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IN QUESTO NUMERO G come Guerre
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MAGGIO 2004 AFRICA NEL CUORE: UN IMPEGNO DI PACE "PREVENTIVA" Sabato 17 aprile, a Roma, a Piazza del Popolo,
si è conclusa la Manifestazione "Italia-Africa 2004",
che ha coinvolto in maniera significativa la società civile, le
Istituzioni, le Organizzazioni sindacali e di Volontariato, Movimenti
ecclesiali ed Istituti missionari. Fermare la vendita delle armi, fornire farmaci gratuiti, cancellare il
debito: questi i tre slogan-impegno
che hanno voluto sollecitare un'assunzione di responsabilità e che hanno
animato tutte le iniziative correlate alla Manifestazione, che per quasi tre
settimane hanno fornito un'occasione di approfondimento e conoscenza,
attraverso mostre, convegni e dibattiti.
"Un vento di speranza", come qualcuno ha detto, ma anche
tanti dubbi ed inquietudini continuano ad agitare, speriamo, le coscienze… Come sempre, in queste occasioni, ci sentiamo circondati da un clima di
grande festa, da cui è facile lasciarsi coinvolgere ed in cui ci piace
immergerci: un fiume di colori, striscioni, bandiere, slogan ritmati ed
urlati, musica e danze. L'iniziativa è importante, ben preparata e motivata: "Il destino
dell'Africa non è immutabile. Molto dipende da noi!" è il tema della
Manifestazione, voluta dagli organizzatori per far uscire dal silenzio tanti
drammi dimenticati, per credere in possibilità di svolta, per riflettere
sulle interrelazioni tra Europa e Africa e comprendere che in questo impegno
si sta mettendo in gioco il nostro stesso modello di civiltà e di società,
e che l'Africa può essere, come è stato detto, la "nostra nuova
frontiera". Certo, il tema centrale è l'Africa, ma vi è tanto d'altro: innanzi tutto il desiderio di far sentire la propria voce, di riappropriarsi di un ruolo, di "dire", di far emergere il senso di una presenza e della responsabilità civile, di coagulare forze positive che si riconoscono in valori fondamentali. Inoltre, un evento simile
non può non risentire del contesto in cui si svolge; inevitabilmente si
sente l'eco delle guerre, soprattutto dei fatti di questi giorni, del
conflitto in Iraq, del rapimento degli ostaggi, dell'aggravarsi della
situazione in Israele e Palestina. C'è questo immediato che preme e che ci si porta dentro, che consente, sì, di accomunare il destino di tanti popoli sconvolti dalle guerre, più o meno conosciute, e di ribadire l'impegno per la pace; ma d'altra parte, tutto ciò può far sì che, ancora una volta, non si parli veramente d'Africa, può impedire di raggiungere appieno l'obiettivo prefissato: proprio quello di rompere il silenzio sulla più grande catastrofe del pianeta, che si sta verificando in questo continente, dimenticato dai media e oscurato dal disinteresse del mondo.
Anche noi, nel nostro piccolo, ci possiamo rendere conto di questa
"negazione" e di tale oscuramento mediatico, se pensiamo al tipo
di informazione che è stata data riguardo alla Manifestazione e soprattutto
allo spazio ad essa dedicato dagli organi di informazione e dalle principali
Reti televisive, sempre e comunque inferiore, per quantità e risonanza, a
quello destinato ai "reality show" o alle polemiche calcistiche. Un vento nuovo si è levato dalla grande folla, "un vento di speranza", secondo Jack Lang, ex-ministro della cultura francese: vorremmo avere realmente l'Africa nel cuore e portarci dentro questo sogno; vorremmo che tali iniziative non rimanessero solo un episodio, un'occasione forse da qualcuno strumentalizzata e quindi inevitabilmente mancata. Ci piacerebbe pensare che quei proclami, quelle dichiarazioni d'intenti, gli slogan ed i disegni bellissimi non finissero qui: lo vorremmo per chi da anni si sta impegnando per la pace e per ladifesa della dignità dei piccoli della terra, per chi continua a credere nella forza delle idee; lo vorremmo anche per i tanti giovani ed i bambini, italiani ed africani, che hanno sfilato in corteo con i loro disegni, i loro colori ed i loro giochi, perché certamente sarebbe molto grave spegnere i sogni delle giovani generazioni. "Il segreto è nelle piccole sfide": è scritto in uno striscione, che ci indica la via difficile del quotidiano, della tenacia e della adesione alla realtà, anche se sempre animata dalla forza dell'utopia. Solo in quest'ottica possiamo accogliere l'entusiasmo dei relatori, secondo cui siamo di fronte ad un "nuovo" punto di partenza, ad un impegno di solidarietà concreta, senza dimenticare le tante guerre inique, spesso provocate dallo sfruttamento del neocolonialismo e neppure i meccanismi devastanti della globalizzazione. Durante la Manifestazione, abbiamo gridato per la cancellazione del debito, in cui il nostro Paese è impegnato in prima linea, come viene anche riconosciuto dal Segretario dell'ONU, Kofi Anan; ma ci rendiamo facilmente conto di quanto siano ancora lontane da noi le parole bibliche del Deuteronomio, lette pure durante lo spettacolo finale, e che hanno animato il nostro Giubileo, da non molto concluso: quanto esse hanno inciso per un effettivo cambiamento di mentalità, e fino a che punto sentiamo che i beni della terra non ci appartengono e che siamo chiamati ad una impegnativa "restituzione"?
Abbiamo anche urlato un forte "Basta!"
alle armi e alle guerre: ancora hanno sventolato bandiere della pace
e sono ritornati slogan ormai conosciuti. Eppure
non siamo riusciti a impedire che venisse modificata la Legge 185/90, che
regolava nel nostro Paese la vendita delle armi, di fatto ormai
completamente liberalizzata e ammessa anche nei confronti di Paesi in
conflitto o retti da regimi dittatoriali. Non si sta probabilmente facendo abbastanza per abbattere il muro dell'indifferenza, del silenzio, dell'ignoranza colpevole. "La pace è un modo di guardare alla vita": ecco un altro slogan avvincente, che ci interpella e che ci indica il vero significato di umanità, quella di chi non si sente padrone della sua vita e neppure di quella degli altri, di chi la sa accogliere come dono e responsabilità, perché a nessuno sia negata. Chiediamoci, allora, se e come sia possibile in concreto una via alternativa, quel cambiamento di rotta, quel nuovo punto di partenza che sono stati auspicati a più voci. Quelle di Miriam Lamizana, Ministro degli Affari sociali del Burkina Faso, possono rimanere solo parole, ma possono anche trasformarsi in una sfida vitale per tutti noi: "E' possibile un'Africa diversa, in cui la povertà sia un ricordo lontano, un'Africa che possa servire da modello per il mondo intero". Pensiamo ad un'Africa che
sperimenta cammini di riconciliazione e di pace, dopo terribili genocidi,
come si sta faticosamente attuando in Ruanda (a dieci anni dalla strage che
è costata più di 500.000 vittime, senza contare le ferite ben più
profonde lasciate nella popolazione traumatizzata). Ad un'Africa che,
consapevole di essere al centro di grandi interessi economici e delle mire
dei monopoli, si faccia promotrice di scelte economiche diverse, che
proponga un altro modello di "sviluppo", finalmente in rottura con
le politiche della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, che
strangolano il Sud del Mondo.
Questa è la sfida vitale che si sta proponendo pure a noi, se
sappiamo renderci conto che ciò che avviene in Africa o è avvenuto, dalla
fine della colonizzazione in poi, non è che il riflesso della nostra
storia, delle scelte di dominio del Nord del Mondo e del disordine che esso
ha voluto creare
Francesca
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