LA
DITTATURA È ALLE PORTE. FERMIAMOLA!!!
ADISTA
N°9 del 5 febbraio 2005
CON LA
REVISIONE DEL CODICE MILITARE DI GUERRA LA DITTATURA È ALLE PORTE.
FERMIAMOLA !!!!!!
ROMA-ADISTA.
Niente più libera informazione sulla guerra. È quello che prevede la delega
al Governo per la revisione delle leggi penali militari di pace e di guerra,
già votata al Senato lo scorso 18 novembre e nelle prossime settimane in
discussione alla Camera: se il provvedimento venisse approvato senza
ulteriori modifiche il codice militare di guerra verrebbe applicato anche
alle cosiddette "missioni di pace" ed esteso addirittura a qualsiasi
cittadino italiano che si trovi "nel territorio estero sottoposto al
controllo delle Forze armate italiane nell'ambito di una operazione
militare", giornalisti ed operatori umanitari compresi.
"Il progetto ha due obiettivi di fondo", spiega il magistrato Domenico
Gallo, del Coordinamento nazionale giuristi democratici
(www.giuristidemocratici.it):
"ridurre l'area di controllo di legalità affidata alla giurisdizione
ordinaria, incrementando la competenza della giurisdizione militare
attraverso la 'militarizzazione' dei reati comuni commessi da militari;
abbassare la soglia fra pace e guerra, riesumando le leggi di guerra e
rendendole pienamente utilizzabili". Diventerebbero così di competenza della
giurisdizione militare moltissimi reati, anche comuni, purché commessi da
militari. Inoltre, riducendo la distinzione fra "stato di pace" e "stato di
guerra", verrebbero gradualmente introdotte leggi di guerra anche in tempo
di pace, senza cioè che il Parlamento deliberi e il presidente della
Repubblica dichiari lo "stato di guerra", come la Costituzione vorrebbe;
sarebbe sufficiente - spiega ancora Gallo - che il Governo, con un semplice
Decreto e senza alcuna approvazione del Parlamento, proclamasse
"l'instaurarsi di un non meglio determinato tempo di guerra".
Sono quattro, in particolare, gli articoli del codice militare di guerra che
rischiano di imbavagliare definitivamente la libera informazione, tappando
la bocca ai militari e di fatto trasformando i pochi giornalisti ancora
non embedded in addetti stampa delle Forze armate, sotto la
minaccia di pesanti pene detentive: l'articolo 72 ("procacciamento di
notizie riservate"), 73 ("diffusione di notizie riservate"), 74
("agevolazione colposa") e 77 ("divulgazione di false notizie sull'ordine
pubblico o su altre cose di interesse pubblico") che prevedono la reclusione
da 2 a 10 anni (in un carcere militare) per "chiunque si procuri notizie
concernenti la forza, la preparazione o la difesa militare, la dislocazione
o i movimenti delle forze armate, il loro stato sanitario, la disciplina, le
operazioni militari e ogni altra notizia che, essendo stata negata, ha
tuttavia carattere riservato"; la pena potrà poi aumentare fino a 20 anni di
reclusione qualora le notizie venissero divulgate o pubblicate. Nessuna
notizia, pertanto - a cominciare da quelle riguardanti per esempio le nostre
Forze armate che operano a Nassiyria - senza il via libera da parte dei
comandi militari.
"Con l'approvazione di questa norma liberticida - commenta Fabrizio
Battistelli, presidente di "Archivio disarmo" - diventa a rischio il
mestiere dei giornalisti, che già devono affrontare conflitti sanguinosi e
privi di steccati fra combattenti e non combattenti. Quale sarà il
giornalista, inviato sul campo a dare conto di operazioni di guerra (o di
pace, che ormai presentano poca o nessuna differenza con le prime), il quale
dovrà guardarsi non soltanto da attentati, rapimenti, scontri a fuoco, ma
anche dal pericolo di finire sotto inchiesta per aver descritto un'azione
militare? Chi deciderà che una notizia, anche non classificata come segreta,
può avere 'carattere riservato'? Di questo passo, persino riferire dello
stato di salute degli uomini e delle donne del contingente potrà configurare
un reato". E Claudio De Fiores, docente di Diritto costituzionale a
Napoli, giudica a rischio anche gli operatori internazionali, che potrebbero
essere accusati di "somministrazione al nemico di provvigioni" (articolo 248
del Codice militare di guerra) e condannati ad un periodo di reclusione "non
inferiore a 5 anni": l'applicazione dell'articolo non è automatica, anche
perché "bisognerebbe distinguere tra il legittimo soccorso alle popolazioni
civili prestato dagli operatori umanitari dalla loro volontà di sostenere
soggetti belligeranti". Tuttavia "nelle nuove zone di guerra è spesso molto
difficile provare la differenza tra un civile e un belligerante; se tale
normativa fosse realmente applicata, l'ordinamento
militare si troverebbe nelle condizio-ni di esercitare un pervasivo potere
di controllo sulle attività dei civili, ma di riflesso anche su quelle dei
movimenti pacifisti in Italia".
Contro la legge delega, Rete Lilliput e Articolo 11 (da oltre 100 giorni in
presidio perma-nente davanti a Palazzo Chigi per chiedere il ritiro delle
truppe italiane dall'Iraq) hanno lanciato una petizione a cui hanno aderito,
fra gli altri, Arci, Ass. obiet-tori nonviolenti, Beati i costruttori di
pace, Legambiente, Missionari comboniani, PeaceLink, Rete Radiè Resch, Un
ponte per... "L'obiettivo di questa revisione dei Codici penali militari -
si legge nel documento
(www.ostinatiperlapace.org)
- è,
di
fatto, quello di offrire un contributo normativo alla costruzione del nuovo
ordine (o disordine) globale e alle teorie della guerra permanente. Normare
l'emergenza bellica per normalizzare la guerra. Inoltre è alto il rischio di
una definitiva decostituzionalizzazione del concetto di 'tempo di pace' e
'tempo di guerra', sino a una integrale perdita di senso di quanto stabilito
dall'articolo 11, il cui valore quale principio fondamentale della nostra
Costituzione è stato già pesantemente messo in discus-sione da altri atti
posti in essere da questo e da altri governi".
Lo scorso 28 gennaio si è svolta un'azione di pressione davanti alla
redazione romana del "Corriere della Sera", per sollecitare il principale
quotidiano italiano ad occuparsi della questione. E "Azione nonviolenta",
mensile del movimento nonviolento, ha chiesto un'audizione alle commissioni
Esteri e Giustizia di Montecitorio.