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DICEMBRE 2003
COMUNICATO STAMPA - 5 dicembre 2003
Farsi eco della
profezia della nonviolenza
Lettera aperta ai credenti e alle comunità cristiane
Partecipiamo,
con immenso dolore e con tanta tristezza nel cuore alla drammatica
involuzione che ogni giorno di più va assumendo il conflitto armato in
terra irachena. Sarebbe esercizio fin troppo semplice affermare che tutto
questo non solo era prevedibile ma addirittura era stato pubblicamente e
autorevolmente anticipato da Giovanni Paolo II quando ebbe a dire: “Di
fronte alle tremende conseguenze che un'operazione militare internazionale
avrebbe per le popolazioni dell’Iraq e per l'equilibrio dell’intera
regione del Medio Oriente, già tanto provata, nonché per gli estremismi
che potrebbero derivarne - dico a tutti: c’è ancora tempo per negoziare;
c'è ancora spazio per la pace; non è mai troppo tardi per comprendersi e
per continuare a trattare”.(Angelus16.03.2003). Non siamo mossi alla
riflessione soltanto dalla morte di cittadini italiani che ha scosso
profondamente le coscienze del nostro Paese. L’universalità
dell’annuncio evangelico, così come il senso della cattolicità non ci
consentono di distinguere il DNA del sangue versato e anzi, il dolore che ci
colpisce da vicino deve divenire unità di misura per una migliore
comprensione della sofferenza di tutti.
Ciononostante in questo
momento a noi sta a cuore riflettere sulla situazione presente rivolgendoci
ai credenti e alle comunità che traggono motivo di vita dal Vangelo di Gesù
Cristo. Ai fratelli e alle sorelle che professano la fede cristiana nelle
diverse tradizioni delle chiese vogliamo chiedere di confrontarsi con il
tempo presente a partire dalla Parola di Dio che sempre deve ispirare il
nostro vivere e deve illuminare le nostre scelte. Particolarmente
significativo ci pare a questo proposito uno strano episodio che ci viene
riferito dall’evangelista Luca: “In quello stesso tempo si presentarono
alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato
con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose:
“Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per
aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti
allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe
e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di
Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo
stesso modo” (Lc 13,1–5) Gesù invita alla conversione con parole molto
dure, che non lasciano molto spazio ad altre opzioni. Di fronte alla morte
degli innocenti, davanti alle sciagure provocate dagli uomini, dentro la
storia che ci incalza moltiplicando l’orrore del terrorismo e delle
guerre, Gesù non rivolge altro appello se non quello alla conversione. La
terra irachena, culla di una civiltà antica e fiera, è la stessa terra
biblica in cui si svolgono le vicende di Abramo e di Giona, entrambi segnati
dalla conversione che pone a rischio la propria esistenza, dall’annunzio
alla conversione e da un cambiamento radicale della propria esistenza che
segue la voce di Dio contro ogni miopia umana. Essi hanno il coraggio di
rischiare sperando contro ogni speranza. In questo momento della storia che,
in Iraq e in tante altre zone della terra, continua a contrapporre violenza
a violenza, vendetta a ferocia, rancore a dolore… sentiamo forte la
chiamata di Dio a convertirci alla nonviolenza e a farci eco di questa
medesima profezia che fiorisce sulle labbra dell’anziano Papa Giovanni
Paolo II: “La pace nei cuori si costruisce deponendo le armi del rancore,
della vendetta e di ogni forma di egoismo. Ha grande bisogno di questa pace
il mondo! Penso in modo speciale con profondo dolore agli ultimi episodi di
violenza in Medio Oriente e nel Continente africano, come pure a quelli che
la cronaca quotidiana registra in tante altre parti della Terra. Rinnovo il
mio appello ai responsabili delle grandi religioni: uniamo le forze nel
predicare la non-violenza, il perdono e la riconciliazione! "Beati i
miti, perché erediteranno la terra" (Mt 5,5). (Angelus, 30.11.2003)
- Farsi eco della profezia della nonviolenza oggi per noi significa
innanzitutto disarmare i nostri pensieri e i nostri cuori bandendo
atteggiamenti di contrapposizione e di idea del nemico per acquisire nuovi
stili di vita improntati alla riconciliazione e capaci di osare davvero la
pace con lo stile che Gesù ci ha insegnato: “Amate i vostri nemici e
pregate per i vostri persecutori” (Mt 5, 44). Intensifichiamo tanto le
azioni di prossimità verso coloro che seminano violenza e morte in modo così
orrendo quanto la preghiera profonda e intensa. “Osare la pace per fede”
è stata la grande lezione di vita consegnataci da un testimone come
Dietrich Bonhoeffer.
- Farsi eco della profezia della nonviolenza è vivere la sfida di una nuova
tensione educativa in questo momento di disorientamento in cui la pace
sembra essere diventata “parola multiuso” – per dirla con don Tonino
Bello – e buona per legittimare persino la guerra. Riprendendo il
documento della CEI “Educare alla pace”, ribadiamo che nessun serio
progetto di questo tipo può prescindere dall’impegno di famiglia, scuola,
associazionismo, comunità cristiana che oggi devono comunicare una sana
educazione alla cultura della regola, alla cultura politica o della
partecipazione, all’economia per l’uomo e per la comunità, al dialogo,
alla sobrietà e solidarietà, alla gestione nonviolenta dei conflitti, alla
consapevolezza dei diritti e dei doveri (cfr. Conferenza Episcopale Italiana
– Commissione Ecclesiale Giustizia e Pace, Educare alla pace, marzo 1998,§.20–33).
- Farsi eco della profezia della nonviolenza significa aiutare la politica ad
affermare la sua autonomia da ogni ideologia della guerra, dal
fondamentalismo del "mercato armato", dalla logica distruttiva
sempre unilaterale delle armi. Se la politica, come scriveva Giorgio La
Pira, "è l'attività religiosa più alta dopo quella dell'unione
intima con Dio!" perché "guida i popoli, responsabilità immensa
e severissimo servizio", il Parlamento italiano deve ripensare le sue
scelte internazionali sviluppando lo spirito nonviolento della Costituzione,
della Carta dell'ONU e della Dichiarazione Universale dei diritti umani.
- Farsi
eco della profezia della
nonviolenza è riconsegnare alle Nazioni Unite il compito di “arbitrare”
e gestire a pieno titolo questa fase delicata della crisi mediorientale
pensando innanzitutto a ridare dignità e sovranità al popolo iracheno. I
troppi anni di embargo hanno contribuito in maniera sostanziale a far
perdere al popolo iracheno la fiducia nella comunità internazionale che
oggi ha il dovere morale del risarcimento piuttosto che di prevedere come
lucrare dalla vendita dell’abbondante petrolio di quella terra. Ribadiamo
senza riserve che la guerra sul territorio iracheno è stata immorale ed
illegittima.
Per questa ragione chiediamo che siano le regole del diritto internazionale
a guidare anche la fase attuale della crisi.
Nel tempo che prepara al Natale
ci sentiamo ancor più vicini alla Terra Santa: farsi eco della profezia
della nonviolenza deve tradursi nel concentrare l’attenzione dell’Europa
in particolare sulla soluzione definitiva del dramma di inimicizia e sangue
tra la nazione israeliana e il popolo palestinese. Buona parte delle sorti
dell’intera regione e del bacino del terrorismo di matrice fondamentalista
islamico si nutrono idealmente di quel dramma irrisolto.
- Farsi eco della
profezia della nonviolenza significa mettere in atto ogni sforzo, economico
e creativo, non solo per aiutare la ricostruzione dell’Iraq, ma anche per
visitare, conoscere, imparare a frequentarsi, stringere nuovi patti di
amicizia, cooperare con il popolo iracheno e con tutte le popolazioni di
tradizione religiosa islamica. Abbiamo buone ragioni di ritenere che il
terrorismo faccia una fatica maggiore a fronteggiare la minaccia
dell’amicizia e del dialogo piuttosto che quella della guerra e della
logica della colonizzazione culturale ed economica presente nel fenomeno
della globalizzazione.
- Una
parola infine, vogliamo rivolgerla a tutti i pastori delle chiese cristiane
perché non tacciano proprio in questo momento. Il silenzio non è lecito a
chi ha il compito di annunziare la Parola. A loro più che ad altri compete
di farsi eco della profezia della nonviolenza secondo le parole di don
Tonino Bello: “Come nei primi tempi del cristianesimo i martiri stupirono
il mondo per il loro coraggio, così oggi la Chiesa (ogni Chiesa n.d.r.)
dovrebbe fare ammutolire i potenti della terra per la fierezza con cui,
noncurante della persecuzione, annuncia, senza sfumare le finali come nel
canto gregoriano, il vangelo della pace e la prassi della nonviolenza”.
Il Consiglio nazionale di Pax Christi
Come era facile prevedere
purtroppo il documento del Consiglio Nazionale diffuso qualche giorno fa (5
dicembre u. s.) non ha trovato "ospitalità" sui quotidiani nè
molta "eco mediatica".
Naturalmente noi non ci scoraggiamo, e - come sempre - contiamo sul fatto
che ciascuno di noi si faccia "eco" di una riflessione accurata
che ha impegnato per molto tempo i membri del Consiglio nazionale.
Il documento era inteso come
LETTERA APERTA AI CREDENTI E ALLE COMUNITA' CRISTIANE e ci terremmo tanto
che arrivasse al maggior numero possibile di istituti religiosi, parrocchie,
movimenti, fratelli e sorelle di altre confessioni cristiane, gruppi
famiglie, gruppi giovanili ecc.!
Potrebbe
essere un buona attività, un proposito, una buona azione...
( come
accompagnamento agli auguri natalizi) stamparlo e distribuirlo, leggerlo
durante le celebrazioni,darlo al vostro parroco alle suore che conoscete,
ecc
Grazie a tutti per quanto - siamo certi - saprete fare.
Shalom,
Pax Christi, Punto Pace Bologna
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