difensori;
B) Esso inserisca ad atti che - lo si ripete - erano stati legittimamente
acquisiti ed altrettanto legittimamente erano detenuti dagli interessati.
ritorna all'indice
|
G8: VIDEO "GENOVA LUGLIO 2001 - I DIRITTI NEGATI"
Per chi è interessato, da oggi è disponibile il video "Genova
luglio 2001 - i diritti negati" prodotto da Indymedia ed il Genoa Legal
Forum.
Il costo è di 8 euro + spedizione.
Chi volesse acquistare i video può inviare una e.mail a info@genoalegalforum.org
(comunicando l'indirizzo esatto per la spedizione) ed un fax allo 010
2461413 (inviando la ricevuta del pagamento per l'acquisto del/i video).
Gli estremi x fare il versamento sono: c.c.postale 34566992 intestato a:
verità e giustizia per Genova causale: video GLF
GENOVA LUGLIO 2001 - I DIRITTI NEGATI
Durante le giornate del G8 a Genova le Forze dell'Ordine - Carabinieri,
Polizia di Stato, Guardia di Finanza - hanno commesso una serie di violenze
che resteranno nella storia del nostro paese come una delle pagine più
drammatiche dal dopoguerra ad oggi.
Amnesty Internazional ha parlato esplicitamente di "sospensione dei
diritti" e di "torture".
Molti parlamentari, anche a livello europeo, si sono espressi con parole
dure parlando di azioni da "stato cileno".
Con questo video il Genoa Legal Forum in collaborazione con Indymedia,
presentano una serie di immagini molto crude che documentano solo una parte
di queste violenze.
Nella ricerca della verità su quelle giornate si incontrano molte difficoltà
nel reperimento della documentazione che sarebbe necessaria per completare
un'analisi della strategia di piazza messa in atto da parte di apparati o
pezzi dello Stato e del Governo.
Molti video sono stati sequestrati durante varie perquisizioni o addirittura
sono andati distrutti durante gli interventi delle Forze dell'Ordine.
In altri casi, come Bolzaneto o la Caserma di Forte San Giuliano non esiste
una documentazione video ma solo una serie di testimonianze orali e/o
scritte.
Questa selezione di immagini, spesso poco viste, vuole essere un primo
strumento di riflessione e un atto d'accusa contro quei settori delle Forze
dell'Ordine che hanno tradito i loro compiti legittimi e costituzionali.
Il Comitato Verità e Giustizia per Genova, fondato da un gruppo di
testimoni dei fatti, giornalisti, medici, sindacalisti e sostenuto dagli
avvocati del Genoa Legal Forum, sta lavorando per:
1) raccogliere e gestire fondi per le difese di coloro che sono rimaste
vittime della repressione delle forze dell'ordine, sia come parti offese che
come indagati, a Genova durante il G8
2) informare sui fatti e sulle inchieste della magistratura.
Per sostenere il Comitato Verità e Giustizia per Genova C.C.Postale
34566992 intestato a: Verità e Giustizia per Genova
Per informazioni www.veritagiustizia.it
ritorna all'indice
|
G8: VIOLENZE DA 100.000 EURO
dal Secolo XIX 9.3.03
Genova. Centomila euro di indennizzo.
Per i danni materiali e morali subiti con il pestaggio da parte di due
poliziotti (un uomo e una donna) in piazza Manin nel pomeriggio del 20
luglio del 2001, durante il G8. Li chiede, assistita dai legali Marco Vano e
Alessandra Ballerini, Marina Pellis Spaccini, 52 anni, pediatra, della rete
Lilliput.
La sua foto, scattata mentre assiste un ferito, pubblicata dal Piccolo di
Trieste e sulla copertina di Diario aveva fatto il giro del mondo.
Marina Spaccini della rete Lilliput ha citato in giudizio il ministero
dell'Interno. Analoga causa a Bologna
Violenze da 100 mila euro
Una pediatra picchiata durante il G8 chiede i danni
Genova. Di quel pomeriggio del 20 luglio in piazza Manin conserva un ricordo
nitido. Unito, ancora oggi, all'incredulità per la violenza alla quale ha
assistito e di cui è stata vittima. Un'immagine, soprattutto, è rimasta
negli occhi e nel cuore di Marina Pellis Spaccini, pediatra triestina:
quella dei due agenti, un uomo e una donna, che la colpirono. Marina
Spaccini racconta senza rancore, ma con grande determinazione. A Genova era
venuta con la figlia e gli amici della rete Lilliput. Una delle anime più
pacifiche del "movimento".
«Li ricordo. Li ricordo bene. L'uomo sembrava un animale in caccia, urlava,
era ansimante, fradicio di sudore dentro quella sorta di scafandro-divisa,
con il casco calato sul viso. Poco più in là, la ragazza poliziotta.
Immobile di fronte a quel ragazzo pieno di sangue, sdraiato dentro una sorta
di nicchia del muro».
E' il giovane che lei stava assistendo e che è al centro della foto simbolo
della copertina di "Diario". «Ho scritto a "Diario", ho
cercato di conoscerlo, di sapere chi fosse quel giovane. Non ci sono
riuscita. E' stato un pomeriggio di assurda e ingiustificata violenza».
Erano all'incirca le 14.30 di venerdì 20 luglio, in piazza Manin. «Ero lì
con la rete Lilliput, avevamo appena fatto mezza manifestazione. Ci
avvertirono che c'era il rischio dell'arrivo dei cosiddetti Black Block e
della polizia. Cercammo di arretrare da via Assarotti, risalendo verso la
piazza, per non lasciare schiacciato e senza vie di fuga chi era in basso».
Arrivano i Black Block e la polizia. «Il primo è stato un ragazzino, l'ho
visto, era giovanissimo, aveva una maglietta nera in testa a mo' di
turbante. Ha tagliato il nostro gruppo, quando ha visto che nessuno lo
seguiva o inseguiva, se ne è andato. Sono passati altri, poi è arrivata la
polizia». E succede che...
«Si fermano. Ci guardano minacciosi. E inizia la violenza. Eravamo tutti
con le mani alzate. Io avevo in mano una bandiera della pace. Ho visto una
ragazzina picchiata, terrorizzata, una parlamentare di Rifondazione ferita».
Lei assiste gli altri, quasi non si rende conto che arriva il suo
"turno".
«Mi sono accorta "dopo" di un taglio in testa di alcuni
centimetri, poi suturato con alcuni punti. E' l'immagine dei due agenti che
non dimenticherò».
Un uomo e una donna. «Ho anche pensato, "ma guarda cosa fanno fare
anche a queste ragazze". Lui, l'uomo, dentro quella specie di
scafandro, urlava.
Sembrava un animale in caccia, sudato, stravolto, ansimante per lo sforzo
compiuto per colpire e per correre». Lei ha riconosciuto chi l'ha
aggredita?
«No, avevano i caschi e i fazzoletti sul viso. Ma si vedeva che uno era un
uomo, l'altro una donna». La violenza scema. I Black Block sono lontani.
Lapolizia si ferma. «A un medico viene spontaneo cercare chi sta male ed è
in difficoltà. Ho cercato la ragazzina ferita che era già stata aiutata da
altri ragazzi, la parlamentare. Poi ho visto quel ragazzo».
Al quale versa l'acqua sul capo. «Lo avevano poi adagiato in una sorta di
nicchia dentro al muraglione della strada, protetto da altre persone. E' lì
che la poliziotta mi è sembrata a sua volta annichilita dalla violenza.
Si è fermata, ha chiesto se era stata chiamata la Croce Rossa».
Centomila euro di richiesta danni. Il prezzo per risarcire la violenza
subita?
«No. La somma è simbolica. Può anche essere un solo centesimo, non mi
interessano i soldi. Se arriveranno finiranno in solidarietà. La citazione
in giudizio del ministero degli Interni serve per non fare passare nel
silenzio quanto accaduto». In piazza Manin non c'erano violenti? «In
piazza Manin e in via Assarotti c'era solo gente pacifica, con le mani
alzate. Che
gridava "basta basta". La mia, come quella di altri (un'analoga
causa è stata avviata da un legale di Bologna, ndr) non è solo una
battaglia di principio. E' una battaglia di civiltà: per la legalità e per
la verità».
Come il suo lavoro in Africa e nelle attività rese note dalle molte e-mail
diffuse da chi la conosce. «Le mie azioni, quelle di migliaia di altre
pacifiche persone erano, sono e saranno sempre note. Alla luce del sole, nel
diritto e nella legalità. Ma qualcuno deve ancora spiegare perché due
ragazzi in divisa, con molti altri, sono stati trasformati in esecutori di
violenza in quei giorni. La mia non è vendetta. Cercare la verità vuol
dire giustizia e fare assumere, a chi di dovere, le proprie responsabilità,
anche politiche. La giustizia non è mai, non dovrebbe mai essere vendetta».
Marcello Zinola
ritorna all'indice
|
COMUNICATO DEL COMITATO VERITÀ E GIUSTIZIA
COMITATO VERITA' E GIUSTIZIA PER GENOVA
(presidente onorario Giulietto Chiesa, presidente Enrica Bartesaghi)
Comunicato stampa
E' UN'ITALIA CHE HA PAURA
Quest'archiviazione è la sentenza di un'Italia che ha paura. Un paese più
coraggioso, un'opinione pubblica più forte avrebbero ottenuto un
dibattimento pubblico, un approfondimento dei fatti di piazza Alimonda alla
luce del sole, nelle aule di un tribunale. Dopo quasi due anni d'inchiesta,
trascorsi fra perizie contrastanti, dichiarazioni contraddittorie,
ricostruzioni sempre nuove, l'archiviazione dell'inchiesta è una beffa
atroce. Di fronte a tante ombre, la sola via maestra verso la verità e la
giustizia è quella di un processo pubblico, in cui confrontare tutte le
testimonianze, le prove, le perizie. Con quest'archiviazione si accontenta
solo la voglia di oblio sui fatti di Genova che attraversa il paese.
Noi siamo invece convinti che nel luglio 2001 a Genova la democrazia e lo
stato di diritto siano stati calpestati, come hanno riconosciuto Amnesty
International e altre organizzazioni internazionali.
Noi non abbiamo paura di fare i conti con questa preoccupante verità e anzi
riteniamo indispensabile una ricostruzione completa e convincente dei fatti.
Perciò continuiamo a chiedere la costituzione di una commissione
parlamentare d'inchiesta sui fatti di Genova.
Siamo convinti che i cittadini abbiano diritto ad un rigoroso accertamento
pubblico di tutte le responsabilità, per l'uccisione di Carlo Giuliani come
per i fatti della Diaz, di Bolzaneto, per le aggressioni ai cortei e ai
manifestanti inermi, per i 18 colpi di pistola sparati dalle forze
dell'ordine.
Alla famiglia Giuliani, a tutti i democratici, diciamo che non accettiamo
questa archiviazione e che continueremo a batterci per la ricerca della
verità e della giustizia.
Genova, 5 maggio 2003
ritorna all'indice
|
SEPOLTO SOTTO L'ARCHIVIAZIONE?
Sepolto sotto l'archiviazione?
di Haidi Giuliani
da CARTA 02 Maggio 2003
Renderti conto che tuo figlio non tornerà più. Non è facile.
Anche dopo la confusione, il frastuono dei primi tempi, quando ti ritrovi a
casa da sola, continui ad aspettare: aspetti il suo passo sulla scala, quel
modo particolare di aprire la porta, il suo ciao. Quando cominci a capire
vorresti solo nasconderti, al buio, in silenzio.
E piangere.
Non ho potuto piangere tutte le lagrime per mio figlio, la sua giovane vita,
il futuro schiacciato sull'asfalto di una piazza: c'era sua sorella, e
c'erano gli altri, tutti gli altri figli che venivano a cercare conforto,
gli occhi gonfi, la bocca piena di rabbia, la testa piena di domande.
Come se non ne avessi avute abbastanza, delle mie.
Così ho cominciato a cercare testimonianze, foto, filmati, a guardare e
riguardare migliaia di volte la stessa scena. Ricordo la prima volta che
qualcuno mi ha detto: "Che strano, un giovane di leva,
spaventato…eppure la mano impugna la pistola ben tesa, decisa, obliqua,
come fa uno che se ne intende, un killer". Più mi documentavo, più si
allungava la fila dei miei "perché".
Perché quel corteo era stato caricato senza preavviso, senza ragione
apparente mentre transitava lungo un percorso autorizzato?
Perché in precedenza non si erano fermati delinquenti vestiti di nero che
spaccavano e incendiavano? Perché si era permesso a delinquenti in divisa
di accanirsi in gruppo su singole persone inermi, già ferite, già a terra?
Chi aveva comandato, dopo tre ore di cariche, di lacrimogeni, di pestaggi,
quel breve assalto laterale? Perché quella camionetta si è fermata in
mezzo all'incrocio contro il cassonetto?
Chi ha rotto il vetro posteriore? C'è un piede che scalcia, contro gli
ultimi frammenti, e butta a terra l'estintore che era stato già lanciato
una prima volta e si era fermato, innocuo, in bilico sulla ruota di scorta.
Perché?
Perché la polizia che presidiava con numerosi mezzi la via adiacente non è
intervenuta?
Perché l'autista è ripartito prontamente in retromarcia quando ormai gli
spari avevano fatto scappare gli ultimi manifestanti?
Perché non si è nemmeno tentato di soccorrere Carlo?
E ancora: che cosa è accaduto, dopo?
Ci sono due fotografie in sequenza che mostrano Carlo disteso per terra
circondato da forze in divisa: nella seconda si vede chiaramente un sasso
insanguinato, lì vicino; nella prima il sasso non c'è.
E Carlo ha una profonda ferita sulla fronte.
In una foto scattata al Pronto Soccorso, al suo arrivo, il giovane
carabiniere ha la testa piena di sangue, rosso, vivo: sono passate più di
due ore…
Potrei riempire pagine e pagine di appunti, di dubbi, di interrogativi.
"A queste domande - pensavo - risponderà l'inchiesta".
Al PM il prima e il dopo non interessavano: ha affidato l'indagine ai CC
(carabinieri? ma chi dice di aver sparato non fa parte dell'arma dei
carabinieri?), ha posto ai suoi periti quesiti precisi sulla distanza tra
Carlo e il defender al momento dello sparo, sulla traiettoria del
proiettile, sulla pistola usata. Non ha neanche voluto vedere le altre armi,
pure numerose, presenti e visibili nei filmati. Non ha dubbi, il PM. La
ricostruzione effettuata in piazza Alimonda nella primavera scorsa ha avuto
lo scopo di rispondere ai quesiti espressi, non ad altro: nessuno ha voluto
sapere, ad esempio, quale fosse la posizione degli occupanti la camionetta,
come fossero sistemate quelle braccia, gambe, teste che appaiono nelle foto
rendendo improbabili le dichiarazioni dei carabinieri; nessuno ha voluto
verificare il campo visivo dell'autista (che ha sentito gridare i colleghi
ma non ha sentito gli spari "perché avevo la maschera").
Non hanno dubbi neanche i periti scelti dal PM: uno di loro, mesi prima di
accettare l'incarico, aveva già espresso pubblicamente - in un editoriale
della rivista Tac armi - la propria convinzione che si fosse trattato di un
caso di legittima difesa. D'altra parte identica certezza era stata
espressa, con scarso rispetto per il lavoro dei magistrati, la stessa sera
del 20 luglio dal Vicepresidente del Consiglio Fini e in più occasioni
dall'allora Procuratore Capo della Repubblica, imitato subito dopo il suo
insediamento dal collega che l'ha sostituito.
Un altro perito, quando esce la notizia del calcinaccio che avrebbe deviato
il proiettile, alla domanda di un giornalista risponde, ironico, che
sarebbero passati alla storia, lui e i suoi colleghi, per quella
ricostruzione…
Che diamine, erano state fatte delle prove: si era posizionata una pistola
più o meno a quell'altezza, si era legato un sasso ad un filo, uno
scatolone a rappresentare la vittima. Si erano spostati sasso e scatolone
finchè non si era ottenuto il risultato voluto. O meglio: lo scatolone non
è morto, al massimo è stato colpito di striscio, all'altezza dello
stomaco, pare; ma non importa: si è riusciti a dimostrare che un sasso può
deviare un proiettile. Non importa se questo non si vede in alcun filmato,
non importa se dall'esame incrociato dei filmati e delle foto si vede che il
calcinaccio si frantuma sul tetto del defender un attimo prima dello sparo.
In precedenza si era tentato lo stesso esperimento con l'estintore,
riducendolo a un colabrodo, così non sarà mai più possibile riconoscerlo
o identificarlo in quello che uno scrupoloso graduato dei CC porta con sé
mentre le camionette transitano davanti alla chiesa, una manciata di istanti
prima…
Mesi e mesi di lavoro attento da parte dei nostri e a poco a poco anche i
periti del PM si avvicinano agli stessi risultati per quanto riguarda la
distanza tra Carlo e la pistola. Non per la traiettoria: il carabiniere ha
sparato in aria, ne sono certi, al di là di ogni precisa e documentata
dimostrazione che smentisce questa tesi.
Che diamine, c'è il buco lasciato dal secondo proiettile (anche questo mai
cercato) sulla chiesa del Rimedio, scoperto proprio da uno di loro il giorno
in cui è stato riportato in piazza il defender: il buco si trova al di là
della cancellata, oltre un albero, sulla parete a più di cinque metri di
altezza.
Già, ma se tracciamo una linea da qui a lì, dal defender con i tre a bordo
fino alla chiesa, osservano i nostri, nel primo tratto del suo percorso quel
secondo proiettile avrebbe potuto incontrare un altro volto, un'altra
persona, un'altra vita. Un tiro incrociato, da destra verso sinistra e poi
da sinistra verso destra, mentre il braccio, naturalmente, si alza un
pochino. Basta provare. Ma nessuno chiede di farlo. Non ha dubbi, il PM,
tanto da scrivere nella proposta di archiviazione che i dati, pur
scrupolosamente accertati, non sono poi così importanti: in quella piazza
c'era un giovane carabiniere spaventato che ha sparato perché si è visto
in pericolo di vita.
In un'aula al settimo piano del Tribunale di Genova, la settimana scorsa,
gli avvocati della difesa non si sono neppure preoccupati di contestare le
precisazioni puntigliose dei nostri: hanno ripreso in pieno la tesi del PM,
aggiungendo quella cosa terribile, quell' "uso legittimo delle
armi"nel corso di manifestazioni di piazza che dovrebbe far tremare i
polsi a qualsiasi persona responsabile e indignare qualsiasi democratico.
Un nuovo insulto alla nostra Costituzione.
Perché è vero che se andiamo a ritroso nel tempo, venti e più anni fa, ne
troviamo tanti come Carlo, magari sparati alla schiena o alla nuca. Basta
leggere "In ordine pubblico", un piccolo libro prezioso, che
dobbiamo alla passione e alla cura di Paola Staccioli e al Comitato Walter
Rossi, nelle edicole in questi giorni. Basta scorrere l'elenco che si trova
alla voce "Per non dimenticarli", in www.piazzacarlogiuliani.org.
E' vero che "quegli omicidi sono rimasti impuniti, lasciati naufragare
in un mare di bugie, di false testimonianze, di rimozioni e di omertà.
Lasciati senza responsabili, archiviati", come scrive Antonella Marrone
sull'Unità di domenica scorsa. E' vero. Legittimare aprioristicamente l'uso
delle armi in manifestazione, armi in mano a delinquenti come quelli che
abbiamo visto all'opera qui a Genova, anche il giorno dopo a piazzale
Kennedy, in corso Italia, alla Diaz, sarebbe oggi di una gravità inaudita.
Mia figlia ha trovato in Indymedia un manifesto: rappresenta Rachel Corrie e
Carlo, che si tengono per mano. Sotto c'è scritto: "They are ALIVE
among us!"
Rachel, sepolta da un bulldozer perché tentava di difendere una povera casa
palestinese; Rachel, che era partita dagli Stati Uniti, come i suoi compagni
da altri Paesi, armati tutti di un insopprimibile senso di giustizia...
Non si può invidiare una madre che sopravvive al proprio figlio.
Eppure io invidio quelle madri che, dei loro figli, ricordano soltanto la
vita.
Io, il mio, l'ho visto morire infinite volte.
Mi aggrappo ancora a una fragile, ultima speranza: di non vederlo morire una
volta di più, sepolto da un'archiviazione.
La mamma di Carlo
ritorna all'indice
|
LORENZO GUADAGNUCCI: UNA BUONA NOTIZIA DA GENOVA
Finalmente una buona notizia. Archiviata una parte della accuse (e con le
motivazioni giuste)
DICHIARAZIONE DI LORENZO GUADAGNUCCI
Autore di "Noi della Diaz", membro del Comitato Verità e
giustizia per Genova
Almeno ora ci sarà qualcuno che avrà il coraggio di vergognarsi? Ci sarà
qualcuno che abbia il coraggio di chiedere scusa e pretendere verità e
giustizia? O ai vertici della polizia, agli uomini dello stato, non basterà
neanche questa archiviazione?
Il 21 luglio 2001 alla scuola Diaz siamo stati picchiati selvaggiamente e
arrestati sulla base di prove costruite (le due bombe molotov portate dai
poliziotti stessi), poi ci hanno anche accusati di avere aggredito gli
agenti: tutto falso, come ora certifica il gip. Abbiamo o non abbiamo il
diritto a un risarcimento morale oltre che giudiziario? Vorremmo sentir
dire, dagli stessi che allora ordinarono o accettarono quell'operazione, che
fu un errore, un'illegalità, un'aggressione alle regole della democrazia
ancora più che a 93 persone inermi. Sono passati quasi due anni e nessuno,
ai vertici dello stato, ha mai preso veramente le distanze da
quell'episodio, nessuno ha mai voluto spiegare perché fu deciso e da chi.
Hanno
taciuto, coperto, in qualche modo legittimato, compromettendo la credibilità
delle istituzioni, infangando anche l'onore della maggioranza di agenti
onesti che lavorano nella polizia di stato.
Ora aspettiamo un processo ai responsabili del pestaggio e delle falsità
che lo hanno preceduto, accompagnato e seguito: siamo in grado in Italia di
capire che è una vicenda che riguarda tutti? Che è una questione di
democrazia e di rispetto dello stato di diritto?
ritorna all'indice
|
|
ORA VOGLIAMO SAPERE PERCHE'
COMITATO VERITA' E GIUSTIZIA PER GENOVA
(presidente onorario Giulietto Chiesa, presidente Enrica Bartesaghi)
Comunicato stampa
ORA VOGLIAMO SAPERE PERCHE'
Il proscioglimento dei 93 massacrati della scuola Diaz (notte del 21 luglio
2001) dalle accuse di resistenza e violenze varie e' un primo passo verso la
ricostruzione di Verita' e Giustizia sui fatti del luglio 2001 a Genova.
Attendiamo ancora l'archiviazione per l'altra assurda accusa rivolta ai 93:
l'associazione a delinquere finalizzata alla devastazione.
Non siamo sedotti dalla volonta' di rivalsa e di vendetta, non siamo ansiosi
di vedere in prigione chi ha costruito prove false, ma ci auguriamo che si
arrivi finalmente a capire perche' sia stata perpetrata una gravissima
violazione dello stato di diritto.
Perche' tanti giovani sono stati massacrati e sequestrati? Perche' sono
state fabbricate prove false? (le molotov trovate in corso Italia trasferite
nella notte nell'edificio scolastico). Perche' sono stati trafugati e non
ritrovati gli hard disk del media center del Genoa Social Forum? Perche'
invece di cercare i black block laddove erano stati segnalati dal GSF, le
forze dell'ordine hanno preferito una sanguinosa mattanza in un dormitorio?
Qual e' il ruolo dei servizi segreti stranieri? Chi ha dato gli ordini?
Sono solo alcune domande le cui risposte potranno far comprendere le
motivazioni reali della gestione dell'ordine pubblico a difesa del vertice
dei capi di stato degli otto paesi piu' ricchi. Perciò ribadiamo la
richiesta dell'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta sui
fatti del G8.
ritorna all'indice
|
INFOSDEBITARSI n. 156 DEL 2 LUGLIO 2003: "APPELLO GIULIANI"
Hanno voluto fare del luglio 2001
un’occasione di ostentazione del potere, di arroganza, di repressione, di
violenza, di morte. Hanno provato a nascondere i valori di giustizia e di
solidarietà che una grande moltitudine ha portato all’attenzione del
mondo, i contenuti e le proposte per rendere concreta la speranza in un
mondo migliore. Oggi ancora più necessari, dopo le guerre, la crescente
povertà, la barbarie dei rapporti internazionali.
Noi vogliamo fare del luglio 2003 un’altra occasione di memoria, di
riflessione, di approfondimento di quei temi, di cultura, di musica, di
festa della vita.
Come l’anno scorso ci incontreremo per dibattere, approfondire temi,
denunciare le promesse non mantenute dei cosiddetti otto grandi, anche in
preparazione del prossimo Forum Sociale Europeo; per raccontare la nostra
esperienza, le verità negate, qui come in tanti altri pezzi di mondo.
Come l’anno scorso cercheremo di ricordare per guardare avanti, per
costruire un modo di vivere più umano e più giusto.
Come nel 2001 e nel 2002 saremo tanti, pacifici, determinati.
Ci rivolgiamo perciò prima di tutto ai Genovesi, a quelli di loro che
spesso in Italia come all’estero vengono ricordati con
riconoscenza per aver offerto acqua, riparo, solidarietà durante i giorni
del G8. Anche a coloro che non hanno capito da subito quanto stava avvenendo
ma sono scesi in piazza, sei mesi dopo, a manifestare il loro dissenso nei
confronti di una gestione errata e violenta dell’ordine pubblico. Anche a
quei democratici onesti che hanno creduto o continuano a credere a certe
favole diffuse attraverso il piccolo schermo da chi si arroga il diritto di
occupare libere città.
Ci rivolgiamo a tutti coloro che vorranno tornare, o venire per la prima
volta, a Genova.
Vi inviteremo a partecipare, dal 12 al 20 luglio, a molte iniziative
diverse, iniziando dall’incontro dei Comitati civili che, in tutti questi
anni, hanno difeso la memoria da silenzi e impunità.
Vi inviteremo a seguire, presso il Munizioniere di Palazzo Ducale, un
percorso di storia e di denuncia, non solo fotografico; nuovi filmati;
presentazione di libri. Gli spettacoli teatrali al Modena. I dibattiti
organizzati da tante associazioni, gli incontri del movimento sulle campagne
e le prossime mobilitazioni dell’autunno, al Teatro della Tosse, nella
sala della Provincia e in altri spazi.
Domenica 20 luglio saremo in piazza Alimonda, con la musica, col teatro di
strada, con le bandiere della pace. Da lì, dopo le 18, ci trasferiremo
tutti insieme, in corteo, verso la Foce, dove più tardi si terrà un
concerto.
Vi inviteremo a manifestare con un cerotto sulla bocca, per denunciare con
la nostra presenza e la forza del nostro silenzio i troppi diritti negati.
Anche il diritto alla verità cancellato da un’archiviazione.
Quel pubblico dibattimento lo metteremo in scena la sera prima, al Teatro
Modena.
E ancora una volta vi inviteremo a non mancare.
I genitori di Carlo Giuliani
ritorna all'indice
|
RUBATE LE REGISTRAZIONI DI RADIO GAP FATTE A GENOVA
ROMA: FURTO ANOMALO NEGLI STUDI DI AMISNET
30/09 (modificato il 30/09 ore 17:39)
Furto anomalo negli studi di Amisnet Questa notte gli studi di Amisnet hanno
subito un furto con scasso dalle modalità inquietanti. Le coincidenze
strane sono tante: proprio ieri la porta blindata non era chiusa a chiave
come al solito, per cui é stato relativamente facile per i ladri scassinare
la serratura ed entrare.
Ma si è trattato di ladri evidentemente particolari, visto che dagli studi
sono stati rubati alcuni fra gli oggetti più ingombranti e di minor valore
(due tastiere musicali, un mixer digitale ed un basso elettrico..),
lasciando sul posto merce preziosa e facilmente trasportabile come un pc
portatile in bella evidenza e i microfoni di studio, il cui valore economico
é pari a quello di tutta la merce trafugata e che tra l'altro potevano
essere portati via senza dare nell'occhio.
Ma il fatto più inquietante é che nell'inventario della refurtiva
risultano tutte le registrazioni audio realizzate dal circuito Radio Gap
durante le giornate di Genova 2001. Mancano sia i back up su cd, che erano
facilmente visibili ed in mezzo a molte altre produzioni, che gli originali,
accuratamente nascosti in un vano che poi é stato risistemato ad arte.
Tutto il restante materiale radiofonico prodotto dall'agenzia non é stato
toccato.
Al di là di ogni dietrologia é a dir poco curioso che questo avvenga a
ridosso della conclusione delle indagini preliminari sull'irruzione nella
scuola Diaz e che ad essere colpita sia stata proprio l'agenzia Amis, a
Genova durante il G8, che opera trasversalmente agli spazi di movimento e
non gode probabilmente della stessa visibilità di altre strutture.
ritorna all'indice
|
A.A.A. CERCASI DONATORI PER PROCESSI G8
A distanza di 3 anni e mezzo dai fatti del g8 genovese, i processi ci
obbligano a non dover dimenticare quei tragici giorni di luglio 2001.
Non possiamo e non vogliamo dimenticare, e lo facciamo con un incessante
lavoro di ricostruzione e archiviazione di tutto il materiale cartaceo,
fotografico e filmico raccolto.
E' grazie alla volontà e soprattutto alla passione che siamo potuti
arrivare quest'anno all'avvio dei processi per i fatti di Bolzaneto e Diaz.
Ed è sempre grazie all'impegno costante che possiamo difendere al meglio i
25 manifestanti imputati di devastazione e saccheggio nel processo apertosi
a marzo 2004, e che rischiano pene tra gli 8 e i 15 anni.
In questi anni abbiamo ricevuto solidarietà ed appoggio economico da molte
organizzazioni del movimento e da migliaia di cittadini ed è grazie a loro
se oggi possiamo vantare una segreteria legale efficiente che lavora
incessantemente perchè le difese possano svolgersi al meglio.
Ma per proseguire nel lavoro di denuncia e informazione all'opinione
pubblica abbiamo bisogno oggi + di ieri di maggiori fondi.
In tal senso vogliamo ricordare il lavoro straordinario che il COMITATO
VERITA' GIUSTIZIA GENOVA e SUPPORTO LEGALE stanno seguendo x il GENOA LEGAL
FORUM.
Grazie al loro impegno non solo nell'attività di informazione, ma
soprattutto nella raccolta dei fondi, la segreteria legale può lavorare
perchè tutto il materiale venga archiviato ed esaminato dagli avvocati.
Il loro impegno non solo è di vitale importanza per poter svolgere al meglio
il lavoro dentro le aule dei tribunali, ma è necessario perchè le persone
non dimentichino, perchè un pezzo di storia possa essere ricostruita
e mai più dimenticata.
Con 3 processi in corso abbiamo solo 2 mesi di sopravvivenza: ad aprile
il genoa legal forum chiude.
Aiutaci a sostenere la segreteria legale, contribuisci anche tu a sostenere
i processi g8!!!
COMITATO VERITA' E GIUSTIZIA PER GENOVA
Conto CorrentePostale n.34566992 intestato a Verità e Giustizia per Genova
oppure tramite bonifico bancario: ABI 07601 - CAB 01400
www.veritagiustizia.it
info@veritagiustizia.it
SUPPORTO LEGALE
Conto Corrente Bancario n. 61359/80 intestato a Don Balletto
Banca CARIGE sede centrale - ABI 06175 - CAB 01400
www.supportolegale.org
info@supportolegale.org
ritorna all'indice
|
PROCESSO CONTRO LA TORTURA
luglio 2001, caserma di Genova Bolzaneto, Italia:
TORTURATA N° 81
subiva minacce anche a sfondo sessuale da persone che stavano all'esterno
"entro stasera vi scoperemo tutte"; subiva percosse al suo passaggio nel
corridoio da parte di agenti; colpita con violenza con una manata alla nuca;
costretta a firmare i verbali relativi al suo arresto, che la stessa non
voleva firmare; mostrandole le foto dei suoi figli, prospettandole che se
non avesse firmato non avrebbe potuto rivederli,
TORTURATO N° 11
percosso con calci e pugni alla schiena e insultato, costretto a stare
coricato a terra prono con gambe e braccia divaricate e testa contro il
muro; ingiuriato con frasi, ritornelli ed epiteti a sfondo politico
("comunisti di merda" "vi ammazzeremo tutti"); percosso al passaggio nel
corridoio e insultato anche con sputi; costretto a stare a carponi da un
agente che gli ordinava di abbaiare come un cane, e di dire "Viva la polizia
italiana"
TORTURATA N° 21
percossa nel corridoio durante l 'accompagnamento ai bagni, le torcevano il
braccio dietro la schiena nonché colpita con schiaffi e calci; insultata con
epiteti rivolti a lei e alle altre donne presenti in cella: "troie, ebree,
puttane", ingiuriata con sputi al suo passaggio in corridoio; minacciata di
essere stuprata con il manganello e di percosse; costretta a rimanere, senza
plausibile ragione, numerose ore in piedi
Questi sono solo alcuni esempi di quanto hanno dovuto subire centinaia di
persone, italiani e stranieri, costretti per molte ore a sottostare ad ogni
genere di violenze e torture nella caserma di Genova Bolzaneto, durante il
G8, a Genova.
In quei giorni furono calpestati e negati tutti i diritti che la nostra
costituzione sancisce a tutela dei fermati e degli arrestati. Nessuno di
loro, italiano o straniero, poté contattare avvocati, parenti, consolati. A
nessuno di loro fu comunicato il motivo del fermo o dell'arresto, dove si
trovassero, dove sarebbero stati condotti in seguito. Nonostante molti di
loro fossero feriti (68 di loro provenivano dalla Scuola Diaz) non furono
curati, furono costretti a firmare falsi verbali di arresti, a dichiarare
di non voler contattare legali o consolato.
Nessuno di loro ebbe diritto a cibo, acqua, sonno, furono costretti per
molte ore a rimanere in piedi con le braccia alzate contro al muro.
I giorni 27 e 29 gennaio 2005 a Genova, ci sarà l'udienza preliminare a
carico di 47 funzionari ed agenti delle forze dell'ordine e del corpo delle
Guardie Carcerarie, medici ed infermieri:
12 carabinieri, 14 agenti di polizia, 16 guardie penitenziarie, 5 tra medici
e infermieri accusati delle violenze commesse ai danni degli arrestati e dei
fermati, da venerdì 20 alla domenica 22 luglio 2001, nella caserma di Genova
Bolzaneto.
Non essendo previsto nel nostro ordinamento uno specifico reato di tortura,
la Procura della Repubblica ha chiesto il rinvio a giudizio per i reati di
abuso d'ufficio, lesioni, percosse, ingiurie, violenza privata, abuso di
autorità contro gli arrestati, minacce, falso, omissione di referto,
favoreggiamento personale.
Noi chiediamo ai media, ai parlamentari democratici, alla società civile, di
essere presenti, di sostenere quanti furono torturati in quei giorni e che,
nonostante ancor oggi soffrano le conseguenze degli abusi subiti, hanno
avuto il coraggio di denunciare quanto accadde a Bolzaneto.
Nessuno dei presunti responsabili delle torture è stato nel frattempo
rimosso o almeno sospeso dai propri incarichi.
Enrica Bartesaghi
Presidente del comitato verità e giustizia per Genova
ritorna all'indice
|
ITALIA/G8: 'L'APERTURA DEL PROCESSO, UN PASSO AVANTI PER COMBATTERE
L'IMPUNITA' DELLA POLIZIA' DICHIARA AMNESTY INTERNATIONAL
Mercoledi' 6 aprile, a quasi quattro anni dalle operazioni di polizia che
caratterizzarono lo svolgimento della riunione del G8 del 2001 a Genova e le
manifestazioni ad esso collegate, 28 funzionari di polizia "alcuni dei quali
di alto grado" compariranno in giudizio. Il processo riguarda il raid
notturno compiuto dalle forze dell'ordine nei locali di una scuola
utilizzata come dormitorio per i manifestanti e segreteria del Genoa Social
Forum. Le accuse contro gi imputati comprendono l'abuso di autorita', la
fabbricazione di prove false e gravi lesioni fisiche.
Amnesty International giudica positivamente l'apertura del processo come un
significativo passo avanti per combattere l'impunita' della polizia.
Tuttavia, l'organizzazione per i diritti umani lamenta il fatto che le
autorita' non abbiano preso altre misure decisive in questa direzione, in
relazione sia ai fatti del G8 che a un piu' ampio contesto di frequente
effettiva impunita' per le forze dell'ordine e per il personale carcerario,
accusati di torture, maltrattamenti e forza eccessiva, come registrato da
molti anni da Amnesty International.
Le 93 persone arrestate nel corso del raid all'interno della scuola
dichiararono di non aver opposto resistenza, come invece sostenuto dalla
polizia, e di essere state sottoposte a percosse deliberate e gratuite.
Almeno 82 di esse vennero ferite; 31 furono trasferiate in ospedale, in tre
casi in condizioni critiche. Alcuni di essi ricevono cure mediche ancora
oggi. Gli arrestati furono accusati non solo di resistenza a pubblico
ufficiale ma anche di furto, detenzione di armi e appartenenza a
un'organizzazione criminale dedita al saccheggio e alla distruzione della
proprieta'. Nel febbraio 2004, al termine delle indagini, tutti i
procedimenti furono chiusi per mancanza di prove.
Sono solo 28 i funzionari di polizia sottoposti a processo: decine di agenti
che parteciparono al raid e che si ritiene avessero preso parte alle
aggressioni fisiche, non hanno potuto essere individuati poiche' i loro
volti erano pesantemente travisati da maschere, sciarpe o caschi e non
portavano targhe identificative recanti nomi o numeri di matricola.
Amnesty International ha ripetutamente sollecitato l'Italia a recepire il
Codice di etica della polizia, adottato dal Consiglio d'Europa nel settembre
2001, e ad assicurare che i suoi pubblici ufficiali siano obbligati a
mostrare in maniera evidente alcune forme di identificazione individuale,
come un numero di matricola, al fine di evitare il ripetersi di situazioni
d'impunita'.
Un altro metodo riconosciuto a livello internazionale per prevenire lo
sviluppo di un clima d'impunita' e ulteriori abusi da parte della polizia e'
la sospensione dal servizio di coloro che sono sospettati di aver commesso
reati come quelli oggetto del processo, in attesa dell'esito dei
procedimenti penali. Amnesty International ha notato con preoccupazione che
gli agenti che sono sotto processo in relazione al raid di Genova non sono
stati sospesi dal servizio e, in alcuni casi, sono stati promossi.
La maggior parte delle persone arrestate nel corso dei raid venne trasferita
nel centro di detenzione temporanea di Bolzaneto. Vi transitarono oltre 200
persone, molte delle quali furono private dei fondamentali diritti
riconosciuti a livello internazionale ai detenuti, tra cui il diritto di
avere accesso agli avvocati e all'assistenza consolare e quello a informare
i familiari sulla propria situazione. Nel corso di un'udienza preliminare, i
pubblici ministeri di Genova hanno illustrato in modo efficace le prove
degli abusi verbali e fisici subiti dai detenuti. Hanno descritto, tra
l'altro, come i detenuti fossero stati presi a schiaffi, calci, pugni e
sputi; sottoposti a minacce, compresa quella di stupro, e ad insulti anche
di natura oscena e sessuale; obbligati a rimanere allineati e in piedi per
ore, a gambe divaricate contro un muro; privati di cibo e acqua per lunghi
periodi; soggetti a perquisizioni corporali effettuate in modo volutamente
degradante, con uomini costretti ad assumere posizioni umilianti e donne
forzate a denudarsi di fronte ad agenti di sesso maschile. I pubblici
ministeri hanno citato singoli casi di abuso: una ragazza la cui testa e'
stata spinta in un gabinetto, un ragazzo obbligato a camminare a quattro
zampe e ad abbaiare, il pestaggio di un detenuto non in grado di rimanere in
piedi per ore poiche' aveva un arto artificiale.
La pubblica accusa ha chiesto l'incriminazione di 15 agenti di polizia, 11
carabinieri, 16 agenti di custodia e cinque membri del personale medico per
vari reati tra cui abuso di autorita', coercizione, minacce e lesioni
fisiche, accusandoli di aver sottoposto i detenuti a trattamenti crudeli,
inumani e degradanti in violazione dell'art.3 della Convenzione europea sui
diritti umani e le liberta' fondamentali. I pubblici ministeri hanno anche
espresso il timore che, dato il tempo gia' trascorso, possa intervenire la
prescrizione e che gli accusati non potranno mai essere sottoposti alla
giustizia.
Amnesty International sottolinea che uno dei piu' efficaci modi per
prevenire la tortura, i maltrattamenti e la forza eccessiva e'
l'applicazione di sanzioni adeguate "commisurate alla gravita' del reato" da
parte del sistema di giustizia penale. Sapere che i tribunali sono pronti a
infliggere pene severe nei confronti di chi ordina, condona o perpetra la
tortura e i maltrattamenti costituisce uno dei piu' concreti fattori di
dissuasione. Sottoporre alla giustizia i responsabili non solo dissuade
questi ultimi dal reiterare i propri crimini ma rende anche chiaro ad altri
che i maltrattamenti non saranno tollerati, rassicurando al tempo stesso
l'opinione pubblica che nessuno e' al di sopra della legge.
Nel luglio 2001, data la deprecabile assenza in Italia di un'istituzione
nazionale indipendente sui diritti umani o di un organismo indipendente
competente a ricevere denunce nei confronti della polizia e ad accertarne le
eventuali responsabilita', Amnesty International aveva chiesto l'immediata
costituzione di una commissione d'inchiesta, pubblica e
indipendente, sull'operato della polizia durante il G8 indicando alcuni
criteri idonei a dare efficacia a tale organismo. Da allora non e' stato
creato alcun organismo del genere, ma la sua necessita' permane ancora oggi;
esso potrebbe costituire la base per la creazione di un meccanismo
permanente e indipendente di controllo, col mandato di prendere in esame
tutti gli aspetti delle operazioni di polizia.
L'importanza della volonta' politica di contrastare l'impunita' della
polizia non puo' essere minimizzata. Amnesty International richiama le
chiare indicazioni che il Comitato per la prevenzione della tortura del
Consiglio d'Europa ha diffuso l'anno scorso a tutti gli Stati membri '(?)
Nessuno deve essere lasciato nel dubbio che le autorita' dello Stato non
intendano combattere l'impunita'. ue Questo [impegno] rafforzera' le azioni
intraprese a ogni altro livello. Quando necessario, le autorita' non
dovranno esitare a trasmettere, mediante un messaggio formale ai piu' alti
livelli politici, il chiaro segnale che ci dovra' essere tolleranza zero nei
confronti della tortura e di altre forme di maltrattamento'.
Amnesty International deplora che a diciassette anni dalla ratifica della
Convenzione dell'Onu contro la tortura e nonostante ripetuti solleciti da
parte di organismi intergovernativi "tra cui il Comitato dell'Onu contro la
tortura e il Comitato sui diritti umani" l'Italia non abbia ancora
introdotto nel codice penale il reato di tortura, cosi' come previsto nella
Convenzione dell'Onu contro la tortura.
FINE DEL COMUNICATO
Roma, 4 aprile 2005
Per ulteriori informazioni, si veda in particolare: Italy: G8 Genoa policing
opration opf July 2001: A summary of concerns (AI Index 30/012/2001) e i
capitoli sull'Italia contenuti nelle varie edizioni di Amnesty International
Concerns in Europe and Central Asia e del Rapporto Annuale. Questa
documentazione e' disponibile sul sito
www.amnesty.org
Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste: Amnesty
International Italia - Ufficio stampa Tel. 06 4490224, cell. 348-6974361,
e-mail: press@amnesty.it
ritorna all'indice
|
DUE PROMOZIONI ARROGANTI
COMITATO VERITA' E GIUSTIZIA
comunicato stampa
Un quotidiano ha riportato la notizia della promozione di due funzionari di
polizia - il dottor Alessandro Perugini e il dottor Vincenzo Canterini -
imputati di gravi reati per i fatti del G8 di Genova nel 2001. Speriamo
ancora che la notizia non sia vera e chiediamo al ministro dell'Interno
Pisanu di smentirla. Se invece fosse vera, come temiamo, ci troveremmo di
fronte a una triste e pericolosa dimostrazione di analfabetismo etico e
democratico. Per il dottor Perugini, imputato per i fatti della caserma di
Bolzaneto e per la vicenda di un minorenne arrestato e picchiato per strada,
e il dottor Canterini, comandante di un reparto intervenuto alla scuola
Diaz, vale naturalmente la presunzione d'innocenza come per tutti i
cittadini: toccherà ai tribunali stabilire eventuali responsabilità penali.
La promozione di entrambi, a processi appena cominciati, è però un atto di
arroganza e di miopia, che danneggia la credibilità della polizia di stato e
allarga il solco aperto a Genova fra i cittadini e le forze dell'ordine.
Amnesty International, nei suoi interventi in tutto il mondo, sottolinea
ogni volta che di fronte a processi per abusi commessi dalle forze
dell'ordine, e per evitare che violenze sui cittadini si ripetano, è
indispensabile agire con il massimo rigore, allontanando ogni ipotesi di
impunità. Perciò Amnesty Intrenational reputa necessari alcuni atti: la
condanna politica delle violenze, condanne penali per i colpevoli degli
abusi e sospensione degli agenti sotto inchiesta. Sono passaggi
indispensabili per evitare che si crei un clima di impunità, o che qualcuno
si senta legittimato a tenere certi comportamenti. Sono misure necessarie a
tutelare la qualità della democrazia. In Italia stiamo andando contro
tendenza: gli imputati eccellenti, invece di essere sospesi in attesa della
sentenza, sono addirittura promossi, nel totale disprezzo delle regole
minime di correttezza democratica e istituzionale. Queste promozioni, se
confermate, si aggiungerebbero a quelle già concesse a vari dirigenti di
polizia imputati a Genova, a dimostrazione che ai vertici delle forze
dell'ordine e del governo non ci si cura minimamente dei diritti di
cittadinanza e della credibilità etica e democratica delle forze di polizia.
Genova, 15 giugno 2005
-----------------------
Antonio Bruno FORUM AMBIENTALISTA MOVIMENTO ROSSO VERDE 339 3442011
-----------------------
sito Comitato Verità e Giustizia per Genova
www.veritagiustizia.it, con
aggiornata rassegna stampa.
Vogliamo aiutare le vittime della violenza delle forze dell'ordine a Genova
(luglio 2001).
ccp 34566992 ABI 07061 CAB 01400 intestato Comitato Verità e Giustizia per
Genova
per aderire alla mailing list del Comitato inviare messaggio vuoto a
veritagiustiziagenova-subscribe@yahoogorups.com
ritorna all'indice
|
GENOVA G8: LETTERA APERTA A MAURIZIO CEVENIVI
Caro Maurizio,
ieri sera ero a Vag per la prima delle due giornate sul G8 di Genova [1],
nel quinto anniversario da quel G8, e mi è tornata in mente una lettera
aperta che scrivesti allora quando eri presidente del Consiglio Comunale di
Bologna.
I fatti che citavi sono diventati memoria condivisa per molta gente, ma
anche ricordi personali. Io ero lì per una delle mie prime corrispondenze
seguendo il direttore di Carta, Gigi Sullo, nel corteo dei disobbedienti
partito dal Carlini. Una varco tra gli scudi alla prima carica in Via
Tolemaide mi ha permesso di scappare e di riuscire a seguire gli scontri
seguenti lungo il viale. Per questo ho potuto vedere Federico spintonato da
dieci poliziotti, loro armati da guerriglia urbani, lui di bottiglie di
plastica attaccate con il nastro adesivo, mentre veniva portato via con le
mani sulla faccia. Come mi sentivo? Frustrato. Impotente. Un sentimento che
in questi cinque anni pur attraversando la vita di molte persone che
c'erano, non è prevalso ma ha dato nuovi stimoli per impegnarsi. Ne ho
incontrati tante, presentando video o libri quando ho deciso di fare l'unica
cosa che mi veniva bene: raccontare. Ed ogni volta mi sono meravigliato di
quanta energia e generosità fosse nata da un trauma che rimane una delle
pagine più nere della storia di questa Repubblica.
Per questo mi è tornata in mente la tua lettera. Perché in questi giorni di
racconti che affiorano nelle discussioni private, appuntamenti pubblici,
riflessioni pubblicate da siti o giornali, leggo in controluce una domanda:
cosa è cambiato? Quanto ci ha cambiati e quanto abbiamo contribuito a
cambiare? Cosa è nato, insomma, dal quel modo diverso di fare politica? Io
credo molti fatti importanti che hanno cambiato il modo con il quale abbiamo
ragionato, con parole (nuove) e atti concreti,di problemi mondiali e locali
che rimangono, putroppo, per buona parte attuali: diritti,
democrazia, razzismo, guerra, beni comuni. Non è sufficiente, ma non è
questo il punto. La scommessa, infatti, era invertire un processo cominciato
con gli inizi degli anni '80 e che mirava a iscrivere nell'ordine sociale e
politico un unico modello economico (il neoliberismo), accettato con qualche
distinzione di forma (ma nessuna di sostanza) dall'intera classe politica
istituzionale nel crepuscolo di tutte le narrazioni collettive che hanno
segnato il secolo precedente. A metà
degli anni '90 la Banca Mondiale diceva che mezzo milione di persone al
mondo erano inutili, come sono inutili le aziende che producono merci alle
quali il "Mercato" non riconosce un valore. Nel 2001 il portavoce del Genoa
Social Forum, Vittorio Agnoletto, mise sul piatto del dialogo con il G8
l'impegno dell'Italia ad opporsi alle richieste di sanzioni degli USA in
sede WTO contro quei paesi (Brasile e Sudafrica) che producevano farmaci
contro il virus dell'HIV senza pagare i brevetti alle multinazionali.
Dopo cinque anni queste istituzioni sono allo stallo (se n'è accorto anche
il Sole24Ore) e credo che contribuimmo a bloccarle vincendo una parte di
quella scommessa. Non tutta, perché i governi furono sordi, e in quest'ultimo
esempio anche l'opposizione parlamentare attuale maggioranza.
Oggi sarebbe diverso?
Ho paura di no e soprattutto a causa di una frattura, tutt'ora irrisolta,
tra politica e sociale. La politica contestata cinque anni fa, e che sembra
cambiata poco, era quella che concepiva un suo primato ed autonomia per
gestire un modello senza metterlo in discussione. In questa direzione ha
allocato sempre maggiori risorse che l'hanno resa un esercizio di
dialettica da professionisti di dibatti in prima serata (modello "Porta a
porta", alle ultime elezioni è stato lampante), innavicinabile a chi non ne
aveva i mezzi. Per questo abbiamo subito l'antipolitica, Berlusconi e il
berlusconismo, e per la stessa ragione l'unica risposta alternativa, quella
che contestava l'esistente, era affermare che c'era un altro possibile, che
non ci sono dogmi economici, istituzionali o politiche che tengano quando è
in gioco la vita delle persone e dell'intero pianeta. Questa cosa doveva e
poteva cambiare le istituzioni storiche dentro le quali la politica esercita
il dovere di individuare e rispondere agli interessi collettivi, ai bisogni
di una società plurale e in cambiamento. Certo, se non ci fosse
stato l'11 Settembre, ovvero l'uso e la strumentalizzazione del terrore per
chiudere ogni possibilità in questa direzione. E salvaguardare il modello.
La vicenda del rifinanziamento della guerra in Afghanistan non è l'unico
esempio del fatto che, in questa direzione, bisogna ridefinire domanda (da
porre anche a chi, anche onestamente, è entrato dentro le istituzioni per
usarle come leva di cambiamento): quali sono gli spazi e i limiti per
vincere il resto della scommessa in questo contesto mutato? Penso, però, che
per rispondere basterebbe fermarsi a Bologna dove in questi giorni un
giornale come "Repubblica" da le pagelle di metà mandato alla giunta
Cofferati che tanta parte di questo cambiamento aveva detto di voler
incarnare.
Evidentemente con poco successo. Prendi gli interventi sulla questione
migranti. Inefficaci sul piano pratico, hanno avvitato la discussione
politica tra i favorevoli "responsabili" e i contrari "senza cultura di
governo", evitando completamente il problema del messaggio politico che è
arrivato in città: un intervento senza progetto che ha rafforzato
l'immagine di fenomeno emergenziale e l'idea che la politica e la società
possano sentirsi, in fondo, immuni dal doversi preoccupare di minoranza
senza cittadinanza E ancora, rispetto al problema della crisi economica, la
politica si è guardata bene dal mettere in discussione come si vende e con
che modello, ma ha deciso che tra il diritto a respirare e la ricetta "più
macchine, più pil" era meglio il secondo. E ancora una volta non si vede
all'orizzonte nessun progetto. Invece si è monopolizzato i lavori comunali
con la vicenda "legalità". Un'imbarazzante salto indietro che ha avuto
l'effetto di affidare al potere giudiziario e inquirente la soluzione di
problemi che attengono alla politica. Evitando, per altro, di rispondere
delle proprie responsabilità. Nei giorni caldi dell'OdG sulla legalità,
Radio Città del Capo intervistò il segretario del PRC Loreti e il capogruppo
DS Merighi. Il primo ha rilanciato l'idea dell'amnistia per le lotte
sociali, il secondo ha risposto che l'Unione doveva impegnarsi a costruire
più case invece che scarcerare chi le aveva occupate. Peccato che il tutto è
avvenuto nel giorni in cui tra le prime notizie c'erano la Val Susa e il CpT
di Via Mattei, due tra i tanti fatti che in Italia riguardano 10.000 persone
che dal militante dei centri sociali al contadino del piemonte hanno
soprattutto cercato di difendere i diritti costituzionali in questo paese.
Fatti che, per altro e tornando a Genova, rispondono anche a chi come te in
questa lettera subito ma anche molto tempo dopo, non ha saputo e voluto
andare oltre la "condanna della violenza gratuita". Per questo ti
interesserà sapere, e solo per rimanere ai dati di fatto giudiziari quelli
di Piazza Alimonda sono nel bel video del Comitato Piazza Carlo Giuliani,
che per la vicenda di Bolzaneto, 250 persone torturate in due giorni, sono
stati rinviati a giudizio 12 carabinieri, 14 poliziotti, 16 agenti
penitenziari e 5 fra medici e infermieri accusati a vario titolo di violenza
privata, lesioni personali e abuso d'ufficio. Per la vicenda Diaz i 93
manifestanti arrestati sono stati tutti prosciolti, mentre subiranno un
processo 29 poliziotti, accusati di lesione e falso (per le due molotov
portate per giustificare l'irruzione) e nonostante questo molti di loro
hanno nel frattempo ricevuto delle promozioni. A contorno, poi, si è
appurato che la carica al corteo dei disobbedienti non era autorizzata, come
l'irruzione alla scuola Pascoli dove c'era il computer del Legal Social
Forum (preso a manganellate), Il Manifesto e Radio Gap al secondo piano,
Indymedia al terzo.
La politica che si contestava allora, e che oggi sembra cambiata poco, è
anche questa. Una politica che ha perso il senso del limite. Che non riesce
a vedere più la portata dei propri atti ed è incapace di prendersi le
proprie responsabilità. Fosse anche solo quella di fare ammenda per aver
tirato conclusioni così affrettate allora, e di domandarsi se lo stesso
errore non lo state facendo anche ora.
Marco Trotta
[1]
http://www.vag61.info/vag61/articles/art_327.html
[2]
http://www.piazzacarlogiuliani.org/carlo/iter/veritadvd.php
[3] http://www.mauriziocevenini.it
ritorna all'indice
|
UN APPELLO DELLA RIVISTA ALTRECONOMIA: GIUSTIZIA PER/SU GENOVA 2001
Cari amici,
sono passati cinque anni dai fatti del G8 di Genova: durante le
manifestazioni del 20 luglio 2001 Carlo Giuliani, 23 anni, viene ucciso da
un carabiniere.
Il giorno dopo un corteo di 300 mila persone è caricato in più punti dalla
polizia. La sera stessa, le forze dell\'ordine irrompono nella scuola Diaz
massacrando e arrestando tutti i 93 occupanti. Nel programma elettorale
dell'Unione c'è scritto, nero su bianco, l'impegno di istituire una
commissione parlamentare d\'inchiesta per fare luce su quanto è
accaduto e attribuire le giuste responsabilità.
Vi chiediamo di scrivere ai presidenti dei gruppi parlamentari della
maggioranza per chiedere loro di rispettare la promessa che hanno fatto in
campagna elettorale.
Di seguito, la lettera che abbiamo preparato.
Firmatela e inviatela agli indirizzi in calce.
Se qualche parlamentare dovesse rispondervi, vi
preghiamo di inoltrarci il messaggio.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------
Gentile onorevole,
l'Unione si è impegnata con gli elettori ad istituire, in caso di vittoria,
una commissione parlamentare d\'inchiesta sui fatti avvenuti a Genova
durante il G8 del 2001. E' un impegno importante, perché a Genova, come
ampiamente dimostrato, furono sospese le garanzie costituzionali: le vite di
migliaia di persone sono ancora segnate dallo choc subito in quei giorni.
Le ferite morali sono ancora tutte aperte.
La passata maggioranza si è ostinatamente rifiutata di accertare tutte le
responsabilità operative e politiche di quanto avvenuto, così abbiamo perso
cinque anni. Ora è arrivato il momento di agire senza alcun indugio. Le
incertezze che ancora sembrano esistere all'interno della nuova maggioranza
paiono del tutto incomprensibili. I fatti di Genova hanno causato una
pericolosa frattura fra la cittadinanza e le forze dell'ordine. E'
necessario che il parlamento costituisca al più presto la commissione
d'inchiesta, che avrà anche il compito, attraverso un'indagine limpida e
approfondita, di restituire alle forze di sicurezza la credibilità perduta
nelle strade, nelle scuole, nelle caserme di Genova.
Per questo le chiediamo di fare tutto quanto è in suo potere per accelerare
l'iter parlamentare del progetto di legge riguardante la commissione
d'inchiesta. Abbiamo atteso cinque anni, ci pare abbastanza.
Data e firma con nome e cognome
Gli indirizzi dei Presidenti dei gruppi parlamentari della maggioranza:
Alla Camera dei deputati:
- Partito dei Comunisti italiani
SGOBIO_C@CAMERA.IT
- Italia dei Valori DONADI_M@camera.it
- L\'Ulivo
FRANCESCHINI_D@CAMERA.IT
- Rosa nel pugno VILLETTI_R@camera.it
- Popolari - Udeur FABRIS_M@camera.it
- Partito della Rifondazione comunista
MIGLIORE_G@camera.it
- Verdi BONELLI_A@camera.it
- Gruppo Misto BRUGGER_S@camera.it
Al Senato
- Insieme con L\'Unione, Verdi e Comunisti italiani
palermi_m@posta.senato.it
- L'Ulivo
finocchiaro_a@posta.senato.it
- Partito della Rifondazione comunista
russospena_g@posta.senato.it
- Gruppo Misto
formisano_a@posta.senato.it,aniformisano@tiscali.it
ritorna all'indice
|
TESTO INTEGRALE DELL'INTERVISTA A MARIO PLACANICA
www.carta.org
Pubblichiamo il testo integrale dell'intervista a Mario Placanica che il >
quotidiano CalabriaOra ha pubblicato oggi. Per la prima volta, il
carabiniere catanzarese che era sulla jeep defender in piazza Alimonda, nel
corso dei drammatici giorni del G8 genovese del 2001, afferma esplicitamente
di essere "un capro espiatorio usato per coprire qualcuno" e di non avere
ucciso lui Carlo Giuliani.
Alcuni particolari sono raccapriccianti, come le reazioni entusiaste dei
colleghi di Placanica dopo la morte di Carlo. E poi Placanica si pone queste
domande: "Perché alcuni militari hanno 'lavorato' sul corpo di Giuliani?
Perché gli hanno fracassato la testa con una pietra?". E poi, sempre per la
prima volta, ricostruisce l'incidente automobilistico che ha avuto qualche
anno fa. "Lo sterzo è come se si fosse bloccato, non riuscivo più a
sterzare", afferma. In questi anni, Placanica, dopo essere stato assolto
dall'accusa di omicidio [secondo i giudici, aveva sparato "per legittima
difesa"] è stato congedato per problemi comportamentali dall'Arma, ha
cercato di candidarsi alle amministrative con Alleanza nazionale [che era il
partito a cui era iscritto: poi si è candidato con una lista civica].
Le rivelazioni di Placanica confermano la necessità di fare chiarezza su ciò
che è avvenuto a Genova nel luglio 2001: sulla catena di comando delle forze
dell'ordine, sulle responsabilità dei politici che stavano nella sala
operativa, sugli abusi commessi sulle centinaia di migliaia di cittadini che
manifestavano liberamente. E sulla morte di Carlo Giuliani, un ragazzo.
Mario Placanica rompe il silenzio e racconta la sua verità. Il G8 visto da
un'altra "inquadratura". Anche questa purtroppo incompleta. Solo un tassello
in più nel quadro a tinte fosche di quel luglio genovese. Sono passati
cinque anni e quattro mesi dal 20 luglio del 2001, dalla morte di Carlo
Giuliani. Mario Placanica, il carabiniere che sparò a piazza Alimonda, si
è sposato, è diventato padre e non è più carabiniere. L'Arma lo ha ritenuto
non idoneo, congedato per "disturbo dell'adattamento con ansia ed atipie del
pensiero". Lui però non ci sta. Si è sottoposto ad altre visite che lo hanno
dichiarato sano, ha fatto ricorso al Tar e ora ha deciso di non tacere più.
Dice di non aver più paura della verità. Non ha una versione alternativa su
quei terribili momenti, ma di una cosa appare certo: non è stato lui a
uccidere il giovane manifestante.
Quando sei arrivato a Genova?
Siamo arrivati il 17 luglio
A quale reparto eri stato assegnato?
Ero con il dodicesimo battaglione Sicilia
Da quanto tempo eri nel battaglione?
Da dicembre del 2000
Avevi già svolto compiti di controllo dell'ordine pubblico?
Sì, un banale servizio d'ordine allo stadio di Palermo
Arrivato a Genova che clima hai trovato?
Eravamo stanchi. Le operazioni di sistemazione sono state lunghe e
snervanti.
Tra i colleghi vi confrontavate?
C'era una tensione indescrivibile
Gli ufficiali tentavano di tranquillizzarvi?
I superiori gridavano sempre
Che ordini vi sono stati impartiti per le giornate del G8?
Ci dicevano che le situazioni sarebbero state un po' particolari, non come
semplice ordine pubblico ma qualcosa di più
In che senso?
Ci dicevano di stare attenti, ci raccontavano che ci avrebbero tirato le
sacche di sangue infetto. Ci dicevano di attacchi terroristici. La
sensazione era come se dovessimo andare in guerra
Si è detto che per tenersi carichi alcuni fecero uso di droga.
Che io sappia no. Certo che c'era un'agitazione fuori dalla norma. Può darsi
anche questo. Io non ne ho mai fatto uso.
Quella mattina del 20 luglio dove sei stato dislocato?
Ci hanno posizionato vicino la "Fiera" insieme ad alcuni poliziotti. Ci sono
state delle cariche sul lungomare, ma solo di alleggerimento. Abbiamo
partecipato alle cariche in cui venne dato alle fiamme il blindato dei
carabinieri. In quella situazione mi è stato affidato il compito di sparare
i lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Però dopo un po' il maggiore
Cappello mi ha preso il lanciagranate perché diceva che non ero capace. Io
stavo sparando a "parabola", così come mi è stato insegnato, e invece lui ha
iniziato a sparare ad altezza d'uomo, colpendo in faccia le persone. Cose
allucinanti.
Quando hai iniziato a sentirti male?
Io dovevo togliere il nastro ai lacrimogeni e passarli al maggiore Cappello.
Quando si toglie il nastro fuoriesce un po' di gas e quindi ho iniziato a >
sentirmi male. Così sono stato accompagnato in una via che conduce a piazza
Alimonda. Sulla strada ho visto di tutto, ho visto picchiare a sangue dal
colonnello Truglio e dal maggiore Cappello alcune persone con la macchina
fotografica. Ho iniziato a vomitare e mi hanno fatto salire sulla
camionetta.
Chi eravate sul Defender?
C'eravamo io, Cavataio, carabiniere in ferma biennale e, Raffone, un
ausiliario seduto dietro insieme a me
Nessuno che avesse esperienza?
Sì, eravamo solo noi
Accanto avevate un'altra camionetta?
Si, c'era un altro defender con a bordo il colonnello Truglio. Il
responsabile del nostro mezzo era il maggiore Cappello
C'erano altri colleghi?
C'era il plotone dei carabinieri davanti a noi che ci faceva da scudo.
Dalle immagini si vede partire la carica dei manifestanti, tu cosa hai
visto?
I carabinieri sono scappati, ci hanno superato, noi abbiamo fatto
retromarcia e siamo rimasti incastrati contro un cassonetto della
spazzatura.
Cosa ti ricordi di quei momenti?
Solo un rumore infernale.
Quando vi siete incagliati cosa hai pensato?
Ci hanno lasciato soli, ci hanno abbandonato. Potevano intervenire perché
c'erano i carabinieri e anche gli agenti della polizia. Potevano fare una
carica per disperdere i manifestanti e invece non hanno fatto niente. Quel
momento è durato una vita.
Quando hai estratto la pistola?
Quando mi sono visto il sangue sulle mani. Ero stato colpito alla testa. Ho
tolto la pistola e ho caricato
Cosa vedevi davanti a te?
Non vedevo praticamente nulla, ero quasi steso, solo Raffone era un po' più
alzato. Mi è arrivato l'estintore sullo stinco, scalciando con i piedi l'ho
ributtato giù. Loro continuavano con questo lancio di oggetti, io ho gridato
che avrei sparato. Poi ho sparato in aria.
Sei convinto di aver sparato in aria?
Sono convinto di aver sparato in aria, non ho preso mira, è la verita
Quanti colpi hai sparato?
Due colpi, tutti e due in aria
Eri seduto?
Ero steso, con il braccio alzato verso l'alto, all'interno del defender. La
mano era sopra la ruota di scorta del Defender.
Hai sentito solo i tuoi due colpi?
Sì. Dopo i due spari sul defender è salito un altro carabiniere che si
chiama Rando di Messina e ha messo lo scudo sul vetro che avevano rotto.
Davanti è salito un maresciallo dei Tuscania di cui non ricordo il nome. E
siamo partiti. Eravamo diretti all'ospedale ma abbiamo dovuto allungare il
percorso perché sulla strada c'erano i manifestanti, quelli di Agnoletto,
che non volevano farci passare. Al pronto soccorso mi hanno ricoverato
perché avevo perso molto sangue
Non vi siete accorti di quello che era successo a piazza Alimonda?
No. Ho saputo della morte di Carlo Giuliani alle 23 quando sono venuti in
ospedale i carabinieri con un maggiore. Però non mi hanno comunicato la
notizia in ospedale. Mi hanno fatto dimettere, mi hanno fatto firmare la
cartella e mi hanno portato in caserma. Lì mi hanno detto che avevo ucciso
un manifestante.
Come ti sei sentito in quel momento?
Mi è caduto il mondo addosso. Io sapevo di aver sparato però ero convinto
anche di aver sparato in aria. Mi hanno fatto l'interrogatorio, mi hanno
messo sotto pressione e io ho risposto quello che potevo rispondere. Hanno
cercato di farmi dire qualcosa in più, ma io l'ho detto che non avevo
sparato direttamente.
Quanto è durato l'interrogatorio?
Un'ora circa, intorno a mezzanotte
E dopo cosa è successo?
Mi hanno riportato alla fiera di Genova. Mi hanno fatto dare sette giorni di
prognosi
Che ambiente hai trovato quando sei rientrato in caserma?
Mi chiamavano il killer. I colleghi hanno fatto festa, mi hanno regalato un
basco dei Tuscania, "benvenuto tra gli assassini" mi hanno detto.
I colleghi erano contenti di quello che era capitato?
Si, erano contenti. Dicevano morte sua vita mia, cantavano canzoni. Hanno
fatto una canzone su Carlo Giuliani
Tu come ti sentivi?
Io ero assente, non volevo stare con nessuno, mi sentivo troppo male.
Dopo tre giorni ti hanno mandato a Palermo
Ero felice di lasciare quel posto. Però appena arrivato in Sicilia sceso
dall'autobus il colonnello mi ha preso a schiaffi
Perché?
Forse per scrollarmi un po', ma non lo so
A Palermo come ti hanno accolto i colleghi?
Tutti mi chiedevano, si informavano. Non ti dico che pressione psicologica
Ma a casa quando sei tornato?
Dopo una settimana che ero a Palermo mi hanno dato trenta giorni di
convalescenza. Però mi hanno mandato nella caserma di Sellia e i miei
genitori non potevano entrare. Mio padre tra l'altro era ricoverato in
ospedale a Catanzaro. Io uscivo di nascosto, ma a Catanzaro non sono
riuscito a salire.
Che idea ti sei fatto, era per proteggerti o perché non volevano che
parlassi all'esterno?
Non lo so se mi proteggevano o avevano paura di qualcosa. Anche perché
subito in quei giorni mi hanno messo gli psicologi per farmi controllare. Ma
io che malattia avevo. Certo che accettare di aver ucciso un ragazzo. Ma io
non ero sicuro di averlo ucciso. Mi venivano i dubbi perché se io ho sparato
in aria come fanno a dire che l'ho colpito in faccia, che sono un cecchino
Avevi sparato prima di quel giorno?
Tre volte al poligono e non ti dico i risultati, non ne ho preso uno. Non
ero buono con la pistola anche per questo mi hanno mandato al battaglione.
Alle stazioni mandano quelli più bravi, gli altri vanno nei battaglioni.
Dopo Sellia ritorni in Sicilia.
Lì sono iniziati i problemi. Perché tutte quelle domande erano uno stress
incredibile. Insomma ho iniziato a marcare visita. Mi hanno trasferito a
Catanzaro al reparto comando, poi sono andato a un corso integrativo in
Sardegna. Ma anche lì continuavano le domande e non ho neanche finito il
corso. Sono tornato in Calabria e per due anni ho iniziato a lavorare a
singhiozzo.
In questo periodo ti capita un altro episodio che ha fatto discutere. Ti
salvi quasi miracolosamente da un incidente stradale.
Ho perso improvvisamente il controllo del veicolo. Lo sterzo è come se si
fosse bloccato, non riuscivo più a sterzare.
Dopo questo periodo difficile però inizi a sentirti meglio e il 22 novembre
2004 ti sottoponi a una visita psichiatrica all'ospedale militare per
tornare in servizio
Era parecchio che non lavoravo, mi sentivo di voler riprendere, ero più
sereno, mi ero appena fidanzato. Il dottore Pagnotta dell'ospedale militare
dopo avermi esaminato mi dice che ero idoneo. Porto il certificato in
commissione medica e invece i tre ufficiali della commissione non ne tengono
conto e mi dicono che mi fanno fare un'altra visita.
Perché un'altra visita?
Non me lo hanno detto. Mi hanno mandato dalla dottoressa Vittorina Palazzo.
Secondo me avevano già deciso di congedarmi. Con la dottoressa ci eravamo
già visti a Villa Bianca. Io ero andato perché prendevo delle gocce per
dormire. Lei invece, senza visitarmi, mi ha fatto prendere l'Aldol. Dormivo
venti ore al giorno, mi ha rovinato, non me lo doveva dare.
Fai quest'altra visita il 13 dicembre del 2004 e cosa succede?
La dottoressa mi ha dichiarato non idoneo. Mi è caduto il mondo addosso
Potevi però chiedere di essere destinato agli uffici?
Me lo hanno consigliato loro di fare domanda e io l'ho fatto. Non l'hanno
accolta perché non ero inquadrato nella forza dell'Arma, perché ero ancora
in ferma volontaria. I quattro anni però erano già scaduti, ma non ne hanno
tenuto conto.
Hai presentato ricorso al Tar?
Ma dicono che è innamissibile il mio rientro, hanno prodotto la mia domanda
per i ruoli civili sostenendo che io ero già consapevole di voler andare in
ufficio, quando invece sono stati loro a consigliarmi di farla. E non hanno
tenuto conto della mia causa di servizio, a me spetta il ruolo civile.
Perché non ti vogliono più?
Sono un capro espiatorio usato per coprire qualcuno. Le porte sono chiuse
per Placanica
A logica però sarebbe stato più conveniente tenerti buono e non lasciarti
solo?
Però se vengo congedato per problemi psichici chi mi crede! Per anni mi
hanno sottoposto a uno stress psichico insopportabile. Mi hanno detto che i
no global mi avrebbero ammazzato. Sono arrivati a dirmi che avrebbero ucciso
mia moglie quando era incinta. Con il congedo che mi hanno dato chi mi darà
un lavoro?
Eppure c'è una terza perizia.
Ho chiesto una perizia di parte effettuata da Mauro Notarangelo che ha
certificato che io sto bene. Sono riuscito a ripulirmi da tutti i farmaci
che mi hanno fatto prendere
A distanza di cinque anni quale è il tuo pensiero su questa vicenda?
Credo che mi sono trovato in un ingranaggio più grande di me. Che ero nel
posto sbagliato, non si potevano mandare ragazzi inesperti e armati in
quella situazione
Secondo te si è detta tutta la verità sul G8 di Genova?
No.
Cosa è rimasto all'oscuro?
Ci sono troppe cose che non sono chiare.
A cosa ti riferisci?
A quello che è successo dopo a piazza Alimonda. Perché alcuni militari hanno
"lavorato" sul corpo di Giuliani? Perché gli hanno fracassato la testa con
una pietra?
Hai posto queste domande ai tuoi superiori?
Una volta ho telefonato al maggiore Cappello. Lui mi ha detto che non dovevo
avere dubbi. Però lui mi disse di aver saputo quanto successo la sera alle
20 e invece nelle immagini che ho rivisto si vede lui accanto al corpo di
Giuliani. Io non ho sentito altri spari, però anche i colleghi che erano
dentro al defender non hanno sentito i miei colpi. Ritengo che cremare il
corpo di Giuliani sia stato un errore, forse si sarebbe potuto scoprire di
più, qualcosa sul corpo forse c'era.
Sei alla ricerca della verità?
Si. Come fanno a dire che l'ho sparato in faccia. Non è vero. È impossibile.
Non potevo colpire Giuliani. Ho sparato sopra la ruota di scorta del
defender.
Perché hai deciso di parlare solo adesso?
Perché ci vuole coraggio e io finalmente l'ho trovato. Merito anche
dell'avvocato a cui mi sono rivolto, Antonio
Ludovico, che mi ha sempre sostenuto e mi ha consigliato di non aver paura
della verità.
ritorna all'indice
|
CONDANNATA LA POLIZIA DI STATO PER IL G8 DI GENOVA 2001
Segreto di Stato: a Genova ci fu un disegno repressivo,
prima condanna per la Polizia al G8 del 2001. La censura da parte dei media
è stata rigida ed assoluta: della sentenza di Genova non si doveva parlare.
Infatti incredibilmente non ne ha scritto neanche il Manifesto e dovrebbe
spiegare perché. Alzi la mano chi ha saputo che la settimana scorsa a Genova
c'è stata la prima condanna per i pestaggi della Polizia durante il G8 del
2001.
Eppure la sentenza di Genova è un passaggio capitale per la ricostruzione
della verità e la giustizia di quello che successe nel capoluogo ligure
oramai 6 anni fa. E ci spiega anche molto del disegno politico sotteso alla
repressione [Gennaro Carotenuto].
Lo Stato è stato condannato a risarcire Marina Spaccini, 50 anni, pediatra
triestina, volontaria per quattro anni in Africa, per il pestaggio che subì
da parte della Polizia in via Assarotti, nel pomeriggio del 20 luglio 2001.
Marina, come decine di migliaia di militanti cattolici della Rete Lilliput,
era seduta, con le mani alzate dipinte di bianco, gridando "non violenza",
quando fu massacrata dalla Polizia. Questa si è difesa sostenendo (sic!) che
non era possibile distinguere tra le mani dipinte di bianco di Marina e i
Black Block. Per il giudice Angela Latella invece la selvaggia repressione
genovese -e la cortina di menzogne sollevata per coprirle- è stata una delle
pagine più nere di tutta la storia della Polizia di Stato e per la prima
volta ciò viene scritto in una sentenza. Non solo, è ben più grave quello
che è scritto nella sentenza genovese. Quelle dei poliziotti non furono né
iniziative isolate né eccessi, ma facevano parte di un disegno criminale.
Si inizia a confermare in via processuale quello che chi scrive sostiene e
scrive da sei anni. A Genova vi fu un disegno criminale selettivo da parte
di apparati dello stato. Tale disegno era teso a terrorizzare non tanto la
sinistra radicale ma il pacifismo cattolico, in particolare la Rete Lilliput,
che per la prima volta in maniera così convinta e numerosa scendeva in
piazza saldandosi in un unico enorme fronte antineoliberale con la sinistra.
Le ragazze e i ragazzi delle parrocchie furono quelli che pagarono il prezzo
più alto, soprattutto sabato. I loro spezzoni di corteo furono
sistematicamente bersagliati dai lacrimogeni e centinaia di loro furono
pestati selvaggiamente. Ma, soprattutto decine di migliaia di loro, e le
loro famiglie, furono spaventati a morte in una logica pienamente
terroristica. Quanti dopo Genova sono rimasti a casa?
Di fronte all'immagine sorda data dai grandi della terra, Bush, Blair,
Berlusconi, quel movimento pacifico, colorato, credibile, fatto di persone
serie e non dei pescecani rinchiusi nella città proibita, che si era riunito
intorno alle proposte concrete per un nuovo mondo possibile del Genoa Social
Forum, doveva essere schiacciato. Non lo sapevamo, ma mancavano 50 giorni
all'11 settembre.
Riporto nel sito l'articolo dell'eccellente Massimo Calandri, apparso SOLO
sulle pagine genovesi di Repubblica lo scorso 29 aprile. E' normale secondo
voi? Esiste ancora il diritto ad essere informati in questo paese?
***************************
Prima condanna per le violenze delle forze dell'ordine contro i
manifestanti: "Non furono iniziative isolate". G8, condannato il Ministero -
Missionaria picchiata, risarciti invalidità e danni morali "Ho solo ottenuto
quello che attendevo da 6 anni: giustizia"
MASSIMO CALANDRI
LA PRIMA condanna nei confronti del Ministero dell'Interno per le illecite e
gratuite violenze dei suoi poliziotti è arrivata nei giorni scorsi, e cioè
circa sei anni dopo la vergogna del G8 genovese. Ma le parole con cui il
giudice istruttore Angela Latella ha motivato la sua decisione rinfrescano
la memoria.
Ricordando a tutti che quelle cariche sanguinarie, quelle teste rotte a
manganellate, quei lacrimogeni sparati contro le persone inermi, non erano
frutto dell'iniziativa isolata o dell'autonomo eccesso di qualche agente.
Facevano invece parte di un più ampio disegno -così come le menzogne
raccontate più tardi per coprire le nefandezze - , che rappresenta una delle
pagine più buie nella storia della Polizia di Stato.
Il tribunale del capoluogo ligure ha dato ragione a Marina Spaccini,
pediatra cinquantenne di origine triestina, pacifista che per quattro anni
ha lavorato in due ospedali missionari del Kenia. Alle due del pomeriggio
del 20 luglio, era il 2001, venne pestata a sangue in via Assarotti.
Partecipava alla manifestazione della Rete Lilliput, era tra quelli che
alzava in alto le mani dipinte di bianco urlando: "Non violenza!".
Gli agenti e i loro capi avrebbero poi raccontato che stavano dando la
caccia ad un gruppo di Black Bloc, che c'era una gran confusione e qualcuno
tirava contro di loro le molotov, che non era possibile distinguere tra
"buoni" e "cattivi": bugie smascherate nel corso del processo, come
sottolineato dal giudice. I cattivi c'erano per davvero, ed erano i
poliziotti che a bastonate aprirono una vasta ferita sulla fronte della
pediatra triestina. Dal momento che quegli agenti, come in buona parte degli
episodi legati al vertice, non sono stati identificati, Angela Latella ha
deciso di condannare il Ministero dell'Interno. La cifra che verrà pagata a
Marina Spaccini non è certo clamorosa - cinquemila euro tra invalidità,
danni morali ed esistenziali - , ma il punto è evidentemente un altro.
«Se risulta chiaramente che la Spaccini sia stata oggetto di un atto di
violenza da parte di un appartenente alle forze di polizia - scrive il
giudice - , non si può neppure porre in dubbio che non si sia trattato né di
un'iniziativa isolata, di un qualche autonomo eccesso da parte di qualche
agente, né di un fatale inconveniente durante una legittima operazione di
polizia volta e riportare l'ordine pubblico gravemente messo in pericolo».
Perché l'intervento della polizia non fu «legittimo», è ormai abbastanza
chiaro. Lo hanno confermato i testimoni e in un certo senso gli stessi
poliziotti e funzionari, con le loro contraddizioni: «Gli aggressori erano
diverse decine; l'ordine era di caricarli, disperderli ed arrestarli», hanno
detto, interrogati. Ma poi risulta che furono arrestati solo due ragazzi
(non feriti), la cui posizione fu in seguito peraltro archiviata. La
pacifista era assistita dagli avvocati Alessandra Ballerini e Marco Vano. Il
giudice ha sottolineato come fotografie e filmati portati in aula «siano
stati illuminanti»: «Si vedono ammanettare persone vestite normalmente; più
poliziotti colpire con i manganelli una persona a terra, inerme. La stessa
Spaccini è una persona di cinquant'anni, di cui giustamente si sottolinea
l'aspetto mite». E poi, le testimonianze come quella di una signora
settantenne che parla di una «manifestazione assolutamente pacifica e
allegra» e di aver quindi visto agenti «bastonare ferocemente persone con le
mani alzate ed inermi come lei». Marina Spaccini ha accolto il giudizio con
un sorriso: «Era semplicemente quello che attendevo da sei anni. Giustizia».
http://criticamente.it:80/Article3167.html
http://www.gennarocarotenuto.it
Altre notizie su: MOVIMENTI E CAMPAGNE Nella rubrica: Denunce
Pubblicato a cura di Nicola Furini il 08 Mag 2007
1827 Letture
ritorna all'indice
|
Processi Diaz e Bolzaneto
Se va bene, saranno passati solo 7 anni alla
conclusione del primo grado di giudizio! Tranquilli, nessuno degli imputati
nei processi Diaz e Bolzaneto rischia di farsi nemmeno un secondo nelle
patrie galere, grazie al condono ed alla prescrizione.
Nel frattempo i due governi che si sono succeduti dal
mese di luglio 2001 uno di centro-destra, uno di centro-sinistra, non hanno
trovato il tempo (non hanno avuto la benché minima intenzione) per
approvare:
1) la commissione d’inchiesta sui fatti di Genova
e Napoli
2) la legge sul reato di tortura
3) l’abolizione dei gas CS dai lacrimogeni usati
nelle piazze e negli stadi
4) l’introduzione dei codici identificativi per le
forze di polizia in servizio di ordine pubblico
5) una nuova legge per l’educazione democratica e
non violenta delle forze di polizia
E nessuno, a quanto mi risulta, prevede di parlarne per
la prossima legislatura. Non è qualunquismo credetemi, è solo nausea …
Le notizie sotto riportate sono pubblicate
esclusivamente sulle pagine genovesi di Repubblica, il resto d’Italia non ha
il diritto ad esserne informato.
Enrica Bartesaghi
“dato che tutti gli altri posti erano già occupati, ci
siamo seduti dalla parte del torto” - Bertolt Brecht
lavoro repubblica
Dopo lo stop per la malattia di un giudice, si avvicina la resa dei conti
per i soprusi nella caserma
G8, riparte il processo Bolzaneto Più lontana la prescrizione
Rifatto il calendario, sentenza in primavera
Una memoria di oltre mille pagine per documentare "gli orrori" del luglio
2001
L´estinzione del reato non scatterà in anticipo rispetto al giudizio di
primo grado
MASSIMO CALANDRI
GRAZIE alla nuova tabella di marcia elaborata nei giorni scorsi dal
presidente Renato Delucchi, il secondo dei maxi-processi del G8 si chiuderà
entro la primavera. La sentenza per le violenze ed i soprusi nella caserma
di Bolzaneto è infatti ragionevolmente attesa intorno alla metà di giugno.
Il calendario delle udienze, che aveva subito un inatteso stop dovuto alle
condizioni di salute di un componente del collegio, è stato rielaborato ed
ha ottenuto l´approvazione di tutte le parti in causa. Si ricomincia venerdì
con la requisitoria dei pubblici ministeri Patrizia Petruzziello e Vittorio
Ranieri Miniati, che termineranno il loro intervento - dopo sei appuntamenti
consecutivi - il 10 marzo. Poi toccherà alle parti civili e alle difese.
L´ultima udienza è stata fissata per il prossimo 20 maggio, salvo errori ed
omissioni. La camera di consiglio comincerà immediatamente dopo e ci sono
buone ragioni per credere che possa pronunciarsi nel giro di un paio di
settimane. La accelerazione nel procedimento non impedirà che da qui
all´ultimo grado gli imputati possano godere della prescrizione. Ma se non
altro il meccanismo - che nella maggior parte dei reati presi in
considerazione si applica dopo sette anni e mezzo dai fatti - non scatterà
già in anticipo rispetto alla prima sentenza. Questo avrà importanti
ripercussioni soprattutto dal punto di vista civile. Quanto al penale,
inutile farsi illusioni: già il condono regalava un bello sconto, da qui
alla Cassazione potete scommettere che nessuno sarà privato della libertà
personale per un solo minuto.
Quarantacinque imputati tra generali, funzionari di polizia, ufficiali dei
carabinieri, agenti, militari e medici: accusati a diverso titolo di abuso
d´ufficio, violenza privata, abuso di autorità contro detenuti o arrestati,
falso, violazione dell´ordinamento penitenziario e della convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell´uomo e delle libertà fondamentali. Le persone
offese sono 209. Il processo aveva preso il via il 12 ottobre di due anni
fa: le udienze sono state 157, in aula sono state ascoltate 392 persone
(compresi 12 imputati). Gli accusati si sono sostanzialmente difesi
sostenendo di non aver compiuto - e tantomeno visto compiere - nulla di
illegale. I pm ritengono invece che la tesi accusatoria sia uscita
pienamente rafforzata dal dibattimento. La loro requisitoria ricalcherà in
larga parte quanto già denunciato in una esemplare memoria agli atti.
Venerdì, Petruzziello e Ranieri Miniati introdurranno l´argomento ricordando
quella che era l´organizzazione nel "centro di detenzione temporanea".
Lunedì prossimo si parlerà dell´attendibilità delle vittime, martedì della
qualificazione giuridica dei reati. Le udienze successive saranno dedicate
alla responsabilità in generale e a quella dei vertici in particolare, poi
al cosiddetto "livello intermedio" e agli esecutori materiali, ai falsi
commessi nell´ufficio matricola, ai reati di medici e infermieri, per
chiudere con le richieste di pena. Subito dopo i pubblici ministeri
depositeranno una monumentale memoria di oltre un migliaio di pagine.
lavoro repubblica
LA NOVITÀ
Violenze alla scuola Diaz In autunno si chiude il cerchio
LA DISCUSSIONE nel processo Diaz, e cioè la parola ai pubblici ministeri -
Francesco Cardona Albini, Enrico Zucca - per l´inizio la requisitoria è
prevista per la metà del mese di maggio. Calendario alla mano, è possibile
che il collegio - presieduto da Gabrio Barone - possa decidere entro
l´autunno. Per il sanguinario assalto all´istituto scolastico di via Cesare
Battisti, dove furono massacrati di botte ed arrestati illegalmente con
prove fasulle 93 no-global, sono oggi imputati 29 tra agenti e
super-poliziotti. Nell´attuale fase del procedimento la parola è soprattutto
agli avvocati difensori, che stanno procedendo nell´interrogatorio dei
testimoni da loro indicati. Le ultime udienze si sono svolte in un clima
abbastanza inquietante perché farcito da mille «non ricordo». Si è parlato
in particolare della seconda irruzione delle forze dell´ordine, quella
compiuta «per sbaglio» alla scuola Pascoli, istituto che stava di fronte
alla Diaz e ospitava il centro stampa del Genoa Legal Forum. I poliziotti
picchiarono i presenti, e «per errore» sequestrarono i filmati girati sul
blitz. Che non furono mai più ritrovati.
ritorna all'indice
|
G8, BOLZANETO: LA VIOLENZA
DELL'INDIFFERENZA
Lo psicologo sociale Adriano Zamperini ci aiuta a
comprendere cosa accadde in quei giorni in quella prigione.
"Percosse, minacce, sputi, risate di scherno, urla canzonatorie, insulti di
ogni genere venivano rivolti, con evidente fine di disprezzo e
intimidazione, «a mo' di saluto del comitato di accoglienza», alle persone
arrestate, nel cortile antistante l'accesso alla caserma".
Questo e altro ancora si è verificato a Bolzaneto durante il G8 di Genova. I
fatti di allora sono stati definiti dai pm in sede
processuale "estremamente gravi da realizzare un trattamento inumano e
degradante, una violazione dei diritti dell'uomo, soprattutto per la
sofferenza psicologica inflitta". Cosa accadde in quei giorni nelle menti
degli agenti e dei sanitari ce lo spiega lo psicologo sociale Adriano
Zamperini nel suo libro "L'indifferenza" fornendoci altresì l'opportunità di
cogliere il significato di un'indifferenza che a tutt'oggi sembra regnare
attorno ad un evento posto ai margini dell'informazione.
Brano tratto da: Adriano Zamperini, L'indifferenza.
Conformismo del sentire e dissenso emozionale (Einaudi, 2007).
Non riceverà alcuna assistenza sanitaria, almeno finché non vedrà doppio,
non vomiterà e non si trascinerà per terra (pagg. 130-149)
Era il luglio 2001 quando "il G8 di Genova divenne uno degli eventi più
osservati e scrutati della storia. Eppure non sono mancati luoghi interdetti
a uno sguardo esterno. Uno di questi è la caserma di Bolzaneto. (...)
Percosse, minacce, sputi, risate di scherno, urla canzonatorie, insulti di
ogni genere venivano rivolti, con evidente fine di disprezzo e di
intimidazione, «a mo' di saluto del comitato d'accoglienza», alle
persone arrestate, nel cortile antistante
l'accesso alla caserma. Colpi di manganello per impedire che qualcuno tra i
feriti, con la testa sanguinante, potesse trovare momentaneo sollievo
appoggiandosi a una parete, (...) Trattamenti vessatori, degradanti e
disumani sia all'interno delle celle, ove le persone senza plausibile
ragione erano costrette per parecchio tempo a mantenere posizioni umilianti
e
disagevoli, sia nel corridoio, durante gli spostamenti e l'accompagnamento
ai bagni. In simili tragitti, gli arrestati venivano
derisi, ingiuriati, colpiti e minacciati senza alcuna ragione dal personale
che stazionava lungo il passaggio, disposto in modo da formare due ali ai
lati dello stesso. (...)
Nonostante alcune di loro fossero visibilmente ferite, persone obbligate a
rimanere per numerose ore in piedi, con il viso rivolto al muro della cella,
braccia alzate o dietro la schiena; oppure sedute a terra, ma sempre con la
faccia verso la parete, con le gambe divaricate e in altre anomale
posizioni. Comunque non giustificate, non necessarie alla detenzione, e
senza poter mutare postura. Costrette a subire ripetutamente percosse e
violenze - come facce sbattute contro il muro o
sigarette spente sulle mani -, calci, pugni, insulti e minacce, anche nel
caso in cui non riuscivano più per la fatica a mantenere la suddetta posa,
nonché per farli desistere da ogni benché minimo tentativo - del tutto vano
- di cercare una sistemazione meno disagevole. Una donna, rinchiusa in
cella, avendo il ciclo mestruale, avanzò la richiesta di andare in bagno per
cambiarsi; in risposta, attraverso le sbarre, le veniva gettata della carta
appallottolata sul pavimento e quindi si vide costretta a sostituire
l'assorbente in cella con dei pezzi di vestito, alla presenza di altri
reclusi, uomini compresi. (...) Questa la parziale ricostruzione di quanto
accadde nella caserma di Bolzaneto durante i giorni del G8 di Genova.
Eppure sufficiente per fotografare il rapporto instauratosi tra forze
dell'ordine e manifestanti nel centro di detenzione temporanea. E se
facessimo qualche passo più in là? Fuori dalle celle, per entrare nella
stanza dove si curano le persone, ovvero l'infermeria? (...)
Qui, la persona detenuta si trasforma in paziente. Se durante l'arresto i
corpi e l'io sono stati feriti e umiliati, nell'infermeria i corpi
dovrebbero essere curati e l'io protetto. (...) Medici che hanno omesso e
consentito l'omissione di visite di primo ingresso precise, dettagliate e
complete, secondo i canoni della semeiotica medica, tali da consentire
effettivamente l'accertamento di eventuali malattie fisiche e psichiche a
danno degli arrestati. Non è stata prestata la dovuta attenzione,
propria della veste di sanitario, alle situazioni di sofferenza e disagio
prospettate dai medesimi. Medici che hanno effettuato le visite sanitarie
con modalità non conformi a umanità, così da non rispettare la dignità
soggettiva. Gli stessi, hanno costretto, consentito o tollerato che le
persone, completamente nude, stessero nell'infermeria oltre il tempo
necessario per l'espletamento della visita. E, inoltre, che le donne
rimanessero nude pure alla presenza di uomini. Che venissero osservate nelle
parti intime e costrette più volte a girare su se stesse, in modo da
sottoporle a un'intensa e grave umiliazione fisica e morale. Inoltre, sono
stati ignorati e comunque tollerati comportamenti vessatori e scorretti
commessi da altre figure presenti nell'infermeria.
Ad esempio, dando segni di approvazione o non disapprovando comportamenti di
scherno posti in essere ai danni dei trattenuti in infermeria. Talvolta
ridendo a scopo di dileggio durante scorrette azioni altrui. Non praticati i
necessari interventi per evitare disagio e sofferenza, collegabili alla
prolungata situazione di riduzione del movimento fisico, per la gravosa e
inumana posizione sopportata nelle celle. Addirittura, i sanitari hanno
insultato direttamente le persone visitate con espressioni quali «abile
arruolato», «pronti per la gabbia», con toni di derisione e frasario di
genere militare, al fine di
offendere la libertà morale anche in riferimento alla fede politica e alla
sfera sessuale. Ad esempio, rivolgendo alle donne domande sulla loro vita
sessuale con evidente fine di irrisione e senza necessità dal punto di vista
sanitario. In pratica, i sanitari in servizio presso la caserma di Bolzaneto
hanno violato la loro deontologia professionale, assistendo passivamente
senza intervenire e senza impedire alcunché.
Dimostrando l'assenza di quella particolare sensibilità che dovrebbe invece
essere propria del loro ruolo, soprattutto in tali frangenti.
Mancando altresì di manifestare qualsiasi forma di dissenso.
Addirittura, qualcuno ha oltrepassato il regno della medicina per indossare
gli abiti consoni al regno dell'oppressione. (...) chi sa aiutare sa anche
nuocere. La conoscenza dei processi fisiologici e psicologici può tradursi
in pratiche di oppressione. E simili competenze sono assai appetibili.
Basti solo pensare alla tortura. Medici, psichiatri, psicologi, a più
riprese, e in diversi contesti, hanno contribuito, direttamente o
indirettamente, ai metodi di tortura.
Naturalmente, molti altri professionisti della cura si sono rifiutati di
partecipare all'orrore.
Seppure con variegati ambiti d'azione, tutto questo colloca tali clinici in
situazioni insieme pericolose e precarie.
Dove i dilemmi rispetto al proprio operato sorgono frequentemente.
Problemi resi ancora più marcati allorché ruoli diversi vengono impersonati
dalla medesima persona. E perché si generi un problema è necessario che i
ruoli implichino raccomandazioni opposte nella stessa sfera d'azione.
L'esempio prontamente disponibile è quello di un individuo che veste
contemporaneamente i panni di medico e di militare.
Egli può così vivere un conflitto tra due registri emozionali che entrano in
contraddizione. Che fare allora? O meglio, quali emozioni è appropriato
esperire? Un conflitto del sentire noto come il problema della duplice
lealtà: nei confronti dei pazienti e delle forze armate. E ben note sono
anche le summenzionate pagine della storia in cui professionisti della cura
sono stati artefici e complici di trattamenti inumani. Per questo motivo,
linee di condotta e codici deontologici riaffermano che ogni medico deve
principalmente essere interessato al benessere dei suoi pazienti e guidato
dall'etica medica. Sicché non possono giustificare, favorire o partecipare
alla tortura e ad altre pratiche degradanti. In tutte le situazioni, incluse
le forze armate.
Allora, sebbene tale personale sia soggetto alla disciplina militare, non
può comunque agire se non in accordo con i principî della professione.
Siamo di fronte a un vincolo di ruolo inteso come risorsa per fronteggiare
eventuali derive disumane. Purtroppo non sempre in grado di mantenere quanto
promesso. (...) Durante il G8 di Genova, lungo le strade, al pronto
soccorso, nelle corsie d'ospedale, molti medici, infermieri e volontari si
sono prodigati nell'assicurare assistenza e cura ai feriti. Le loro
testimonianze documentano le molte difficoltà incontrate. Mentre dentro
l'infermeria di Bolzaneto, l'operato dei loro colleghi era ben diverso.
Diventa ora indispensabile guardare in faccia questi sanitari. (...) Sui
loro volti si leggeva il monotono linguaggio di una totale indifferenza.
(...) Facce impassibili e distaccate. (...)
L'indifferenza non consiste solamente nell'essere disimpegnati, ma anche nel
non poter evadere dai copioni irrigiditi che dovunque vengono rappresentati
per dovere." (...)
Recensioni all'opera:
http://www.sispa.it/recensione_lindifferenza.php
http://www.sispa.it/giornale_05.php
fonte: www.sispa.it
ritorna all'indice
|
SE RIPARTISSIMO DA GENOVA... Vittorio Agnoletto
Sono passati sette lunghi anni, ma alla fine in un'aula di tribunale un
magistrato ha confermato quello che il Genoa social forum e tutto il
movimento avevano sempre detto. Alla Diaz quella notte del 21 luglio 2001 vi
fu un massacro. Un massacro, null'altro. Non vi fu alcuna sassaiola, alcuna
provocazione, nè tanto meno alcuna cospirazione o reato associativo. Forse
non sapremo mai il nome di chi ha massacrato nel sonno una ragazza poco più
che ventenne e di chi ha ridotto in fin di vita il mediattivista Mark Cowell;
i loro aguzzini si sono nascosti dietro l'anonimato di una divisa che
avrebbe dovuto invece rappresentare per ogni cittadino una garanzia. La
garanzia che chi ha scelto di «servire lo Stato» dovrebbe avere come primo
obiettivo la difesa della libertà e dei diritti conquistati con la
Costituzione.
Oggi sappiamo che non era così. Non solo. Coloro che, secondo i pubblici
ministeri genovesi, ordinarono l'irruzione, coloro che costruirono le prove
false, coloro che cercarono di contrastare le indagini con l'omertà e con
l'induzione alla falsa testimonianza, sono stati tutti promossi. La nostra
sicurezza, in nome della quale oggi si approvano leggi razziste e xenofobe,
è nelle loro mani. E io non mi sento sicuro.
Il governo Berlusconi II prima fu il suggeritore e il regista di quelle
violenze, poi ne premiò gli autori. Oggi il Berlusconi IV cerca di bloccare
il processo attraverso un effetto non collaterale, ma pervicacemente
ricercato, della norma salva premier. Tra un anno, quando forse il processo
potrà riprendere se non si dovesse riuscire a salvarlo dalla mannaia del
bloccaprocessi, le verità emerse avranno perso molto di quel drammatico
realismo evidenziatosi dalle testimonianze ascoltate udienza dopo udienza
per tanti anni. Sempre che il procedimento possa rincominciare e che nel
frattempo non venga spostato un magistrato o non si verifichi qualche altro
«casuale» intoppo.
Ma se siamo giunti a questo punto lo dobbiamo anche al governo Prodi, che ha
sotterrato la commissione d'inchiesta e ha completato la promozioni dei
soliti noti. Genova è una ferita che continua a sanguinare; la solitudine
che respirammo in quelle giornate quando oltre il 90 per cento dello
schieramento istituzionale fuggì davanti alle proprie responsabilità
costituzionali, è più attuale che mai.
Allora, il 18 luglio 2001, sfilavamo a Genova coi migranti, vittime
predestinate della violenza di una feroce globalizzazione liberista. Oggi
con loro vediamo rinchiusa per 18 mesi nei Cpt ogni speranza di cercare una
vita migliore e nelle impronte dei bambini raccolte in qualche schedario
delle nostre prefetture abbiamo la triste conferma di quanto avessimo
ragione. E forse siamo ancora un po' più soli, scomparsa quella
rappresentanza istituzionale che allora seppe essere al nostro fianco e che
negli anni seguenti non fu invece capace di capitalizzare la forza e la
coerenza seminate in quelle giornate e rilanciate un anno dopo al social
forum europeo di Firenze. Ma se c'è un punto dal quale possiamo e dobbiamo
ripartire non c'è dubbio che quel punto ha un nome: Genova. Lì ci sentimmo
comunità, insieme con tutte le nostre differenze, ma con la consapevolezza
che potevamo dare un contributo affinché la storia dell'umanità non
precipitasse in quella tragedia che oggi ci appare sempre più incombente.
ritorna all'indice
|
RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: GENOVA 2001 [Dal quotidiano "Il
manifesto" del 22 luglio 2008 col titolo "Piu' delle molotov".
Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia
sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale
femminista.
Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di liberta', Angeli,
Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania Giorgi), Si puo',
Manifestolibri, Roma 2005]
"I fatti addebitati minacciano la democrazia piu' delle molotov lanciate
durante i cortei di quei giorni". Posso sbagliarmi, ma a mia memoria e' la
prima volta che nell'aula di un tribunale si dice a chiare lettere, nella
requisitoria di un pubblico ministero, che certi atti eversivi delle forze
dell'ordine sono piu' pericolosi per l'assetto democratico dei gesti
"sovversivi" di un movimento di contestazione. "I fatti addebitati" sono
quelli perpetrati dagli agenti di polizia durante il massacro alla scuola
Diaz di Genova la notte fra il 21 e il 22 luglio 2001. Non c'e' bisogno di
dire, dopo l'ignobile sentenza di una settimana fa sulle torture nella
caserma di Bolzaneto, che nulla, ma proprio nulla ci fa sperare in una meno
ignobile sentenza sulla carneficina della Diaz. Ma quelle parole della
requisitoria restano, consegnate a una memoria che sta a noi, piu' che alle
sentenze, tenere viva.
Ci piacerebbe averle sentite dire, o almeno riprendere con vigore, da una
qualche forza politica, o da uno solo di quei politici che un giorno si' e
l'altro pure, a sinistra e a destra e al centro, disquisiscono di giustizia
avendo in testa soltanto le immunita' castali da una parte e la lotta alla
microdelinquenza dall'altra. Ma la politica, non da oggi, su Genova tace, e
anche quando ha parlato non ha mai capito, e quando ha capito ha voluto
archiviare, il valore paradigmatico che quei due scempi della Diaz e di
Bolzaneto avevano e hanno per le sorti del nostro stato di diritto. Forza
bruta contro legalita'. Eccezione contro regola. Sospensione dei diritti
fondamentali in uno spazio affrancato da ogni garanzia e ogni convenzione. A
Genova non fu questione di un po' d'eccesso nella repressione di un
movimento. A Genova fu sospeso lo stato di diritto, anzi, fu sperimentato
che sospendere lo stato di diritto e' possibile, senza che il potere
politico sia chiamato a risponderne e senza che ne paghi alcuna conseguenza.
Immunita' per tutte le alte cariche dello Stato, conquistata sul campo molto
prima che in parlamento. Qui in Italia, un anno prima che il paradigma del
campo, con annessa sospensione dei tribunali ordinari e istituzione di
quelli speciali agli ordini dell'esecutivo, venisse glorificato in quel di
Guantanamo.
Sono cose che abbiamo scritto piu' d'una volta, ma che non ci stancheremo di
scrivere e di riscrivere ancora. Non solo perche' quello sfregio allo stato
di diritto resti li', esposto alla coscienza pubblica, e non venga
cancellato dai colpi di spugna e dai mucchietti di sabbia. Ma perche' c'e'
qualcosa, nel regime della visibilita' politica e nel regime politico della
visibilita', che sistematicamente lavora a depistare l'attenzione e a
distrarre la memoria. Di seduta in seduta parlamentare, di tg in tg, di
prima pagina in prima pagina, la soap italiana gira e rigira su se stessa
con poche variazioni sul tema, ed eccoci qua di nuovo alle prese,
esattamente come ai tempi di Genova, con le vendette di Berlusconi contro i
giudici, con i gesti trash di Bossi contro il tricolore, nonche' con i
deboli argomenti dell'opposizione contro Bossi e contro Berlusconi. E' un
teatro delle marionette che sistematicamente manda dietro le quinte e
occulta tutto cio' che nel male e nel bene non fa parte della recita o la
eccede e la sovrasta. Il massacro della Diaz e le torture di Bolzaneto
sovrastarono, sette anni fa, la recita politico-mediatica sul G8 di
Berlusconi e Fini - pur essendone, s'intende, autorizzati o almeno
legittimati -, rivelando la sostanza della deriva di
decostituzionalizzazione che la nostra democrazia aveva preso. Per questo
segnale sostanziale e imprescindibile che mandavano bisognava velocemente
derubricarli o rimuoverli; e per questa stessa ragione bisogna invece
tenerli vivi nella memoria collettiva.
"Abbiamo memorie di farfalle ormai, altro che elefanti", ha scritto pochi
giorni fa sul "Manifesto" Roberto Ferrucci - l'autore di Cosa cambia, uno
dei libri che hanno raccontato Genova -, incerto se abbandonarsi al
disincanto nei confronti di una politica in cui nulla cambia o affidarsi
alla scrittura per mettere almeno a disposizione di altri l'indignazione. E
concludendo a favore della seconda ipotesi, perche' "le parole dei libri
tengono vivo il sentimento dei fatti che raccontano, e rimangono per
sempre". Piu' forti delle sentenze vili e finanche dei diritti negati.
Perfino a Guantanamo, al grado zero della sopravvivenza, ai bordi dello
statuto dell'umano, sono nate delle poesie: scritte sulla carta, o scolpite
nelle scodelle, ovunque la vita potesse lasciare il suo segno. A futura
memoria.
ritorna all'indice
|
COMUNICATO STAMPA
CS148-2008
PROCESSO PER LE VIOLENZE ALLA SCUOLA DIAZ DI GENOVA: TREDICI FUNZIONARI
DELLO STATO CONDANNATI IN PRIMO GRADO. IL COMMENTO DELLA SEZIONE ITALIANA DI
AMNESTY INTERNATIONAL
Analogamente alla sentenza di primo grado sui fatti avvenuti nella caserma
di Bolzaneto, quella emessa ieri sulle violenze nella scuola Diaz conferma
che qualcosa di grave accadde a Genova nel luglio di sette anni fa.
Tredici funzionari dello Stato sono stati condannati per le brutalita´
commesse nei confronti di decine di persone inermi. Amnesty International
vuole sottolineare che, se il processo e´ giunto a tale conclusione, cio´
si deve alla tenacia dei pubblici ministeri e al coraggio delle vittime,
delle organizzazioni che le hanno sostenute e dei loro avvocati, che hanno
preso parte a centinaia di udienze in un contesto nel quale si e´ piu´ volte
cercato di aggirare l´obiettivo dell´accertamento della verita´.
Nonostante questo contesto, la sentenza di ieri afferma che, la notte tra il
21 e il 22 luglio 2001, un gruppo di agenti di polizia e un loro dirigente
si sono resi responsabili di violenze brutali e gratuite all´interno della
scuola Diaz.
Amnesty International chiede ai vertici di polizia come intendano commentare
questa parte della sentenza.
Occorrerebbe chiedersi se una sentenza diversa, nella quale fossero state
accertate ulteriori responsabilita´ penali nella catena di comando, avrebbe
potuto essere favorita da un diverso comportamento delle autorita´ italiane
che mai, in questi sette anni, hanno voluto contribuire alla
ricerca della verita´ e della giustizia. In questi anni non abbiamo sentito
una parola forte di condanna per il comportamento tenuto dalle forze
dell´ordine nel luglio 2001, non c'e´ stata una commissione d'inchiesta, non
si e´ risolto il problema dell'identificazione dei funzionari delle
forze dell'ordine, non sono stati istituiti organi di
monitoraggio indipendenti ne´ meccanismi correttivi interni.
Davanti a questo quadro preoccupante, pesano le condanne e pesano le
assoluzioni. Amnesty International valutera´ le une e le altre con maggiore
dettaglio nel momento in cui saranno note le motivazioni della sentenza.
FINE DEL COMUNICATO
Roma, 14 novembre 2008
Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste:
Amnesty International Italia - Ufficio stampa
Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail
press@amnesty.it
ritorna all'indice
|
IMPUNITÀ DI STATO Con la
sentenza sui fatti della scuola Diaz, si è persa l’occasione di rendere
giustizia della /più grave rottura di un ordinamento democratico dal
dopoguerra ad oggi/ (Amnesty).
Se la sentenza di Bolzaneto aveva deluso molti per il riconoscimento della
responsabilità solo di alcuni dei funzionari e graduati presenti nella
struttura carceraria, un merito quantomeno lo ha avuto, perché la condanna
per abuso di ufficio (reato sotto il quale in assenza di uno specifico reato
di tortura erano stati ricondotti i trattamenti inumani e degradanti) del
dirigente della polizia Penitenziaria Biagio Gullotta, ha quantomeno
contribuito a rendere la verità storica di quanto accaduto a Bolzaneto: solo
uno ne risponde, ma vi fu tortura.
Molto diverso è il quadro che ci restituisce la sentenza della Scuola Diaz.
Il Tribunale ha accertato la sussistenza del reato di lesioni condannando i
capireparto del VII Nucleo guidato da Vincenzo Canterini.
Ha anche accertato che le bottiglie molotov erano delle prove false
introdotte nella scuola da un agente di polizia, al solo scopo di
calunniarne gli occupanti.
Canterini è stato anche riconosciuto colpevole di falso e calunnia, per aver
dato atto nella sua relazione di servizio di avere incontrato una forte
resistenza da parte degli occupanti all’interno della scuola.
Questa sentenza, se da un lato restituisce dignità a 93 persone
ingiustamente incolpate per associazione per delinquere finalizzata alla
devastazione e saccheggio (accusa definitivamente archiviata oltre tre anni
dopo nel Dicembre 2004), è evidente che dall’altro non è stata in grado di
accertare fino in fondo le responsabilità che coinvolgevano i vertici della
Polizia italiana rappresentate ai massimi livelli (Gratteri, Luperi,
Caldarozzi), che si trovavano sul posto accanto a Canterini, nel cortile
della scuola ed al suo interno, e che sarebbero rimasti ignare vittime delle
menzogne loro raccontate
dal loro collega.
I funzionari che hanno redatto e sottoscritto i verbali di arresto
contenenti dichiarazioni non veritiere sarebbero dunque stati indotti in
errore dalla relazione di Canterini e non erano coscienti al momento della
sottoscrizione del verbale che quelle circostanze non erano vere.
Trattasi di una forzatura evidente, perché quei funzionari erano presenti
sul posto, non si trovavano a casa, in caserma, in un’altra città.
Hanno seguito l’operazione dall’inizio alla fine, la hanno programmata,
diretta, giustificata
Segno evidente della forzatura interpretativa del Tribunale è l’aver
dichiarato la relazione di servizio di Canterini falsa solo nella parte in
cui riferisce della resistenza all’interno della scuola, e non in quella che
riferisce del lancio di oggetti sulle FO che si trovavano fuori dalla
scuola.
Questo perché il "/fittissimo lancio di oggetti di ogni genere"/ dalle
finestre della scuola, di cui si parla nel verbale di arresto, non poteva
non essere oggetto di percezione diretta anche da parte degli altri
funzionari che si trovavano fuori dalla scuola; non sarebbe stato possibile
scaricare la responsabilità anche di questa falsità su informazioni riferite
da terzi e sarebbe stata inevitabile la condanna anche di costoro.
Peraltro nel corso del processo nessuno degli imputati si è difeso indicando
“da chi” avrebbe ottenuto le notizie false riportate sul verbale di arresto.
Sono inoltre risultate false molte delle ulteriori circostanze riportate nel
verbale di arresto, che non possono in alcun modo essere attribuite a
Canterini, quali il fatto che la scuola fosse piena di armi di ogni genere
(rivelatesi attrezzi del cantiere edile ivi presente o le stecche di metallo
degli zaini degli occupanti estratte dagli stessi agenti), o piuttosto
l’attestazione che la scuola fosse /l’indispensabile supporto logistico per
rendere attuabile il comune programma associativo realizzato attraverso la
consumazione dei delitti di devastazione e saccheggio… anche attraverso
l’uso di armi
da guerra, luogo destinato ad accogliere i vertici delle “tute nere/”.
E’ evidente che questi ufficiali, tutt’altro che inesperti, non possono
essere stati ingannati dai loro sottoposti, è evidente che chi ha compilato
e sottoscritto i verbali di perquisizione ed arresto era perfettamente
cosciente di tale falsità.
Sono inoltre emersi nel corso del giudizio elementi sufficienti per poter
considerare quell’operazione di Polizia del tutto premeditata, nelle sue
modalità, nelle sue conseguenze, originata da un pretesto inesistente quale
l’aggressione ad una pattuglia della polizia poche ore prima
dell’intervento.
Altrettanto insoddisfacente è l’assoluzione del dr. Gava, comandante del
reparto che ha guidato senza alcuna giustificazione la perquisizione nella
scuola di fronte, la Pascoli dove si trovava la sede operativa del GSF
(l’ingresso sarebbe avvenuto /per errore/); il dr. Gava era accusato di aver
perquisito arbitrariamente le persone ivi presenti, di aver sottratto con la
violenza materiale video, distrutto e danneggiato computer, aver costretto
gli occupanti a stare seduti faccia al muro per non vedere quello che
succedeva alla scuola Pertini. Tutto questo per il Tribunale non costituisce
reato o non è imputabile al responsabile del reparto che conduceva le
operazioni.
Ancora una volta lo Stato ha dimostrato di non saper giudicare se stesso,
ancora una volta è emersa la debolezza dei principi cardine dello Stato di
Diritto, per i quali il potere giudiziario dovrebbe costituire argine e
limite agli abusi del potere esecutivo.* **Una sentenza che dimostra il
clima di intimidazione nei confronti dei poteri di garanzia, che sta
comprimendo significativamente la tutela dei diritti fondamentali.***
avv. dario rossi difensore parte civile Genoa Social Forum e altre parti
civili
Oggi aggiungerei anche queste considerazioni.
1) La sentenza ha accertato danni valutati in via provvisoria (lasciando
quindi aperta la strada di una azione civile per il
risacimento dei danni integrali) nei seguenti importi:
per 4 persone 50 mila euro
per 18 persone 30 mila euro
per 5 persone 15 mila euro
per 45 persone 5 mila euro (la liquidazione base per chi non ha avuto danni
fisici di rilevante entità importo del tutto irrisorio) .
87 persone hanno ottenuto un risarcimento di 5000 euro per le calunnie
dovute alle false accuse per la resistenza e le molotov.
sono risarcimenti che per importi e numero di persone coinvolte rendono
l'idea di quanto devastante sia stata l'aggressione della Polizia,
considerando anche che è durata lo spazio di pochi minuti.
Rendono ancor più stridente il contrasto tra la condanna del VII Nucleo di
Canterini e l'assoluzione degli altri ufficiali presenti a pochi metri, che
si sarebbero lasciati ingannare dalle menzogne di Canterini.
2) Nella setnenza vi sono evidenti lacune, tanto che sembra che il collegio
non si sia reso conto che le parti civili GSF e FNSI si erano costituite per
tutti i reati contestati sia per la pascoli che per la Pertini. Il
dispositivo della sentenza nel condannare per i soli reati della Pertini non
menziona queste parti civili (neanche per escluderle dal risarcimento)
perchè con ogni probabilità ha valutato che si fossero costituite solo per
la Pascoli. Il che denota quantomeno una lettura superficiale e frettolosa
di parte degli atti processuali.
3) Scarsissima considerazione è stata data al lavoro delle parti civili
tanto che per un processo durato 4 anni sono state liquidate parcelle agli
avvocati che corrispondono approssimativamente a quelle che si liquidano in
una causa per sinistro stradale che non dura più di 10 udienze, con due
parti processuali. Questo è un processo di oltre 130 udienze della durata di
almeno 4 ore l'una, con 30 imputati, centinaia di parti civili e moltissimi
reati contestati. Le liquidazioni sono state quasi offensive, (per la
presenza in udienza a mezzo sostituto sono state riconosciute per esempio 18
euro ad udienza).
ritorna all'indice
|
|
COMUNICATO STAMPA DI VITTORIO AGNOLETTO
DE GENNARO ASSOLTO
AGNOLETTO: «SENTENZA AMPIAMENTE PREVEDIBILE:
VERTICI DELLE FORZE DELL'ORDINE E DELLO STATO INTOCCABILI.
IL PREMIER DOCET...LA LEGGE NON È UGUALE PER TUTTI»
Milano, 7 ottobre 2009 - «Era prevedibile l'assoluzione di uno degli uomini
più potenti d'Italia, depositario di molti dei segreti della storia del
nostro Paese negli ultimi 25 anni, sempre sostenuto dalla stragrande
maggioranza degli schieramenti politici, a destra come a sinistra (e le
felicitazioni "bipartisan" espresse in queste ore lo dimostrano.) ». Così
Vittorio Agnoletto, ex portavoce del Genoa Social Forum ai tempi del G8 di
Genova, commenta l'assoluzione dell'ex capo della polizia Gianni De Gennaro
e dell'ex capo della Digos Spartaco Mortola nell'ambito del processo per le
violenze alla scuola Diaz.
«Non a caso De Gennaro è stato nominato, tra l'altro, commissario
straordinario per l'emergenza rifiuti dal governo di centrodestra nel 2008
ma anche capo di gabinetto del ministero dell'Interno da Giuliano Amato nel
2007.
Forse era davvero utopico, con il pesante clima intimidatorio che si respira
in Italia, aspettarsi che un solo giudice si assumesse la responsabilità di
condannare il direttore del Dipartimento delle Informazioni per la
Sicurezza.
Singolare poi l'applicazione preventiva del ddl intercettazioni, che diedero
tra l'altro avvio proprio a quest'inchiesta: i giudici le hanno ignorate,
come se quelle conversazioni non avessero mai avuto luogo! Altrimenti la
sentenza odierna rimarrebbe incomprensibile....
La posta in gioco in questo processo era effettivamente molto alta:
riconoscere la responsabilità di De Gennaro nell'inviare Roberto Sgalla,
allora portavoce della Polizia, alla Diaz quella notte, sarebbe stato come
riconoscere che l'ex capo della Polizia era al corrente, dunque
corresponsabile, di quanto stava accadendo. E per la prima volta nei
processi genovesi si sarebbe individuata una responsabilità giudiziaria e
quindi anche politica nei vertici delle forze dell'ordine. Un simile
risultato avrebbe automaticamente coinvolto in tale responsabilità l'attuale
governo. L'assoluzione di De Gennaro, non a caso, evita tutto questo. E
l'esecutivo Berlusconi ne esce, ancora una volta, sano e salvo...».
Vittorio Agnoletto, ex portavoce Genoa Social Forum ai tempi del G8 di
Genova, nel luglio 2001
ritorna all'indice
|
G8, VIOLENZE ALLA BOLZANETO "VESSATI E TORTURATI IN CASERMA"
Fonte:
http://genova.repubblica.it/cronaca/2011/04/15/news/g8_violenze_alla_bolzaneto_depositate_i_motivi_della_sentenza-14969887/
G8, violenze alla Bolzaneto "Vessati e torturati in caserma"
Il dispositivo dei giudici di secondo grado inflisse 44 condann. Nella
caserma, durante il G8 dell'estate 2001, i no-global furono picchiati,
umiliati, sottoposti a "trattamenti inumani e degradanti"
di MASSIMO CALANDRI
Pare un romanzo dell'orrore, e invece è tutto vero. La sentenza con cui la
seconda sezione della Corte d'Appello di Genova motiva la condanna dei 44
imputati per le violenze e i soprusi nella caserma di Bolzaneto, il carcere
provvisorio del G8, si legge con emozione e ribrezzo. Sono 647 pagine che
ripercorrono tre giorni e tre notti di tortura, ricostruendo le atrocità
morali e fisiche commesse dagli uomini di legge attraverso le testimonianze
delle loro vittime. E' successo solo dieci anni fa, anche se qualcuno
vorrebbe che ce lo togliessimo dalla testa. Soprattutto, è successo. Le
botte, le umiliazioni, la negazione sistematica dei diritti, i "trattamenti
inumani e degradanti".
IL DOCUMENTO I motivi della sentenza (pdf, 600 pag)
Sono tutti colpevoli: generali della polizia penitenziaria, guardie
carcerarie, ufficiali dell'Arma e militari, agenti e funzionari di polizia,
persino quattro medici. La maggior parte dei reati è prescritta, ma i
responsabili pagheranno comunque risarcendo le vittime delle violenze. E con
loro metteranno mano al portafogli anche i ministeri di appartenenza
(Giustizia, Interno, Difesa), che dovrebbero sborsare una cifra superiore ai
dieci milioni di euro. Avrebbero già dovuto farlo, ma sul G8 lo Stato
continua a fare violenza: negando le proprie colpe e rifiutandosi di
pagarle. Le vittime a questo punto cominceranno a pignorare i beni delle
forze dell'ordine: e vedremo se finalmente si decideranno ad obbedire,
tacendo per la vergogna. Il documento vergato dal consigliere Roberto
Settembre, che insieme a Paolo Gallizia componeva la giuria presieduta da
Maria Rosaria D'Angelo, racconta le cose come furono: ce ne sarebbe
abbastanza per farlo diventare un testo di storia da inserire nei programmi
scolastici.
"Una galleria degli orrori, che a leggerla tutta di un fiato fa davvero
male", commenta Emanuele Tambuscio, avvocato di alcuni dei 252 no-global
passati allora per la caserma di Bolzaneto. "Nell'introduzione i giudici si
soffermano sul reato di tortura, che è entrato nel nostro ordinamento
attraverso alcune Convenzioni internazionali. E spiegano come i fatti furono
così conclamati e prolungati nel tempo che era impossibile non accorgersi di
quanto stava accadendo". Non la pensa così un altro legale, Nicola Scodnik,
difensore di un poliziotto (Massimo Pigozzi) condannato per aver
letteralmente strappato la mano - divaricandone le dita - ad uno dei
fermati, è una "sentenza suggestiva, approssimativa. Dimostra un affidamento
incondizionato alla versione delle presunte vittime, senza fare alcuno
sforzo per riequilibrare con la logica le tesi difensive". Non è così,
sostiene la corte. "E questa sentenza è la cattiva coscienza di un paese
intero", commenta l'avvocato Riccardo Passeggi.
"Tre giorni di violenze inconcepibili in qualsiasi Stato di diritto, nei
confronti dei quali si cerca di operare una sorta di rimozione collettiva.
Però i fatti sono lì, e non se ne vanno: sono i diritti violati, le sevizie,
sono quelle cose che gli italiani pensavano di essersi lasciati alle spalle
più di mezzo secolo fa, e invece ritornano pericolosamente. Ma noi non
dimentichiamo".
(15 aprile 2011)
ritorna all'indice
|
LE TORTURE DI BOLZANETO Fonte:
http://www.ilpost.it/2011/04/15/le-torture-di-bolzaneto/
Le torture di Bolzaneto
L'elenco delle angherie subite dalle persone fermate durante il G8 di
Genova, nelle motivazioni depositate oggi dai giudici
15 aprile 2011
Sono state depositate oggi le motivazioni della sentenza di condanna nei
confronti di 38 delle 44 persone condannate in appello lo scorso marzo per
quanto accaduto nella caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova, nel
luglio 2001. Sono generali della polizia penitenziaria, guardie carcerarie,
ufficiali dell’Arma, militari, agenti e funzionari di polizia, medici,
responsabili dei maltrattamenti e delle torture inflitte alle persone
fermate e arrestate durante le manifestazioni di protesta occorse in quei
giorni. La maggior parte dei reati è caduta in prescrizione, ma i
responsabili – e i ministeri di appartenenza – dovranno comunque pagare dei
risarcimenti danni alle famiglie delle persone maltrattate. Le motivazioni,
contenute in ottocento pagine suddivise in sette sezioni, elencano e
descrivono tutto il campionario delle aberrazioni che dovettero subire le
persone fermate.
Insulti e percosse all’arrivo degli arrestati da parte di assembramenti di
varie forze di polizia, ma non con sistematica frequenza, come detto da
diverse parti offese; posizione vessatoria, (in piedi, gambe divaricate e
braccia alzate diritte sopra la testa) nel cortile, contro il muro della
palazzina delle celle, contro la rete di recinzione del campo da tennis o
nei pressi della palazzina delle fotosegnalazioni; passaggio nel corridoio
tra due ali di agenti di varie forze che percuotevano con schiaffi e calci,
sgambettavano, ingiuriavano e sputavano; posizione vessatoria in cella o in
ginocchio col viso alla parete, per 10, 18 o 20 ore, senza riposarsi o
sedersi se non per pochi minuti; la posizione vessatoria della “ballerina”,
sulla punta dei piedi o su un a gamba sola e far stare per ore con le mani
strette nei laccetti di plastica; provata l’imposizione di tali posizioni
anche a persone ferite o in menomazione fisica; provate le percosse al corpo
compresi i genitali con le mani coperte da pesanti guanti di pelle, o con i
manganelli, in tutti i locali per costringere alla posizione vessatoria,
senza motivo o perché i soggetti avevano chiesto un magistrato o un avvocato
o di andare in bagno o di conoscere il motivo del fermo o dell’arresto;
provati spruzzi di sostanze urticanti o irritanti nelle celle; provati
insulti a fondo sessuale, razzista; a contenuto politico; provate minacce di
percosse o di morte, di stupro; provata la costrizione a pronunciare frasi
lesive della propria dignità personale e frasi e inni al fascismo al nazismo
e alla dittatura di Pinochet; provato il taglio forzato dei capelli e la
distruzione di oggetti personali; provate le lunghe attese prima di andare
in bagno e costrizione dei soggetti a urinarsi addosso; provata la
“marchiatura” sul volto con pennarello degli arrestati della scuola Diaz.
L’inesistenza in Italia del reato di tortura ha reso le pene più lievi di
quanto sarebbero state in molti altri paesi europei. Nonostante la ratifica
della convenzione dell’ONU che vieta la tortura risalga al 1987, in quasi
venticinque anni l’Italia non si è ancora dotata di una legge. Una legge era
stata approvata alla Camera nel dicembre del 2006, durante il governo Prodi,
ma non fu mai definitivamente varata dal Senato.
ritorna all'indice
|
DIAZ, IL PROCURATORE GENERALE IN CAMPO "SUBITO IN
CASSAZIONE O SARÀ PRESCRITTO"
Diaz, il procuratore generale in campo "Subito in
Cassazione o sarà prescritto" Luciano Di Noto scrive al presidente della
Corte d'Appello per sbloccare l'iter. Il fascicolo è fermo da sette mesi a
causa di lungaggini burocratiche
di MARCO PREVE
Il Procuratore Generale Luciano Di Noto scrive al
presidente della Corte d'Appello Mario Torti: "Sbloccate il fascicolo Diaz e
mandatelo in Cassazione prima che sia troppo tardi".
Ci sono processi che rischiano di annegare nella prescrizione, anche senza
l'intervento delle leggi mirate del governo Berlusconi.
Sta capitando per uno dei casi giudiziari più importanti della storia
italiana: il processo per l'irruzione alla scuola Diaz durante il G8 del
2001. Contro la sentenza di secondo grado che, nel maggio del 2010, aveva
decretato le clamorose condanne di tutti gli imputati - e tra questi alcuni
dei più importanti poliziotti italiani - , poteva essere presentato ricorso
entro il mese di ottobre 2010. In quella data tutte le parti interessate - i
difensori degli imputati e la pubblica accusa - avevano depositato le loro
istanze per ottenere il pronunciamento dalla Suprema Corte. Ma, sei mesi
dopo, l'intero incartamento è ancora fermo nella cancelleria della Corte
d'Appello. Un ritardo che, al di là delle pur legittime motivazioni (ad
esempio le notifiche a 27 imputati residenti in varie città italiane, seppur
molti domiciliati presso i loro legali), rischia di ridurre ulteriormente
quella già ristretta forbice temporale, che potrebbe garantire la sentenza
definitiva dalla scure della prescrizione.
Sarebbe, infatti, paradossale che un processo come questo non avesse ancora
una sentenza definitiva a dieci anni dagli avvenimenti oggetto
dell'inchiesta. Perché se è vero che la fase d'indagine si è dovuta
scontrare con le lentezze derivanti dalla complessità del caso - e
dall'atteggiamento omertoso, secondo la stessa definizione degli inquirenti,
degli indagati e dei loro colleghi-, essere arrivati ad un passo dal
capitolo conclusivo e vederlo sfumare non per colpa di un atto politico
bensì a causa delle lentezze burocratiche, non potrebbe che essere un'amara
sconfitta per l'intera magistratura.
Basta, infatti, soffermarsi su un elemento per capire quanto sia concreto il
pericolo. Dei due reati non ancora prescritti (falsi e lesioni gravi) il
falso si prescriverà agli inizi del 2013 e considerata la delicatezza della
vicenda e possibili intoppi e lungaggini in corso d'opera, un anno potrebbe
non bastare alla Cassazione per pronunciarsi. La sentenza d'appello, che
aveva ribaltato quella assolutoria di primo grado, aveva comminato pene
complessive per 85 anni di carcere per 25 dei 27 imputati tra i quali
Francesco Gratteri, attuale capo dell'Anticrimine e Giovanni Luperi, capo
del Dipartimento di analisi dell'Aisi (ex Sisde).
Tra l'altro, il pronunciamento definitivo dovrà affrontare una questione
molto importante per il nostro Paese sollevata dal ricorso della procura,
anzi a ben vedere, il suo motivo principale. E cioè la richiesta alla
Suprema Corte di stabilire che, come decretato dalla giurisprudenza della
Corte europea dei Diritti umani, i reati di tortura o maltrattamento, ai
quali possono essere parificate le azioni compiute da alti funzionari nella
scuola Diaz, "non siano - scrissero i sostituti Enrico Zucca e Franco
Castaldi nel documento firmato anche dal procuratore generale Luciano Di
Noto - soggetti a prescrizione e che non sia possibile concedere amnistia o
condono".
(24 aprile 2011)
Fonte:
http://genova.repubblica.it/cronaca/2011/04/24/news/diaz_il_procuratore_generale_in_campo_subito_in_cassazione_
o_sar_prescrizione-15335012/
ritorna all'indice
|
DIAZ, RICORSO IN CASSAZIONE PER DE GENNARO E MORTOLA
Diaz, ricorso in Cassazione per De Gennaro e Mortola
Genova - Ricorso in Cassazione contro la sentenza
d’appello per il prefetto, Gianni De Gennaro, e per l’ex capo della Digos di
Genova, Spartaco Mortola, che nel giugno del 2010 erano stati condannati
rispettivamente a un anno e 4 mesi il primo e un anno e 2 mesi il secondo
perché accusati di aver istigato alla falsa testimonianza l’ex questore di
Genova, Francesco Colucci, durante il processo per l’irruzione della polizia
nella scuola Diaz durante il G8 del luglio 2001.
In primo grado, nel processo con rito abbreviato, entrambi erano stati
assolti perché, secondo il gup, «non c’erano prove sufficienti di
colpevolezza». I fascicoli del ricorso sono stati trasmessi alla Cassazione
in attesa che sia fissata l’udienza. Gianni De Gennaro è difeso dagli
avvocati Carlo Biondi del foro di Genova e Franco Coppi di Roma, mentre
Mortola è assistito dall’avvocato Piergiovanni Iunca e dal professor
Giovanni Aricò del foro romano. È ancora in corso il processo di primo
grado a carico di Francesco Colucci, che viene giudicato con rito ordinario
per falsa testimonianza.
Fonte:
http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2011/04/26/AOoKqZP-gennaro_ricorso_cassazione.shtml
ritorna all'indice
|
COMUNICATO STAMPA: UN FILM SULLA DIAZ COL CAPO DELLA POLIZIA?
Genova 16 maggio 2011. Apprendiamo dai media che la casa di produzione
Fandango sta per cominciare le riprese di un film sulla notte della Diaz, la
violenta irruzione della polizia di stato del 21 luglio 2001 conclusa con
decine di persone ferite, 93 arrestate sulla base di prove false e sfociata
in 25 condanne in secondo grado per funzionari e altissimi dirigenti di
polizia.
Domenico Procacci, fondatore della Fandango, ha
informato di avere inviato al capo della polizia una copia della
sceneggiatura e di essere in attesa di incontrarlo.
Ne siamo sorpresi e preoccupati, perché Procacci non ha
fatto altrettanto con noi, nonostante contatti e sollecitazioni. Eppure
siamo stati coinvolti personalmente, o con i Comitati che rappresentiamo,
nella vicenda Diaz e in tutte le inchieste e i processi seguiti al G8 di
Genova del 2001.
Fandango è naturalmente libera di agire come crede, ma
siamo sconcertati dalla sua scelta di mostrare preventivamente la
sceneggiatura al capo della polizia e non a chi fu vittima delle violenze
degli agenti quella notte.
Lorenzo Guadagnucci, Comitato Verità e Giustizia per
Genova, autore di “Noi della Diaz” (cell. 3803906573)
Enrica Bartesaghi, presidente Comitato Verità e
Giustizia per Genova
Vittorio Agnoletto, ex portavoce Gsf, autore con
Lorenzo Guadagnucci di “L’eclisse della democrazia” (cell.3356356978)
Haidi e Giuliano Giuliani, Comitato Piazza Carlo
Giuliani
ritorna all'indice
|
G8, SI FARÀ IL FILM SULLA DIAZ. LA CONFERMA
DATA A CANNES Fonte:
http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2011/05/15/AOv7DIU-conferma_cannes_sulla.shtml
Cannes - È un film “tabù”, «su una pagina di storia
italiana che non piace a nessuno, ma che dopo 10 anni va
raccontata per non dimenticare»: “Diaz - Non pulire
questo sangue (Don’t clean up this blood)”, il film
sulla notte buia e sanguinosa tra il 21 e il 22 luglio
2001 alla scuola Diaz durante il G8 di Genova,
finalmente si farà. Il produttore, Domenico Procacci
(Fandango), che lo insegue da tempo, ha confermato la
notizia.
Questa mattina, Procacci ha spiegato di avere chiuso a
Cannes gli accordi internazionali: realizzerà il film
con un budget di 7 milioni di euro, finanziandolo con i
francesi di Le Pacte (gli stessi con cui ha prodotto
“Habemus Papam”, di Moretti) e i romeni di Mandragora.
Daniele Vicari incomincerà le riprese a Genova a giugno.
Il cast, per raccontare l’assalto dei 300 del VII Nucleo
alla scuola Diaz dove dormivano 93 ragazzi, la notte di
repressione con la triste «macelleria messicana», come
la definì il vice dirigente del reparto mobile di Roma,
Michelangelo Fournier, al processo, è internazionale,
così come “multilinguistico” sarà il film.
Tanti i protagonisti da annunciare: Elio Germano nel
ruolo del giornalista del Resto del Carlino, Lorenzo
Guadagnucci, picchiato nella Diaz quella notte di
luglio; Claudio Santamaria, che farà Michelangelo
Fournier, che sebbene con ritardo disse «basta» alle
violenze, temendo l’irreparabile; Rolando Ravello,
Alessandro Roja, Pippo Del Bono, Paolo Calabresi, Pietro
Ragusa e poi ancora la tedesca Jennifer Ulrich e la
romena Monica Barladeanu.
«Il film sarà completamente basato sugli atti del
processo, senza grandi invenzioni, se non quelle che
servono per trasformare le testimonianze in materiale
narrativo per il cinema - ha spiegato Domenico Procacci
- Ma non farà vedere l’aula di tribunale dove dopo i
primi due gradi di giudizio siamo in attesa ora del
terzo e definitivo. Nei titoli del film contiamo di
mettere come è andata a finire».
In primo grado i vertici della polizia, Gianni De
Gennaro, Francesco Gratteri, Giovanni Luperi e Gilberto
Caldarozzi, erano stati assolti, così come il capo della
Digos di Genova, Spartaco Mortola, mentre il capo del
Settimo reparto della Mobile, Vincenzo Canterini, era
stato condannato a quattro anni di reclusione e il suo
vice, Michelangelo Fournier, a due
anni. Nell’appello la prima sentenza (accolta al grido
di «vergogna, vergogna») è stata ribaltata, e De Gennaro
e Mortola sono stati condannati, rispettivamente, a un
anno e 4 mesi e a un anno e 2 mesi, perché accusati di
aver istigato alla falsa testimonianza l’ex questore di
Genova, Francesco Colucci, durante il processo. Ora si
attende l’esito del ricorso in Cassazione.
«Non è un film schierato, racconta quello che è successo
lì dentro e i fatti sono fatti. Non è contro la polizia,
anzi sarei contento se collaborasse. Sono in attesa di
incontrare il dottor Manganelli al quale ho fatto avere
la sceneggiatura», ha detto ancora Procacci. Ci sono
stati ostacoli per avviare il progetto? «Ho tentato di
comportarmi come fosse un film normale, non mi sono
mosso in maniera clandestina. Mi sono reso conto, però,
che è un film da cui tutti vogliono restare lontani: sia
i tradizionali investitori cinematografici, come le reti
televisive, sia le banche. Sono andato avanti lo stesso,
ho deciso di farlo cercando i fondi europei e italiani,
ancora senza riuscirci, ma intanto vado avanti. Potevo
fare un film molto piccolo, oppure andare all’estero,
come ho fatto: sarà un film corposo, c’è tanto da
raccontare, e deve risultare evidente la sproporzione
che ci fu tra i poliziotti e i ragazzi».
Procacci conta di andare avanti anche con il film su
Carlo Giuliani, morto durante il G8: «Ci sta lavorando
Stefano Mordini, racconterà il tentativo vano dei
genitori di Giuliani di avere un processo per la morte
del figlio».
ritorna all'indice
|
IL FILM SUL G8 FA LITIGARE LA SINISTRA. I NO GLOBAL INFURIATI COL
PRODUTTORE Fonte:
http://www.ilgiornale.it/spettacoli/il_film_g8_fa_litigare_sinistra_i_no_global_infuriati_produttore/18-05-2011/articolo-id=523893-page=0-comments=1
Qualche settimana fa il Giornale anticipava la preparazione di un film
destinato ad aprire molte polemiche, quello sulla funesta irruzione della
polizia nella scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001 che nel secondo
grado di giudizio ha visto la condanna di 25 imputati su 28. Bene, non è
trascorso nemmeno un mese che l’annuncio a Cannes del produttore Domenico
Procacci della Fandango dell’imminente inizio delle riprese di Diaz - Non
pulire questo sangue (dalla scritta lasciata sulle pareti della scuola)
diretto da Daniele Vicari ha già sollevato un grande polverone. Con un
piccolo particolare però. A mettere i bastoni tra le ruote non è stata la
polizia o magari qualche politico del centrodestra al governo all’epoca dei
fatti, bensì gli stessi familiari di Carlo Giuliani (il ragazzo morto
durante gli scontri a piazza Alimonda) insieme a Lorenzo Guadagnucci ed
Enrica Bartesaghi del Comitato Verità e Giustizia per Genova e
all’immancabile Vittorio Agnoletto ex portavoce del Genoa Social Forum. Un
fuoco di fila da sinistra che ha spiazzato lo stesso Procacci il quale
peraltro proviene proprio da quell’area politica anche se un po’ più chic
(per dire, il suo ritratto a firma Annalena Benini su il Foglio inizia così:
«Di sinistra, ma fico»). Motivo del contendere? Il fatto che il produttore
abbia inviato la sceneggiatura, scritta da Daniele Vicari e Laura Paolucci,
direttamente al capo della Polizia Manganelli. Apriti cielo! «Siamo sorpresi
e preoccupati, perché Procacci non ha fatto altrettanto con noi, nonostante
contatti e sollecitazioni. Fandango è naturalmente libera di agire come
crede, ma siamo sconcertati dalla sua scelta di mostrare preventivamente la
sceneggiatura al capo della polizia e non a chi fu vittima delle violenze
degli agenti quella notte», firmato i nomi di cui sopra. A stretto giro la
precisazione del produttore: «È un malinteso. Il capo della polizia non è
chiamato ad analizzare un progetto.
Ho cercato un incontro diretto con lui per informarlo: non è per un parere,
un’autorizzazione o avere un semaforo verde. Mentre frequenti sono stati i
contatti con coloro che manifestavano a Genova in quei giorni», conclude
Procacci che si dice comunque pronto ad incontrare i firmatari della nota.
Meglio tardi che mai? Lorenzo Guadagnucci, del Comitato Verità e Giustizia
per Genova e giornalista del Resto del Carlino che si trovava nella scuola
durante l’irruzione della polizia (da qui il libro Noi della Diaz),
raggiunto al telefono dice sconfortato: «Ancora non si sono fatti vivi. Il
problema però è che fino ad ora non ho mai visto la sceneggiatura». Curioso
perché proprio a lui s’ispira il personaggio che verrà interpretato da Elio
Germano mentre Claudio Santamaria vestirà i panni di Michelangelo Fournier,
all’epoca vicequestore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma, divenuto
famoso per la frase «sembrava una macelleria messicana» pronunciata durante
il processo.
Nel cast di Diaz - Non pulire questo sangue troveremo anche Rolando Ravello,
Alessandro Roja, Pippo Del Bono, la francese Emilie de Preissac, la tedesca
Jennifer Ulrich e la romena Monica Barladeanu. Un cast internazionale perché
di vari paesi erano i ragazzi della Diaz ma soprattutto perché Procacci è
riuscito a chiudere il progetto avvalendosi di una coproduzione, con i
francesi di Le Pacte (come per Habemus Papam) e i romeni di Mandragora, che
gli assicura un budget di 7 milioni di euro (per il 60 per cento messi dalla
Fandango). Ma la strada non è stata facile: «Ho tentato di comportarmi come
fosse un film normale, non mi sono mosso in maniera clandestina. Mi sono
reso conto però che è un film da cui tutti vogliono restare lontani», dice
Procacci che oltre ad annunciare l’inizio delle riprese a giugno a Bucarest
dove sarà ricostruita la scuola mentre ad agosto saranno girate le scene di
esterni a Genova, assicura che «il film sarà completamente basato sugli atti
del processo, senza grandi invenzioni. Nei titoli del film contiamo di
mettere come è andata a finire col terzo grado di giudizio».
Ma la sua missione (impossibile) di un approccio quanto più oggettivo e di
tenere insieme il mondo della sinistra e quello della destra naufraga già
sui titoli di testa con una dichiarazione polemica del sindacato
indipendente di Polizia Coisp: «Con quale coraggio Procacci parla di film
non schierato se tralascia tutti gli accadimenti precedenti alla Diaz come
il saccheggio, la devastazione e tutti gli altri atroci reati posti in
essere da centinaia di manifestanti?».
ritorna all'indice
|
LA PROPOSTA INDECENTE PER IL G8 DI GENOVA Fonte:
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/articolo-25632.htm
G8 PRESO A ZUCCATE - ENRICO ZUCCA, UNO DEI PM CHE S’È
OCCUPATO DELL’INCHIESTA SUL PESTAGGIO ALLA SCUOLA DIAZ,
RIVELA LA PROPOSTA INDECENTE ARRIVATA DALLA POLIZIA: UN
PATTO PER EVITARE LE INCHIESTE SUGLI AGENTI (“VOI
RINUNCIATE AD ANDARE AVANTI, NOI FERMIANO LE INDAGINI
SUI MANIFESTANTI”) - A DIECI ANNI DAI FATTACCI, NESSUNA
CONDANNA - CURIOSITÀ: QUASI TUTTI GLI UOMINI IN DIVISA
COINVOLTI NELLA "MACELLERIA MESSICANA" HANNO FATTO
CARRIERA…
Gianluca Di Feo per "l'Espresso"
Di quello che è accaduto si sa tutto, o quasi. Manca una
risposta, quella fondamentale: perché? Di quello che è
accaduto si sa tutto, o quasi: un manifestante ucciso,
circa 560 tra dimostranti e agenti feriti, almeno 25
milioni di euro di danni. Ma nessuno finora ha pagato e,
complice la prescrizione dei reati, probabilmente
nessuno pagherà mai: la violenza che in quel luglio 2001
si è impadronita di Genova resterà senza responsabili.
VITTORIO AGNOLETTO
Sono passati dieci anni dal G8 che annichilì un
movimento, capace di riportare alla politica masse senza
tessera: una festa giovane, con cittadini d'ogni età e
nazionalità, schiacciata dalle botte degli uomini in
uniforme e dalla guerriglia urbana di una minuscola
minoranza in tuta nera. Chi si è trovato prigioniero di
quella bolgia feroce non ha più dimenticato.
Ora il decennale apre la corsa a ricordare: ci saranno
memorie, celebrazioni e libri sul vertice che ha marcato
in modo nefasto l'esordio del lungo governo della destra
italiana. Il primo volume porta la firma dell'ideatore
di quella kermesse nata per essere pacifica, Vittorio
Agnoletto. Assieme a lui, Lorenzo Guadagnucci, un
giornalista che da allora si è occupato a tempo pieno di
quei giorni di fuoco e di sangue. In "L'eclisse della
democrazia" (ed. Feltrinelli, 270 pagine,15 euro)
offrono una ricostruzione dettagliata e inedita degli
episodi più vergognosi. A partire dalle pressioni per
ostacolare le indagini.
Perché quella del G8 sembra una storia semplice ma non
lo è. Squadre organizzate di black bloc si infiltrano
nei cortei, vanno all'assalto e provocano una reazione
scomposta delle polizie che caricano alla cieca. Nella
nebbia dei lacrimogeni, tutto diventa violenza. In uno
degli scontri, un carabiniere spara e uccide Carlo
Giuliani. E questo trasforma le strade in un campo di
battaglia, dove ogni regola viene calpestata.
Nella caserma di Bolzaneto centinaia di persone
subiscono torture fisiche e psicologiche. Fino al blitz
nella scuola Diaz, concepito per gonfiare le statistiche
degli arresti, che si è trasformato nella "macelleria
messicana" con il pestaggio di 93 innocenti. Per Amnesty
International è stata "una violazione dei diritti umani
di proporzioni mai viste in Europa nella storia
recente".
Chi lo ha permesso? Il Parlamento non ha voluto
indagare: ai tempi del governo Prodi e della maggioranza
di centrosinistra, i rappresentanti del popolo italiano
se ne sono lavati le mani e hanno delegato tutto ai
giudici. I corpi dello Stato invece hanno fatto
quadrato. Ed è questa la parte più inquietante del
saggio di Agnoletto e Guadagnucci: l'analisi di come la
polizia sia stata contro la magistratura in ogni fase
del procedimento.
MANGANELLI
Lo raccontano per la prima volta i pm che si sono
occupati dell'inchiesta, a partire da Enrico Zucca che
testimonia una "proposta indecente", gravissima dal
punto di vista istituzionale: "Arriva dalla polizia una
richiesta esplicita, una sorta di patto: voi rinunciate
ad andare a fondo nelle inchieste sulla polizia, noi
facciamo altrettanto nelle indagini sui manifestanti. La
proposta ci è riferita in questi termini dal procuratore
aggiunto Giancarlo Pellegrino. È decisamente rifiutata".
Lo conferma anche Patrizia Petruzziello, il magistrato
che ha poi condotto l'inchiesta su Bolzaneto: "Si
proponeva una sorta di pari e patta". Secondo i pm, il
no alla proposta diede inizio a uno scontro frontale tra
istituzioni che finora è rimasto relegato nelle aule di
giustizia genovesi ma che invece richiederebbe una
riflessione molto più alta sui poteri degli apparati
statali nell'Italia del XXI secolo.
La spaccatura è arrivata fin dentro la procura, dove i
sostituti sono stati costretti a firmare un documento
per chiedere di indagare i funzionari che hanno guidato
il raid nella Diaz. Zucca ricorda un clima di tensione
crescente: "Proprio agli albori dell'indagine pervenne
un messaggio oscuro e sibillino, nel senso che si
vociferava che pezzi deviati della polizia, al di fuori
di ogni controllo, stavano tramando e non avrebbero
tollerato alcuna inchiesta.
Fu una voce poi non verificata, ma l'effetto
intimidatorio, nella fase in cui erano in gioco le
decisioni sulla stessa apertura di un'inchiesta e con le
lacerazioni esistenti in procura, era garantito. Inoltre
l'inchiesta si sommava ai normali carichi di lavoro. In
procura eravamo 25 sostituti, ma non fu deciso di
dedicarne alcuni a tempo pieno alle inchieste sul G8".
La pressione arriva al culmine quando l'istruttoria
punta sull'VII nucleo antisommossa, la "celere" romana
passata dagli stadi all'irruzione nella Diaz: "Ci arrivò
il messaggio di aspettare, di essere cauti: "Non
riusciremmo a contenere eventuali reazioni"...".
I rapporti tra procura e Viminale sono diventati
surreali: viene taciuto il nome di uno degli agenti con
i capelli raccolti in una lunga coda di cavallo, ripreso
mentre bastona un giovane. Ricorda Zucca: "Nelle
audizioni di De Gennaro e di Manganelli, attuale capo
della polizia, facemmo presente il disagio procurato dal
mancato chiarimento di alcune circostanze, per noi
intollerabile e che gettava discredito sull'immagine
dell'istituzione. Era un segno troppo evidente della
mancata collaborazione".
Per Zucca con l'incriminazione di Gianni De Gennaro,
accusato di avere spinto un questore a mentire, si va
"allo scontro finale". In primo grado De Gennaro è stato
assolto, in appello condannato a 16 mesi. Nel frattempo
il prefetto è diventato il direttore di tutti i servizi
segreti, primo dirigente a occupare l'incarico di
massimo potere creato con la riforma dell'intelligence.
E quasi tutti gli uomini in divisa coinvolti hanno fatto
carriera: i meno fortunati - sottolinea il libro - sono
quelli che in qualche maniera hanno collaborato con
l'autorità giudiziaria.
Oltre all'allora numero uno della polizia, sul banco
degli imputati sono finiti 29 agenti per la Diaz; 45 tra
carabinieri, poliziotti, guardie carcerarie e medici per
"il lager" di Bolzaneto e 25 dimostranti per le
devastazioni. La Cassazione deve ancora pronunciarsi, ma
gran parte dei reati sono già prescritti. Di fatto non
ci sono responsabili per quella che Amnesty ha definito
"la più vasta e cruenta repressione di massa della
storia europea recente".
E non si capisce nemmeno il perché di tanta violenza: è
stata solo l'impreparazione delle forze dell'ordine, che
non hanno saputo prevenire e fronteggiare i casseur in
tuta nera?
Andrea Camilleri nell'introduzione al libro offre una
lettura diversa: "Ho sempre sostenuto che per me il G8 è
stato una sorta di prova generale, un tentativo di golpe
da parte della destra che fortunatamente è andato
fallito. Rimango convinto che nella cabina di regia di
quei giorni oltre alla polizia e ai carabinieri ci
fossero anche politici e credo, oggi più che mai, che il
fallimento di quell'operazione abbia fatto cambiare
parere circa la strategia da seguire in Italia a qualche
alta personalità politica".
Le indagini non hanno dimostrato una regia politica. Ma
dieci anni dopo, resta aperta "la ferita", - come si
intitola un altro saggio dedicato a quei giorni, a firma
di Marco Imarisio e in uscita sempre per Feltrinelli -
quella che ha infranto il sogno dei no global: i
manganelli di Genova hanno spezzato la fiducia nello
Stato e hanno allontanato un'intera generazione dalla
politica. Una ferita che resta un problema fondamentale
per il futuro della democrazia nel nostro Paese.
ritorna all'indice
|
|
DICHIARAZIONE ASSEMBLEA VERSO GENOVA 2011 ASSEMBLEA VERSO GENOVA
2011 – 14 MAGGIO 2011
DICHIARAZIONE APPROVATA DALL’ASSEMBLEA
Il 6 maggio scorso, a 10 anni di distanza dal G8, abbiamo nuovamente
assistito, a Genova, al pestaggio di giovani inermi da parte delle “forze
dell’ordine”.
L’Assemblea oggi riunita per preparare le manifestazioni che si terranno a
Genova in occasione del decennale del G8, esprime la propria piena
solidarietà agli studenti e alle studentesse picchiati durante una
manifestazione in occasione dello sciopero generale indetto dalla CGIL e
sottolinea l’assoluta necessità che la gestione dell’ordine pubblico –
sempre e, in particolare, durante gli eventi per il decennale del G8 del
prossimo luglio, a differenza di quanto avvenne allora – sia improntato al
senso di equilibrio e di responsabilità.
Oggi pomeriggio a Roma si tiene la manifestazione a sostegno della
Flottiglia per la Libertà di Gaza, che partirà a fine maggio, con il nome di
“RESTIAMO UMANI”, in ricordo di Vittorio Arrigoni, ucciso il 14 aprile
scorso.
Nel frattempo, è arrivato a Gaza un folto gruppo di giovani, il CORUM, per
ribadire che la solidarietà internazionale con Gaza continua e si rafforza,
e con l’obiettivo di istituire un centro media intitolato a Vik.
L’Assemblea esprime il proprio sostegno e la propria solidarietà a queste
iniziative per la libertà di Gaza, ricordando il grande e prezioso lavoro di
Vittorio ed impegnandosi a far vivere, anche nelle giornate di Genova, la
lotta del popolo palestinese per i propri diritti e per la fine dell’assedio
di Gaza.
L’Assemblea invita, quindi, tutte e tutti coloro che sostengono la causa del
popolo palestinese a partecipare alle iniziative che si terranno a Genova
del 24 giugno prossimo e che culminerranno nella settimana dal 19 al 24
luglio.
L’Assemblea, infine, auspica che il tentativo di oscuramento della
consultazione referendaria del prossimo 12-13 giugno fallisca e che i
cittadini italiani rivendichino nei fatti il proprio di diritto di
esprimersi attraverso un importante strumento di democrazia dal basso
andando in massa a votare, e lancia l’appello per votare SI’ ai quesiti
refenderari.
L’ASSEMBLEA VERSO GENOVA 2011
www.genova2011.org
ritorna all'indice
|
G8 GENOVA 2011: L'ECLISSE DELLA DEMOCRAZIA Genova, luglio 2001:
un ragazzo di 23 anni ucciso dai carabinieri; 93 persone pestate e arrestate
sulla base di prove false alla scuola Diaz; decine di fermati torturati
nella caserma di Bolzaneto.... Dieci anni dopo, tutte le verità sul G8 di
Genova, teatro della più violenta repressione di massa degli ultimi decenni,
secondo la definizione di Amnesty International. Intervista a Vittorio
Agnoletto e Lorenzo Guadagnucci, autori di "L'eclisse della democrazia. Le
verità nascoste sul G8 2001 a Genova"
http://www.youtube.com/watch?v=lAx3rkzNd_s
ritorna all'indice
|
GENOVA E I NO GLOBAL QUEI DIECI ANNI PERDUTI Fonte:
http://www.micciacorta.it/home/naviga-tra-le-categorie/25-libri/3560-genova-e-i-no-global-quei-dieci-anni-perduti.html
Repubblica
Un libro di Marco Imarisio tra il G8 del 2001 e la
storia del Movimento
GENOVA E I NO GLOBAL QUEI DIECI ANNI PERDUTI
Scritto con la forza e il gusto di una cronaca,
ricostruisce una storia
molto italiana un´occasione mancata un "sogno" ucciso da
molti
CARLO BONINI
Ci sono storie che si ritengono esauste. Per overdose di
parole e immagini, per saturazione memorialistica, per
coazione a ripetere di luoghi comuni. E, a ben vedere, i
giorni del G8 di Genova sono una di quelle storie.
Diventa allora sorprendente scoprire quanta materia viva
conservi ancora quel passaggio della nostra Storia
politica recente. Come il tempo - dieci anni a luglio -
per una volta aiuti a ritornare in quei luoghi con occhi
e curiosità diverse. Nello sforzo di rimettere insieme
quel che fu e quel che è stato di una generazione del
Movimento, dell´antagonismo italiano. La sua parabola,
la sua implosione. E´ il viaggio non celebrativo in cui
si è imbarcato Marco Imarisio, firma del Corriere della
Sera, testimone intelligente e appassionato di quei
giorni del luglio 2001 e di ciò che ne è seguito, nel
suo la ferita - il sogno infranto dei No Global italiani
(Feltrinelli, pagg. 190, euro 14).
Scritto con la forza e il gusto di una cronaca, con l´understatement
di chi non ha risposte da dare ma solo molte domande
ancora da fare, con il gusto per la ricerca del
dettaglio inedito che diventa metafora di un´intera
storia (come la scoperta di un pacchetto di Rothmans
che, chiuso nel cassetto di un insegnante piemontese,
custodisce un pugno di segatura
bagnata dal sangue di Carlo Giuliani), la ferita è il
racconto di un´occasione mancata. «Una storia molto
italiana - scrive Imarisio - Uno strano impasto di
personalismi, nobili gesti e altrettante ripicche. Un
cupio dissolvi generale che non teneva conto delle
potenzialità espresse da quel movimento. Come se i primi
a non credere fino in fondo alle loro
possibilità fossero stati i proprietari della ditta».
Che, evidentemente, hanno un nome e cognome.
Vittorio Agnoletto, Luca Casarini, Francesco Caruso,
Piero Bernocchi e la corona di leader meno noti, che con
loro hanno segnato Genova e hanno contribuito ad
amministrarne l´eredità, diventano nel racconto di
Imarisio figure malinconiche. Da subito e
improvvisamente disarmate, all´indomani dell´11
Settembre 2001, da una nuova geopolitica che nessuno
poteva prevedere. Quasi sempre inadeguate alla sfida che
si era prefisso il Movimento. Regolarmente stritolate
tra la forza di un´intuizione politica e sociale precoce
(la catastrofica fragilità di un´economia finanziaria e
speculativa; la sfida sui prodotti agricoli; la difesa
dell´acqua dalla privatizzazione; la questione
climatica) e la zavorra, i tic, il settarismo, propri di
categorie politiche della sinistra movimentista degli
anni ´70-´80.
E tuttavia, ad uccidere "il sogno" hanno contribuito
molte mani. Non solo i «proprietari della ditta».
Imarisio illumina nel tempo il cinismo della sinistra di
governo e il fallimento fragoroso di Fausto Bertinotti e
Sergio Cofferati di fronte all´urgenza del Movimento di
trovare forme nuove di rappresentanza politica, di
sbocco alla sua elaborazione.
L´utopia narcisista del primo. Il "tradimento" del
secondo. Così come documenta il riflesso d´ordine e di
appartenenza, le omertà, che, in questi dieci anni,
hanno orientato le mosse dei vertici della Polizia di
Stato e dell´Arma dei carabinieri nella stagione
giudiziaria (per altro non ancora conclusa) che doveva
dare responsabilità certe alle violenze di Genova. Una
scelta sciagurata che ha impedito, insieme
all´accertamento di una verità incontrovertibile e
completa, la composizione di una memoria condivisa e
dunque la cicatrizzazione della ferita. Che ha
moltiplicato i rancori. Che ha progressivamente
cancellato i fatti, fino ad anestetizzarne il ricordo
(esemplare la rimozione che il Paese ha fatto della
vergogna di "Bolzaneto").
I "no Global" non appartengono più al panorama politico
del Paese. Esiste ancora lo spazio del centro sociale
"Rivolta" dove, alla vigilia del G8, le "tute bianche"
fecero le prove generali delle loro catapulte per dare
l´assalto alla zona rossa. «Adesso - scrive Imarisio - è
una sala ipertecnologica da duemila posti dove, la Fiom,
gli studenti, i precari della scuola tentano di
delineare un nuovo percorso comune, "Uniti contro la
crisi" (...) Ci stanno riprovando, con un orizzonte più
stretto, meno illusioni. Tentando di portare con sé
almeno il ricordo di quell´avventura».
--
Carlo
Forum Per La Sinistra Europea - Genova
http://versose.altervista.org/
ritorna all'indice
|
IL CASO/G8: NUOVA PROMOZIONE PER MORTOLA L'UOMO DEI PESTAGGI ALLA DIAZ
di Federico D'Ambrosio
E alla fine la promozione è arrivata. Da qualche giorno Spartaco Mortola,
l'ex capo della Digos di Genova ai tempi delle violenze del G8, è dirigente
superiore della polizia di stato. Ovvero questore, anche se non è detto che
gli sia assegnata subito una sede operativa. Mortola è stato condannato a 3
anni e 8 mesi in appello per le violenze alla scuola Diaz e a un anno e 2
mesi per induzione alla falsa testimonianza, quando, stando alla sentenza,
indusse l'ex questore di Genova a cambiare la propria versione dei fatti al
processo. Escludendo il coinvolgimento dell'allora capo della polizia Gianni
De Gennaro. Mortola aveva già fatto uno scatto di carriera dopo il 2001,
diventando vice questore a Torino. Dove le polemiche l'hanno seguito,
durante le proteste anti Tav. Un anno fa il suo nome è finito in una lista
di persone che a maggio 2011, appunto, avrebbero partecipato a Roma al corso
di formazione propedeutico alla promozione a dirigente superiore.
Mortola, tra le altre condanne, è stato giudicato colpevole anche per le
falsità sostenute sul ritrovamento delle bottiglie molotov alla Diaz,
fondamentali per giustificare l'irruzione e sostenere che fosse la base
operativa dei Black bloc. Il processo ha dimostrato che furono portate da
agenti che le avevano sequestrate in piazza. Nella scuola, disse Mortola al
processo, c'erano «circa 50 persone a piano terra, tranquille e
apparentemente non ferite». Dall'edificio uscirono 93 persone molte ferite
in modo gravissimo. Tutte arrestate con quella che il neoquestore definì una
«forzatura giuridica».
da "il manifesto" del 2 6 2011
ritorna all'indice
|
G8 VA IN SCENA L'ULTIMA INCHIESTA Dieci anni dopo a giudizio un
vicequestore per le botte ai manifestanti a mani nude
La ricostruzione della storia in un lungo dossier pubblicato su Micromega
MARCO PREVE
Quello che sta istruendo in queste ore il pm Francesco Cardona Albini
potrebbe essere l´ultimo processo del G8. A dieci anni esatti di distanza da
quei tre giorni che sconvolsero Genova e la democrazia italiana, sta per
essere presentata al gip la richiesta di rinvio a giudizio per falso nei
confronti dell´ex comandante del Reparto Mobile di Bologna, il vicequestore
Massimo Cinti, oggi dirigente del commissariato di Imola.
La sua vicenda si inserisce in uno degli episodi simbolo del G8, la gratuita
brutalità delle forze dell´ordine contro i pacifisti che dimostravano a
piazza Manin con volti e mani dipinti di bianco.
Il fascicolo contro Cinti è stato aperto dopo che i giudici della Corte
d´Appello, che nel luglio scorso hanno condannato quattro agenti, hanno
ritenuto che la sua deposizione in aula fosse tesa a coprire i suoi uomini
nascondendo la realtà dei fatti. La Corte ha così trasmesso in procura gli
atti, chiedendo che si procedesse nei confronti del vicequestore per falsa
testimonianza. Il pm Cardona Albini non ha perso tempo ed entro l´estate il
fascicolo sarà chiuso con la richiesta di rinvio a giudizio. Non sono invece
stati così solerti altri suoi colleghi che, di fronte ad analoghi fascicoli
di falsa testimonianza nei confronti di ufficiali e funzionari, hanno
lasciato cadere in prescrizione i reati. Queste ed altre vicende sono
raccontate in un lungo dossier pubblicato sul numero in edicola della
rivista Micromega: "G8 dieci anni dopo: impunità di Stato".
In piazza Manin, il 20 luglio, due studenti universitari spagnoli di
Saragozza Adolfo S. e Luis L. incensurati, furono arrestati; il primo per
«lancio di molotov contro i reparti di polizia», il secondo perché con «un
tubolare di ferro si avventava contro i componenti della squadra». Nella
prigione di Bolzaneto subirono le violenze e le umiliazioni di decine di
altri manifestanti.
Dopo l´assoluzione in primo grado dei quattro agenti - Antonio Cecere,
Luciano Beretti, Marco Neri e Simone Volpini - e il ricorso degli avvocati
degli spagnoli Laura Tartarini e Emanuele Tambuscio, la Corte d´Appello ha
condannato i poliziotti a quattro anni perché mentirono: «E´ falsa la
circostanza secondo cui gli arresti dei due spagnoli sarebbero avvenuti in
un contesto di scontri tra manifestanti e polizia. Dai filmati si vede
benissimo come gli arrestati si siano diretti a mani nude contro i blindati
della polizia».
Fondamentali per l´accertamento della verità sono state le numerose foto
scattate quel giorno e poi il filmato di Luna Rossa, il gruppo del regista
Francesco Maselli che ha documentato i giorni degli scontri al G8 del 2001.
ritorna all'indice
|
CITTADINANZA FERITA E TRAUMA PSICOPOLITICO. DOPO IL G8 DI GENOVA: IL
LAVORO DELLA MEMORIA E LA RICOSTRUZIONE DI RELAZIONI SOCIALI
Adriano Zamperini e Marialuisa Menegatto
Cittadinanza ferita e trauma psicopolitico.
Dopo il G8 di Genova: il lavoro della memoria e la ricostruzione di
relazioni sociali*
Prefazione di /Nando dalla Chiesa
********
Dieci anni sono ormai trascorsi dal G8 di Genova. Un evento che tuttavia
resta impresso nell'immaginario. Difficile lasciare dietro di sé quei
drammatici eventi, immortalati da una moltitudine di fotografie e video.
Immagini di scontri di piazza, con la morte di Carlo Giuliani, e di
manifestanti picchiati a sangue nella scuola Diaz. Poi le notizie sulla
violenza di Bolzaneto. Infine sono venuti i processi e le sentenze. Che cosa
resta di Genova, oggi? Gli autori, muovendosi per i sentieri di un senso di
cittadinanza profondamente ferito e di un diffuso trauma psicopolitico,
prendono le distanze da quel pensiero illusorio che si affida passivamente
al tempo. Nella speranza che si faccia guaritore. Quasi che a far decantare
l'afflizione, essa svanisca.
E che l'indignazione covata dall'ingiustizia patita possa essere erosa
dall'oblio. Sapendo però che tutto si può dire del passato, tranne che sia
passato, gli autori analizzano scientificamente la natura della sofferenza,
individuale e collettiva, generata dal G8 di Genova.
Interrogano le pratiche sociali della memoria, affrontano il problema del
vivere comune "offeso" - la frattura tra istituzioni dello Stato e parte dei
cittadini - con le reciproche barriere emozionali che continuano a frapporsi
a livello interpersonale e intergruppi. Offrendo infine un sapere al
servizio della società, aiutandola a concretizzare rispetto e giustizia, per
incamminarsi lungo le vie di una matura riconciliazione.
I diritti d'autore del libro sono devoluti al Comitato Verità e Giustizia
per Genova.***
Gli autori:
Adriano Zamperini è professore di Psicologia sociale e di Relazioni
interpersonali presso l'Università degli Studi di Padova.
Marialuisa Menegatto è psicologa clinica e di comunità, ricercatrice presso
la Società Italiana di Scienze Psicosociali per la Pace.
Da fine settembre 2011 in tutte le librerie, prima sarà possibile
acquistarlo nei luoghi di presentazione pubblica:
9 luglio - prima presentazione nazionale Genova "Settimana dei diritti" con
Nando dalla Chiesa - ore 11,00 Palazzo Tursi, Salone di Rappresentanza
12 luglio - Firenze con ANPI, Comune di Firenze - ore 18,00 Biblioteca delle
Oblate
17 luglio - Pisa progetto Rebeldia - ore 17,30 Parco della Cittadella
21 luglio - Genova Decennale 2001-2011 con Enrica Bartesaghi - ore 18,00
Sottoporticato Palazzo Ducale
Per informazioni:
http://www.sispa.it/blog/
ritorna all'indice
|
GENOVA 2001-2011: INTERVENTO LETTO IN PIAZZA
MAGGIORE Questa è la traccia dell'intervento che ho
letto questa sera in Piazza Maggiore prima della proiezione di un frammento
di "Bella Ciao" di Marco Giusti e poi della presentazione del film "Noi
credevamo" con Francesco Martone.
E' stata una bella serata grazie a Gianluca Farinelli che ha offerto questa
possibilità e a Francesco Martone stesso che ha avuto parole forti su
riprendendo l'argomento: Genova ha dato la possibilità di far politica ad
una intera generazione. Il mio film riguarda l'idea di incompiutezza della
democrazia che attraversa il paese dal risorgimento fino a Genova
attraversata dal manifestarsi del potere in maniera repressiva.
Le immagini che vedrete tra un po' fanno parte di un racconto di Genova
iniziato dieci fa. Un racconto a più voci, fatto di migliaia di videocamere
e macchine fotografiche, che insieme alle testimonianze di chi c'era hanno
saputo dare al paese un altro modo di vedere quei giorni. Perché Genova è
stata soprattutto questo: una manifestazione diffusa e generale, in tutto il
paese, la prima davvero internazionale, che ha visto l'incontro di centinaia
di migliaia di persone diverse per età, condizione sociale, biografia e
percorsi politici. Persone che contestavano un modello sociale ed economico
ingiusto che cancellava diritti e metteva in vendita tutto il resto. Una
risposta democratica che sanciva la partecipazione, per la prima volta, di
una intera generazione, quella cresciuta politicamente negli anni '80 e '90
e al ritorno all'impegno di molte altre persone. Per sé e per il futuro.
Il 16 luglio di 10 anni fa vicino al porto di Genova cominciava il forum
dove per la prima volta si parlava di acqua come bene comune avviando quel
percorso che poi ha portato ai vittoriosi referendum del 12 e 13 giugno. E
ancora si denunciava la speculazione finanziaria e le pratiche di
sfruttamento del lavoro che arricchivano pochi e minavano le basi della
convivenza civile come poi abbiamo visto con la crisi e la precarietà. Non
solo, si denunciava la crisi delle istituzioni democratiche più attente ai
diktat del mercato che alle richieste dei cittadini. E dopo la finanziaria
che si sta discutendo in queste ore in parlamento torniamo a chiederci: in
quale democrazia viviamo se si sceglie di far pagare il conto di questo
fallimento alle fasce più deboli privatizzando i servizi e tagliando il
welfare, ma lasciando intatte rendite, sprechi e spese militari perché è
quello che ci chiedono le banche, l'Europa e i mercati?
Per questo Genova fa anche paura. Perché rispetto a queste domande di
partecipazione e di democrazia la risposta fu “la più grande violazione dei
diritti umani di proporzioni mai viste in Europa nella storia recente” come
ebbe a scrivere Amnesty International. “Un tentativo di golpe del governo
fortunatamente andato fallito” come ha scritto più di recente Andrea
Camilleri che in alcuni casi è stato risolto con l'archiviazione di processi
imbarazzanti, come sarebbe potuto essere quello per l'assassinio di Carlo
Giuliani, a in altri, nel silenzio e al volte nel depistaggio di media e
politica, è stato messo in evidenza con il processo e la condanna in gradi
diversi dei massimi dirigenti delle forze dell'ordine per la Diaz e
Bolzaneto. Fatti per “i quali lo Stato non ha ancora chiesto scusa” come ha
denunciato il procuratore capo di Genova, Di Noto, e sui quali invece c'è il
rischio della prescrizione perché in Italia non abbiamo mai ratificato il
reato di tortura. E quindi Genova fa ancora paura perché come potremmo
chiamare diversamente quella che abbiamo visto sulla pelle di quei
manifestanti colpiti da una repressione generalizzata in Val di Susa e che
nei giorni successivi hanno reso pubbliche le loro testimonianze?
Per questo motivo Genova è ancora attuale. Perché quei drammatici
avvenimenti non hanno fermato la partecipazione. Anzi. Perché continua a
porre domande e a chiedere di trovare soluzioni tutti insieme, impegnandosi
in prima persona. Come è successo in questi anni nelle università e tra le
fabbriche, a chi lotta contro la precarietà come tratto distintivo di una
generazione e tremendo presagio di futuro per tutti, con le mobilitazioni
delle donne in difesa della loro dignità, con quelle dei migranti che sono
saliti sulle gru per chiedere rispetto e diritti, come sta chiedendo chi
denuncia i cambiamenti climatici e la crisi ambientale e non aspetta che le
soluzioni vengano dall'alto.
Di tutto questo si sta discutendo a Genova che ci aspetta tutte e tutti alla
manifestazione di sabato 23. Perché nulla è stato più come prima e un altro
mondo è ancora possibile. E oggi ancor più necessario.
ritorna all'indice
|
RIFLESSIONE. PASQUALE PUGLIESE: DAL DECENNALE DEL
MASSACRO DI GENOVA UN COMPITO PER IL PROSSIMO DECENNIO
Il 20 luglio del 2001, a sera, la tragedia era gia' compiuta. Il dramma
sarebbe continuato per altri giorni ancora. Il ritorno pieno della
democrazia non e' ancora completo.
Tuttavia il "movimento dei movimenti", che a Genova e'
stato massacrato in senso letterale e non figurato, dieci anni dopo - oggi -
ha cominciato a vincere.
Alcune delle parole che nelle strade e piazze di Genova
sono state spezzate nelle bocche dei manifestanti, impastate nei fiotti di
sangue, azzittite dalle sirene - e dalle pale degli elicotteri, dalle
vetrine spaccate, dai manganelli picchiati sugli scudi e sulle teste, dai
colpi di pistola - sono oggi le parole del "nuovo lessico degli italiani".
La ricerca sul "dizionario degli italiani", pubblicata
qualche giorno fa dalla Demos di Ilvo Diamanti, posiziona nel quadrante
delle parole positive e importanti per il futuro proprio quelle che da
Seattle a Genova a Porto Alegre hanno mobilitato una generazione di
attivisti: Solidarieta', Energia pulita, Bene Comune, Partecipazione e,
addirittura, Decrescita.
Quando cambiano le parole vuol dire che comincia a
cambiare la cultura profonda. Lo dice lo stesso Diamanti: "il lessico degli
italiani compilato nell'estate 2011 rivela che questo clima culturale e'
cambiato. Insieme al linguaggio. E che il Bene comune, oggi, non occorre
piu' farlo di nascosto. Come la Solidarieta'. Pratiche diffuse da tempo nel
nostro paese, come dimostra la fitta rete di associazioni volontarie e la
crescente propensione al consumo critico e consapevole. Oggi, invece, sono
divenute parole di successo". E' una lenta progressiva egemonia culturale
che si sta affermando, facendosi strada dentro un ventennio di egemonia
razzista, mafiosa e berlusconiana.
Ed e' un'egemonia che ha gia' raggiunto una massa
critica capace di incidere politicamente, costruendo e vincendo dal basso -
contro tutti e contro tutto - i referendum popolari con i quali sono stati
affermati proprio quei principi e, contemporaneamente, messi in campo
capacita' e strumenti di partecipazione, vecchi e nuovi.
Come ricorda il documento del Movimento Nonviolento
"Dalla Val di Susa al decennale del G8 di Genova" il "movimento dei
movimenti" in questo decennio e' riuscito a sottrarsi al destino segnato da
chi voleva intrappolarlo nella rincorsa ai vertici del potere, nell'assalto
alle zone rosse, nella lotta degli studenti borghesi contro i poliziotti
proletari, nel "diritto all'autodifesa", nel vicolo cieco del terrorismo,
nelle questioni cruciali per il futuro derubricate a faccende di ordine
pubblico. Ha saputo sottrarsi ad un triste "deja' vu"; ed ha intrapreso una
strada del tutto nuova e, per certi versi, inedita, spiazzando letteralmente
gli apparati e i poteri costituiti. E' diventato un movimento
"lillipuziano", cioe' molecolare, capace di radicarsi fortemente sui
territori locali nelle mille iniziative di botteghe, comitati, associazioni,
movimenti...; "reticolare", cioe' capace di stringere alleanze su impegni
comuni, di pensare globalmente agendo localmente, ma in relazione con gli
altri; "nonviolento", cioe' capace di impostare campagne volte a comunicare
ed educare, a spiegare e formare, a coinvolgere ed allargare il consenso,
utilizzando al meglio lo straordinario potere del web.
Naturalmente molte questioni sono ancora aperte, questo
"vantaggio" puo' sempre essere perso e non e' difficile smarrire il sentiero
sul quale ci siamo incamminati. Bisogna percio' non farsi distrarre dalle
sirene "anticasta" che vogliono trascinarci nella "notte in cui tutte le
vacche sono nere", per riaffermare i poteri occulti di sempre.
Occorre intelligenza e capacita' di individuare i nodi
cruciali da affrontare e sciogliere per una duratura trasformazione
profonda, sui quali fare ancora massa critica. A cominciare da un nodo
ancora ben integro e saldo, quello della guerra e degli armamenti.
Nonostante le spese militari siano sempre di piu' il
vero pozzo senza fondo del bilancio dello Stato che sottrae ingenti risorse
a tutti i settori pubblici; nonostante la guerra venga costantemente
preparata, pianificata e agita come unico "mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali"; nonostante questo determini un ribaltamento
dello spirito e della lettera della Costituzione che "ripudia la guerra" ed
invece e' essa ad essere ripudiata; nonostante tutto cio', le parole "pace",
"disarmo", nonviolenza" sono ancora assenti dal "dizionario degli italiani".
Mettercele dentro e fare massa critica per affermarle
culturalmente, socialmente e politicamente e' il nostro compito per il
prossimo decennio.
ritorna all'indice
|
DICHIARAZIONE FINALE COMUNE GENOVA 2011: "LORO LA
CRISI - NOI LA SPERANZA" Assemblea internazionale 24
luglio
La rete italiana verso il FSM nel Maghreb-Mashrek si incontra il 4 settembre
a Roma
Noi, partecipanti a Genova 2011 “Loro la crisi- Noi la speranza” riuniti
nell’assemblea internazionale del 24 luglio, dopo la grande manifestazione
di ieri, ci impegniamo a costruire insieme il percorso che ci porterà al
Forum Sociale Mondiale del 2013 che si terrà nella regione Maghreb-Mashrek.
Per la prima volta, i movimenti, gli attori sociali, gli attivisti e le
comunità di tutto il mondo si riuniranno nella nostra comune regione
mediterranea, ospiti delle rivoluzioni della dignità.
Il Forum e il suo processo di costruzione ci offrono una straordinaria
occasione di convergenza nazionale e internazionale per rafforzare il campo
di forze e delle alleanze necessari a una vera alternativa alla crisi
globale, fondata sulla radicalizzazione della democrazia e dei diritti, su
un altro modo di produrre, di vivere, di consumare, di convivere, capace di
respingere al mittente le devastanti ricette anticrisi imposte dai poteri
dominanti.
Ci impegniamo a costruire insieme due importanti appuntamenti internazionali
in Italia:
- Nei prossimi mesi, un seminario aperto per la ricostruzione di uno
spazio pubblico europeo pubblico e partecipato dagli attori sociali che nel
nostro continente fanno vivere le lotte, le vertenze, le alternative, le
buone pratiche per una Europa diversa.
- Nel 2012, decennale del FSE di Firenze del 2001, un evento Forum
mediterraneo, un grande incontro dei movimenti europei con i protagonisti e
le protagoniste delle rivoluzioni della dignità nella riva sud .
Organizzeremo la partecipazione alle manifestazioni contro il G20 a Nizza in
novembre, per la giustizia climatica a Durban a dicembre e in Brasile in
occasione della conferenza Onu sullo sviluppo sostenibile Rio+20, nel Forum
Mondiale Alternativo per l’Acqua a marzo 2012 a Marsiglia. Ci mobiliteremo
per la giornata di azione dei migranti il 18 dicembre del 2011.
La “rete italiana verso il FSM” sarà una rete orizzontale e partecipata,
capace di socializzare e democratizzare al massimo le relazioni
internazionali altermondialiste, e di assicurare la massima partecipazione
degli attori sociali, delle comunità, dei territori.
La rete si riunirà a Roma il 4 settembre per programmare il proprio lavoro.
Sarà anche l’occasione per discutere le possibili convergenze di azione sul
livello nazionale di mobilitazione, nell’autunno caldo di lotte e di
resistenze che tutti e tutte stiamo preparando nel nostro paese.
ritorna all'indice
|
|
Fonte:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/11/29/diaz-le-carte-del-processo-in-cassazione.html
DIAZ, LE CARTE DEL PROCESSO IN CASSAZIONE
29 novembre 2011 — pagina 4 sezione: GENOVA
VENERDÌ scorso un furgone carico dei fascicoli del dibattimento Diazè
partito da Genova alla volta di Roma per consegnare tutte le carte
necessarie a che si possa celebrare il processo in Cassazione che vede
attualmente condannati 24 persone, tra i quali alcuni dei massimi dirigenti
della polizia italiana. Pare che i documenti siano partiti nonostante
mancassero ancora alcune delle ricevute di ritorno delle notifiche che
secondo il presidente della Corte d' Appello Mario Torti erano all' origine
del ritardo (per colpa «degli ufficiali giudiziari della capitale»). Si
conclude così una telenovela mortificante per la giustizia italiana dove
nonostante ripetuti solleciti, anche da parte dell' allora procuratore
generale Luciano Di Noto, le carte erano rimaste congelate a Genova, negli
uffici della corte d' Appello dove erano state depositate un anno e mezzo
fa. Una paralisi che rischia di fare andare in prescrizione anche gli ultimi
reati (lesioni gravi e falsi). Il Comitato verità e Giustizia per Genova
aveva chiesto un' ispezione al Ministero della Giustizia. La sezione ligure
di Magistratura Democratica aveva parlato di precise responsabilità della
Corte d' Appello di Genova sottolineando come si violassero precise
indicazioni della Corte Europea dei Diritti dell' Uomo che, per reati di
questa natura che vedono imputati rappresentanti delle istituzioni, dice che
si deve impedire a tutti i costi la prescrizione. Due giorni fa, a
Repubblica, Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale a
proposito del ritardo aveva detto «l' amministrazione, che dovrebbe dare il
massimo impegno per chiarire le responsabilità dei suoi funzionari, lascia
invece scorrere il tempo». - MARCO PREVE
ritorna all'indice
|
ARRESTI ILLEGALI AL G8 IN PIAZZA MANIN POLIZIOTTI
CONDANNATI ANCHE IN CASSAZIONE Il Cinti citato qui
per il quale "si profila la richiesta di rinvio a giudizio" è Luca Cinti,
non Massimo Cinti, vice questore di Imola come ha scritto a giugno il
Corrire di Romagna (http://www.veritagiustizia.it/rassegna_stampa/corriere_romagna_g8_vice_questore_accusato_di_falso.php)
dopo l'inchiesta riportata su Micromega (http://temi.repubblica.it/micromega-online/genova-2001-impunita-di-stato)
e ripresa anche da Repubblica (http://genova.repubblica.it/cronaca/2011/06/22/news/g8_va_in_scena_l_ultima_inchiesta-18055965/)
Fonte:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/12/20/arresti-illegali-al-g8-in-piazza-manin.html
Arresti illegali al G8 in piazza Manin poliziotti condannati anche in
Cassazione
20 dicembre 2011 — pagina 7 sezione: GENOVA
DUE manifestanti spagnoli si avvicinarono al gruppo di agenti con le mani
alzate ma nel verbale la realtà venne stravolta e i due furono trasformati
in violenti "black bloc". Ieri mattina la Cassazione ha confermato la
pesante condanna (4 anni) per quattro poliziotti del reparto mobile di
Bologna che nel luglio del 2011 durante il G8 si resero protagonisti del
reato di arresto illegale in piazza Manin, il luogo in cui decine di
pacifisti cattolici della Rete Lilliput vennero picchiati senza motivo dalle
forze dell' ordine. In primo grado erano stati tutti assolti e in appello,
nel luglio 2010, la sentenza era stata ribaltata. I poliziotti condannati
sono Antonio Cecere, Luciano Beretti, Marco Neri e Simone Volpini. Le accuse
a loro carico erano quelle di falso ideologico in atti pubblici, calunnia e
abuso d' ufficio ma su questi ultimi due reati era stata dichiarata la
prescrizione. L' inchiesta che li ha portati sul banco degli imputati
riguardava gli avvenimenti del 20 luglio 2001. I poliziotti bolognesi furono
inviati in piazza dove pochi minuti prima erano passati i black bloc in
fuga. I manganelli si accanirono contro i pacifisti e fra gli arrestati vi
furono i due studenti spagnoli che erano stati accusati ingiustamente di
aver lanciato una bottiglia incendiaria e di essersi scagliati contro gli
agenti impugnando una sbarra di ferro. Ad appellarsi contro la sentenza di
primo grado erano stati il pm Francesco Albini Cardona che aveva chiesto4
annie le parti civili rappresentate dagli avvocati Emanuele Tambuscio e
Laura Tartarini. I giudici d' appello scrissero in sentenza che: «E' falsa
la circostanza secondo cui gli arresti dei due spagnoli sarebbero avvenuti
in un contesto di scontri tra manifestanti e polizia. Dai filmati si vede
benissimo come gli arrestati si siano diretti a mani nude controi blindati
della polizia». Fondamentali per l' accertamento della verità sono state le
numerose foto scattate quel giorno e poi il filmato di Luna Rossa, il gruppo
del regista Francesco Maselli che ha documentato i giorni degli scontri al
G8 del 2001. Questa vicenda ha generato anche un' altra tranche d' indagine
che vede indagato per falsa testimonianza il vicequestore Massimo Cinti il
quale, in udienza in qualità di teste fornì una versione dell' accaduto
palesemente falsa secondo gli stessi giudici che trasmisero gli atti alla
procura. Per lui si profila la richiesta di rinvio a giudizio. - MARCO
PREVE
ritorna all'indice
|
G8, LA CASSAZIONE CONFERMA QUATTRO CONDANNE "I MEDIA
NON HANNO CONDIZIONATO I GIUDICI" Fonte:
http://genova.repubblica.it/cronaca/2012/01/20/news/g8_la_cassazione_conferma_quattro_condanne_i_media_non_hanno_condizionato_i_giudici-28484504/
La quinta sezione penale della suprema Corte ha convalidato la sentenza di
secondo grado emessa contro poliziotti che fecero arresti "consapevolmente
indiscriminati"
Un momento degli scontri del G8
I mass media, durante il G8 di Genova, non hanno condizionato i giudici che
sono stati liberi di prendere le loro decisioni. Lo ha sottolineato la
quinta sezione penale della Cassazione nel convalidare quattro condanne ad
altrettanti poliziotti per il reato di falsità ideologica in atti pubblici
durante il G8 di Genova nel luglio 2001.
In particolare, la suprema Corte, nel bocciare i ricorsi presentati da
Antonio Cecere, Luciano Beretti, Marco Neri e Simone Volpini, ha messo nero
su bianco che "operare arresti consapevolmente indiscriminati pure in
occasione di tumulti costituisce condotta penalmente rilevante quando del
primo evento emerga traccia probatoriamente inequivoca". I fatti analizzati
da piazza Cavour, come ricostruisce la sentenza 1906, si sono verificati in
occasione di scontri verificatesi tra
manifestanti e polizia nel primo pomeriggio del 20 luglio 2001 a Genova
mentre era in corso il G8.
Nel corso delle manifestazioni che si erano realizzate nel centro del
capoluogo ligure, in parte con l'autorizzazione delle autorità, in altra
parte invece "non autorizzate e violente" i quattro agenti che hanno fatto
ricorso in Cassazione avevano redatto i verbali di arresto di due spagnoli,
Adolfo Gonzales e Luis Alberto Lorente, e gli atti successivi "incolpandoli
falsamente di reati che non avevano mai commesso e avevano conseguentemente
anche operati arresti abusivi in loro danno".
Un giudizio non condiviso in primo grado dal Tribunale di Genova che, in
primo grado, aveva assolto i quattro agenti di polizia ritenendo che i
poliziotti fossero stati tratti in errore dalla 'concitazione del momento'
che vedeva da una parte l'azione violenta dei black bloc e dall'altra la
dimostrazione autorizzata dei manifestanti pacifisti della rete Lilliput
della quale pare facessero parte i due cittadini spagnoli. Giudizio
ribaltato dalla Corte d'Appello di Genova il 13 luglio del 2002 che
condannava i poliziotti per reato continuato di falsità ideologica in atti
pubblici sulla base del fatto che l'arresto dei due spagnoli non era stato
niente altro che "un atto abusivo e doloso privo di qualsiasi
giustificazione".
Inutile il ricorso dei difensori dei quattro agenti di polizia in Cassazione
volto a dimostrare che i quattro erano stati
consapevolmente tratti in errore dalla concitazione dei fatti in piazza
Manin. La suprema Corte ha bocciato le tesi difensive e ha evidenziato che
"la Corte di merito ha potuto argomentare in maniera del tutto completa e
razionale le ragioni della ritenuta falsità, voluta e consapevole, delle
attestazioni degli agenti, nel verbale di arresto dei due per flagrante
resistenza a pubblico ufficiale e possesso di armi".
In particolare, la Cassazione non accetta la tesi difensiva secondo la quale
i giudici sarebbero stati condizionati dal clamore mediatico nel corso del
G8. In proposito, la Cassazione rileva che "è errato parlare di severità
preconcetta dei giudici di secondo grado o di suggestione operata dagli
organi di informazione sui giudici medesimi, atteso che gli argomenti da
questi addotti per ribaltare la pronuncia assolutoria dei primi giudici si
basa su materiale probatorio descritto come di rara inequivocità e in quanto
tale agevolmente valorizzato e ripercorso dai giudici dell'Appello".
(20 gennaio 2012)
ritorna all'indice
|
GENOVA G8: QUANDO L'ARRESTO ILLEGALE ERA LA REGOLA
Fonte:
http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=3234
Interni Genova G8 Polizie
La Cassazione conferma le condanne a quattro agenti per un fermo eseguito a
Piazza Manin. Ma durante le manifestazioni il 90% degli arresti fu attuato
violando la legge. E le forze dell'ordine non hanno mai riconosciuto le
proprie responsabilità né fatto i conti con questo spaventoso cedimento
etico, politico e professionale
di Lorenzo Guadagnucci - 24 gennaio 2012
Nell'articolo a fianco, uscito sulle pagine genovesi di Repubblica e quindi
sfuggito ai più, si riferisce che è diventata definitiva la condanna
inflitta a quattro agenti di polizia per un episodio emblematico delle
giornate di Genova. Si tratta della carica eseguita a piazza Manin il 20
luglio 2001. Rete Lilliput e gruppi pacifisti vi avevano allestito la
propria piazza tematica e centinaia di persone assistettero a
un'inimmaginabile successione di eventi.
Prima, il passaggio - indisturbato - di un gruppo appartenente al Black Bloc,
entrato quel giorno in azione senza incontrare significative opposizioni da
parte delle forze di polizia. Più tardi l'arrivo di un contingente di
polizia, inviato proprio all'inseguimento del Black Bloc, nel frattempo però
passato oltre. Gli agenti, tuttavia, entrarono in azione, aggredendo decine
di manifestanti pacifisti a colpi di calci e manganelli. Un comportamento da
squadraccia.
Il processo appena passato in Cassazione si è occupato di una coda di questa
sconcertante vicenda e cioè gli arresti eseguiti dopo l'assurdo raid
poliziesco (ma esiste una registrazione delle comunicazioni fra la centrale
operativa e i reparti arrivati in piazza Manin e si sente la centrale che
ordina: "facciamo prigionieri"). I quattro poliziotti condannati arrestarono
due cittadini spagnoli accusandoli di atti di violenza e resistenza che non
avevano compiuto.
Grazie al lavoro degli avvocati, alle testimonianze che è stato possibile
raccogliere, alla tenacia e all'onestà dei magistrati (avendo contro, però,
l'istituzione polizia), l'infamante falso è stato smascherato e gli agenti
sono stati incriminati, mentre i due cittadini incolpevoli sono passati da
imputati a parte lesa.
In questa vicenda, tuttavia, quel che più inquieta è nelle righe finali
dell'articolo. Il 90% delle persone fermate durante il G8 furono arrestate
in maniera illegittima. Si trattò quindi di un'enorme violazione della legge
e dei diritti costituzionali compiuta dalle forze dell'ordine (ammesso che
abbia senso usare quest'espressione di fronte a fatti del genere).
Il fatto che la polizia di stato - responsabile a Genova dell'ordine
pubblico - non abbia mai ammesso le proprie responsabilità e si sia
rifiutata di fare i conti con questo suo drammatico cedimento, è un segnale
del profondo malessere che investe la nostra democrazia.
ritorna all'indice
|
G8, IL CAPITOLO È
CHIUSO FINITO L'ULTIMO PROCESSO Fonte:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/01/27/g8-il-capitolo-chiuso-finito-ultimo-processo.html
27 gennaio 2012 — pagina 1 sezione: GENOVA
IL PIÙ lungo capitolo della storia giudiziaria genovese si è chiuso ieri
mattina in un'aula della Corte d'Appello: quando il sostituto procuratore
generale Antonio Lucisano ha decretato la prescrizione, rinunciando al
ricorso in Cassazione, per l'ultima "tuta bianca" coinvolta nel cosiddetto
"processo dei 25", di fatto il palazzo di giustizia di Genova, quasi undici
anni dopo, ha chiuso tutte le pendenze con i tre principali filoni scaturiti
dalle vicende del G8 del luglio 2001.
IL SIPARIO, nel capoluogo ligure, cala definitivamente sulla brutale
irruzione nella scuola Diaz, gli abusi della prigione speciale di Bolzaneto,
le devastazioni dei black bloc.
L'ultima pagina l'ha scritta Duccio Bonechi, che oggi ha 35 anni e lavora
come produttore di spettacoli, ma nel 2001 era studente di psicologia a
Padova e partecipò alle manifestazioni no global assieme ai centri sociali
veneti guidati da Luca Casarini.
Nel 2002 fu uno dei 25 indagati nella cosiddetta retata anti black bloc. Il
processo che ne seguì registrò pesantissime condanne per il reato di
devastazione e saccheggio. Ma il teorema della procura che voleva
responsabili del disegno di devastazione anche le tute bianche venne in
parte smontato dalla sentenza che per molti imputati accolse solo in parte
le richieste dell'accusa. Bonechi, ad esempio, cui veniva contestata la
devastazione per aver partecipato all'assalto del blindato dei carabinieri
in via Tolemaide, venne condannato solo per resistenza e danneggiamento ad
un anno e quattro mesi in primo grado.
Per un difetto di notifica, però, la sua posizione in appello è stata
stralciata. Se il fascicolo principale dei "25" è già partito per l'ultimo
pronunciamento in Cassazione, ieri Bonechi ha affrontato l'Appello davanti
ai giudici della seconda sezione. I suoi legali, gli avvocati Raffaella
Multedo di Genova e Anna Maria Alborghetti di Padova, hanno sollevato la
questione della prescrizione che è stata accolta dal pg Lucisano.
Chiusi i principali filoni del G8 resta solo un ultimo rivolo. E' il
fascicolo che si appresta a chiudere con una richiesta di rinvio a giudizio
il pm Francesco Albini Cardona. L'indagato è il vicequestore Massimo Cinti,
accusato di falsa testimonianza per aver cercato di coprire le violenze di
alcuni agenti avvenute in piazza Manin a danno di pacifisti spagnoli.
- MARCO PREVE
ritorna all'indice
|
G8 DI GENOVA, 4 AGENTI RISCHIANO IL POSTO
Domenica 12 Febbraio 2012
Corriere di Bologna
Undici anni dopo Erano al reparto mobile (ex Celere) di Bologna, due sono
ancora qui: arrestarono illegalmente due pacifisti spagnoli G8 di Genova, 4
agenti rischiano il posto Interdetti dai pubblici uffici, uno di loro è un
sindacalista:
«Paghiamo per tutti»
Rintanato nel suo ufficio sindacale al primo piano della caserma Smiraglia
di via Bovi Campeggi, Antonio Cecere fuma una Marlboro dietro l’altra e
aspetta di sapere cosa sarà di lui, napoletano di Castellammare, 51 anni,
tre figli, sovrintendente del reparto mobile (ex Celere) e segretario
bolognese del Siap, terzo sindacato dei poliziotti italiani dopo Siulp e Sap.
I casi a quanto pare sono due: o lo cacciano una volta per tutte dalla
polizia o lo sospendono per qualche anno. Allo stesso filo sono appesi altri
tre agenti, uno — Luciano Beretti, 38 annni — tuttora a Bologna; gli altri
due — Marco Neri e Simone Volpini, 36 e 35 — trasferiti a Roma. Sono stati
condannati a quattro anni (ridotti a uno per l’indulto) per l’arresto
illegale di due spagnoli durante il maledetto G8 di Genova del luglio 2001.
Non andranno in carcere ma hanno cinque anni di interdizione dai pubblici
uffici. Accadde in piazza Manin, la piazza della Rete Lilliput, delle «mani
bianche» e del blocco rosa dove la polizia arrivò inseguendo i «cattivi»
vestiti di nero e si abbattè con violenza su gente inerme: ci furono decine
di feriti, tra cui l’allora deputata prc Elettra Deiana, una pediatra
triestina e qualche bolognese, tutte persone che non avrebbero fatto male a
una mosca. Una delle pagine peggiori del G8 di Genova 2001, meno famosa
della mattanza alla scuola Diaz e delle torture nella caserma di Bolzaneto.
Dalla centrale raccomandavano via radio di «effettuare fermi», gli unici
arrestati furono i due iberici. La sentenza è definitiva,
la Cassazione ha depositato le motivazioni. I poliziotti «bolognesi» saranno
i primi in Italia, a quasi undici anni dai fatti, a doversi togliere la
divisa. Per sempre, per cinque anni o per due (se applicheranno l’indulto
anche all’interdizione). Il procedimento disciplinare si aprirà quando gli
atti arriveranno al Viminale. Sarà un precedente importante nell’eventualità
che la Cassazione confermi la condanna dei superpoliziotti accusati delle
false molotov della Diaz.
«Saremo gli unici a pagare, gli altri li salverà la prescrizione. Non penso
a me, a 51 anni senza lavoro, ma alla famiglia e alle famiglie dei miei
colleghi», sospira Cecere tra una sigaretta e l’altra. «E pensare che quei
ragazzi non li abbiamo toccati, anzi gli abbiamo dato da mangiare». Vero,
verissimo, conferma l’avvocato Emanuele Tambuscio, genovese, legale di parte
civile per i due spagnoli. Ma è pure vero che li arrestarono senza motivo,
attribuendo a uno il lancio di una molotov, all’altro il possesso di un tubo
di ferro. «In ordine pubblico non è facile distinguere buoni e cattivi»,
sottolinea Cecere.
I poliziotti furono smentiti da un filmato: era tutto finito e i due
spagnoli si avvicinarono agli uomini in divisa e maschera antigas con un
atteggiamento che più pacifico non si può. «Non è così», obietta Cecere. Ma
davanti a giudici non ha mai parlato, né ha mai risposto al pm Francesco
Albini Cardona: «Me l’ha consigliato l’avvocato», ricorda. Tacere, del
resto, era un suo diritto. Ora però gli hanno dato torto. «La sentenza la
rispetto, ci mancherebbe, però è stato un processo politico». Giudici
comunisti? «Non dico questo, ma quando mai si è visto quattro anni per
falso? Neanche le attenuanti, come fossimo delinquenti», dice il poliziotto
sindacalista. «Sto pagando 30 mila euro di danni, quando mi sono rotto una
spalla in servizio me ne hanno dati 500». Il falso, ad ogni modo, era grave.
C’era pure la calunnia: prescritta. Cecere è anche recidivo per calunnia:
«Una vecchia storia privata, c’era di mezzo un assegno...», minimizza.
Guai a parlargli del reparto bolognese come di un reparto problematico, i
cui uomini finiscono spesso nei guai, dalla falsa
rapina attribuita a un gruppo di nomadi ai denti rotti di una ragazza
durante gli incidenti del 12 ottobre 2011 in piazza Cavour. «Ce l’hanno
tutti con noi — protesta Cecere — ma poi siamo sempre noi a fare, tra
virgolette, il lavoro "sporco", a prenderci gli insulti e gli sputi allo
stadio e nelle piazze». I poliziotti li difende tutti, sempre e comunque.
«Di destra io? Ma se vengo da una famiglia di comunisti... Noi siamo
a-po-li-ti-ci. Certo, gli estremisti di destra almeno rispettano le
istituzioni, quelli di sinistra ci odiano».
Alessandro Mantovani
alessandro.mantovani@rcs.it
ritorna all'indice
|
G8. IN ARRIVO LE PUNIZIONI PER I CELERINI CONDANNATI
E UN'INTERVISTA AUDIO A EMANUELE TAMBUSCIO Qui
trovate l'intervista audio che Giusy Marcante ha fatto questa mattina
all'avvocato Emanuele Tambuscio
http://www.archive.org/details/ArrestoIllegaleDeiDueSpagnoliInPiazzaManinGiusiMarcanteIntervista
Fonte:
http://radio.rcdc.it/archives/g8-in-arrivo-le-punizioni-per-i-celerini-condannati-95323/
G8. In arrivo le punizioni per i celerini condannati
11 feb. – Saranno i primi poliziotti che subiranno delle conseguenze
professionali per fatti accaduti durante il G8 di Genova.
Sono i quattro celerini del VII reparto mobile di Bologna condannati in via
definitiva dalla Cassazione per aver arrestato
illegalmente due giovani spagnoli il 20 luglio 2001 in piazza Manin dove si
trovavano la rete Lilliput e altre associazioni pacifiste.
Condannati a quattro anni per falso ideologico e interdetti dai pubblici
uffici per cinque anni. Tra di loro c’è anche il segretario bolognese del
sindacato di polizia Siap, è Antonio Cecere che in questo momento si è
autosospeso dalle sue funzioni in attesa di sapere che provvedimenti
prenderà il ministero dell’Interno. Gli altri sono Luciano Beretta, Marco
Neri e Simone Volpini. Quello che accadrà a loro dal punto di vista
professionale costituirà un precedente anche per gli altri poliziotti le cui
sentenze
stanno arrivando in Cassazione, in particolare quelli condannati per la
mattanza della scuola Diaz come Francesco Gratteri
(4 anni di reclusione e 5 di interdizione dai pubblici uffici) diventato
Prefetto e attuale direttore generale della polizia
criminale. Al Viminale la vicenda è seguita con estrema attenzione e i tempi
si stanno stringendo. Anche se gli anni di
interdizione scendessero a due, per effetto dell’indulto del 2006, questi
poliziotti dovranno stare lontani dalla divisa,
con conseguenze anche sul loro stipendio
Cecere, trentatre anni di servizio e poco alla pensione, non trattiene un
“pagheremo noi per tutto quello che è accaduto”.
Per lui, che quella sera del 20 luglio mise la sua firma sul verbale
d’arresto di Adolfo Gonzales Sesma e Luis Alberto
Lorente Garcia, quello non fu un arresto illegale. “E mi assicurai anche che
avessero da mangiare” racconta. I due
giovani spagnoli vennero fermati dopo gli scontri in piazza Manin dove gli
agenti del settimo erano stati dirottati dal
carcere di Marassi. Accusati di aver lanciato una molotov e un tubo
innocenti verso i poliziotti i due ragazzi finirono a Bolzaneto.
L’8 luglio 2009 in primo grado i poliziotti vennero assolti ma in secondo
grado, nel luglio 2010, la corte d’appello di
Genova li condannò. E la Cassazione lo scorso dicembre ha confermato. I
poliziotti non si sono mai presentati in udienza
e non hanno mai fornito la loro versione dei fatti. Alla base della loro
condanna c’è anche un video del collettivo Luna
Rossa.
I fatti di piazza Manin sono visibili su
http://www.processig8.org
Pubblicato il 12.02.2012
ritorna all'indice
|
CHI S'INDIGNA PER L'EPITETO "PECORELLA", MA NON OSA
CRITICARE LA POLIZIA Fonte:
http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=3331&fromRaggrDet=6
L'innocua provocazione di un manifestante ha creato scandalo in molti
commentatori, mentre le manganellate e le cariche gratuite delle forze
dell'ordine passano inosservate. E nessuno ricorda nulla dei precedenti, a
cominciare da Genova G8. Perché in Italia non si riesce a parlar male della
polizia quando se lo merita?
Fa davvero impressione il coro di commenti indignati e perbenisti scatenato
dal filmatino che mostra l’innocua provocazione di un manifestante della Val
di Susa verso un carabiniere. Si è scomodato Pasolini, si è parlato di
squadrismo, si è evocato il rischio di un’escalation di violenze, il tutto
senza mostrare il minimo senso del ridicolo, nonostante l’acme della
provocazione sia stato individuato - dagli indignati commentatori -
nell’epiteto “pecorella”.
Epiteto, peraltro, usato dallo “squadrista” per segnalare alla telecamera
che riprendeva la scena, la curiosa condizione che viviamo in Italia, un
paese dove i cassieri del supermercato esibiscono sul petto un’etichetta di
riconoscimento, ma i poliziotti no: e dire che si tratterebbe di una misura
in favore della legalità: o qualcuno ha dimenticato l'impunità ottenuta al
G8 di Genova da decine di agenti picchiatori, mai indagati perché non
identificabili? (E peraltro nemmeno sottoposti a procedimenti disciplinari,
ma questa è una precisa scelta dei vertici delle forze dell'ordine).
Ma in Italia non si può parlare di polizia e forze dell’ordine, se non per
omaggiarle, o per scandalizzarsi se un agente fra mille è fatto oggetto di
sberleffo. Vorrei chiedere agli indignati commentatori di questi giorni,
perché non domandano a chi ha gradi e funzioni di comando, di rispondere ad
Alberto Perino, pacifico manifestante che denuncia d’essere stato
manganellato senza ragione, riportando la frattura del braccio.
E perché non si indignano, e non si preoccupano per la tenuta democratica
del nostro paese, di fronte agli agenti antisommossa che aggrediscono gruppi
di cittadini all’interno di una stazione. E ancora: nulla da dire
sull’impiego smodato di lacrimogeni, sulle brutalità dello sgombero
dell’altra sera a Bussoleno (poche righe in articoli di cronaca del tutto
secondari), su Luca Abbà inseguito sul traliccio, o andando indietro di
qualche mese sui candelotti sparati ad altezza d’uomo, con sprezzo del
pericolo (corso dagli altri) e delle leggi?
Non voglio farne un fatto personale, ma gli indignati commentatori di questi
giorni, dov’erano quando dipendenti dello stato, tenuti all’applicazione
delle leggi e al rispetto dei diritti costituzionali, massacravano persone
inermi durante il G8 del 2001, usando in qualche caso, ad esempio alla
scuola Diaz, “armi letali” (definizione del capo del reparto che lo
utilizzò) come il manganello denominato Tonfa? Fatti antichi, non
pertinenti? Mica tanto, se si pensa che le bravate di Genova, le prove
tecniche di colpo di stato, secondo la definizione di Andrea Camilleri (uno
che va bene ai benpensanti solo quando scrive fiction), hanno fatto scuola e
sono diventate regola.
Sanno o non sanno gli indignati commentatori che la nostra polizia di stato
non ha mai rinnegato gli scempi dei corpi e delle leggi compiuti in quelle
tragiche giornate? Che non hanno mai chiesto scusa né alle loro vittime
dirette né alla cittadinanza? Che i dirigenti - di rango nazionale! -
imputati e condannati in appello non hanno subito il minimo rimprovero e
oggi occupano posizioni ancora più importanti al vertice della polizia
italiana?
Perché non diciamo la verità? La verità è che stiamo subendo un’offensiva
autoritaria terribile, con un movimento civile, una fetta importante della
popolazione valsusina che vengono criminalizzati, per affermare - più che la
volontà di realizzare un’opera inutile e costosa, che non sarà realizzata
per mancanza di soldi - un principio di fondo, e cioè che non c’è spazio per
mettere in discussione gli affari, cioè i soldi pubblici destinati ad
aziende private, né per contestare un modello di
(anti)sviluppo che quanto più è in crisi, tanto meno tollera interferenze di
sorta.
Gli indignati commentatori si facciano un esame di coscienza. Si domandino
se non stiano partecipando più o meno consapevolmente al teatro della
propaganda per la grande opera in quanto tale e si chiedano se la canea
scatenata da quella “pecorella” non sia la spia di un accecamento
collettivo, di un conformismo così radicato che induce a scandalizzarsi per
un epiteto di troppo e a non vedere i manganelli che spezzano le ossa, i
lacrimogeni che avvelenano i polmoni, le cariche senza senso e le inutili
brutalità contro cittadini che manifestano - che piaccia o meno - il proprio
dissenso.
Perché in Italia non è possibile parlare male delle forze di polizia, quando
se lo meritano?
ritorna all'indice
|
DIAZ, ANCHE UN'ASSOLUZIONE VI CONDANNERÀ
di Lorenzo Guadagnucci - 20 marzo 2012
A giugno il giudizio di Cassazione dopo le condanne
inflitte in appello. Ben cinque giorni di udienze! Deciderà la stessa
sezione che ha valutato il caso Dell'Utri. Il potere politico si aspetta che
le cose siano "rimesse a posto". Ma la condotta tenuta in questi anni dai
vertici di polizia, a fronte di fatti storici incontestabili, rende
impossibile il recupero di dignità e credibilità.
Quando i giudici del tribunale di Genova, nel maggio 2010, condannarono in
appello dirigenti e funzionari coinvolti nell'operazione Diaz, il potere
politico giustificò la sua inerzia richiamando il giudizio divino della
Cassazione. Solo dopo che la corte di terzo grado si sarà espressa,
spiegarono, si potrà eventualmente pensare di fare qualcosa. Quindi no a
sospensioni, dimissioni, a qualsivoglia intervento che possa ripristinare la
dignità delle istituzioni, compromessa dalle violenze e dai falsi commessi
alla scuola Diaz la notte del 21 luglio 2001 (e dalla loro copertura e
legittimazione successiva).
La Cassazione fu chiamata da ministri e leader politici di entrambi i
principali schieramenti a "salvare la patria", sottoforma di rigetto
dell'inattesa sentenza di secondo grado, che accoglieva la richiesta dei pm
e infliggeva pene imbarazzanti a dirigenti di polizia che scelsero undici
anni fa - complici i vertici istituzionali - di non dare spiegazioni
sull'infamante operazione denominata "perquisizione alla scuola Diaz" e di
affrontare i processi cercando di salvarsi dai rigori della legge,
trascurando le evidenti implicazioni morali, professionali, politiche.
Ora il giudizio della Cassazione si avvicina (10-15 giugno) e sarà davvero
una specie di giudizio divino, viste le sue caratteristiche: due relatori,
ben cinque giorni di udienze: neanche per il maxi processo a Cosa Nostra si
era mobilitato niente del genere. Le cronache (vedi sotto articolo del
Secolo XIX) dicono che la sezione giudicante sarà la stessa che ha
recentemente rinviato in appello Marcello Dell'Utri, mentre il procuratore
sarà lo stesso che ha chiesto e ottenuto l'assoluzione dell'ex capo della
polizia Gianni De Gennaro.
Succederà quello che dovrà succedere, ma una cosa già la sappiamo: la caduta
di dignità e di credibilità, causata dal comportamento tenuto dalla polizia
di stato in questi undici anni a fronte di fatti storici incontestatibili
(pestaggio sistematico di 93 innocenti, sfiorato omicidio di Mark Covell,
ricostruzione falsa dei fatti, arresti sulla base di prove inventate,
boicottaggio dell'inchiesta), non potrà essere cancellata nemmeno da
un'assoluzione, e men che mai da una provvidenziale prescrizione. Da
cittadini, si prova un senso di pena, a constatare il crescente degrado
delle istituzioni.
---------------------------
Il Secolo XIX - 20 Marzo 2012
ritorna all'indice
|
CASSAZIONE L’11 GIUGNO: PRESCRITTE LE CONDANNE DEI DIRIGENTI DI POLIZIA SE
CI SARÀ NUOVO PROCESSO Massacro alla Diaz, gli
stessi giudici del caso Dell’Utri
MARCO GRASSO e MATTEO INDICE
A PRONUNCIARE il verdetto decisivo sul massacro alla scuola Diaz nei giorni
del G8 2001, sarà la stessa sezione della Suprema Corte che nei giorni
scorsi ha cancellato le responsabilità del senatore Pdl Marcello Dell’Utri.
E l'att0 finale del processo a carico dei poliziotti imputati per il blitz,
che arriva dopo due sentenze discordanti: quella di primo grado ha assolto i
superdirigenti dall’accusa di aver falsificato i verbali; quella in secondo
li ha condannati. L’udienza é stata fissata giugno di fronte al secondo
collegio della quinta sezione della Cassazione, e si protrarrà per cinque
giorni (fino al 15). Un'infinità per i tempi del tribunale di ultima
istanza, che solitamente liquida in una sola giornata anche i procedimenti
complicati. Ma questa non è una sentenza come tante altre. La mole degli
atti infatti potrebbe spingere ad accorpare diverse sezioni. In ballo ci
sono i destini di imputati che oggi sono ai vertici della polizia italiana.
A presiedere la corte sarà il giudice Aldo Grassi, storico esponente di
magistratura indipendente, la corrente più conservatrice della magistratura.
Nei giorni scorsi il magistrato è stato al centro d’una dura polemica a
seguito della sentenza che ha disposto l'annullamento della condanna di
secondo grado, otto anni, a Dell'Utri per concorso esterno in associazione
(il nuovo processo a carico dell'esponente Pdl farà infatti scattare la
prescrizione, ndr). Il caso Diaz rientra nelle competenze della medesima
sezione, specializzata in reati commessi nell’amministrazione della
giustizia.
Si riparte dal verdetto di appello, che ha condannato sia la mano che la
mente del raid nell’istituto dov’erano alloggiati 93 noglobal, sorpresi nel
sonno e massacrati di botte. Erano le 23 del 21 luglio 2001, l'ultimo giorno
del vertice del G8 di Genova. Una data che, secondo i giudici di secondo
grado, sarà ricordata come la notte «che disonora l'italia agli occhi del
mondo intero», quella in cui «i diritti fondamentali dell'uomo furono
sospesi».
In primo grado, il tribunale di Genova, corte presieduta da Gabrio Barone,
autorevole esponente di magistratura indipendente, il processo si chiuse con
13 condanne e un totale di 35 anni e 7 mesi di reclusione per i pestaggi.
Tante anche le assoluzioni sedici, quasi tutti i «generali» scesi sul campo
insieme alle truppe.
Il secondo grado ribalta completamente quella chiave di lettura. A
presiedere la sezione questa volta è Salvatore Sinagra, oggi in pensione,
per anni esponente di magistratura democratica, ala progressista della
magistratura, prima di sbattere la porta in aperta polemica con il
“correntismo” nell’Anm. Vengono condannati 25 imputati su 27, la pena
complessiva sale a 85 anni. Pesano soprattutto i falsi, per i verbali di
arresto taroccati, il reato pesante in questo contesto, delle lesioni
contestate ai picchiatori. E compaiono nomi altisonanti fra quelli dei
responsabili. Francesco Gratteri, oggi numero tre della polizia italiana (4
anni); Giovanni Luperi, attuale capo analista dei servizi segreti (4 anni);
Gilberto Caldarozzi, vertice dello Servizio centrale operativo,
superinvestigatore che ha indagato su Provenzano e sul caso Yara (3 anni e 8
mesi); Spartaco Mortola, ex capo Digos a Genova e al momento direttore della
Polfer piemontese (3 anni e 8 mesi); Vincenzo Canterini, ex comandante del
primo reparto mobile di Roma (5 anni). Condanne che non hanno portato
conseguenze nella carriera dei superpoliziotti, colpevoli e promossi alla
direzione di squadre mobili, come Filippo Ferri a Firenze, Salvatore Gava
all’Aqui1a, Fabio Ciccimarra a Taranto. Se la Cassazione confermasse quella
sentenza, la polizia italiana dovrebbe fare tabula rasa di personaggi di
spicco. Un’altra possibilità è l'annullamento del processo, che in sostanza
riporterebbe indietro le lancette a un nuovo appello, in cui però la
prescrizione sarebbe quasi certa. La Suprema corte potrebbe anche ribaltare
il verdetto e assolvere direttamente gli imputati. Come successe per Gianni
De Gennaro, ex capo della polizia e oggi numero uno dei servizi segreti.
Condannato in appello, assolto in Cassazione dall’accusa di aver fatto
pressioni per modificare le testimonianze sulla Diaz. In quel caso fu il
procuratore generale Francesco Iacoviello (vedi box) a chiedere direttamente
l’assoluzione.
grasso@ilsecoloxix.it
ritorna all'indice
|
DIAZ, CRONACA DI UN MASSACRO QUEL SANGUE NON ANCORA
LAVATO Fonte:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/03/22/diaz-cronaca-di-un-massacro-quel-sangue.html
22 marzo 2012 — pagina 6 sezione: GENOVA
TRA una settimana esatta, giovedì 29 marzo, il cinema Corallo di via
Innocenzo IV ospiterà l' anteprima italiana del film "Diaz" di Daniele
Vicari, vincitore del premio per il pubblico al recente Festival di Berlino
e dal 13 aprile in programmazione in tutte le sale. L' appuntamento è un
doveroso omaggio al capoluogo ligure, teatro suo malgrado di quella che
Amnesty International ha definito "la più grave sospensione dei diritti
democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale". Ed è
soprattutto una grande occasione, forse l' ultima, per rileggere una pagina
di storia che è appena stata scritta, ma che molti di noi hanno
colpevolmente rimosso. L' orrore della storia. Il sanguinario assalto alla
scuola di via Cesare Battisti. Il massacro dei 93 ospiti, che accolsero a
braccia alzate i "celerini" del famigerato - e oggi disciolto - VII Nucleo.
Le false prove create ad hoc dalla polizia per "giustificare" la macelleria
e il tentato omicidio di un giornalista inglese. Gli arresti illegali, i
verbali fasulli. Le complicità e i silenzi di tutte le forze dell' ordine:
dagli uomini ai vertici del ministero dell' Interno - capo del dicastero c'
era Claudio Scajola, il numero uno della polizia era Gianni De Gennaro -
all' ultimo degli agenti. E poi ancora la guerriglia urbana, la violenza del
Blocco Nero, gli orrori della caserma di Bolzaneto. In "Diaz" c' è tutto
questo. Ed è raccontato con uno straordinario rigore, una assoluta
attenzione ai dettagli. E' un film che racconta i fatti, senza prendere
posizione. Nessun approccio ideologico. Non c' è bisogno di farlo. Basta
affidarsi alla storia. La storia così come emerge in tutte quelle udienze
del processo che i genovesi disertarono, a parte le prime date, e che invece
Vicari ha voluto riproporre in tutta la loro forza. Ecco come è andata il 20
luglio del 2001. Questa è la verità. Non la dimenticate. Mai. Una poltrona
da solo. Due settimane fa sono state organizzate due proiezioni del film per
pochi invitati. Gli addetti ai lavori, diciamo così. Una a Milano. Tra i
presenti mi risulta ci fossero Salvatore Sinagra, che era il presidente
della Corte d' Appello del processo Diaz. Giuseppe Diomede, il giudice che
ha scritto quella sentenza: 27 imputati, tra superpoliziotti e funzionari,
tutti colpevoli. Enrico Zucca, il pm che per anni ha sostenuto l' accusa, e
che per anni ha dovuto sopportare gli attacchi e le trappole di chi non
accettava di essere messo in discussione. La seconda al cinema Barberini, a
Roma. Io ero lì, con un altro ligure (Dario Freccero), Michele Santoro e il
suo storico collaboratore Sandro Ruotolo, poi un giovane regista romano che
tutti conoscono come Zoro e altri due o tre invitati. Mi sono scelto una
bella poltrona lontano da tutti. Ero arrivato con qualche pregiudizio.
Perché questa vicenda l' ho seguita ogni giorno per dieci anni. Ho imparato
che ognuno la racconta sempre a modo suo. Amplificando e distorcendo,
dimenticando o inventando di sana pianta, in buona o cattiva fede. Questa
volta no. Me ne sono accorto dopo qualche minuto. E invece non mi sono
accorto che avevo cominciato a commuovermi. Credo che molti genovesi
piangeranno, guardando questo film. Mortola, che baffoni. C' è un aspetto
surreale e in qualche modo divertente, nella pellicola. Gli sceneggiatori
hanno naturalmente cambiato i nomi dei protagonisti. L' attore Claudio
Santamaria ad esempio interpreta il ruolo del funzionario che guida l'
assalto dei poliziotti armati di "tonfa" e all' improvviso è per un attimo
consapevole della follia sanguinaria. Grida: "Basta, basta". Ma poi torna
allineato e coperto con i suoi uomini. Si chiama Max Flamini, sullo schermo.
Nella realtà è Massimiliano Fournier, quello che in tribunale denunciò la
"macelleria messicana". Esiste naturalmente anche uno Spartaco Mortola, il
genovese che nel 2001 era capo della Digos e in questa storia è impatanato
fino al collo. Bene: Mortola, nella realtà magro e pelato, il "Diaz"è
diventato tarchiato, bruno e con i baffoni. Parla in dialetto emiliano. C' è
anche Arnaldo La Barbera, il super prefetto che molti - compresi i suoi
colleghi - accusarono di essere l' uomo nero venuto da Roma per dare un giro
di vite violento ed esemplare, e che morì un anno dopo i fatti: qui è una
figura lucida e inquietante, si chiama Carnera. "Un film necessario".
«Questo film è necessario. Ora, prima che sia troppo tardi. Di solito
vicende così si raccontano al cinema cinquant'anni dopo, quando non c' è più
nessuno cui chiedere conto». Claudio Santamaria racconta "Diaz" domani su Il
Venerdì di Repubblica, che al film di Daniele Vicari dedica un ampio
servizio. Parla anche il regista, che regala un' ultima, amara riflessione
sulla assoluta mancanza d' assunzione di responsabilità, in questa pagine
nera della storia d' Italia. «Nessun politico, nessun funzionario di
polizia, nessun agente. Perché mai uno dei picchiatori avrebbe dovuto
ammettere di aver sbagliato, se quelli sopra di lui negavano anche l'
evidenza? In questo paese si segue la corrente. Non ci si ferma, anche se
andiamo verso il baratro».
- MASSIMO CALANDRI
ritorna all'indice
|
"DIAZ", TRA FICTION E REALTÀ: VIDEO DI LORENZO
GUADAGNUCCI ED INTERVISTA AD ENRICO ZUCCA
Fonte:
http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=3374&fromRaggrDet=6
Interni I commenti di Enrico Zucca e Lorenzo Guadagnucci
"Diaz", tra fiction e realtà
Esce nelle sale il film di Fandango sulla “macelleria messicana” durante il
G8 di Genova, nel 2001. Ma manca una riflessione sul ruolo della Polizia di
Stato.
Qui la videorecensione di Lorenzo Guadagnucci (dal canale Youtube di
Altreconomia)
http://www.youtube.com/watch?v=P1G2vqILsFU
di Pietro Raitano - 28 marzo 2012
Undici anni dopo, il sangue della scuola Diaz è al cinema. “Diaz. Don’t
clean up this blood” è il film di Daniele Vicari (prodotto da Domenico
Procacci) che ricostruisce la notte tra il 21 e il 22 luglio 2001, quando
200 agenti di polizia irruppero nel “dormitorio” che ospitava i manifestanti
venuti a Genova per il summit dei G8, in via Battisti, seminando
manganellate, violenza, paura, menzogne. Il film è nelle sale italiane dal
13 aprile, dopo essere stato presentato al 62° Festival del cinema di
Berlino (dove ha vinto il premio del pubblico). Noi di Altreconomia eravamo
davanti alla Diaz quella notte. Dentro c’era il nostro collega Lorenzo
Guadagnucci, che ha vissuto sulla sua pelle quella che Amnesty ha definito
la più grave violazione dei diritti umani dalla Seconda guerra mondiale.
Abbiamo visto il film in anteprima, a inizio marzo, con Enrico Zucca,
Sostituto procuratore generale a Genova, pubblico ministero nel processo
Diaz -quello dov’erano imputati 29 appartenenti alle forze dell’ordine-.
Quello di Vicari è un film violento, duro, difficile da digerire. È stato
girato in Romania, ma sembra un documentario per la resa realistica delle
immagini. I nomi sono stati cambiati, ma tutti i protagonisti sono ben
riconoscibili.
Con Enrico Zucca e con Lorenzo prendiamo spunto dal film per “ritornare” a
Genova, a quella notte. E a tutto quello che ne è seguito.
Zucca: “La tecnica è quella realistica dei film di guerra, si ha la
sensazione di essere dentro la Diaz, al momento del blitz contro i ribelli
il cui covo è stato individuato. La violenza della reazione è sempre in
primo piano, quasi ripetitiva e ossessiva. Vuole disturbare, mettere a
disagio. Talora il film è esageratamente filologico: quanto raccontato nel
processo è riprodotto fedelmente. Eppure, se guardiamo proprio alla vicenda
personale di Guadagnucci (che nel film viene chiamato Luca Gualtieri ed è
interpretato da Elio Germano, ndr), la violenza da lui subita e testimoniata
è stata maggiore. La ferocia, la follia e l’odio degli assalitori che
colpiscono lui e i suoi casuali vicini di sventura, non si vedono. La
giovane americana che gli sta accanto in ginocchio, aspettando l’arrivo dei
poliziotti in posizione di resa, e che viene colpita per prima con un calcio
che la fa cadere all’indietro, non si vede. Non si coglie la progressione
della violenza sui feriti, che diventa tortura, poiché ritorsiva e
ingiustificata. Altre scene fra le più cruente che ci si aspetterebbe di
vedere non ci sono. Lena, una giovane tedesca, e il suo compagno si
rifugiano in uno sgabuzzino al quarto piano. La polizia arriva: Lena viene
picchiata e trascinata per i capelli per due rampe di scale. Nel film il
poliziotto la trascina a corpo morto, ma non per i capelli. Chi conosce la
vicenda processuale scopre che il regista sorprendentemente rinuncia a
descrivere alcune delle azioni più brutali. Il pestaggio di Mark Covell, per
quanto in evidenza, è ripreso trascurando l’esposizione del corpo esanime
per lungo tempo prima di ricevere i soccorsi. Dettagli? I fatti sono già
così intollerabili che lo spettatore ignaro probabilmente immagina che il
regista abbia invece esagerato. L’esposizione della violenza, cui sembra
essere affidata una funzione di per sé valutativa, è tuttavia riduttiva
rispetto ai fatti reali, quasi come se l’autore si sia contenuto per timore
di apparire non credibile.
D’altro lato, le scene che riguardano Bolzaneto sono più caricate: un segno
di maggiore libertà narrativa che dimostra come gli abusi nell’uno e
nell’altro contesto sono stati diversamente ammessi e stigmatizzati di
fronte all’opinione pubblica.
Va detto che se la scelta è quella di far parlare i fatti, allora non c’è
spazio per l’equilibrio. Le cose vanno viste come sono. I giudizi e le
riflessioni possono invece essere equilibrati, ma se uno cerca l’equilibrio
nel racconto è già fuori dal reale”.
Lorenzo: “Vedrò il film all’uscita nelle sale, quindi non posso dire niente
su questo punto. Ripensando però a quello che ho vissuto, credo che
l’aspetto più difficile da restituire al pubblico, di quanto accaduto dentro
la scuola, sia la paura. Per me, il momento più duro di quella notte è stato
dopo il pestaggio. In quel momento eravamo nella palestra al pian terreno,
da una parte i feriti, dall’altra chi stava meglio, sotto il pieno controllo
degli agenti. In quel frangente, che è stato molto lungo, molti di noi hanno
avuto paura di essere solo all’inizio della disavventura. Qualcuno ha
pensato a un colpo di Stato, altri hanno avuto il timore d’essere uccisi: le
minacce e le affermazioni dei poliziotti legittimavano questi pensieri.
Ricordo i pianti, il terrore, il sentirsi inermi di fronte a persone che
avevano il dominio della situazione. Solo l’arrivo della prima ambulanza ha
rotto questo clima”.
Zucca: “Il film asseconda la versione che il massacro cessa perché
Michelangelo Fournier (capo del VII nucleo sperimentale del I reparto mobile
di Roma, nel film chiamato Max Flamini e interpretato da Claudio Santamaria,
ndr), pensa che una giovane tedesca, Melanie J., sia morta dopo il
pestaggio che subisce. La scena è ben ricostruita. Addirittura c’è il
dettaglio di Fournier che cerca -con un calcetto- di capire se la ragazza dà
segni di vita. Un gesto significativo di uno stato d’animo: non è un soldato
che si china su un ferito...”.
Lorenzo: “Questo è un aspetto che non è stato colto: il fatto che alla
scuola Diaz non sia morto nessuno è un evento casuale. Lo stesso Fournier
-quello che ha descritto la Diaz come una ‘macelleria messicana’- ha detto
in tribunale che il manganello ‘tonfa’, per come è presentato agli stessi
agenti che dovranno utilizzarlo, è un arma potenzialmente letale. Gli agenti
picchiatori, alla scuola Diaz, hanno agito prendendosi il rischio di
uccidere. Io stesso ricordo una gragnuola di colpi, contro di me, sferrati
senza il minimo riguardo: ho protetto la testa con le braccia, ritrovandomi
con gli avambracci scarnificati. Se quei colpi mi avessero raggiunto alla
testa... Del resto l’episodio di Melanie parla chiaro: quella macchia rossa
vicino alla sua testa non era materia cerebrale, ma poteva esserlo...”.
Lorenzo, tu e il Comitato “Verità e giustizia per Genova” siete stati
coinvolti nella realizzazione del film?
“Non c’è stato coinvolgimento. Incontrai il produttore Domenico Procacci e
il regista Daniele Vicari all’inizio del loro lavoro, prima ancora che ci
fosse una sceneggiatura, forse tre anni fa. Fu uno scambio di idee, poi loro
proseguirono per la loro strada. Solo un paio di volte Vicari mi chiese poi
delle informazioni, ma solo per qualche dettaglio. Hanno lavorato in piena
autonomia, senza coinvolgere me né il Comitato. È una scelta del tutto
legittima, che non mi ha creato alcun disagio: stiamo parlando di fatti
storici, che ciascuno può far propri ed elaborare in un libro, un film, un
documentario, un fumetto, come tanti altri hanno fatto. Il problema con la
Fandango è nato quando hanno annunciato l’avvio delle riprese. Il produttore
precisò che non sarebbe stato un film contro la Polizia e disse di avere
inviato la sceneggiatura al capo della Polizia, Antonio Manganelli. Su
questo punto il mio dissenso è stato netto. E lo confermo. Quando si
realizza un’opera come questa, cioè il racconto con lo strumento del cinema
di un gravissimo caso di abuso di potere, compiuto da un corpo dello Stato
che nel frattempo non lo ha rinnegato, né ha cambiato i propri vertici, io
credo che si compia un’operazione politico-culturale che comprende non solo
la pellicola, cioè il film che si vedrà nelle sale, ma anche il discorso
pubblico che si costruisce intorno alla realizzazione del film. A cominciare
dal primo annuncio pubblico, che infatti guadagnò importanti titoli sui
giornali. In quel momento Domenico Procacci, come ho avuto modo di dirgli
anche di persona, ha fatto un grave errore, perché la sua apertura al capo
della Polizia è stata del tutto gratuita e immeritata, e ha creato quindi
grande ambiguità. Voglio spiegare bene che cosa intendo dire: sono stato fra
i primi a cercare un dialogo con le forze dell’ordine, organizzando a Genova
-con Altreconomia e Peacelink- un convegno con le vittime della Diaz e i
sindacalisti di polizia, addirittura nel luglio 2002, quindi con le ferite
ancora freschissime. Fu un’apertura che denotava grande maturità da parte
delle vittime degli abusi, ma che non fu colta da nessuno. Poteva dare esiti
importanti, originali, creativi, e fu invece lasciata cadere. Il dialogo è
importante, ma per essere una cosa seria, deve rispettare certe condizioni,
altrimenti diventa una capitolazione di fronte al più forte, a chi detiene
il potere. Non ha senso proporre oggi un’apertura di credito unilaterale a
vertici della polizia che nell’insieme in questi anni hanno operato in
maniera assolutamente inaccettabile, senza compiere un solo gesto di ripudio
di quell’episodio, senza mai chiedere scusa, arrivando a ostacolare la
stessa inchiesta della magistratura, come più volte denunciato dagli stessi
magistrati della pubblica accusa. A undici anni di distanza, non possiamo
ignorare le promozioni dei funzionari sotto inchiesta, la scelta di 25
imputati su 27 di avvalersi della facoltà di non rispondere alle domande dei
pm, la totale impermeabilità allo stesso esito del processo d’appello, che
ha portato a condanne pesanti per altissimi dirigenti di polizia, rimasti
tutti al loro posto: in qualsiasi altro Paese europeo sarebbero stati
sospesi dagli incarichi. Se la Polizia di Stato, i suoi vertici, in questi
undici anni avessero agito con lealtà e trasparenza, chiedendo scusa,
rimuovendo i funzionari imputati, avviando azioni disciplinari contro gli
agenti picchiatori, allora sì avrebbe avuto senso la proposta di dialogo da
parte di Procacci. Ma non è questa la nostra condizione. Perciò
quell’apertura di credito unilaterale era ed è del tutto fuori luogo”.
Zucca: “Spenderei però una parola a ‘difesa’. I fatti della Diaz sono nella
sostanza raccontati -magari non tutti con il giusto approfondimento, né con
la giusta attenzione e chiarezza di messaggio, ma ci sono-. La critica ai
limiti e alle cautele del film non può prescindere dal riconoscimento della
drammatica limitazione della libertà di informazione sulla vicenda nel
contesto italiano. Sono i media italiani che si sono paralizzati quando sono
emerse responsabilità più vaste, quei media che hanno taciuto anche durante
lo svolgimento del giudizio in cui le testimonianze raccontavano quello che
ora osa mostrare solo il film. Lo stesso hanno fatto la politica e le
istituzioni, che hanno coperto e rimosso. Il film cautamente si adegua e non
solo, in alcuni passi ricostruttivi, sceglie la versione degli imputati,
rispetto a quella contrastante delle vittime. Se vogliamo, l’unico messaggio
netto che ha dato è che i black bloc erano (anche) alla Diaz. Questo non
risparmierà certo al film l’ostracismo e il rischio di uscire dal circuito
più vasto, perché il corpo di polizia all’opera alla Diaz, nel volto più
favorevole che può mostrare, che non è completamente marcio, raggiunge solo
il cinismo indifferente”.
Lorenzo: “Sono passati 11 anni e sono successe tante cose. Io capisco la
scelta di raccontare un episodio così grave e cruento per mostrarlo, visto
che non ci sono state immagini a documentarlo, almeno non all’interno della
scuola. Ma a distanza di tanto tempo, se c’è una cosa importante da far
capire ai cittadini rispetto a quel che sta accadendo nella Polizia, nei
poteri, nelle relazioni fra i cittadini e le autorità, è che si è creato un
precedente, tra violenze e falsificazioni. Io penso che sia peggio quello
che è successo dopo la notte alla Diaz che non il pestaggio in sé. Poteva
esserci una risposta democratica, liberatrice, delle istituzioni a
quell’episodio, in modo da circoscriverlo. Invece si è scelto di
leggittimare quegli abusi, di tutelarne i responsabili -responsabili intendo
sotto il profilo morale e professionale, al di là delle questioni penali-.
Così a quel danno, già grave, si è aggiunto un carico di sistematiche
violazioni dell’etica democratica, nei rapporti coi cittadini e con la
magistratura, fino a degradare l’immagine della polizia di stato e la sua
capacità di mantenersi lungo i binari della correttezza istituzionale.
Ecco, a 11 anni di distanza, qual è l’informazione vera da trasmettersi.
Concentrarsi sul racconto del pestaggio, per me, è troppo poco”.
Zucca: “Non si è trattato della solita vicenda italiana: incompetenza e mano
pesante. In realtà ci sono le deviazioni tipiche degli episodi più bui nella
storia repubblicana, con i depistaggi, le omissioni, i silenzi. È il
deragliamento degli apparati dello Stato, che finora nelle democrazie era
emerso solo in situazioni di guerra o di seri attacchi di tipo eversivo,
attuato in un contesto che è invece quello dei più modesti binari di
gestione dell’ordine pubblico, per quanto gravi gli atti di contestazione
violenta nel G8.
Questo aspetto il film non lo rappresenta con il dovuto risalto, ma solo
implicitamente, quando mostra la perquisizione con modalità anomale, la
vicenda delle molotov (portate nella scuola di proposito dalla Polizia,
ndr). Tutta la falsa costruzione delle prove è narrata velocemente e rimanda
a informazioni che il film non offre. La chiave di lettura, che in apparenza
è forte e quasi provocatoria, allude a scenari grandiosi da complotto ordito
dall’alto, nella pur realistica rappresentazione del funzionario venuto da
Roma (Arnaldo La Barbera, direttore dell’Ucigos, la struttura antiterrorismo
di coordinamento delle Digos italiane: è morto nel 2002, ndr). Spesso quando
si tuona contro i nemici lontani e inafferrabili si teme di affrontare
quelli più vicini e visibili. Il film utilizza la efficace tecnica di
inserire in sequenza filmati originali e quelli della fiction, assolutamente
identici. Tuttavia nel filmato reale colpisce la presenza dei funzionari che
comandano l’operazione, un ‘direttorio’ spesso riunito sul campo che decide
nelle svolte cruciali. Quel gruppo che è protagonista, nella sua presenza
ostentata, scompare invece dal film, nella ricostruzione del teatro della
tragedia. La raffigurazione mancante è tuttavia fondamentale perché si possa
formulare un giudizio. Quanti sanno che quei funzionari presenti, ma
‘scomparsi’, si sono dichiarati estranei sostenendo soltanto di essere
arrivati qualche minuto dopo, quando tutto era ‘finito’ e di non aver potuto
neppure immaginare la provenienza della violenza? Eppure dalle decisioni di
quei vertici sono scaturiti i verbali d’arresto per i 93 occupanti della
Diaz, cioè l’umiliazione totale e finale: mettere le vittime nella
condizione di doversi giustificare. Alla denuncia di questa umiliazione il
film non contribuisce e rimane pertanto una storia a metà, come se non ci
fossero le condizioni per raccontarla tutta. Ma anche con queste riserve il
film è l’occasione per non perdere la memoria degli eventi, in una
democrazia che non ha ancora maturato consapevolezza del suo vero
malessere”.
Lorenzo: “Per questo dobbiamo evitare che la conclusione dei processi, e
questo stesso film, siano una sorta di ‘consegna alla storia’ di qualcosa di
concluso. La vicenda non è affatto chiusa. Un film sulle violenze alla Diaz
si poteva fare già nel 2002. E avrebbe aiutato. Nel 2012 non possiamo
permetterci di fare un salto indietro di 11 anni, pensando che il problema
sia il fatto in sé. La poca credibilità democratica dell’istituzione Polizia
di Stato è il problema”. ---
Un po' di storia
Per l’irruzione alla scuola Diaz-Pertini sono stati imputati 29 agenti,
funzionari e dirigenti della Polizia di Stato. La sentenza di primo grado è
stata pronunciata oltre otto anni dopo, il 13 novembre 2008, e ha sancito la
condanna di 13 imputati. Il 18 maggio 2010, la sentenza d’appello:
condannati 25 imputati, un assolto e due prescritti. Fra i condannati (al
massimo 4 anni di carcere) figurano altissimi dirigenti della polizia e dei
servizi segreti, come Francesco Gratteri, all’epoca direttore del Servizio
centrale operativo (Sco) della Polizia di Stato e oggi capo della Direzione
centrale anticrimine; Giovanni Luperi, all’epoca vicedirettore dell’Ufficio
centrale per le investigazioni generali e per le operazioni speciali (Ucigos,
oggi Direzione centrale della polizia di prevenzione, Dcpp) e oggi capo del
Dipartimento analisi dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna (Aisi, il
servizio “segreto” civile); Gilberto Caldarozzi, all’epoca vicedirettore e
oggi direttore dello Sco. L’11 giugno inizieranno i lavori della Corte di
Cassazione: dureranno per 5 giorni, al termine dei quali sarà emessa la
sentenza definitiva di terzo grado. Per il procedimento sono stati nominati
ben due relatori, eventualità rara: indice chiaro della complessità della
vicenda.
ritorna all'indice
|
IL TRAUMA DEL G8 IN DIAZ: UNA COMMISSIONE PER LA
VERITÀ E LA RICONCILIAZIONE?
[Ancora su Diaz un post interessante di TRAME - Centro
di studi interdisciplinare su memorie e traumi culturali che riassume parte
del dibattito e prova a fare un parallelo con Romanzo di una strage. Di mio
aggiungo solo un paio di cose
- C'è una differenza. Della Diaz e di molte altre cose successe a Genova
sappiamo tutto. Le prove sono inconfutabili. E questo al di là di come si
pronunceranno i giudici a giugno. Ovvero se sanciranno anche con una
sentenza queste evidenze. Di questo nel film non si parla ma sono una buona
parte delle risposte alle domande che Vicari auspica che il film ingeneri
nel pubblico. A Piazza Fontana, e a Piazza della Loggia per rimanere nella
cronaca, come ha scritto ieri perfino il Corsera i depistaggi hanno fatto in
tempo a cancellare le prove con il risultato di inficiare anche il percorso
in tribunale.
- Alla Diaz erano coinvolti solo i poliziotti, i Carabinieri hanno avuto un
altro ruolo a Genova. Per esempio nella carica illegittima, e sfuggita a
qualsiasi controllo della questura, al corteo dei disobbedienti. Che per
questo ha opposto "legittima difesa" come ha scritto anche il tribunale.
E faccio notare che in questi giorni non si sono sentite voci provenienti da
parte di questa istituzione. Anche perché non ha rappresentanti sindacali.
Il che è solo una delle tante questioni politiche a margine di tutta la
vicenda.
"Sembra che film come questi, ma anche Romanzo di una strage, abbiano
un’altra funzione: quella di elaborare il trauma e di promuovere una memoria
condivisa, come se fossero delle specie di commissioni alternative per la
verità e la riconciliazione. Nel film di Giordana, questo avviene tramite
l’idea stessa che ci furono due bombe, una anarchica e una di destra, o
anche nel modo in cui i personaggi di Calabrese e di Pinelli si specchiano:
nonostante appartengano a due parti ideologicamente opposte, lo spettatore
non può che simpatizzare con entrambi. In altre parole, c’è una specie di
“spartizione” delle colpe, dove nessuno è colpevole e tutti sono colpevoli.
Diaz usa un meccanismo un po’ diverso ma l’effetto è simile: identifica i
due colpevoli – i Black Block e la polizia – ma li fa pentire pubblicamente.
Lascia allora in mezzo le vittime, come se questi si trovassero
semplicemente nel posto sbagliato nel momento sbagliato, e più che un
problema che ci riguarda tutti – in quanto cittadini di una Stato che
chiaramente accetta (se non sollecita) questo tipo di comportamento dai suoi
funzionari – viene presentato come un’operazione di ordine pubblico sfuggita
al controllo. Per avere un’idea più complessiva, il nostro ‘dovere civile’
sarebbe di vedere anche il documentario dal titolo provocatorio di Carlo A.
Bachschmidt, andato in onda (troppo tardi nella serata) su Rai3 pochi giorni
dopo l’uscita di Diaz: Black Block."]
Fonte:
http://centrotrame.wordpress.com/2012/04/16/diaz/
l trauma del G8 in Diaz: una commissione per la verità e la riconciliazione?
DI ANDREA HAJEK
A poche settimane dall’uscita di Romanzo di una strage, il nuovo film di
Marco Tullio Giordana su Piazza Fontana, nelle sale italiane arriva un altro
brutto ricordo del nostro passato: Diaz. Non pulire quel sangue (Daniele
Vicari, 2012). Un film difficile che fa discutere ancora di più, soprattutto
per la distanza minore che lo separa dai fatti traumatici rappresentati,
cioè la violenza esercitata dalla polizia sui manifestanti no global che si
trovarono all’interno della ex-scuola A. Diaz,adibita a dormitorio durante
il G8 a Genova nel 2001, e le torture inflitte sui 61 arrestati nella
caserma del Bolzaneto, nei giorni seguenti. Non un film dunque sulla morte
di Carlo Giuliani, che avvenne il giorno prima, ma su un incidente ancora
più macabro e, soprattutto, meno mediatico.
Molti hanno ancora una memoria diretta degli scontri, che siano stati
fisicamente a Genova o che abbiano vissuto quei giorni tramite i mass media,
e quindi la ferita è più ‘fresca’ rispetto alle stragi degli anni ’70. Di
conseguenza, è più difficile arrivare ad una versione che tutti possano
condividere, visto anche il forte carattere ideologico di quello scontro e
delle memorie individuali e collettive dei suoi vari protagonisti e
testimoni, che si rispecchiano anche nelle critiche al film. Così Vittorio
Agnoletto – leader del Genoa Social Forum – sul quotidiano comunista Il
Manifesto critica, tra l’altro, il fatto che Diaz non spiega che cosa ha
portato i 300.000 manifestanti a Genova nel 2001 (11 aprile 2012). Altre
voci dalla sinistra replicano invece che non importa poi così tanto, perché
‘quello successo alla scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto – ovvero la
sospensione della democrazia – non è mai giustificabile. MAI’ (Giacomo Russa
Spena, Caro Agnoletto, ti sbagli di grosso…).
Anche dal centro e da destra arrivano letture diverse: La Stampa incita i
suoi lettori a vedere il film per ‘dovere civile’, parlando di ‘una
testimonianza artistica indelebile grazie alla quale la ferita possa
finalmente sanarsi’ (Antonio Scurati, Diaz, il film che sana una ferita),
e Il Sole 24 Ore lo descrive ‘un capolavoro senza se e senza ma’ (Boris
Solazzo, Diaz capolavoro e Morante buon esordio: il meglio viene
dall’Italia). Un giornalista de Il Giornale dichiaratamente di parte
riguardo ai fatti di Genova , invece, rievoca con esagerazione ‘le
devastazioni e la morte di Carlo Giuliani con un estintore in mano pronto
per essere scagliato contro la camionetta dei carabinieri’ (Alessandro
Gnocchi, Diaz, Scurati ha visto solo metà film). Certo, contro un estintore
(vuoto) lanciato da un ragazzo alto 1,65 m, una camionetta blindata non ha
alcuna possibilità! Questo tanto per capire quant’è ancora facile fare
polemica sul G8.
Tutto sommato, sia per Agnoletto che per Il Giornale si è detto troppo poco,
ma per motivi diversi. Questo mette in evidenza quanto la memoria
dell’assalto alla Diaz non sia tuttora condivisa, nonostante le sentenze
ottenute. Eppure Diaz ci prova. Prova a creare condivisione, innanzitutto
nel mostrare la violenza gratuita e selvaggia dei carabinieri – ritratti
come un branco di cani da caccia che nemmeno i propri superiori riescono a
tenere – e sulla quale la critica sembra in generale d’accordo, sia a destra
che a sinistra. Il problema sta nella questione di chi ha avuto la
responsabilità per quella ‘macelleria messicana’. Su questo
piano Diaz svolge un lavoro simbolico che potrebbe essere interpretato in
termini di rielaborazione di un trauma, e di riconciliazione: mi riferisco
in particolare alla scena dove il dirigente di polizia che ha il comando
operativo del suo reparto durante la irruzione nella Diaz (Claudio
Santamaria, che molti ricorderanno – ironicamente – nei panni di Andrea
Pazienza, eroe di uno degli ultimi movimenti di protesta degli anni ’70),
chiede scusa ad una delle vittime del massacro. Questo ‘I’m sorry’ (la
ragazza è straniera) sembra un mea culpa pubblico inteso a ottenere una
riconciliazione simbolica di quello scontro tra Stato e cittadinanza.
In modo simile, i famigerati Black Block che furono i veri responsabili dei
danni materiali che hanno dato tanto fastidio agli italiani (ma senza che le
forze dell’ordine cercassero mai di fermarli), se la cavano abbastanza bene.
Nessun accenno alla possibilità che fossero degli infiltrati della polizia,
anzi, essi fanno parte integrante del movimento no global. Secondo il film
sono inoltre quelli che, indirettamente, provocano l’intervento nella Diaz,
quando – in giornata – assaltano una camionetta della polizia. I più duri
sentono che tira una brutta aria e se ne vanno, mentre un’altra parte riesce
a trovare rifugio in un bar di fronte alla ex-scuola, prima che inizi il
massacro. Quando, la mattina dopo, tornano sulla scena del delitto, uno di
loro si fa prendere dal senso di colpa, urlando che erano venuti per loro.
Qui bisogna dare ragione ad Agnoletto, perché in questo modo il film è, sì,
una visualizzazione di una memoria scomoda e dunque una denuncia che forse
riuscirà ad aggiustare l’immagine mediatica del G8 troppo incentrata sulle
violenze materiali dei Black Block; ma è anche una versione troppo
semplicificante, che assolve sia le ‘mele marce’ all’interno dell’apparato
di polizia, sia i Black Block. Ovviamente un film non deve essere un
manifesto politico. Ma un discorso un po’ più approfondito sui potenti che
tiravano i fili di quest’orribile beffa alla democrazia, e che – purtroppo –
continuano a tirarli, avrebbe dato al film più valore.
Sembra che film come questi, ma anche Romanzo di una strage, abbiano
un’altra funzione: quella di elaborare il trauma e di promuovere una memoria
condivisa, come se fossero delle specie di commissioni alternative per la
verità e la riconciliazione. Nel film di Giordana, questo avviene tramite
l’idea stessa che ci furono due bombe, una anarchica e una di destra, o
anche nel modo in cui i personaggi di Calabrese e di Pinelli si specchiano:
nonostante appartengano a due parti ideologicamente opposte, lo spettatore
non può che simpatizzare con entrambi. In altre parole, c’è una specie di
“spartizione” delle colpe, dove nessuno è colpevole e tutti sono
colpevoli. Diaz usa un meccanismo un po’ diverso ma l’effetto è simile:
identifica i due colpevoli – i Black Block e la polizia – ma li fa pentire
pubblicamente. Lascia allora in mezzo le vittime, come se questi si
trovassero semplicemente nel posto sbagliato nel momento sbagliato, e più
che un problema che ci riguarda tutti – in quanto cittadini di una Stato che
chiaramente accetta (se non sollecita) questo tipo di comportamento dai suoi
funzionari – viene presentato come un’operazione di ordine pubblico sfuggita
al controllo. Per avere un’idea più complessiva, il nostro ‘dovere civile’
sarebbe di vedere anche il documentario dal titolo provocatorio di Carlo A.
Bachschmidt, andato in onda (troppo tardi nella serata) su Rai3 pochi giorni
dopo l’uscita di Diaz: Black Block.
ritorna all'indice
|
G8 GENOVA: MINACCE A PM MAXIPROCESSI VIGILIA
PROIEZIONE 'DIAZ'
Fonte: http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2012/04/18/APHL3eKC-minacce_sulla_film.shtml#axzz1sJ34WnIZ
Dopo il film sulla Diaz, minacce ai Pm Marco Grasso e Matteo Indice
Genova - La lettera contiene un messaggio netto ancorché sconclusionato,
sintetizzabile in una serie d’intimidazioni ai magistrati che hanno indagato
sul comportamento della polizia durante il G8 del luglio 2001 a Genova; in
particolare sui pm che hanno condotto inchieste e processi sul raid alla
scuola Diaz, dove dormivano decine di noglobal, e sui pestaggi nella caserma
di Bolzaneto, il luogo in cui alcuni degli antagonisti arrestati (e a
stretto giro scarcerati) furono condotti. Ma più della reale pericolosità
degli “avvertimenti” - frutto secondo i più d’un pazzo, comunque poco
confortante - a colpire è la tempistica dell’azione, sulla quale lavorano
sia la Digos che la squadra mobile. Secondo le poche indiscrezioni filtrate
in queste ore dalla questura, sull’incartamento sarebbero state rilevate
alcune impronte potenzialmente utili agli accertamenti.
La busta è stata fatta arrivare in tribunale nei giorni (forse nelle ore) di
poco successivi alla proiezione in anteprima, all’ombra della Lanterna, del
film “Diaz - non lavate questo sangue”, pellicola di Daniele Vicari che
ricostruisce il massacro compiuto dagli agenti nell’istituto di Albaro (i
processi sono stati seguiti dal principio alla fine dai pm Enrico Zucca e
Francesco Cardona Albini). E, sebbene in modo più sommario, fissa
in sequenze-choc pure le torture praticate nell’edificio solitamente sede
del Reparto Mobile che, all’epoca, fu riadattato a carcere provvisorio
(in quel caso le indagini e le udienze sono state coordinate dai
pubblici ministeri Vittorio Ranieri Miniati e Patrizia Petruzziello).
Fonte: http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201204181001-ipp-rt10033-g8_genova_minacce_a_pm_maxiprocessi_vigilia_proiezione_diaz
(AGI) - Genova, 18 apr. - Una lettera minatoria e' stata inviata circa venti
giorni fa ai magistrati che si occuparono dei maxi processi conseguenti ai
disordini di strada contestuali al G8 di Genova del 2001.
La lettera, indirizzata ai magistrati Enrico Zucca, Vittorio Ranieri
Miniati, Patrizia Petruzziello e Francesco Cardona Albini, e' stata
recapitata in tribunale. La lettera, secondo quanto appreso, dovrebbe essere
giunta a palazzo di giustizia giovedi' 29 marzo, alla vigilia della
proiezione della prima, proprio a Genova, del film 'Diaz', che ricostruisce
i fatti del luglio del 2001 e vuole essere una denuncia degli abusi
perpetrati su alcuni manifestanti dalle forze di polizia. La notizia,
riportata stamani dal quotidiano genovese 'Il secolo XIX' e' stata
confermata dal procuratore di Genova Michele Di Lecce.
Fonte: http://www.genova24.it/2012/04/g8-minacce-di-morte-ai-magistrati-che-hanno-indagato-sulla-polizia-lettera-anonima-in-tribunale-31614/
G8, minacce di morte ai magistrati che hanno indagato sulla polizia: lettera
anonima in Tribunale
Genova. Dopo la proiezione del film Diaz, gli animi non si placano e sono
arrivate anche minacce ai giudici che hanno indagato sulla polizia per i
fatti del G8. Una busta contenente intimidazioni, infatti, è stata
recapitata in Tribunale.
Tornando ai fatti di quella notte, si svolgerà nei giorni 11,12,13,14 e 15
giugno a Roma l’ultimo capitolo del processo del G8 del 2001 relativo alle
violenze all’interno della scuola Diaz. Il processo di appello si è chiuso
nel maggio 2010 con 25 condanne di colpevolezza che hanno colpito anche
alcuni altissimi funzionari della polizia di Stato.
Sulla sentenza incombe il rischio della prescrizione: se il reato di
calunnia si è già prescritto, per i vertici della polizia resta in piedi il
reato di falso per il quale la prescrizione scatta dopo 12 anni e mezzo dal
fatto. A giugno, la quinta sezione della Cassazione potrebbe confermare la
sentenza d’appello oppure rinviare gli atti a Genova.
In quest’ultimo caso si potrebbe superare la fatidica scadenza del 21
gennaio 2013, che vanificheranno questi lunghi anni di processi.
Prescrizione a rischio anche le il reato di lesioni di cui sono imputati i
poliziotti appartenenti al disciolto nucleo antisommossa costituito
all’interno del Reparto mobile di Roma e comandato da Vincenzo Canterini.
Nel processo Diaz sono coinvolte circa 90 parti civili, tra queste alcune
che hanno documentato lesioni permanenti in seguito alle violenze di quella
che un poliziotto presente quella notte definì una “macelleria messicana”.
http://www.cittadigenova.com/Genova/Cronaca/Diaz-Minacce-ai-magistrati-che-hanno-50456.aspx
Diaz/Minacce ai magistrati che hanno indagato sulla Polizia
Genova - Una busta con alcune intimidazioni sarebbe stata recapitata in
Tribunale dopo la proiezione del film 'Diaz' in merito agli abusi compiuti
dalle forze dell'ordine all'interno della scuola nei giorni del G8. Nella
lettera vi sarebbero alcune intimidazioni ai pm per i quali è stata
aumentata la sorveglianza. Intanto a giugno la Cassazione è chiamata a
pronunciarsi definitiva proprio nel processo sull'irruzione alla Diaz che in
secondo grado ha visto la condanna di dirigenti di polizia per la
falsificazione delle prove e depistaggi.
http://brescia.corriere.it/brescia/notizie/cronaca/12_aprile_17/DIAZ-2004118353064.shtml
Nessuna risposta, tante domande nel bel film di Daniele Vicari. Domenica
applausi al Sociale
Dal romanzo di una strage alla "macelleria messicana" della scuola Diaz.
C'è un cinema italiano necessario che "fa memoria" e che è dovere civile
vedere, a prescindere dai sopracciò estetici, perché è un test etico per lo
spettatore. Quello che è avvenuto la notte del 21 luglio 2001 al G8 di
Genova è uno scempio vergognoso, indegno di Paese civile: «La più grave
sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la
seconda guerra mondiale» secondo Amnesty. Undici anni dopo, l'alone di
quella macchia nazionale è ancora indelebile. Grida orrore e rabbia.
Quello di Daniele Vicari è un film potente e crudo, senza manicheismi e
preconcetti, che racconta fatti ricavati dagli atti processuali, che prende
le distanze dai Black Block (la loro violenza viene denunciata all'inizio) e
non mette alla gogna le forze di polizia indistintamente e per partito
preso. Non dà risposte (non le dà la giustizia, a maggior ragione non le dà
il cinema), pone solo domande. E gli interrogativi sono tremendi, perché
introducono al "buco nero" della verità. Sia pure solo
storica, abbiamo imparato ad accontentarci solo di quella ormai. Vicari
segue i destini incrociati di alcuni personaggi. Un affresco polifonico
(anche di linguaggi) e corale senza protagonismi narranti. Carlo Guliani è
già stato ucciso. Tra i migliaia di manifestanti ci sono un giornalista di
un foglio di centro-destra, che è andato lì per dovere di cronaca, un
vecchio sindacalista Cgil, tanti giovani pacifisti o anarchici che si sono
riuniti per protestare contro i potenti della terra. Tutti confluiscono nel
complesso scolastico Diaz-Pascoli, adibito per l'occasione a dormitorio,
quando poco prima della mezzanotte il blitz dei poliziotti scatena l'inferno
furibondo e immotivato con l'ignominiosa appendice alla caserma di Bolzaneto.
La scena del denudamento della ragazza tedesca (non è una invenzione) -
oscenamente fastidioso - vale come manifesto imperituro della violazione
della dignità della persona. Le didascalie in coda con il bilancio di
cronaca e storia giudiziaria costituiscono una riflessione amara e
indigesta. "Diaz" è un film importante e coraggioso, complesso nella sua
partitura (documentario, lirico, di denuncia, poetico-politico...) che
sbreccia gli omissis e non concede vie di fuga.
Da vedere di precetto, nonostante le presumibili riserve (per alcuni,
immagino) di carattere ideologico. La fine della proiezione, domenica
pomeriggio al Sociale, è stata salutata dagli applausi. A teatro spesso gli
applausi sono di cortesia, al cinema traducono invece una emozione verace.
Buon segno.
"Diaz. Non pulire questo sangue" di Daniele Vicari con Elio Germano, Claudio
Santamaria, Renato Scarpa, Alessandro Roja (Italia, 2012). Al Sociale.
ritorna all'indice
|
VIOLENZE ALLA DIAZ, L'ULTIMO ATTO L'11 GIUGNO IN
CASSAZIONE
[Un buon articolo che riassume tutte le questioni in ballo per il terzo
grado di giudizio sulla Diaz. MT]
Fonte:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/04/20/violenze-alla-diaz-ultimo-atto-11-giugno.html
Violenze alla Diaz, l'ultimo atto l'11 giugno in Cassazione
20 aprile 2012 — pagina 11 sezione: GENOVA
DEVE essere ancora assegnato, a uno dei sostituti procuratori della
Cassazione, il fascicolo del processo che si aprirà l'11 giugno innanzi alla
Suprema Cortea funzionari e agenti della polizia, condannati per il
sanguinoso blitz della notte del 21 luglio nella scuola Diaz durante il G8.
Il fascicolo non sarebbe nelle mani del sostituto Francesco Iacoviello, il
magistrato che il 22 novembre ha chiesto l'assoluzione dell'ex capo della
polizia Gianni De Gennaro in uno dei filoni giudiziari del G8 e, il 9 marzo,
l'annullamento del verdetto Dell'Utri.
Per quanto riguarda la prescrizione, il termine è il 21 settembre. Ci
sarebbe il tempo per un eventuale appello bis ma, probabilmente, non quello
per tornare in Cassazione una seconda volta. Il faldone Diaz è arrivato alla
Suprema Corte il 26 novembre. Anche se non si conosce ancora il nome di chi
rappresenterà la procura dell'alta corte, risulta già composto il collegio
della Quinta sezione penale che si occuperà del caso Diaz. Tre dei cinque
componenti sono gli stessi che hanno deciso il processo Dell'Utri: oltre al
presidente titolare Aldo Grassi,i consiglieri Stefano Palla e Gerardo
Sabeone. Gli elementi nuovi sono i consiglieri Piero Savani e Paolo Antonio
Bruno. Il compito della stesura della sentenza, è stato affidato ai giudici
Savani e Palla. La circostanza che il fascicolo non sia stato ancora
assegnato non significa che il faldone Diaz non possa toccare a Iacoviello,
che durante la requisitoria su De Gennaro non ha usato mezze parole sulle
violenze della polizia. Intanto, in Cassazione, l'11 giugno ci sarà il
processo ai 25 dirigentie agenti della polizia condannati complessivamente a
98 anni e tre mesi di reclusione dalla Corte di Appello di Genova - il 18
maggio 2010 - per violenze e soprusi vari nei confronti dei 93 noglobal
ospitati nella Diaz, 60 dei quali rimasti feriti.
ritorna all'indice
|
LA RESISTIBILE ASCESA DEL DOTTOR DE GENNARO
FONTE:
http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=3442
Già capo della polizia, poi del Dipartimento che coordina i servizi segreti,
è stato nominato sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Nel 2001 era
il responsabile dell'ordine pubblico quando al G8 di Genova fu compiuta,
secondo Amnesty International, "una violazione dei diritti umani di
proporzioni mai viste in Europa nella storia recente". Un piccolo promemoria
sulle ispezioni ignorate, le promozioni dei dirigenti imputati, i processi
affrontati.
di Lorenzo Guadagnucci - 11 maggio 2012
Il dottor Gianni De Gennaro è stato nominato sottosegretario alla presidenza
del Consiglio, nonché capo dell'Autorità delegata per la sicurezza della
Repubblica. Un doppio ruolo inedito, rilevantissimo.
Del resto il dottor De Gennaro era il capo della polizia quando a Genova,
nel 2001, fu compiuta "una violazione dei diritti umani di proporzioni mai
viste in Europa nella storia più recente" (parole di Amnesty International).
A lui fu inviata, dal dottor Pippo Micalizio, inviato a Genova per
un'ispezione interna sul blitz alla scuola Diaz, un rapporto che consigliava
di prendere provvedimenti disciplinari per i dirigenti più importanti che
parteciparono all'operazione; provvedimenti che non furono presi.
Era il capo della polizia quando venivano rinviati a giudizio quegli stessi
dirigenti, poi assolti in primo grado, e nel frattempo passati a ruoli
gerarchicamente ancora più importanti. Era invece capo del Dipartimento che
coordina i servizi segreti quando quei dirigenti sono stati condannati in
appello, senza dimettersi né essere sospesi.
Era il capo della polizia quando ha incontrato nel suo ufficio a Roma l'ex
questore di Genova, Francesco Colucci, alla vigilia della deposizione di
quest'ultimo al processo Diaz: fu un incontro teso a trovare "la consonanza
per l'accertamento della verità", secondo il dottor De Gennaro, un'induzione
alla falsa testimonianza secondo i pm. Colucci è oggi imputato per falsa
testimonianza, il dottor De Gennaro è stato assolto in primo grado,
condannato in appello, assolto in Cassazione.
Era il capo della polizia e poi il capo del Dipartimento suddetto negli
undici anni che sono trascorsi, senza che nessuno abbia avuto la decenza
dichiedere scusa per le violazioni delle leggi e dei diritti umani compiute
alla Diaz, a Bolzaneto e nelle strade di Genova, violazioni che sono
ormai una verità storica.
Possiamo ben dire che il dottor De Gennaro si è meritato il posto di
sottosegretario e Autorità delegata per la sicurezza.
ritorna all'indice
|
G8 DI GENOVA, I PROCESSI NON FINISCONO MAI: VICE
QUESTORE RINVIATO A GIUDIZIO PER FALSA TESTIMONIANZA
[La Piazza era Piazza Manin dove c'era Rete Lilliput.
La vicenda dei poliziotti è stata raccontata sul Corriere di Bologna
da Alessandro Mantovani (http://ur1.ca/97xgh).
Oggi Cinti è dirigente a Imola (http://ur1.ca/97xhu)]
Fonte: http://www.genova24.it/2012/05/g8-di-genova-i-processi-non-finiscono-mai-vice-questore-rinviato-a-giudizio-per-falsa-testimonianza-32855/
ARTICOLO N° 32855 DEL 11/05/2012 - 16:33
G8 di Genova, i processi non finiscono mai: vice questore rinviato a
giudizio per falsa testimonianza
G8 Genova, forse l’ultimo processo: Massimo Cinti rinviato a giudizio per
falsa testimonianza
Processo G8, pm Zucca: “Su falsa testimonianza giudici di Genova concordi in
entrambi i gradi di giudizio”
Genova, auto in mare: il comandante della Moby Otta rinviato a giudizio per
duplice omicidio
G8 Genova: condannato prefetto De Gennaro per falsa testimonianza, il
difensore: “Confidiamo in cassazione”
Genova, sequestrò moglie e figlia del socio: rinviato a giudizio
Genova. I processi del G8 di Genova sembrano non finire mai. Mentre a giugno
a Roma si terrà davanti alla Corte di Cassazione la fase conclusiva del
processo Diaz e mentre ancora si attende una data per il processo di
Bolzaneto, anche il Tribunale di Genova è ancora impegnato con il G8 di 11
anni fa.
Questa mattina infatti il gip Nadia Magrini ha rinviato a giudizio per falsa
testimonianza il vice questore della polizia di Stato Luca Cinti . Il 20
luglio, poi dopo le 15, il reparto mobile di Bologna, comandato da Conti,
caricò i manifestanti pacifici riuniti nella piazza e arrestò due ragazzi
spagnoli accusandoli di resistenza. I due furono poi prosciolti da ogni
accusa mentre sono stati condannati in via definitiva per “falso e calunnia”
quattro poliziotti di quel reparto (Antonio Cecere, Luciano Berretti, Marco
Neri e Simone Volpini), oggi sospesi dal servizio.
Nell’ambito del processo d’appello contro i quattro Cinti, che era il loro
superiore, testimoniò in aula di aver visto il momento dell’arresto
aggiungendo che uno dei due arrestati aveva in mano una spranga. Fatto non
vero che ha spinto il presidente della corte d’appello a rinviare gli atti
alla Procura di Genova. Oggi il rinvio a giudizio, chiesto dal pubblico
ministero Francesco Cardona Albini e dagli avvocati di parte civile Emanuele
Tambuscio e Laura Tartarini.
“Sono nove fino a oggi gli appartenenti alle forze dell’ordine condannati in
via definitiva per falso e calunnia nell’ambito dei processi relativi ai
fatti del 2001 e oltre una ventina fra Diaz e Bolzaneto. E’ un fatto che non
può passare inosservato” ha commentato l’avvocato Tambuscio. “Anche
nell’ambito del processo a 25 manifestanti accusati di devastazione e
saccheggio – racconta il legale – ci furono 4 appartenenti alle forze
dell’ordine che testimoniarono il falso e per i quali il tribunale chiese la
trasmissione degli atti. In quel caso, però, la procura non si mosse per
tempo, lasciando cadere il reato in prescrizione”.
La prima udienza del processo si terrà il prossimo 18 ottobre.
Katia Bonchi
ritorna all'indice
|
VIOLENZE NELLA CASERMA DI BOLZANETO, LO STATO DOVRÀ
RISARCIRE DIECI MILIONI
Fonte:
http://genova.repubblica.it/cronaca/2012/06/01/news/violenze_nella_caserma_di_bolzaneto_lo_stato_dovr_risarcire_dieci_milioni-36343417
Violenze nella caserma di Bolzaneto lo Stato dovrà
risarcire dieci milioni
La Cassazione condanna i ministeri della Difesa, Interno e Giustizia al
pagamento delle provvisionali. Chi ha subito violenza durante i G8
sarà risarcito
Violenze nella caserma di Bolzaneto lo Stato dovrà risarcire dieci milioni
Soccorsi ai manifestanti dopo gli scontri Lo Stato dovrà risarcire per le
violenze avvenute nella caserma di Bolzaneto, nel luglio 2001, nel corso del
G8. Lo ha stabilito la Quinta sezione penale della Cassazione che ha
respinto il ricorso dei ministeri della Difesa, Interno e Giustizia contro
la condanna al pagamento delle provvisionali.
La Corte d'appello di Genova, il 5 marzo 2010, aveva stabilito che, malgrado
la prescrizione dei reati, i quarantaquattro imputati e i "responsabili
civili" (i tre ministeri), dovessero pagare le provvisionali. Ma ancora
nessun risarcimento era stato liquidato. Ora la Cassazione, bocciando
definitivamente i ricorsi dei ministeri, ha dato l'ok ai risarcimenti.
La cifra che lo Stato e gli imputati devono versare è alta: sommando le
provvisionali che la sentenza d'appello aggiunge a quelle del primo grado si
arriva a 10 milioni di euro. In appello, i giudici avevano dichiarato
prescritti i reati contestati alla maggior parte degli imputati (su 44, solo
7 vennero condannati in sede penale), ma stabilirono che tutti dovevano
risarcire chi aveva subito violenze.
(01 giugno 2012)
ritorna all'indice
|
CASSAZIONE
DIAZ, LUNEDÌ IL PROCESSO, CAMBIO IN EXTREMIS AL VERTICE DEL COLLEGIO
GIUDICANTE Fonte:
http://www.genova24.it/2012/06/cassazione-diaz-lunedi-il-processo-cambio-in-extremis-al-vertice-del-collegio-giudicante-34278/
ARTICOLO N° 34278 DEL 07/06/2012 - 18:59
Genova. Le motivazioni non sono note ma desta senza dubbio una certa
sorpresa che, a meno di una settimana dall’inizio del processo di
Cassazione per il fatti relativi alla scuola Diaz, vi sia un cambio al
vertice del collegio giudicante.
Aldo Grassi, presidente della quinta sezione della Corte di Cassazione che
dovrà giudicare 25 tra poliziotti e funzionari, condannati in secondo grado
dalla Corte di appello di Genova, è stato sostituito da Giuliana Ferrua,
magistrato torinese e sorella di Paolo Ferrua, docente di procedura penale
proprio all’ateneo genovese.
Il collegio che si occuperà del caso è composto da 5 giudici. Oltre alla
presidente Ferrua, ci sono due giudici che alcuni mesi fa hanno deciso
(insieme all’ex presidente Aldo Grassi) il processo Marcello Dell’Utri: si
tratta dei magistrati Stefano Palla e Gerardo Sabeone.
Gli altri due consiglieri sono Piero Savani e Paolo Antonio Bruno.
Lunedì 11 giugno il processo si aprirà con la relazione del giudice.
Martedì 12 giugno a parlare sarà il procuratore generale Pietro Gaeta.
Le giornate di mercoledì, giovedì e venerdì saranno invece dedicate alle
discussioni degli avvocati di parte civile e dei difensori degli imputati.
Venerdì 15 giugno in serata, o forse in nottata, sarà emessa la sentenza.
Le motivazioni della sostituzione restano al momento un mistero: “Non lo
sapevo – dice Giorgio Zunino, difensore di Pietro Troiani – ma la
notizia non mi pare sia così stupefacente e non penso che questo rappresenti
un problema per nessuno. Diverso sarebbe stato se a una
settimana dall’inizio delle udienze fossero cambiati i relatori, che sono i
giudici che in questa fase, hanno studiato il processo in maniera più
approfondita per illustrarlo ai colleghi, ma non è questo il caso.”
Tra le questioni preliminari che potrebbero pesare sul processo c’è la
recente sentenza della Cedu, che è stata utilizzata dai difensori dei
funzionari di polizia assolti in primo grado ma condannati in appello per
chiedere l’annullamento della sentenza.
Altra questione, che tocca ancora una volta i funzionari sarebbe una
contraddizione nella senteza tra il dispositivo e le motivazioni:
“Secondo i legali dei funzionari condannati – spiega Emanuele Tambuscio,
avvocato di alcune delle parti civili del processo – nel dispositivo letto
in udienza i loro assistiti risulterebbero assolti dal reato di calunnia,
mentre nelle motivazioni la Corte di appello ha dichiarato il reato
prescritto con conseguente condanna dei poliziotti al risarcimento dei
danni”.
“Secondo noi – dice Tambuscio – si è trattato di un semplice errore
materiale facilmente rimediabile con una correzione mentre secondo i legali
dei poliziotti in caso di conflitto prevale ciò che sta scritto nel
dispositivo. In ogni caso essendo l’argomento controverso ne chiedono
l’esame da parte delle sezioni unite della Cassazione”.
“La questione non riguarda direttamente il mio assistito, che in appello dal
reato di calunnia è stato assolto senza nessun tipo di contrasto, ma è
evidente che in caso di conflitto prevalga il dispositivo” dice Zunino.
Se venisse accolta la richiesta dei legali dei funzionari la conseguenza
sarebbe più che ovvia: un ulteriore allungamento dei tempi del processo e la
certezza della prescrizione per tutti i reati.
Katia Bonchi
ritorna all'indice
|
CASSAZIONE DIAZ, IL PG GAETA CHIEDE IL RIGETTO DI DUE DEI RICORSI
PRESENTATI DAI LEGALI DEI POLIZIOTTI: DOMATTINA LE SUE CONCLUSIONI
Fonte:
http://www.genova24.it/2012/06/cassazione-diaz-il-pg-gaeta-chiede-il-rigetto-di-due-dei-ricorsi-presentati-dai-legali-dei-poliziotti-domattina-le-sue-conclusioni-34475/
Roma. E’ cominciata questa mattina la prima udienza del terzo capitolo del
processo Diaz, di fronte alla quinta sezione della Corte di Cassazione di
Roma, presieduta da Giuliana Ferrua.
Dopo la relazione da parte dei giudici, la presidente ha preso la parola per
smentire le notizie uscite in questi giorni sugli organi di stampa secondo
le quali il cambio alla presidenza del collegio giudicante sarebbe stato un
evento improvviso: “Ho ricevuto l’incarico agli inizi di aprile – ha
spiegato la presidente – quindi voglio tranquillizzare i presenti: ho avuto
tutto il tempo di studiare il processo”.
Nel pomeriggio sono cominciate le conclusioni del procuratore generale in
Cassazione Pietro Gaeta. Il pg, che ha parlato per circa 1 ora e 30, ha
analizzato alcune questioni preliminari.
Anzittutto, Gaeta ha preso in esame il ricorso presentato dalla Procura di
Genova che in sostanza chiedeva, in base alla Convenzione europea dei
diritti dell’uomo di configurare anche nel nostro ordinamento come tortura
le violenze alla scuola Diaz, rendendo in questo modo il reato
imprescrivibile. La competenza, secondo il pubblico ministero Enrico Zucca,
sarebbe spettata alla Corte costituzionale. Per il pg Gaeta, invece, la
Corte costituzionale non può introdurre in ogni caso una norma che allunghi
il tempo di prescrizione di un reato. Per il pg, in pratica, il reato di
tortura non può essere introdotto nel nostro ordinamento (che non lo
prevede) per via giudiziaria, ma solo tramite una legge.
Il pg poi ha analizzato il ricorso degli avvocati di alcuni funzionari
imputati che chiedevano l’annullamento del processo in base a una recente
sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il pg, tuttavia, ha
spiegato come il caso affrontato da Strasburgo ”sia diverso da quanto
avvenuto in questa vicenda che si basa su molte fonti di prova, mentre il
verdetto ‘europeo’ si riferisce ad un processo dove l’unica fonte di prova
era un solo teste”. Posizione condicisa dagli avvocati di parte civile.
Infine Gaeta ha esaminato un ulteriore motivo di ricorso presentato dai
legali dei 13 funzionari che firmarono il verbale di arresto per i 90
ragazzi della Diaz, firma per la quale sono stati condannati in secondo
grado per falso e calunnia (reato quest’ultimo caduto nel frattempo in
prescrizione). Secondo i legali, ci sarebbe stato un contrasto tra il
dispositivo, che non avrebbe previsto la condanna per calunnia e le
motivazioni della sentenza, dove invece la calunnia veniva dichiarata
prescritta. Anche in questo caso, il pg ha dato ragione agli avvocati di
parte civile: Gaeta ha infatti spiegato che nel dispositivo c’è la condanna
dei funzionari alle “disposizioni civili previste per il reato di calunnia”,
per cui non esiste nessun contrasto e anche quel ricorso deve essere, a suo
avviso, rigettato dalla Corte.
Domani, il procuratore generale terminerà le sue conclusioni, esaminando nel
dettaglio i ricorsi dei 25 imputati, e deciderà se chiedere o meno la
conferma della condanna di appello per ciascuno.
Poi sarà la volta dell’avvocatura dello Stato che rappresenta il ministero
dell’Interno, cui seguiranno le conclusioni degli avvocati di parte civile,
che proseguiranno anche nella giornata di mercoledì. Le udienze di giovedì e
venerdì saranno dedicate alle conclusioni dei difensori dei poliziotti e
nella serata di venerdì la Corte emetterà la sentenza.
Katia Bonchi
ritorna all'indice
|
NASCE IL COMITATO 10×100, UNA RACCOLTA FIRME PER I CONDANNATI DEL G8 DI
GENOVA 11 giugno 2012
m.d.v.
Nel giorno in cui la V sezione della Cassazione si riunisce per dire
l’ultima parola sui fatti della scuola Diaz, nasce il Comitato 10×100,
pronto a battersi per “la liberazione dei compagni e delle compagne accusate
di devastazione e saccheggio per i fatti del G8 di Genova 2001..
Il nome del Comitato rimanda alla condanna inflitta a dieci persone – per un
totale di cento anni di carcere – accusate di devastazione e saccheggio
durante le manifestazioni di undici anni fa nel capoluogo ligure. “C’è chi
vorrebbe che di quelle giornate rimanessero solo delle sentenze dei
tribunali – si legge sul sito del Comitato -: l’assoluzione per lo Stato e i
suoi apparati e la condanna di 10 persone accusate di devastazione e
saccheggio. Dieci persone a cui vorrebbero far pagare il conto, con 100 anni
di carcere, per aver disturbato i piani dei potenti della terra.
Un reato che prevede condanne dagli otto ai quindici anni e che risale al
Codice Rocco, emanato durante il regime fascista ed usato contro chi si
opponeva alla dittatura. E’ così che oggi la magistratura lo applica con lo
stesso intento”.
La raccolta firme, cominciata nella giornata di ieri, mira a riunire i
300mila che manifestarono a Genova nel luglio del 2001, oltre a tutti quelli
che “non hanno mai smesso di lottare e di sognare”. Si andrà avanti fino al
prossimo 13 luglio, quando è prevista l’udienza in Cassazione per i
manifestanti condannati. Le firme stanno arrivando a centinaia e tra i nomi
illustri spiccano quelli di Erri De Luca, Giuliana Sgrena, Lea Melandri,
Teatro Valle Occupato, Adriano Chiarelli, Sandro Medici, Francesca Koch e
tanti altri.
“Non possiamo permettere – si legge ancora nell’appello online – che dopo
dieci anni Genova finisca così, per questo facciamo appello al mondo della
cultura, dello spettacolo, ai cittadini e alla società civile a far sentire
la propria voce firmando questo appello che chiede l’annullamento della
condanna per devastazione e saccheggio per tutti gli imputati e le
imputate”.
ritorna all'indice
|
GENOVA 2001, NOMI E COGNOMI
Segnalo il mio pezzo sulla sentenza Diaz che cerca di
fare un po' il
punto sulle tante cose scritte dai giornali in questi giorni.
http://comune-info.net/2012/07/genova-2001-nomi-e-cognomi/
Marco Trotta
ritorna all'indice
|
I NO GLOBAL ITALIANI ERANO SPIATI
Fonte:
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/i-no-global-italiani-erano-spiati/2187007
di Stefania Maurizi
Le telefonate e le mail dei membri del movimento anti globalizzazione sono
state messe sotto sorveglianza, anche su pressione degli Stati Uniti. Lo
rivela un cablo diffuso dal sito di Julian Assange
(16 luglio 2012)
Vittorio Agnoletto Vittorio AgnolettoLe condanne definitive contro i vertici
della polizia per i fatti del G8 di Genova hanno riacceso l'attenzione sul
movimento no global. Ma dai file della diplomazia Usa rivelati da WikiLeaks
si scopre che la rete di Vittorio Agnoletto era oggetto di attenzioni molto
particolari. Un rapporto trasmesso nel febbraio 2003 a Washington
dall'ambasciata americana di Roma analizza la forza del movimento e i suoi
leader. C'è il timore che le proteste possano fermare la partenza di truppe
e materiali statunitensi dalle basi italiane verso l'imminente guerra contro
l'Iraq.
«Il dipartimento di Pubblica sicurezza del ministero dell'Interno ha creato
un centro di monitoraggio della crisi e lavora a una serie di tattiche con i
rappresentanti delle Ferrovie. E' stato attivato un sistema di contromisure,
che include una pesante sorveglianza delle comunicazioni dei manifestanti».
Dunque e-mail e telefonate dei pacifisti erano spiate. Da chi? Dalla polizia
italiana, dal Sismi o dalla Cia?
ritorna all'indice
|
G8 DI GENOVA: OGGI AL VIA PROCESSO PER FALSA
TESTIMONIANZA A VICEQUESTORE DI POLIZIA
Fonte:
http://www.genova24.it/2012/10/g8-di-genova-oggi-al-via-processo-per-falsa-testimonianza-a-vicequestore-di-polizia-41317/
ARTICOLO N° 41317 DEL 18/10/2012 - 12:58
G8 di Genova, i processi non finiscono mai: vice questore rinviato a
giudizio per falsa testimonianza
G8 Genova, forse l’ultimo processo: Massimo Cinti rinviato a giudizio per
falsa testimonianza
Processo G8, pm Zucca: “Su falsa testimonianza giudici di Genova concordi in
entrambi i gradi di giudizio”
G8 Genova: condannato prefetto De Gennaro per falsa testimonianza, il
difensore: “Confidiamo in cassazione”
Chiavari, omicidio Vaccaro: oggi inizia il processo
Genova. Non c’è fine per i processi collegati al G8 di Genova del 2001. A
undici anni dai fatti, questa mattina ha preso il via davanti al giudice
monocratico Carla Pastorini il processo a carico del vicequestore della
Polizia di Stato Luca Cinti, ex dirigente del reparto mobile di Bologna.
Il 20 luglio, poi dopo le 15, il reparto mobile di Bologna, comandato da
Cinti, caricò i manifestanti pacifici riuniti in piazza Manin e arrestò due
ragazzi spagnoli accusandoli di resistenza. Gli agenti sostennero che i due
fossero armati di spranga e molotov, ma un video scagionò i due
manifestanti.
I quattro poliziotti responsabili dell’arresto (Antonio Cecere, Luciano
Berretti, Marco Neri e Simone Volpini), invece, sono stati condannati in via
definitiva a 4 anni di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici
uffici per “falso e calunnia” e sono attualmente sospesi dal servizio.
Nell’ambito del processo di primo grado contro i quattro, Cinti (che era il
loro superiore) testimoniò in aula di aver visto il momento dell’arresto
aggiungendo che uno dei due arrestati aveva in mano una spranga. Di fronte
alla visione del filmato, che mostrava invece i due spagnoli assolutamente
disarmati e inermi di fronte all’arresto, Cinti disse anche che non era
certo che si trattasse proprio dei due spagnoli arrestati.
Peccato però che i due giovani siano stati gli unici arrestati in piazza
Manin in tutta la giornata del 20 luglio, ragion per cui il presidente della
corte d’appello rinviò gli atti alla Procura di Genova, su richiesta del
pubblico ministero Francesco Cardona Albini e degli avvocati di parte civile
Emanuele Tambuscio e Laura Tartarini.
Quella di oggi è stata solo un’udienza filtro e il processo è stato rinviato
all’8 novembre per la richiesta prove.
ritorna all'indice
|
G8, LE VIOLENZE ALLA DIAZ E A BOLZANETO VANNO A
STRASBURGO. LE MOTIVAZIONI DEL RICORSO: “PENE NON EFFETTIVE, MANCA IL REATO
DI TORTURA”
ARTICOLO N° 44991 DEL 03/01/2013 - 15:01
Genova. “Il G8 è un capitolo chiuso” aveva detto il
capo della polizia Antonio Manganelli al quotidiano nazionale Repubblica un
paio di mesi fa, in risposta alle polemiche scoppiate dopo le manifestazioni
degli studenti a Roma.
Non la pensa allo stesso modo la Corte europea dei diritti umani di
Strasburgo che ha inviato in questi giorni al Governo italiano una serie di
quesiti preliminari all’esame del ricorso presentato da alcune parti civili
relative al processo per le violenze nella caserma di Bolzaneto, processo su
cui la Cassazione si pronuncerà il prossimo maggio.
E un analogo ricorso verrà depositato nelle prossime settimane anche per i
fatti della scuola Diaz.
“Sarà anche un capitolo chiuso ma dipende come, visto che per i fatti di
Bolzaneto le condanne sono quasi tutte prescritte così come sono prescritti
i poliziotti del reparto mobile di Roma responsabili dei pestaggi dentro la
scuola Diaz” spiega l’avvocato Emanuele Tambuscio, uno dei legali che nel
2010 ha depositato il ricorso alla Corte europea per i fatti di Bolzaneto.
“Per le violenze e umiliazioni subite da centinaia di ragazzi portati a
Bolzaneto nei giorni del G8 non c’è stata una sanzione effettiva. La Corte
d’Appello non ha potuto far altro che dichiarare la prescrizione della gran
parte dei reati perché anche se questi fatti, come scrivono i giudici
genovesi nella sentenza, rientrano nella definizione di trattamento inumano
e degradante previsti entrambi dalla convenzione internazionale sui diritti
umani sottoscritta dall’Italia, non sono sanzionati in maniera efficace
dalla legge italiana che prevede solo reati minori con prescrizione
brevissima di 7 anni e mezzo. Il risultato è che tutti i responsabili sono
stati condannati ma la loro pena è stata prescritta e non hanno avuto nessun
tipo di sanzione”.
La giurisprudenza della Corte dice espressamente che la punizione dei
responsabili delle violazioni dell’art.3 non può essere elusa dalla
prescrizione e i responsabili devono essere sospesi in via cautelativa per
tutto il corso del processo, ma questo non è accaduto: “Non ci sono stati
neanche provvedimenti disciplinari nel corso del procedimento mentre al
contrario molti hanno avuto avanzamenti di carriera anche rilevanti”.
“Infine per ammissione dello stesso Tribunale, sia nel processo Diaz sia
quello di Bolzaneto non si è potuto identificare tutti i responsabili, non
per colpa della Procura che ha fatto tutto il possibile, ma per una mancanza
di collaborazione da parte delle istituzioni e dei vari ministeri di
appartenenza, Interno, Giustizia e Difesa, che non hanno collaborato in
nessun modo nell’individuazione di tutti i responsabili”.
La principale causa della mancata risposta giudiziaria dal punto di vista
della pena effettiva è data dal fatto che l’Italia non ha mai introdotto nel
suo ordinamento il reato di tortura.
Sul punto, l’Italia ha ratificato la Convenzione europea dei diritti
dell’Uomo del 1955 e un’analoga e più specifica convenzione relativa al
reato di tortura firmata all’Onu nel 1984 (e ratificata nell’88) ma,
l’Italia non ha mai introdotto nel suo codice penale il delitto di tortura.
La Procura generale di Genova ha sollevato il problema davanti alla Corte di
Cassazione nel procedimento Diaz ma la Corte ha risposto che la situazione
può essere risolta solo con un intervento legislativo. E non si tratta
semplicemente di un ritardo o di una disattenzione. Nel corso degli anni il
nostro Paese ha ricevuto una serie di solleciti da parte del Comitato
europeo contro la tortura e dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni
Unite. L’Italia ha espressamente rifiutato di dare esecuzione a quelle
raccomandazioni.
Nel 2008 il governo italiano dell’epoca ha formalmente dichiarato di non
accogliere la raccomandazione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni
Unite, sostenendo che in realtà già ora la tortura è punita, applicando
quando è il caso le norme che sanzionano l’arresto illegale, le lesioni e
l’omicidio”. Ma le sentenze sul G8 dimostrano che non è così: i reati sono
prescritti e nessun colpevole sarà penalmente punito, mentre il reato di
tortura è imprescrivibile.
Katia Bonchi
ritorna all'indice
|
G8 DI GENOVA, VICEQUESTORE DI POLIZIA A PROCESSO PER
FALSA TESTIMONIANZA: “L’ARRESTO DEGLI SPAGNOLI A MANIN FU PASTICCIO IN
QUESTURA”
Fonte:
http://www.genova24.it/2013/01/g8-di-genova-vicequestore-di-polizia-a-processo-per-falsa-testimonianza-larresto-degli-spagnoli-a-manin-fu-pasticcio-in-questura-45233/
ARTICOLO N° 45233 DEL 09/01/2013 - 14:59
G8 di Genova, vicequestore di polizia a processo per falsa testimonianza:
“L’arresto degli spagnoli a Manin fu pasticcio in Questura”
Genova. E’ stato interrogato questa mattina nell’ambito del processo a suo
carico per falsa testimonianza Luca Cinti, vicequestore di polizia e
dirigente del Reparto mobile di Bologna nei giorni del G8 del 2001.
Il 20 luglio, poco dopo le 15, il reparto mobile di Bologna, comandato da
Cinti, caricò i manifestanti pacifici riuniti in piazza Manin e arrestò due
ragazzi spagnoli accusandoli di resistenza. Gli agenti sostennero che i due
fossero armati di spranga e molotov, ma un video scagionò i due
manifestanti. I quattro poliziotti responsabili dell’arresto (Antonio Cecere,
Luciano Berretti, Marco Neri e Simone Volpini), invece, sono stati
condannati in via definitiva a 4 anni di reclusione e 5 anni di interdizione
dai pubblici uffici per “falso e calunnia” e sono attualmente sospesi dal
servizio.
Nell’ambito del processo di primo grado contro i quattro, Cinti (che era il
loro superiore) testimoniò in aula di aver visto il momento dell’arresto
aggiungendo che uno dei due arrestati aveva in mano una spranga. Di fronte
alla visione del filmato, che mostrava invece i due spagnoli assolutamente
disarmati e inermi di fronte all’arresto, Cinti disse anche che non era
certo che si trattasse proprio dei due spagnoli arrestati.
E questa mattina in aula, davanti al giudice monocratico Carla Pastorini, al
pubblico ministero Francesco Cardona Albini e agli avvocati di parte civile
Emanuele Tambuscio e Laura Tartarini, Cinti ha stupito tutti: “Non abbiamo
arrestato i due spagnoli, probabilmente in Questura è stato fatto qualche
pasticcio”.
In pratica Cinti ha sostenuto che i suoi uomini hanno arrestato due persone
di cui una armata di spranga, ma che non si tratterebbe dei due spagnoli.
Peccato però che i due giovani siano stati gli unici arrestati in piazza
Manin in tutta la giornata del 20 luglio.
La tesi difensiva di Cinti sarebbe che gli spagnoli siano stati arrestati
per sbaglio, mentre i veri responsabili dei disordini sarebbero rilasciati
dalla Questura. Tesi che ha lasciato parecchio perplesso il difensore di
parte civile Emanuele Tambuscio: “E’ stato un interrogatorio piuttosto
surreale – spiega il legale – anche perché i quattro poliziotti del Reparto
mobile di Bologna, condannati in via definitiva per l’arresto illegale dei
miei clienti, hanno firmato il verbale d’arresto dei due spagnoli e mai,
durante i lunghi anni in cui è durato il processo a loro carico, hanno
accennato a uno scambio di persona “.
Katia Bonchi
ritorna all'indice
|
INGROIA E IL G8 DI GENOVA, LE POLEMICHE SI SPOSTANO
SUI CANDIDATI: TRA LORO LUIGI LI GOTTI, EX DIFENSORE DI GRATTERI NEL
PROCESSO DIAZ
Genova. E’ ancora bufera sulle candidature presentate
dalla lista Rivoluzione civile di Antonio Ingroia. Dopo le polemiche sulle
dichiarazioni dell’ex pm di Palermo, che avrebbe definito “comprensibile” la
solidarietà con i poliziotti condannati dalla Diaz, precisando però che “la
legge va applicata anche nei confronti degli uomini migliori“, ora sono
alcuni candidati a riaccendere la polemica relativa al G8 di Genova. La
prima patata bollente è saltata fuori ieri, dopo che è stata ufficializzata
la candidatura di Claudio Giardullo, poliziotto e segretario nazionale del
Silp, noto per essersi espresso contro l’introduzione del reato di tortura
in Italia e contro i caschi identificativi per le forze dell’ordine.
Ma oggi è un altro candidato a suscitare mal di pancia a sinistra: si tratta
di Luigi Li Gotti, avvocato ed ex sottosegretario alla Giustizia dell’Idv
(ma in passato militava in An), noto per aver difeso parecchi pentiti di
mafia ma anche per essere stato il primo difensore dell’ormai ex capo dello
Sco Francesco Gratteri nel processo per le violenze alla scuola Diaz. Li
Gotti lasciò la difesa di Gratteri a metà del 2006, per incompatibilità con
l’incarico di sottosegretario alla Giustizia, ma il 6 luglio 2012,
immediatamente dopo la sentenza Diaz, non ha mancato di continuare a
difendere sul suo blog l’”amico” Gratteri, appena condannato in via
definitiva dalla Cassazione per falso e calunnia, definendo fra l’altro la
sentenza della Suprema Corte una “matrioska giudiziaria”. Li Gotti è stato
scelto da Ingroia come capolista al Senato in Sicilia.
Su twitter i commenti scandalizzati si stanno moltiplicando, ma anche fuori
dalla “rete” le perplessità non sono poche. Haidi Giuliani, la mamma di
Carlo che a Ingroia aveva alcuni giorni fa scritto una lettera aperta
proprio per chiedere che nel programma di Rivoluzione civile venissero
accolte alcune istanze relativa alla necessità di una diversa gestione
dell’ordine pubblico (no ai gas cs, caschi di riconoscimento, sì al reato di
tortura) non commenta nel dettaglio le candidature ma garantisce che “queste
battaglie verranno portate avanti, perché quello che accadde a Genova non si
verifichi più”. Sulla lista, il commento è disincantato: “Dobbiamo fare i
conti con la realtà perché non c’erano alternative, in pochi mesi cambiare
si può non è stata in grado di costruire da sola un’alternativa a sinistra.
Ora ciò che conta è tirare fuori il meglio da queste candidature,
valorizzando quelle che consideriamo valide, e cominciare a lavorare a
un’alternativa vera”.
Anche Antonio Bruno, del Comitato Verità e Giustizia, preferisce non
commentare i candidati più criticati: “Ci sono alcune candidature ottime,
come quella di Alberto Lucarelli e di Ilaria Cucchi e altre che non
condivido Per il resto – assicura Bruno – non faremo sconti a nessuno:
vogliamo l’introduzione in Italia del reato di tortura”.
Katia Bonchi
ritorna all'indice
|
VIOLENZE ALLA DIAZ SUL DANNO ALLO STATO È GUERRA DI
PROCURE
Fonte:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/02/12/violenze-alla-diaz-sul-danno-allo-stato.ge_019.html?ref=search
LO STATO va risarcito da parte dei suoi stessi uomini condannati per la
bestialità della notte del 21 luglio 2001 alla Diaz: perché quanto è
successo in quelle ore di follia di quasi dodici anni fa, nella scuola
genovese, fa ipotizzare «un possibile danno erariale e all'immagine subita
dall'amministrazione per gli interni». Benissimo: ma tocca a Genova, dove il
fascicolo è già stato aperto da tempo, occuparsene, oppure a Roma, visto che
sulla vicenda sta indagando la Procura regionale del Lazio per la
magistratura contabile e l'indagine stessa è stata portata ad esempio dal
Procuratore generale Salvatore Nottola tra i 300 milioni di euro spese
inutili? Il conflitto di competenza, insomma, si scontra con un dato
accertato ovunque: e cioè quanto l'immagine della Polizia sia stata sporcata
da quanto avvenuto alla Diaz. Ma a Genova, peraltro, erano aperti da tempo
fascicoli analoghi non solo sulla Diaz, ma anche sulle torture di Bolzaneto
e sulla vicenda dell'allora vicequestore Perugini immortalato mentre
prendeva a calci in faccia un minorenne; a Roma invece si apprende che, dopo
la sentenza della Cassazione che ha acclarato le responsabilità, sul danno
erariale sta indagando la Procura regionale del Lazio della magistratura
contabile, perché è il Viminale, sede del ministero degli Interni e quindi
di stanza a Roma, ad essere ipotizzato come parte lesa. Ma la Procura
genovese ha scritto una lettera urgente alla Procura generale nazionale
perché il conflitto di competenza venga risolto e si decida chi deve
continuare l'indagine.
Sulla quale, come spiega Ivan De Musso, presidente della sezione
giurisdizionale per il Lazio, ora c'è il segreto istruttorio.
«La Procura laziale sta lavorando - spiega De Musso Quando il danno
all'immagine ha l'origine in una causa penale, non è pregiudiziale
attenderne la fine, ma a quanto mi risulta sulla Diaz è avvenuto.
Quindi le persone ritenute responsabili dovrebbero essere state le stesse
che hanno danneggiato l'immagine della polizia e del ministero egli
Interni». L'indagine verrà illustrata il prossimo 20 febbraio, durante
l'inaugurazione dell'anno giudiziario per la sezione laziale della Corte dei
Conti. O clamorosamente tutto si fermerà per decidere se siano gli uffici
della capitale o di Genova ad occuparsene? E si vedrà, in quell'occasione,
se anche l'immagine di Genova, oltre che quella della polizia, sia stata
danneggiata da quanto avvenne alla Diaz,o se il rimborso verrà valutato solo
nei confronti del ministero dell'Interno. «Noi non chiedemmo un risarcimento
sotto quel profilo, ci vennero invece rimborsati i danni materiali - ricorda
Giuseppe Perìcu, sindaco di Genova nei giorni del G8 - Una quindicina di
miliardi di vecchie lire, con i quali riuscimmo a rifondere i danni ai
privati che avevano subito danni, oltre che quelli lamentati dal Comune. Ne
restituimmo anche una parte, oltre un miliardo e mezzo che poi ci venne
restituito. Peraltro ci sono tutti i presupposti giuridici sul danno
d'immagine per la Polizia e il ministero dell'interno». © RIPRODUZIONE
RISERVATA
DONATELLA ALFONSO 12 febbraio 2013 7 sez. GENOVA
ritorna all'indice
|
UN FILM RIAPRE IL CASO DI CARLO GIULIANI
Fonte:
http://popoff.globalist.it/Detail_News_Display?ID=51332&typeb=0&Un-film-riapre-il-caso-di-Carlo-Giuliani
Una pistola difettosa, i carabinieri sosia, un bossolo mai analizzato. Tutte
le zone d'ombra di Piazza Alimonda in The Summit di Fracassi e Lauria. [Checchino
Antonini]
mercoledì 13 febbraio 2013 14:57
di Checchino Antonini
Pum! Pum! Due spari e poi un grido disperato: «Nooo! Bastardi! L'avete
ucciso!». E poi, ancora, due carabinieri sosia. Un bossolo mai analizzato.
L'assalto a una camionetta. La paura degli occupanti. Anzi, la paura di chi
si trovava là intorno. Un estintore di troppo. Un sasso apparso dal nulla.
Un viaggio in ospedale. E, infine, una pistola avvolta dal mistero. Questa è
la storia di una trappola per un ragazzo minuto e per tutti quelli come lui.
E' la storia di Carlo Giuliani che dodici anni dopo viene raccontata di
nuovo e le domande che pone meriterebbero risposte da un tribunale. Ben
altro che l'archiviazione posticcia disposta due anni dopo.
A raccontarla di nuovo è un docu-film che verrà presentato alla stampa
domani, in contemporanea a Roma e Milano, prima di prendere la via delle
sale. Franco Fracassi e Massimo Lauria, cineasti e giornalisti di Popoff,
hanno lavorato più di tre anni a "The summit", presentato in anteprima a
Berlino dove la critica ne apprezzò la carica dirompente delle immagini
inedite e delle decine di interviste.
Genova, 20 luglio 2001. Ore 17.27. Due colpi di pistola venivano sparati a
brevissima distanza temporale da una pistola che si trovava all'interno del
Defender. Carlo Giuliani si trovava a oltre cinque metri dalla jeep. Troppo
lontano per essere realmente minaccioso. Uno dei due proiettili colpì il
volto del ragazzo allo zigomo sinistro.
«Due colpi sparati ad altezza d'uomo - dirà il perito balistico Claudio
Gentile ai due filmaker - sul muro della canonica della chiesa di piazza
Alimonda venne rinvenuta una traccia da proiettile. Vennero effettuati dei
prelievi d'intonaco. Esaminati al microscopio elettronico venne stabilito
che c'erano le tracce di piombo e di altri metalli, per cui sicuramente era
l'impatto di un proiettile. Anche quel colpo era passato ad altezza d'uomo,
ma in una direzione completamente diversa rispetto a quello sparato a
Giuliani».
Chi c'era a bordo?
In una foto del Defender si vedeva chiaramente un carabiniere che si teneva
la testa tra le mani girava le spalle a Giuliani. Si è sempre detto che si
trattava del carabiniere Dario Raffone, al momento dello sparo a bordo del
Defender. Ma se fosse stato il carabiniere Mario Placanica, colui che si è
auto accusato di aver ucciso Carlo? In questo caso l'omicida sarebbe stato
qualcun altro. Seppure ferito, Raffone si presenterà al pronto soccorso solo
la mattina seguente.
Secondo Giuliano Giuliani, il padre di Carlo, «i carabinieri hanno impiegato
la notte per trovare un sosia di Placanica per poter inscenare un finto
scenario, che vedeva Placanica come assassino e Raffone come comprimario
innocente». A sparare era stato un ufficiale dell'Arma, che andava protetto.
Anche perché in questo caso non avrebbe sparato certamente per legittima
difesa. Si voleva il morto».
Il perito principale della famiglia Giuliani si chiama Roberto Ciabattoni,
lavora all'Istituto centrale per il restauro come fisico diagnostico.
Ciabattoni ha un'indole analitica. Ed è anche molto bravo a spiegare le
cose: «Se questo nella foto non è Raffone, ma Placanica. Se lui stava sopra,
chi stava sparando?». Il balistico Gentile osserva la pistola con Fracassi e
Lauria: «Ecco la pistola in atto di sparo. Per svariato tempo, per parecchi
secondi, è in questa posizione. Non è certo una posizione di impugnatura
istintiva o di persona presa dal panico, ma è molto più assimilabile ad una
posizione di tiro consolidata da chi ha una certa esperienza».
Ciabattoni osserva nel film che la persona che spara indossa un
passamontagna in dotazione ad alcuni corpi dei carabinieri, «e comunque solo
ed esclusivamente agli ufficiali e non agli uomini ordinari di truppa».
Il numero degli occupanti del mezzo era importante: Massimiliano Monai,
manifestante genovese, si trovava vicino a Carlo al momento dello sparo
ricorda solo di aver visto Placanica ma lo vide «accucciato che si teneva la
testa con le mani, inerme». Jim Mattews, no global inglese: «È difficile
dirlo. Penso fossero quattro o cinque». Ufficialmente su quella jeep c'erano
tre carabinieri: Filippo Cavataio (l'autista), Raffone e Placanica. Forse
non è il numero giusto.
Ma allora perché nascondere il quarto uomo? Era forse stato lui a sparare?
«La posizione è di una persona che sta sotto, adagiata su eventuali cose che
ci sono, perché abbiamo visto dalle foto di repertazione del Defender che
era pieno di oggetti - riprende Ciabattoni - quindi, la persona adagiata su
queste cose, sta in posizione contratta perché non può stare stesa. E'
leggermente rannicchiata con i piedi che si alzano verso il vetro
posteriore. E c'ha una persona sopra che lo copre quasi completamente, e
questa persona sta in posizione di alzare la testa, con la mano sinistra
scoprirsi il volto. Questo è visibile in una foto della consulenza e spara
senza però vedere dove sta sparando. Spara per forza a una altezza che non
può essere in aria, perché sennò avrebbe bucato il tetto della camionetta».
Forse Giuliano Giuliani potrebbe aver ragione. Però, per il momento prove
decisive non sono state trovate. Troppo indaffarati a trovare elementi per
l'archiviazione.
Cominciano a esserci troppe stranezze
C'è, però, ancora un'altra cosa curiosa. Ed è già la terza. Mario Placanica,
dopo essere stato assolto per legittima difesa (per essere precisi il
procedimento era stato archiviato in fase istruttoria), e dopo essersi
dimesso dall'Arma, ha deciso di far riaprire il procedimento penale.
Placanica ha già fornito sei versioni diverse della stessa storia. Sulla sua
credibilità, quindi, ci sono forti dubbi. Però, resta il fatto che è
disposto a rischiare la galera pur di far verificare da un giudice
l'attendibilità delle sue affermazioni.
Il suo avvocato è Carlo Taormina, che tra l'altro nel periodo del G8 era
sottosegretario all'Interno. Anche lui risponde alle domande di Fracassi e
Lauria per dire che, se il proiettile estratto dal capo di Carlo fosse di
tipo non "camiciato", non rivestito, allora «non è proveniente dalla pistola
di Placanica».
E il balistico Gentile concorda, senza saperlo, con Taormina: «Si capisce se
un proiettile è stato sparato da un'arma se le righe che porta quel
proiettile sono riconducibili alla canna di quella stessa arma. Purtroppo il
proiettile che ha ucciso Carlo Giuliani è rimasto nella sua testa e non è
mai stato repertato». Quindi non si può sapere se apparteneva all'arma di
Placanica.
Pensandoci meglio: non è stato mai repertato? Avete presente un qualsiasi
film su un delitto? Qual è una delle prime cose che vengono fatte?
L'autopsia e l'analisi dei proiettili. Lo sa anche un bambino che se c'è il
proiettile piantato nel cranio del morto va estratto ed analizzato. Ebbene,
la scientifica in questo caso se l'è semplicemente scordato nella testa di
Carlo.
Haidi Giuliani ci disse in proposito: «Quando si trattava di fare il
funerale a Carlo ci suggerirono che, siccome non c'era posto, la cosa
migliore era cremarlo. Ci suggerirono una cosa subdola: "Se voi non foste
credenti potreste cremarlo". All'epoca eravamo sconvolti. Non riflettemmo
sulle conseguenze di quella scelta. E così demmo l'assenso. Oggi, grazie a
quella scelta, e a quel suggerimento, non è più possibile fare autopsie. E
il proiettile non è stato repertato».
Le sorprese non sono finite.
«Proiettile e bossolo vanno considerati come due entità separate». Il primo
fornisce dice ancora Gentile». Sul primo, infatti si leggono le righe della
canna. Il bossolo si può ricondurre a una specifica arma se porta tutte le
impronte balistiche primarie, delle quali tre sono impresse sul carrello
otturatore, che può essere totalmente interscambiabile, ed una deriva
dall'espulsore che è calettato. Il fusto su cui è montato l'espulsore può
essere smontato per cui, mantenendo il contrassegno del fusto originario,
può essere montato un espulsore diverso. Questo espulsore ha in mezzo due
spine. Di queste due spine, quella più piccola che sembra un cilindretto non
può sfuggire, anche se rimaneggiata, perché è elastica e si espande
all'interno del suo foro. L'altra, invece, è trattenuta in sede perché viene
ribattuto leggermente il metallo del fusto sulla testa di quel chiodo. Ma se
questa ribattitura non è fatta bene, o addirittura si dimenticano di farla,
siccome non entra a pressione, cade giù, semplicemente per forza di
gravità».
Durante lo "smontaggio di campagna" (fatto manualmente, senza attrezzi), è
successo proprio questo. La spina che ha la funzione di espellere il bossolo
lontano dall'arma, è caduta, per semplice gravità, invece doveva rimanere
fissa. «E' una cosa anomala», ripete il perito. «Ci ha fatto subito pensare
che su quell'organo si fosse intervenuti». La pistola in questione venne
consegnata dai carabinieri al magistrato solo molti giorni dopo. L'Arma
spiegò che la pistola, prima di Genova, era nello stock spedito alla
Fabbrica d'armi di Terni per una revisione generale. Lì si sarebbe
verificato l'errore dell'armaiolo. Ma lì non vengono registrate le
operazioni effettuate.
È una spiegazione plausibile? «No».
Le è mai capitato un caso del genere? «Una sola volta nella mia carriera. In
un altro caso di omicidio i periti riscontrarono che la spina, la stessa
spina che nel caso Giuliani era caduta liberamente, lì era trattenuta da
ribattute anomale, che erano state fatte successivamente. In quel caso
l'imputato fu accusato di aver modificato la propria arma per non farla
identificare come l'arma dell'omicidio, e venne condannato».
La storia di Carlo non è un cold case, le giornate del luglio genovese ci
dicono quanto fu a rischio la vita dei manifestanti e la democrazia di
questo Paese. E gli attori di quel luglio sono ancora lì. Eccetto Carlo.
ritorna all'indice
|
G8: L'ARMA DI PLACANICA FU MANOMESSA? FILM RIAPRE
CASO GIULIANI
Fonte:
http://genova.repubblica.it/dettaglio-news/16:34-16:34/4305042
G8: l'arma di Placanica fu manomessa? Film riapre caso Giuliani
Roma, 20 feb. (Adnkronos) - Tra gli interrogativi che ancora circondano
l'uccisione di Carlo Giuliani durante le manifestazioni contro il G8 del
2001 ne spunta un altro di cui finora non si era parlato: l'arma di Mario
Placanica potrebbe essere stata "manomessa". E' quanto rivelano i due
registi del docufilm "The Summit: i 3 giorni della vergogna", che proprio
oggi esce nelle sale, partendo da Genova, Franco Fracassi e Massimo Lauria.
I due, nel corso delle ricerche per il film, arrivano a uno degli ex periti
della famiglia Giuliani, Claudio Gentile: ai due registi il perito spiega
che l'arma attribuita a Placanica aveva una parte, la cosiddetta "spina",
che cadeva per semplice gravita' pur non dovendolo fare: un segno di
possibile ''intervento sull'arma''. L'affermazione viene inserita nel film
facendola pronunciare ad un attore, come se fosse una fiction.
L'affermazione viene confermata dal perito all'Adnkronos, ma con una
premessa: "il dato di fatto e' che la spina e' caduta, dopo di che ci si
puo' fare tutte le considerazioni che si crede, ma non possono passare da
me. Se questa cosa fosse entrata in maniera diversa nel processo -dice
Gentile- ne avremmo anche potuto parlare. Purtroppo cosi' non e'". Il che
vuol dire che un fatto del genere potrebbe far riaprire il processo, come
chiede la famiglia Giuliani? "Purtroppo questo era un processo di Stato.
Nella mia vita ho perso solo 4-5 processi, ed erano tutti processi di Stato.
Non ci spero. Ma riprendendo la cosa in una certa maniera, e' possibile".
(segue)
(20 febbraio 2013 ore 16.48)
Fonte:
http://genova.repubblica.it/dettaglio-news/16:35/4305044
G8: l'arma di Placanica fu manomessa? Film riapre caso Giuliani (2)
(Adnkronos) - Di certo si tratta di "materiale in grado di riaprire il caso
-afferma Massimo Lauria- e per molti motivi sarebbe necessario. Nel film non
abbiamo potuto inserire la testimonianza del perito per mancanza della sua
autorizzazione, quindi abbiamo usato l'escamotage di far recitare le sue
parole a un attore". Giuliano Giuliani, il padre di Carlo, e' rimasto
sorpreso anche se solo parzialmente dalla novita' emersa durante la
lavorazione del film. "Sono aspetti assolutamente tecnici, sui quali non mi
pronuncio. Di certo -dice all'Adnkronos- la necessita' di riaprire il caso
di Carlo c'e'. Noi vogliamo ottenere un processo vero, con dibattimento, per
arrivare alla verita'". Ma per Giuliani sono altri gli aspetti piu'
rilevanti che non sono emersi nel corso degli anni, "a cominciare dal
vilipendio del corpo di Carlo, ancora con attivita' cardiaca, da parte di un
vigliacco mascalzone che spacco' la sua testa con un sasso". Secondo
Giuliani "bisogna restare ancorati a due fatti non smentibili: primo, lo
sparo e' diretto e non fu deviato da nessun sasso volante o altro; secondo,
Carlo si trovava a 4 metri dalla camionetta e non a meno di un metro come e'
stato sostenuto".
(20 febbraio 2013 ore 16.48)
ritorna all'indice
|
DIAZ, CARCERE O PENE ALTERNATIVE PER I POLIZIOTTI
CONDANNATI: AD APRILE LA DECISIONE, MA DALLA POLIZIA SILENZIO SUI
PROVVEDIMENTI DISCIPLINARI
Fonte:
http://www.genova24.it/2013/03/diaz-carcere-o-pene-alternative-per-i-poliziotti-condannati-ad-aprile-la-decisione-ma-dalla-polizia-nessun-provvedimento-disciplinare-47928/
Articolo n° 47928 del 07/03/2013 - 15:21
Genova. Il Tribunale di Sorveglianza di Genova dal 10 aprile prossimo sarà
chiamato a decidere le modalità con le quali i 17 alti funzionari della
Polizia di Stato condannati in via definitiva per falso e calunnia nel
processo Diaz dovranno scontare la pena (dagli otto mesi all’anno, per
effetto dell’indulto che ha cancellato tre anni).
Le alternative teoriche sono la detenzione in carcere, l’affidamento in
prova al servizio sociale o la detenzione domiciliare.
La Corte di Cassazione, nella sentenza emessa il 6 luglio scorso, aveva
usato espressioni molto dure contro di loro, negando la concessione delle
attenuanti generiche e sottolineando “l’assenza di qualunque segno di
resipiscenza”, cioè di pentimento rispetto al reato commesso.
Se è vero che essendo i funzionari tutti incensurati sembra piuttosto
probabile che la misura prescelta dal Tribunale di sorveglianza sia
l’affidamento in prova, una recente decisione del Tribunale di Sorveglianza
di Bologna che ha disposto il carcere per gli agenti condannati per
l’omicidio colposo di Federico Aldovrandi (comunque non espulsi dalla
Polizia) costituisce un recente precedente che può preoccupare i condannati.
Le udienze (non pubbliche) davanti al Tribunale di Sorveglianza potrebbero
essere anche l’occasione per sapere, in assenza di ogni comunicazione da
parte del Ministero dell’Interno, se i funzionari condannati sono stati
espulsi dalla Polizia o solo sospesi con la possibilità di farvi rientro,
come è stato finora per tutti gli altri nove poliziotti condannati in via
definitiva in altri processi del G8 di Genova, che hanno conservato il loro
posto di lavoro, nonostante la sospensione imposta per via giudiziaria
(interdizione temporanea dai pubblici uffici) dalle sentenze di condanna.
Inoltre, per quanto riguarda il processo Diaz gli altri 8 agenti condannati
solo per lesioni gravi con pena poi prescritta (tutti appartenenti al
disciolto settimo nucleo del I reparto mobile di Roma, quello comandato da
Vincenzo Canterini) molto probabilmente non hanno subito né subieranno alcun
procedimento disciplinare (facoltativo, in questo caso) e continueranno
quindi il loro servizio in Polizia senza alcuna conseguenza per la mattanza
di quella notte.
Le parti civili del processo Diaz lamentano la assoluta mancanza di
assunzione di responsabilità e di scuse da parte dei condannati. A livello
istituzionale c’è stata solo la frase dell’attuale capo della Polizia
Antonio Manganelli, dopo la sentenza di Cassazione (“ora è il tempo delle
scuse”), bilanciata però dall’espressione di personale solidarietà per i
condannati espressa dall’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro. Le parti
civili sottolineano anche come tutti i risarcimenti siano stati pagati dal
ministero e vi sia la concreta possibilità , vista una legge approvata dal
2010, che non vengano mai richiesti ai condannati.
Katia Bonchi
ritorna all'indice
|
G8 DI GENOVA, VICEQUESTORE DI POLIZIA CONDANNATO A
DUE ANNI PER FALSA TESTIMONIANZA TRIBUNALE DI GENOVA
Articolo n° 47958 del 08/03/2013 - 11:17
Genova. Il giudice monocratico Carla Pastorini, ha
condannato a due anni per falsa testimonianza con sospensione condizionale
della pena il dirigente di Polizia Luca Cinti, ex comandante del reparto
mobile di Bologna all’epoca del G8 di Genova del 2001.
Il 20 luglio, poco dopo le 15, il reparto mobile di Bologna, comandato
proprio da Cinti, caricò i manifestanti pacifici riuniti in piazza Manin e
arrestò due ragazzi spagnoli accusandoli di resistenza. Gli agenti
sostennero che i due fossero armati di spranga e molotov, ma un video
scagionò i due manifestanti. I quattro poliziotti responsabili dell’arresto
(Antonio Cecere, Luciano Berretti, Marco Neri e Simone Volpini, tutti
sottoposti di Cinti), invece, sono stati condannati in via definitiva a 4
anni di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici e sono
attualmente sospesi dal servizio.
Nell’ambito del processo di primo grado contro i quattro, Cinti (che era il
loro superiore) testimoniò in aula di aver visto il momento dell’arresto
aggiungendo che uno dei due arrestati aveva in mano una spranga. Di fronte
alla visione del filmato, che mostrava invece i due spagnoli assolutamente
disarmati e inermi di fronte all’arresto, Cinti disse anche che non era
certo che si trattasse proprio dei due spagnoli arrestati.
Il 9 gennaio di quest’anno, interrogato in aula nel processo a suo carico
dal pubblico ministero Francesco Cardona Albini e dagli avvocati di parte
civile Emanuele Tambuscio e Laura Tartarini, Cinti ha invece sostenuto che
gli spagnoli siano stati arrestati per sbaglio da qualcun altro, mentre i
veri responsabili dei disordini sarebbero rilasciati per errore dalla
Questura. “Non abbiamo arrestato i due spagnoli, probabilmente in Questura è
stato fatto qualche pasticcio”.
In pratica Cinti ha sostenuto che i suoi uomini hanno arrestato due persone
di cui una armata di spranga, ma che non si tratterebbe dei due spagnoli.
Peccato però che i due giovani siano stati gli unici arrestati in piazza
Manin in tutta la giornata del 20 luglio.
Tesi considerata “surreale” sia dal pubblico ministero che dagli avvocati di
parte civile, ma ribadita in aula dal legale di Cinti durante la discussione
finale. Il legale ha anche sostenuto che, di fatto, il suo cliente avrebbe
fatto nel processo di primo grado contro i suoi sottoposti, una
testimonianza “scomoda ma favorevole ai due spagnoli”.
Nelle controrepliche il pubblico ministero, che aveva chiesto per Cinti due
anni di reclusione, ha definito “assurda” tale affermazione, visto che “in
primo grado, proprio anche grazie alla ricostruzione di Cinti che aveva
messo l’accento su una grande confusione sia in piazza che nella fase degli
arresti, il Tribunale decise di assolvere i quattro del reparto mobile”. Di
diverso parere sono state invece la Corte di appello di Genova e la
Cassazione.
Redazione
ritorna all'indice
|
ANTONIO MANGANELLI, LA POLIZIA DI STATO E GENOVA G8
La morte del capo della polizia e il cordoglio per una
fine prematura.
Nel diluvio di commenti, un contributo utile a inquadrare meglio la figura
di un uomo dello Stato e le sue scelte su un caso delicato, affrontato in
modo pessimo da lui e dal suo predecessore. La questione delle "scuse" per
la Diaz: tardive, ambigue e reticenti
http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=3978
ritorna all'indice
|
LA NEMESI DEL SUPERPOLIZIOTTO GRATTERI DALLA DIAZ ALLA
CARITAS UN MANIFESTANTE FERITO DURANTE GLI SCONTRI DEI G8
Fonte:
http://genova.repubblica.it/cronaca/2013/04/03/news/g8_gratteri_condannato_al_volontariato_vuole_don_ciotti_ma_andr_alla_caritas-55839063/
Il prefetto, uno dei super poliziotti condannati per la sanguinosa irruzione
nella scuola Diaz al G8 del 2001, sconterà un anno di pena alternativa al
carcere in un centro anti-usura. Vuole Don Ciotti ma andrà alla Caritas
di MARCO PREVE
Dove sconterà il suo anno di espiazione alternativa al carcere il prefetto
Franco Gratteri, uno dei super poliziotti condannati per la sanguinosa
irruzione nella scuola Diaz al G8 del 2001? Fino a venerdì sembrava che lo
avrebbe fatto in un'associazione anti racket legata a Libera, il
coordinamento di 1500 sigle che da quasi vent'anni è simbolo di antimafia e
soprattutto educazione alla legalità.
Ma ieri, dall'entourage di don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, è stato
annunciato che sarà invece un'associazione anti-usura della Caritas ad
accogliere Gratteri. Sempreché, naturalmente, il Tribunale di Sorveglianza
decida di accogliere la sua istanza, così come quella di altri sedici tutti
funzionari esclusi due ispettori della celere di Roma) per l'affidamento in
prova al servizio sociale.
Il 10 aprile, davanti al presidente della Sorveglianza, il giudice Giorgio
Ricci, prendono il via le udienze che decideranno se per i 17 si apriranno
le porte del carcere o quelle delle pene alternative. Considerato che
l'indulto garantisce un colpo di spugna a tre anni, i 17 condannati
rischiano da un minimo di cinque mesi al massimo di un anno. Tra l'altro,
abitualmente, per concedere le pene alternative il giudice deve valutare
oltre ai precedenti, al pentimento del reo e al suo desiderio di redimersi,
anche le altre eventuali conseguenze subite in seguito alla sentenza.
A Bologna, il giudice ha di recente deciso di mandare in carcere gli agenti
responsabili della morte di Federico Aldrovandi.
Per quanto riguarda la vicenda Diaz, le udienze della sorveglianza forse
saranno finalmente l'occasione per capire se la polizia abbia avviato
procedimenti disciplinari nei confronti dei dirigenti condannati. Un mese di
telefonate e mail all'ufficio stampa della polizia non hanno permesso di
sciogliere il mistero, anche se, proprio a ridosso di Pasqua è circolata la
voce che qualcosa, a 12 anni dalle violenze, le calunnie e i clamorosi falsi
- dai verbali alle molotov introdotte dalla stessa polizia - si stia
finalmente muovendo.
Ma se per i condannati ("che hanno gettato discredito sulla Nazione agli
occhi del mondo intero ", secondo i giudici della Cassazione) è scattata
l'interdizione dai pubblici uffici, è invece un dato di fatto che gli agenti
del reparto mobile di Roma che sono stati salvati penalmente dalla
prescrizione - ma non civilmente per i risarcimenti - restino ad oggi ai
loro posti nonostante le decine di feriti anche gravi provocati dalle loro
manganellate.
Quanto a Gratteri, l'ex capo dell'anticrimine nonché protagonista
dell'antimafia, è oggi in pensione forzata, e per evitare il carcere,
assieme ai suoi legali ha dovuto pensare ad un'associazione in cui prestare
volontariato quotidianamente per un anno, visto che non è concepibile una
pena alternativa con "prestazioni occasionali".
Ancora venerdì scorso ecco cosa diceva Francesca Rispoli, della presidenza
di Libera a Roma: "Sì, il prefetto Gratteri ha chiesto di poter essere
inserito da noi. Ci stiamo lavorando, stiamo prendendo in considerazione la
cosa. E' in fase di analisi la posizione della persona e l'eventuale
compatibilità con i lavori socialmente utili all'interno delle nostre
strutture ma non c'è ancora una decisione".
Mentre all'interno di Libera cominciava già a serpeggiare qualche imbarazzo
(don Ciotti partecipò in piazza Alimonda alle celebrazioni del decennale del
G8), la situazione si è sbloccata e proprio dallo staff del sacerdote
torinese ieri è arrivata la precisazione: "Il prefetto Gratteri si è
appoggiato ad una struttura della Caritas".
(03 aprile 2013)
ritorna all'indice
|
UN BEL VIDEO
Un bel video fatto con contributi anche bolognesi a proposito di violenze a
G8 di Genova ed il ricorso fatto dalle parti civili di Bolzaneto alla corte
dei diritti dell'uomo a Bruxelles messo a punto anche da Valerio Onida. Il
problema non è solo la mancanza del reato di tortura in Italia, ma anche che
i risarcimenti attesi non sono mai arrivati e i poliziotti coinvolti han
continuato a far carriera
http://www.corriere.it/inchieste/reportime/societa/processo-g8-violenze-bolzaneto-sotto-lente-corte-europea/5ee5ef84-4ae0-11e3-bfcf-202576418f24.shtml
ritorna all'indice
|
G8 DI GENOVA, CONFERMATA IN APPELLO CONDANNA PER
FALSA TESTIMONIANZA PER VICEQUESTORE DI POLIZIA
Fonte:
http://www.genova24.it/2014/05/g8-di-genova-confermata-appello-condanna-per-falsa-testimonianza-vicequestore-di-polizia-67652/
G8 di Genova, confermata in appello condanna per falsa testimonianza per
vicequestore di polizia
Articolo n° 67652 del 19/05/2014 - 16:17
Genova. La terza sezione della Corte di appello di Genova ha confermato
questo pomeriggio la condanna a 2 anni con la condizionale per Luca Cinti,
vicequestore di polizia e dirigente del Reparto mobile di Bologna nei giorni
del G8 del 2001.
I fatti. Il 20 luglio, poco dopo le 15, il reparto mobile di Bologna,
comandato da Cinti, caricò i manifestanti pacifici riuniti in piazza Manin e
arrestò due ragazzi spagnoli accusandoli di resistenza. Gli agenti
sostennero che i due fossero armati di spranga e molotov, ma un video
scagionò i due manifestanti. I quattro poliziotti responsabili dell’arresto
(Antonio Cecere, Luciano Berretti, Marco Neri e Simone Volpini), invece,
sono stati condannati in via definitiva a 4 anni di reclusione e 5 anni di
interdizione dai pubblici uffici per “falso e calunnia” e sono attualmente
sospesi dal servizio. Nell’ambito del processo di primo grado contro i
quattro, Cinti (che era il loro superiore) testimoniò in aula di aver visto
il momento dell’arresto aggiungendo che uno dei due arrestati aveva in mano
una spranga. Di fronte alla visione del filmato, che mostrava invece i due
spagnoli assolutamente disarmati e inermi di fronte all’arresto, Cinti disse
anche che non era certo che si trattasse proprio dei due spagnoli arrestati.
La tesi sostenuta da Cinti è stata da quel momento che gli spagnoli siano
stati arrestati per sbaglio, mentre i veri responsabili dei disordini
sarebbero stati rilasciati per errore dalla Questura. Tesi che non ha
convinto il giudice di primo grado Carla Pastorini (che lo aveva già
condannato a due anni con la condizionale), né i giudici della Corte di
appello.
Katia Bonchi
ritorna all'indice
|
|