IN QUESTO NUMERO
Pace o videogames
I campioni del rosario si affidano a Maria
Ai responsabili dell'Associazione Pax Christi di Bologna
Un premier i suoi fantasmi
Comunicato conclusivo dell'assemblea annuale di Pax Christi Italia
Uomo della sua Chiesa, finalmente. I vescovi si accorgono di don Tonino
Crisi nel golfo o nel cuore?
Mons. Nogaro ricorda...
I prossimi appuntamenti e altro...
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MAGGIO 2003
LA GUERRA DELLE OLIGARCHIE
Prima ancora di
spezzare vite, di dilaniare donne, uomini, vecchi, bambini, la
guerra – la sua filosofia – ha già prodotto esiti nefasti.
L’Organizzazione delle nazioni unite non esiste più (se non come
luogo fisico in cui la forza cerca coperture
giuridiche); i rapporti tra la superpotenza mondiale e i Paesi del
Terzo mondo si atteggiano sempre più come macabra campagna
acquisti, in cui si scambiano elemosine con complicità; i principi
più elementari del diritto internazionale sono ogni giorno
oltraggiati e calpestati (al pari del monito severo e intransigente
del Pontefice). Contemporaneamente si apre una spaccatura profonda
tra l’opinione pubblica mondiale (ed anche europea e italiana),
contraria alla guerra con percentuali prossime all’80%, e
l’ossessione bellica di buona parte dei governanti
dell’Occidente: così la democrazia si riduce da “governo dei più”
a “governo dei meno” e viene ferita in maniera irreversibile nel
suo fondamento e nella sua legittimazione. Sono campane a morto gli
aristocratici proclami di autorevoli politologi che inneggiano alla solitudine del leader alla vigilia di decisioni cruciali: chi
governa non deve, certo, seguire acriticamente i sondaggi; deve, al
contrario, scegliere e indirizzare, anche sfidando l’impopolarità;
ma quando – sulle scelte cruciali, quelle che riguardano la vita e
la morte – viene meno il consenso (e, dunque, il fondamento della
delega a governare), deve, in democrazia, trarne le conseguenze e
passare la mano.
* * *
A dominare la scena
internazionale è, inevitabilmente, la tragedia della guerra. Ma
altri segnali inquietanti percorrono il mondo. E anche l’Europa.
C’è, da un lato, il riemergere, come attori politici, delle mafie
e delle organizzazioni criminali, mai scomparse dallo scenario
politico, soprattutto all’Est, ma in questi giorni tornate sulle
prime pagine – e sanguinosamente – in occasione dell’omicidio
del capo del governo serbo Djindjic. E ci sono, d’altro canto,
bruschi arresti, imposti proprio dal nostro Paese, nel cammino verso
il consolidamento, a livello sovranazionale, dei diritti e
dell’uguaglianza. Al termine della complessa procedura iniziata
col Consiglio di Laeken, l’Europa sta operando per darsi una
Costituzione federale che incorpori la Carta dei diritti
fondamentali, rafforzi il ruolo del Parlamento e realizzi autentiche
politiche sociali comuni. Obiettivo di questa operazione è il
superamento dell’attuale situazione che vede la prevalenza, in
Europa, dei meccanismi di integrazione economica e di unificazione
dei mercati, senza il valore
aggiunto di una maggior tutela dei diritti sociali e di libertà
dei cittadini (fattore necessario per superare l’attuale deficit
democratico delle istituzioni comunitarie). Orbene, con pochi
tratti di penna, il Governo italiano ha proposto di cancellare da
quel progetto di Costituzione qualsiasi riferimento al modello
federale, alla pace, alla tolleranza, alla giustizia e alla
solidarietà. Addirittura di trasformare il principio di parità tra
donne e uomini in un generico perseguimento di «pari opportunità».
Non basta.
Nell’ultima riunione del Consiglio dell’Unione europea per la
giustizia e gli affari interni il ministro Castelli, unico fra i
quindici ministri degli Stati membri, si è opposto all’adozione
di una decisione quadro sulla repressione del razzismo e della
xenofobia, motivata dalla solenne affermazione che «le società
europee sono multiculturali e multietniche e la loro diversità è
un fattore positivo e di arricchimento». A sostegno di tale opposizione, il rappresentante del Governo
italiano ha invocato la difesa della libertà di opinione (sic!).
Inutile dire che la proposta in esame, in linea con la vigente
azione comune del 15 luglio 1996 relativa agli interventi di
contrasto del razzismo e della xenofobia, mirava all’adozione di
legislazioni fra loro compatibili in tutti gli Stati membri, al fine
della repressione delle «aggressioni» motivate da fini razzisti...
Le memorie dell’immane tragedia di una guerra mondiale scatenata
dai teorici del razzismo, le leggi razziali italiane del ’38,
l’esistenza di specifiche Convenzioni internazionali contro il
genocidio e la sua apologia e contro il razzismo, nulla hanno potuto
contro il veto del nostro Governo, scatenato contro non meglio
precisati «nazisti rossi» che pullulerebbero in Europa. Senza una
reazione adeguata e all’altezza della posta in gioco, oscure ombre
si addensano sul futuro dell’Europa.
(l.p)
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Da
Narcomafie
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