PAX CHRISTI

PUNTO PACE BOLOGNA

 

 

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IN QUESTO NUMERO

Anche se non si è parlato di noi... abbiamo continuato a «lavorare»...

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MAGGIO 2007

CHIESA, TRA GUERRA GIUSTA E VANGELO: IL TEMPO DELLA SCELTA

21 ottobre 2006: «Chiesa, tra guerra giusta e Vangelo: il tempo della scelta»Sabato 21 0ttobre 2006 si è svolto a cura del Punto Pace di Bologna un convegno dal titolo “Chiesa, tra guerra giusta e Vangelo: il tempo della scelta”.
Riportiamo parte dell’articolo, già  comparso sul numero di novembre di “Mosaico di Pace” chi volesse il testo integrale può richiedercelo

Quando avverrà il tempo in cui la cristianità dirà la parola giusta al momento giusto?” si chiedeva Bonhoeffer, alla vigilia della seconda guerra mondiale, auspicandosi che le chiese si schierassero, una volta per sempre, in maniera forte, decisiva, vincolante, in favore della pace. Ma il tempo per proclamare e far udire al mondo quella parola chiara, assoluta e priva di ambiguità ancora non è arrivato.  Perché?

L’annuncio cristiano sulla pace è da secoli segnato dalla cosiddetta ‘dottrina della guerra giusta’, che se per la maggio-ranza dei cristiani è accettata come soluzione estrema, per altri rappresenta la fonte di una contraddizione inaccettabile con l’annuncio di Gesù Cristo, il tradimento più grande perché ne ha deturpato il cuore. L’elaborazione dottrinale della guerra giusta ha così creato all’interno del mondo cristiano due visioni di pace molto differenti, perché, se da un lato è potuta servire storicamente a contenere il dilagare della violenza cieca, dall’altro ha però legittimato ufficialmente il raggiungimento della ‘pace’ anche con il mezzo della guerra.

Il convegno rappresenta la seconda tappa di un percorso iniziato un anno fa, sempre a Bologna, in cui, riflettendo su pace e guerra al Concilio Vaticano II°, se ne erano evidenziate le due differenti ‘anime’. Il Concilio, pur rappresentando un tempo speciale (kairos) segnato dalla presenza dello Spirito, su questo punto non è stato in grado di fare il passo decisivo che tanti si attendevano, e pur non riferendosi mai esplicitamente alla dottrina della guerra giusta, resta in una ambiguità di fondo e non arriva a pronunciare la condanna ufficiale di ogni tipo di guerra

Il biblista Giuseppe Barbaglio, ( prematuramente scomparso recentemente ndr) primo relatore al convegno, affronta il tema analizzando alcune parole e prese di posizione di Gesù, il quale si sarebbe preoccupato non direttamente del problema della guerra, quanto di rimuovere la ‘nemicità’ negli uomini. A tale scopo era necessario innanzitutto rivelare un’immagine nuova di Dio, riassumibile nel Dio nonviolento, non aggressivo, non dominante, accogliente in modo totale e indiscriminato, che “fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,45), che tratta dunque con la stessa benevolenza amici e nemici.
Riguardo alle ricadute politiche della pace annunciata da Gesù, Barbaglio trova emblematico il testo di Mt 16,23 in cui Gesù apostrofa duramente Pietro in quanto l’apostolo aveva interiorizzato una diffusa concezione militante del messianismo del tempo, l’attesa cioè di un messia che avrebbe liberato il popolo dall’oppressione romana, anche con mezzi militari, con la rivoluzione armata (sullo stile di ciò che il movimento zelota perseguiva).
Il nuovo mondo sarà invece abitato dai nonviolenti: saranno loro, i miti, i mansueti, a ereditare la terra, secondo la beatitudine di Mt 5,3; e i facitori di pace, coloro cioè che si impegnano nella difficile costruzione della pace, diventeranno figli di Dio: Dio Padre, dunque, riconosce come suoi figli i nonviolenti.
Secondo le parole di Gesù, l’inconciliabilità di Dio con la violenza è radicale: non solo Dio rifiuta ogni tipo di omicidio, ma l’uomo deve controllarsi anche nella collera verso gli altri (Mt 5, 21-22), che è fonte di nuova violenza. Su questa linea, la non opposizione al malvagio espressa nell’antitesi di Mt 5, 38-41 significa spezzare la spirale di azione-reazione uguale e contraria (l’antica legge “occhio per occhio, dente per dente”) che non ha mai fine, che non ferma la violenza e porta alla distruzione totale. Gesù vuole che i suoi interrompano questa spirale, e l’unico modo per farlo è quello di non rispondere alla violenza con la violenza.
Occorre però fugare ogni equivoco che Gesù insegni la passività: egli, al contrario, chiede l’azione, esorta ad agire ma in modo nonviolento, che è sempre di per sé provocatorio e tende a smascherare la violenza. Questo è il significato del porgere l’altra guancia, o del lasciare anche il mantello a chi ci prende la veste (Mt 5,39-40; Lc 6,29): alla violenza occorre reagire con una provocazione che sorprenda il violento, nella speranza che comprenda il suo peccato e si converta.
Riferendosi alla enorme capacità distruttiva delle armi moderne,

Marco Deriu rileva una drammatica e diffusa assuefazione alla violenza, al punto che l’attuale potenzialità distruttiva delle armi ci pare quasi ‘normale’, cioè fa ormai parte della nostra sensibilità quotidiana. La chiesa stessa, oggi come in passato, non è immune da questo tipo di assuefazione. Per molti credenti è inspiegabile l’apparente incapacità di prevedere le drammatiche conseguenze di certe prese di posizione: ad esempio quando autorevoli esponenti della chiesa cattolica si mostrano pubblicamente favorevoli agli interventi armati ; ma anche, potremmo aggiungere, quando compiono determinati gesti, come le benedizioni di soldati e portaerei da guerra.
Deriu denuncia l’assurdità dell’idea di guerra giusta dal punto di vista prettamente razionale, facendo prima di tutto luce su una questione che spesso ci sfugge, quando si affronta questo tema; ossia sulla situazione che si verifica prima ancora di discutere se un’eventuale guerra sarebbe o meno legittima: il fatto cioè che i paesi destinino una parte spropositata delle proprie risorse alla progettazione, costruzione, mantenimento, sperimentazione e commercio di un immenso arsenale di distruzione. Quest’aspetto pone sul tavolo tre questioni importanti:
- il costo sociale causato dall’enormità delle spese militari che si hanno all’interno di ogni paese, e che sottraggono importanti risorse in ambito sociale, educativo, sanitario ecc..
- il condizionamento culturale che questo orientamento economico alla preparazione di armi e della guerra in genere determina nelle società in cui viviamo, trasformandole al loro interno: centri di ricerca, università, imprese (che producono le cose che noi compriamo tutti i giorni) vivono in parte anche sulla progettazione-fabbricazione di mezzi di distruzione. Se dunque una fetta sempre più ampia della nostra società trae ricavo da attività riguardanti il processo della guerra, ci sarà, cosciente-mente o incoscientemente, una sempre più ampia e generalizzata disponibilità verso l’impresa bellica.
- l’enorme impatto ambientale, in termini di inquinamento, produzione di scorie ecc., che le armi e le attività di tipo militare in genere producono nel territorio soltanto per prepararsi ad un’eventuale guerra. Già queste premesse, che ci mostrano l’insostenibilità dei mezzi e delle risorse destinate agli armamenti indipenden-temente dai motivi per cui una guerra sarà condotta o meno, dovrebbero indurci a porre seriamente in dubbio la ragionevolezza del progetto bellico.
Le tecnologie moderne, consentendo una lontananza sempre maggiore dal luogo in cui si arreca la morte fisica, creano una distanza che diventa anche psicologica e morale. La guerra in Irak è stata messa in discussione, più che dal nume-ro dei morti, dalle foto delle torture, che hanno rimosso la faccia-ta di guerra ‘pulita’, mostrando il vero volto, orribile, quello proprio di ogni guerra.

Massimo Toschi non esita a riconoscere che la guerra è purtroppo la dominante culturale del nostro tempo; ma il grosso problema è che attraversa la stessa prassi delle chiese, la teologia, i gesti spirituali. La cultura di guerra è dentro di noi, è diventata un idolo, al punto che la nostra stessa esperienza religiosa è pensata dentro la cultura della guerra, entro una cornice di scontro di civiltà. La situazione ci pone domande molto serie, radicali, poiché è in gioco la confessione stessa della fede. Le tensioni con l’Islam, il difficilissimo assetto mediorien-tale, l’essere ormai in guerra da sei anni, sono realtà, anche per la chiesa italiana, non certo secondarie… Eppure al Convegno Ecclesiale di Verona, di tutto questo, che doveva essere ‘la’ questione, c’è stato il silenzio quasi assoluto: una totale assenza di discernimento, una cecità verso i ‘segni dei tempi’.
Questo atteggiamento ha evidentemente un peso enorme, poiché sia le parole che i silenzi hanno un effetto che può essere determinante oppure devastante. Nell’attuale situazione mondiale, in cui innumerevoli innocenti sono quotidianamente in bilico tra la vita e la morte, Toschi si chiede: la Chiesa è consapevole che le sue scelte o non-scelte, soprattutto le parole pronunciate dai vescovi, possono avere un peso enorme per favorire o ostacolare i processi di pace? Sono intollerabili, allora, episodi come quello avvenuto agli inizi della guerra in Afghanistan del 2001: mentre gli americani lanciavano bombe da 7000 chili, il cardinal Piovanelli, in un’intervista al quotidiano ‘Repubblica’, definì quella guerra come ‘legittima difesa’. Quando sono in gioco la vita e la morte di tante persone, osserva ancora Toschi, i vescovi devono assumersi la piena responsa-bilità di quello che dicono: chi tra loro ha giustificato quella guerra, dovrebbe ora prendersi la responsabilità di tutti i morti che essa ha provocato, almeno chiedendo loro pubblicamente perdono.
Una cosa è certa: mentre si discute ancora se è giusta o non è giusta una guerra, i nostri governi studiano e fabbricano strumen-ti di morte, e milioni di persone muoiono, uccise da quelle armi e da tutte le conseguenze connesse (fame, povertà, malattie, disas-tri ambientali..). I segni dei tempi non sono ancora sufficiente-mente eloquenti da indicare che è questo il tempo di prendere posizione? Pax Christi, assieme a tanti altri singoli credenti e movimenti cristiani, crede che il comandamento divino del non uccidere abbia un carattere assoluto, inderogabile, e opera affinché il nodo teologico che si è creato venga sciolto al più presto, per liberare nel mondo la ‘Pace di Cristo’ che la dottrina della guerra giusta ha sequestrato e stravolto.

 Maurizio B

                       

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