IN QUESTO NUMERO
Ponti e non Muri
Chiesa - Esercito - Missione
A te...che ti sforzi di dirigere i tuoi passi sulle strade difficili della pace...
Parlano di pace con i soldi dei «mercanti di morte»
Il grande abbraccio di Allah
La dittatura è alle porte. Fermiamola!!!
I prossimi appuntamenti e altro...
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GENNAIO 2005
RITORNINO I BISOGNOSI
Da Mosaico di Pace
Editoriale di
Guglielmo Minervini
Le parole sono come interruttori. Possono dare o togliere
luce alle cose. Comunque rivelano il modo con cui percepiamo la realtà. Nel
linguaggio della politica, poi, le parole spesso racchiudono concezioni del
mondo, visioni della società.
Ad esempio, una cosa è dire
bisognosi, un’altra è dire esclusi. Magari in entrambi i casi si fa
riferimento alla stessa realtà di disagio, ma il modo in cui si legge cambia
tutto. Bisognosi si può nascere, esclusi si diventa. Il bisogno può essere
determinato dalla natura, dal caso, dalla fatalità. Bisognosi sono un
bambino orfano, una madre vedova, una famiglia alluvionata. L’esclusione è
causata dagli uomini, generata da atteggiamenti e da scelte. Esclusi sono un
licenziato, un bocciato, un rifugiato.
Prendiamo la questione della riduzione delle tasse.
Il 10% delle
famiglie più ricche raccoglierà quasi il 40% dei benefici prodotti dalla
misura prevista dal governo Berlusconi. Il 12% delle famiglie più povere non avrà alcun beneficio,
semplicemente perché, avendo un reddito troppo basso o addirittura non
avendo reddito, non è nelle condizioni di pagare nulla. Il 10% delle
famiglie più ricche in Italia ha il 47% della ricchezza nazionale.
Al contrario, il 12% dei poveri, all’ incirca sette milioni di italiani,
vive con meno di 825 euro al mese e si trova in larga misura al Sud. Tra
questi si trovano tre milioni di persone costrette ad arrangiarsi con meno
di 363 euro al mese. Sono quelli che chiamiamo poveri assoluti. Tra i due
estremi della povertà e della ricchezza c’è il ceto medio, ormai l’Italia
della terza settimana.
A questa
Italia che non si può più muovere, perché regolarmente in astinenza negli
ultimi sette giorni del mese, la misura di Berlusconi porterà il beneficio
di poco più di un caffè al giorno.
Oggettivamente, la cosiddetta riduzione delle tasse assesta un bel colpo di
divaricazione alla forbice che separa le parti della società. Un generoso
contributo all’ingiustizia.
Eppure, non è nemmeno la questione più grave. Il problema è che questa
finanziaria di fatto ratifica la dissolu-zione dello “Stato sociale”, cioè
il principio secondo cui lo scopo della politica sia l’esercizio della
solidarietà.
La lotta alle sperequazioni non è più il fine dell’azione politica. La
solidarietà da obbligo (che la Costituzione vuole addirittura inderogabile)
viene declassata a facoltà. Un’eventualità condizionata a molti fattori.
Intanto (ma ormai nemmeno più solo) alla disponibilità finanziaria. Ma una
volta ottenuto il declassamento, una volta licenziato l’obbligo, quello che
prima era un diritto viene retrocesso al bisogno.
Quindi le politiche sociali regrediscono a politiche assistenziali. La
cittadi-nanza si traduce con elemosina, filantropia. Ecco l’inganno delle
parole. Anzi il loro perverso rovescio. Dilagano i richiami alla bontà
mentre ognuno viene invitato a fare da sé. Mentre l’egoismo viene elevato a
principio politico di regolazione della convivenza civile.
Così scompaiono gli esclusi e ritornano i bisognosi. Proliferano mense,
ostelli, guardaroba, oratori nello stesso momento in cui chiudono ospedali,
asili nido, case famiglia, centri di ascolto. E si fanno investimenti in
manicomi, istituti
minorili, carceri.
Attorno alla gestione del bisogno s’è ingrossata una cospicua economia del
sociale che coinvolge cooperative, parrocchie, enti, associazioni. Prima
costituivano il nucleo più avvertito nella denuncia dell’insufficienza dei
servizi sociali, rappresentavano il motore dell’elaborazione di nuove
politiche, mentre oggi, sempre più spesso, sembrano disposti a pagare col
silenzio la tutela dei propri spazi di sopravvivenza.
Così l’appalto della gestione
dell’obolo,
elargito dallo Stato per compensare la scomparsa dei diritti di
cittadinanza, raggiunge anche l’obiettivo di smorzare l’ultimo residuo di
coscienza sociale. Dov’è finito il volontariato? Quali spine di
inquietu-dine conficca il terzo settore nell’opinione pubblica? Quale
provo-cazione suscita oggi il mondo che si richiama alla categoria scomoda
della “carità politica”?
Cambiano le parole, modificando geneticamente i valori costitutivi della
nostra comunità, eppure tutto avviene senza una voce che invochi, nelle cose
della politica, lo sguardo degli ultimi.
Già, l’occhio degli ultimi, che è poi quello dell’eresia evangelica. Ma
non ci stavano a cuore le nostre radici cristiane?
Possibile che la più inquietante scelta antievangelica degli ultimi
decenni susciti meno calore, sollevi minor indignazione di un presepe contaminato da presenze
extracomunitarie?
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