UNA LETTERA AD AVVENIRE
Riportiamo
qui di seguito l’intervento di Bernardo, che ha inviato ad Avvenire
(ovviamente non pubblicato come, a suo tempo non lo aveva fatto per la nota
inviata da Pax Christi Italia) a seguito dell’ articolo apparso su Avvenire
del 5 agosto 2005 a firma del Sig. Parsi, che sostanzialmente appoggiava
l’intervento armato delle truppe italiane in Irak
Gentile prof.
Parsi,
ho avuto modo
di conoscerla attraverso alcuni suoi testi, articoli e conferenze.
Rientrando in Italia a settembre dopo due mesi trascorsi a Bruxelles, ho
avuto modo di leggere un suo articolo del 5 agosto sulle Forze Armate
italiane. L'ho visto perché è stato ripreso da Pax Christi Italia che lo ha
ritenuto un articolo non consono a un quotidiano come Avvenire. Osservazioni
che condivido, considerato anche il tono proclamativo dell'articolo stesso.
Come ricercatore orientato all'azione, però, vorrei risponderle nel merito,
attenendomi quindi solo all'analisi di quello che lei ha scritto. La mia
critica verte su sei punti.
1. Quando
dice "...sono molti i teatri operativi che in questi anni hanno visto i
nostri militari ottimamente comportarsi: dall'Africa..." non afferma una
cosa vera. I militari italiani in Somalia, nella missione del '92, si sono
distinti per lo scandalo delle torture, sono ancora davanti agli occhi dei
più le immagini dei soldati italiani che torturano ai genitali alcuni somali
con dei fili elettrici. E qui si aprirebbe un lungo discorso sul problema
della formazione al peacekeeping.
2.
"Biglietto da visita del Paese, sempre hanno sostenuto il prestigio e
l'immagine della nazione". Nel caso citato sopra non si
può dire questo. E' di difficile analisi anche quello che sta succedendo in
Iraq
(visto anche il caso recente dell'esercito inglese che sembrava in buoni
rapporti con la popolazione). Poi, probabilmente, è meglio dire "un
biglietto da visita e non "il". Visto che anche missionari, volontari,
serviziocivilisti, sportivi e onesti immigrati fanno la loro parte.
3. "...in
grado di operare a fianco dei migliori eserciti del mondo...". Anche i
generali italiani sanno che non è così. L'Italia è preparata solo per
alcuni tipi di missione, di peacebuilding e in parte di peacekeeping, e
anche su questi deve evolversi, se no sarà superata dalla maggior parte dei
paesi dell'Europa occidentale che stanno cambiando seguendo le
trasformazioni delle politiche dell'UE, in primis l'uso dei corpi civili di
pace per vari tipi di missione (in alternativa o affiancati ai militari). In
tutti gli altri tipi di missione, l'Italia non è al pari dei migliori
eserciti del mondo, anche se, purtroppo, sta investendo molto in questa
direzione. Dico purtroppo perché spreca risorse per andare dove non può
arrivare invece di aggiornarsi in ciò che già sa fare.
4.
Anche rispetto all'umanità, solidarietà e all'apprezzamento delle
popolazioni che lei cita, non porta a supporto di queste affermazioni nessun
esempio. In Albania magari è vero. Ma in altre parti, come dicevo prima
dell'Iraq, non sembra così chiaro.
5. Sui
"fronti di pace", inoltre, ci sarebbe da discutere. In Iraq le forze
statunitensi continuano a bombardare, ad assediare città e a morire. Anche
il sud del Paese non sembra stare meglio, anche se si presenta come la zona
più "tranquilla". Lo si può chiamare "fronte di pace" con tanta
disinvoltura? Si può dire "in nessun modo possono essere considerate diverse
dalle altre [missioni]...?"
6. Nel
suo articolo individua poi tre tipi d’intervento italiano, di cui il terzo è
definito di "obiettivi sistemici". Questo "carattere strategico" in cosa
sussiste? Nel garantire la pace? Ormai sembra chiaro anche alla maggior
parte degli analisti americani di Relazioni Internazionali che la guerra in
Iraq ha alimentato e non ridotto il fenomeno del "terrorismo globale". E
allora, quali sono questi sistemi e quali le
strategie?
Cordialmente, Bernardo V.