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Dalla Germania!!!
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I prossimi appuntamenti e altro...
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NOVEMBRE 2004
CAPPELLANI
MILITARI?
Riportiamo alcuni articoli sul
senso oggi, se mai ce l’hanno avuto, dei cappellani militari.
Un’occasione per ripensare a questa forma di essere sacerdote
PRETE O MILITARE?
SEVERA ANALISI di don PAOLO FARINELLA
GENOVA-ADISTA. Qualche
tempo fa, Adista pubblicava l'indignato e sentito appello che don Dino D'Aloia,
sacerdote di Foggia, rivolgeva ai cappellani militari dell'esercito
italiano: "strappatevi le stellette", scriveva don Dino "o
fate carta straccia del Vangelo" (n. 61/04).
A stretto giro di posta, anche don Paolo Farinella, sacerdote e biblista
genovese, ci ha fatto pervenire il suo contributo in merito allo stesso
tema. Il testo, che qui riproduciamo in versione integrale, torna in maniera
circostanziata e alquanto documentata sulla questione già sollevata da D'Aloia,
relativa all'inconciliabilità fra messaggio evangelico e vita militare.
Inconciliabilità tanto più evidente nel caso di una guerra ingiusta e
costruita sulle menzogne come quella che gli Usa e i loro alleati stanno
portando avanti in Iraq oramai da un anno e mezzo. A chi, come il frate
francescano Mariano Asunis, operativo in Iraq al seguito delle truppe
italiane là dislocate, parla dei diciannove ragazzi della Brigata Sassari
morti a Nassiriya come di eroi morti per difendere la patria, don Paolo
risponde facendo valere, contro ogni delirio militarista, la logica del buon
senso e lo spirito del Vangelo: "questi poveri soldati di venturetta,
se cristiani, avevano un solo dovere: disobbedire e dichiararsi obiettori di
coscienza".
Adista sul numero 61/2004
pubblica l'appello di don Dino D'Aloia, giovane sacerdote di San Severo di
Foggia, dal titolo "Strappatevi le stellette, o fate carta straccia del
Vangelo. Un sacerdote scrive ai cappellani militari". Nel ringraziare
don Dino per le forti parole che dice, comunicando un profondo afflato
civile ed evangelico, vorrei proseguire la sua riflessione, prendendo lo
spunto da una intervista scioccante di Maurizio Pagliasotti al cappellano
militare della Brigata Sassari, fra' Mariano Asunis, operativo a Nassiriya e
pubblicata sulla rivista "Missioni Consolata" (Anno 106, n.
3/2004, p. 62), dal titolo "Comandi, don Mariano!". L'intervista
è collocata all'interno
di uno splendido articolo (pp. 59-65) di don
Renato Sacco sui cappellani
militari sul fronte della guerra in Iraq, dal titolo significativo
"Quelle pesantissime stellette".
A rigore di verità, il p. Mariano Asunis ha inviato una lettera di
contestazione alla rivista che la pubblica nel n. 6/2004, p. 6, con una
precisazione del direttore. In questa precisazione, il cappellano fa alcune
puntualizzazioni (ho detto… non ho detto), ma non nega la sostanza
dell'intervista, anzi, in un certo senso, l'aggrava quando si riferisce ai
"concetti esasperati di pacifismo". Conosco Maurizio Pagliasotti e
conosco il personale della rivista "Missioni Consolata": della
loro onestà e professionalità mi fido senza tentennamenti. Non conosco il
frate cappellano p. Mariano Asunis, per cui ho cercato conferme in un'altra
intervista non contestata del 7 gennaio 2004 al settimanale "Toscana
Oggi" dove esprime gli stessi pensieri e le stesse valutazioni (cfr. http://www.toscanaoggi.it/a_notiziabase_foglia.asp?IDCategoria=210&IDNotizia=2866), dimostrando così la propria recidività di cappellano militare.
Nel leggere le sue parole, dure e nette senza sentimenti di misericordia, ma
con giudizi senza appello, non si può non rimanere sgomenti. Bisogna
rispondere, con garbo, ma con fermezza, anche per non confondersi con una
mentalità che potrebbe apparire lineare e condivisa, se nessuno la
contesta. Ho atteso sei mesi per una qualsiasi reazione del mondo cattolico,
ho letto anche la rivista dell'Ordinariato militare ("Il Cursore")
in Italia alla ricerca di una smentita ufficiale dello stesso Ordinario o
una presa di distanza di qualche collega cappellano militare… ho atteso
invano, per cui voglio rispondere. Non rappresento alcuno, solo me stesso e
la mia coscienza. Non ho nulla da spartire con le idee e i pensieri del
cappellano militare capo della Brigata Sassari e dei cappellani militari in
generale, compreso il loro vescovo, Angelo Bagnasco della diocesi di Genova,
che amano girovagare con stelle e stellette militari, anche quando celebrano
l'Eucaristia.
Da frate Lupo a frate Mitra
L'articolo "Comandi, Don Mariano!" riporta sentimenti intrisi di
vetero patriottismo di maniera, espressi da un prete, che è frate, che è
francescano e cappellano militare. Una carriera folgorante! Dal saio di
Francesco alla tuta mimetica! Dal dialogo fraterno con "frate
lupo" alla benedizione delle armi contro "il nemico" (sic!):
[Sottolinature mie] "Noi siamo qui - afferma il militare frate - per
difendere la pace e non per offendere…; la pace va difesa anche con le
armi in pugno come stanno facendo questi soldati…; ci sono stati dei morti
che hanno versato il sangue per la patria… noi italiani non siamo una
forza di occupazione… noi siamo operatori di pace… ho un senso di nausea
quando vedo certe manifestazioni [in favore della pace, ndr.]…
ecco, quello [Gino Strada, ndr.] non lo posso proprio sopportare, da
lui non prenderei nemmeno una medicina… voleva tenere in piedi Saddam che
era un killer, un dittatore spietato e quindi ne era complice!".
La logica del militare cappellano, si sa, non fa una grinza!
"Difendere la pace con le armi in pugno" è affermazione blasfema
in bocca ad un religioso, anche perché è l'eco del pensiero che Berlusconi
formalizzò per l'Italia al seguito della
Bush's Theory, sintetizzata nell'assunto che la democrazia si può e si deve
esportare anche con le armi (cfr intervista a Frank Bruni sul New York
Times del 3 dicembre 2003, ripresa anche il 5 dicembre).
È il
fondamento ideologico della guerra preventiva o di aggressione.
Di fronte allo sgomento suscitato dalle parole del cappellano militare,
mentre ero ancora intontito nella logica e nell'anima, ho fatto una breve
ricerca su Internet per trovare qualcosa che smentisse la mia angoscia e mi
riportasse al centro della ragione e al cuore della fede: anche nei fautori
della guerra di supremazia non ho trovato parole così dure e così
qualunquiste come quelle del religioso. Suppongo che i cappellani militari a
forza di vivere tra militari e al loro modo e nel loro contesto, arrivino ad
assumerne la mens e la ratio fino a smarrire il senso del
discernimento spirituale per appiattirsi sul pensiero del capo del governo
che li paga. Il militare cappellano usa un vocabolario guerriero, ed esprime
un atteggiamento fondamentalista che non è inferiore a quello dei fanatici
islamici che egli definisce suoi "nemici". Come un attore si
immedesima nella parte fino ad identificarsi con il ruolo che recita:
[Sottolineature mie] "Noi - dichiara a "Toscana Oggi" -
dobbiamo portare a termine il mandato ricevuto. Certamente con un po' più
di paura [siamo dopo l'uccisione dei diciannove carabinieri italiani] ma
anche con più attenzione. Siamo sicuri che il Signore ci assisterà anche
se non può paralizzare la mano del nemico: c'è il libero arbitrio… il
cappellano è vestito come loro [cioè come i soldati, ndr]…".
Cappellani contro il Vangelo e il papa
Parole come "mandato ricevuto" e "nemico", sono colpi
di kalashnikov sulla bocca di un prete in missione di pace. San Francesco
corse dal Saladino in piena guerra crociata passando tra gli eserciti
avversari disarmato e a mani nude: lo stupore suscitato fu così grande che
il Saladino concesse a lui la custodia dei luoghi santi, mentre i crociati
che avrebbero dovuto difenderli furono sconfitti. Da chi riceve il
"mandato" il cappellano militare? Non dal vangelo di Gv 13, 34-35:
"Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io
vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti
sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli
altri". Non dal vangelo di Mt 5,43-46: "Avete inteso che fu detto:
Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i
vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del
Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i
buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate
quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i
pubblicani?" (cfr Lc 6,27.35). Si potrebbe continuare a citare vangeli
all'infinito, ma si fa prima a regalarne una copia a tutti i cappellani
militari che forse ne sono sprovvisti.
Sarebbe interessante conoscere il pensiero dei militari cappellani sulla
dichiarazione del portavoce del papa, Joaquin Navarro Valls, riportata da
tutta la stampa internazionale il giorno 19.03.03: "Chi decide che
sono
esauriti tutti i mezzi pacifici che il Diritto
Internazionale mette a disposizione si assume una grave responsabilità di
fronte a Dio, alla sua coscienza e alla storia". Il giornale "La Stampa" dello stesso giorno commenta:
"È la risposta della Santa Sede, che fino all'ultimo ha chiesto che si
desse fondo ai mezzi pacifici per risolvere la crisi irachena, all'ultimatum
della Casa Bianca". Lo stesso giornale riporta la dichiarazione del
direttore della Radio Vaticana, padre Pasquale Borgomeo, che si fa
interprete del pressing senza precedenti cui è stata sottoposta la
diplomazia vaticana per avallare la guerra di Bush, Blair e Berlusconi:
"È sotto gli occhi di tutti quanto sia lontana l'Onu da un avallo
dell'intervento militare in Iraq. Ma sembra degno di seria considerazione
anche il fenomeno di una schiacciante maggioranza di cittadini contrari alla
guerra proprio nei Paesi i cui governi si apprestano a condurla o ad
appoggiarla". Evitino perciò di attribuirsi [i capi di governo che
hanno deciso la guerra] una missione salvifica e non pretendano di agire in
nostro nome. E soprattutto non nel Santo Nome di Dio"
Padre Borgomeo, che non parla mai a titolo personale, esprime concetti
diametralmente opposti a quelli dei cappellani militari. Il papa aveva usato
le stesse parole in molteplici occasioni, pubbliche e private, arrivando a
definire "bestemmie" le ragioni addotte per giustificare
la guerra come scontro apocalittico tra bene e male (cfr Enzo Bianchi,
monaco di Bose, "Guerra e pace: non nel nome di Dio", in "La
Stampa" del 28 marzo 2003). È lecito domandare, in questa circostanza,
da che parte stanno i cappellani militari? Dalla parte del papa o dalla
parte di Bush-Berlusconi, di cui sembrano gli esegeti ufficiali? Le parole e
il modo convinto espressi nell'intervista, pongono il problema più ampio
della presenza di ministri in mezzo ai militari e del modo di starci.
"Divise" dal Diritto canonico
Tutto il personale religioso che svolge un servizio nelle strutture
militari entra a fare parte dell'organico delle forze armate e in quanto
militare ognuno presta giuramento di fedeltà allo Stato, di cui è
funzionario. Solo in quanto funzionari sono anche ministri religiosi:
ricevono, infatti, uno stipendio manu militari come dipendenti del
Ministero della Difesa. Dal vescovo all'ultimo cappellano, ciascuno secondo
il proprio ruolo, tutti sono insigniti di gradi militari, le cui insegne e
mostrine possono indossare sugli abiti ecclesiastici (talare e clergyman):
uomini della Parola e del Sacramento che si autoreferenziano come personale
militare, rendendo impuri i simboli stessi del sacrificio sacerdotale, perché
le stellette sono il segno di appartenenza ad un mondo, ad una logica e ad
una "struttura di peccato" che si nutre e si alimenta di violenza,
di sangue e di micidiali armi pensate apposta per uccidere, un mondo
satanico per cui Gesù non ha pregato (Gv 17,9).
Nella stessa intervista a "Toscana Oggi", in un afflato emotivo di
esuberanza viscerale, il cappellano-capo, p. Mariano, afferma di
"vestire come loro", cioè di essere un militare e lo dice
espressamente: "sono un militare" (sic!). Quando ero giovane, per
un prete era disdicevole frequentare cinema, teatro e sedi sindacali, oggi
si può essere preti-militari senza nemmeno arrossire! Forse
è tollerabile che un prete possa assolvere il suo ministero anche tra i
soldati, vestendo la stola del perdono e della misericordia, ma gloriarsi di
vestire la divisa militare rasenta l'ignominia e il capovolgimento di ogni
etica.
È una contraddizione palese, nonostante la funzione dei cappellani militari
sia regolata da leggi civili ed ecclesiastiche speciali, come stabilisce il
can. 568 del Cjc (Legibus specialibus)! Il can. 289 §1 del Cjc
obbliga il clero a non prestare servizio militare perché "non si
addice allo stato clericale" e invita non solo i chierici, ma anche
"i candidati agli Ordini sacri", a non prestare il servizio
militare volontario. In altre parole, il Codice proibisce di indossare la
divisa militare che è simbolo di un certo stile di vita o di un modello che
lo stesso Diritto positivo della
Chiesa definisce non consono/non si addice (minus congruat). Don
Lorenzo Milani, accusato di apologia di reato per avere difeso
l'obiezione di coscienza contro un gruppo di cappellani militari che
l'avevano definita "viltà estranea al sentimento cristiano
dell'amore", nella sua autodifesa in tribunale, così commentava il
disposto del Codice: "La Chiesa considera dunque a dir poco
indecorosa per un sacerdote l'attività militare presa nel suo complesso.
Con le sue ombre e le sue luci. Quella che lo Stato onora con medaglie e
monumenti" (cfr "Lettera ai giudici" del 18 ottobre
1965). Il cappellano intervistato se ne rende conto e, infatti, dichiara:
"Preferisco non parlarne del grado militare. Ce l'ho perché sono
militare. Ma io non ragiono col grado. Nella mimetica ho una Croce: quello
è il mio grado. Quando un contingente parte ci deve essere l'alta
professionalità dei militari, ma non si può mai trascurare un particolare
essenziale per la riuscita della missione stessa, soprattutto quando si è
lontani dalle famiglie: non si può tralasciare l'aspetto della fede in
Dio".
L'alta professionalità militare non è forse la professionalità alta di
uccidere? A cosa servono le sempre più sofisticate armi di cui sono
equipaggiati? La fede in Dio non esige che i militari cristiani facciano in
blocco obiezione di coscienza, in nome del comandamento dell'amore che ogni
battezzato deve testimoniare ovunque si trovi, anche e specialmente di
fronte a coloro che il mondo militare e il cappellano definiscono
"nemici"? Il cappellano porta il segno del Crocifisso sulla
"mimetica" e immagino che spesso benedica a colpi di Crocifisso i
suoi soldati che vanno in missione di alta professionalità contro gli
iracheni, anche se sono bande di sbandati e terroristi, pronti ad ogni
evenienza anche ad ammazzare. Si suppone che anche "i nemici" che
si trovano dall'altra parte facciano lo stesso: gente che non vuole
stranieri e intrusi nel proprio Paese con i loro segni e i loro simboli
religiosi, con i loro preti che benedicono, aizzano fraudolentemente al
sacrifico stesso della vita, senza rispetto di Dio e della vita umana. Tutti
invocano Dio per ritornare sani e salvi, per cui se deve morire qualcuno, è
giusto che il Signore faccia morire quelli dell'altra parte.
Rapimenti, uccisioni degradanti (perché esposti sull'agorà mediatica) non
sono forse il frutto cattivo di una guerra che si è sviluppata come un albero malvagio ramificando
ovunque? I profeti dell'esportazione della democrazia a qualunque costo e
della lotta al terrorismo in una sola direzione e con la doppia morale, non
solo hanno sbagliato valutazione perché fondata sulla menzogna consapevole,
ma hanno anche imboccato una via senza ritorno, se non al prezzo di un
inutile mattatoio di sangue innocente, complici i cappellani militari che
quel sangue vedono scorrere in silenzio, continuando a benedire uomini, armi
e infine la stessa guerra. Il vangelo però non demorde: "Guardatevi
dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi
rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle
spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni
albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre
frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni" (Mt
7,15-18). I frutti della guerra sono davanti agli occhi di tutti: "i
perfidi operano con perfidia. Terrore, fossa e laccio ti sovrastano, o
abitante della terra. Chi fugge al grido di terrore cadrà nella fossa, chi
risale dalla fossa sarà preso nel laccio" (Is 24,16-18; cfr Ger 20,4).
Sarei curioso di conoscere le preghiere dei cappellani militari, quando
benedicono la professionalità alta dei soldati che vanno in battaglia.
Povero Dio! Chi deve ascoltare? Chi è andato in una terra straniera
a imporre la democrazia anche con le armi in pugno o chi a quell'imposizione
si oppone con ogni mezzo, anche ignobile, vigliacco e immorale? Con ogni
probabilità, Dio in queste cose proprio non sta e ha abbandonato l'umanità
nell'inferno della pazzia dei suoi governanti, secondo il proverbio latino:
"Coloro che vuole perdere, Dio li fa impazzire". L'umanità intera
è nelle mani di governanti pazzi perché solo i pazzi come Bush, Blair e
Berlusconi potevano pensare che la guerra potesse essere una soluzione. Al
manicomio bisogna aggiungere Kwasniewski presidente polacco che, per una
manciata di dollari americani, lui post-comunista antiamericano, ha gettato
il suo Paese nella fornace della guerra.
Da che parte sta Dio?
Siamo anche nelle mani dei militari cappellani che dovrebbero essere segno
di contraddizione vivente, stimolando la coscienza critica dei soldati e
invece diventano essi stessi militari schierati nella parte occupante, con
l'impossibilità di pregare il Padre "nostro" perché da quel
"nostro" escludono tutti gli altri che non sono italiani,
polacchi, americani o inglesi.
Dopo Abu Ghraib e Guantánamo, è lecito dubitare: i cappellani militari
americani non potevano non sapere di quanto stesse succedendo nella prigione
delle torture simbolo dell'abiezione prima con Saddam Hussein e poi con gli
esportatori di democrazia. Se sapevano sono complici, se non sapevano sono
superflui e quindi inutili perché vuol dire che il "sistema" li
usa come coreografia. Fino ad oggi non ho letto ancora una presa di
posizione dei cappellani militari contro la tortura.
Il 14 luglio 2004 nei cantieri di Riva Trigoso, provincia di La Spezia, il
cardinale Tarcisio Bertone, alla presenza delle massime autorità civili e
militari, benediceva (?) la nuova portaerei Cavour, pensata e costruita per
distruggere abitazioni civili, uomini, donne e bambini senza discriminazione. Molte furono le voci di protesta
che si levarono dentro e fuori la Chiesa. Questa nave, vera macchina di
guerra e di morte, è stata definita un gioiello e orgoglio della marina
italiana (lunghezza m 242, larghezza m 39, velocità 28 nodi, autonomia di
7.000 miglia [può raggiungere senza scalo il Golfo Persico con il 50% del
combustibile imbarcato], pieno carico di 27.100 tn [ può caricare 8 Aerei
Av-8B Harrier e caccia Joint fighter o 12 elicotteri più 100 veicoli
leggeri e 24 carri armati Ariete da 60 tn ciascuno] ed ha un equipaggio di
1.210 persone.
Questo gioiello costruito per la guerra ha un costo di 900 milioni di euro
[esclusi i sistemi missilistici ed elettronici con i quali supera forse i
1.500 milioni di euro] e può operare in ambiente contaminato da agenti
nucleari, batteriologici o chimici. Entro il 2008 verranno costruite dieci
fregate al costo di 350 milioni l'una per un totale di 3.500 milioni di
euro). Con queste cifre da capogiro, buttate letteralmente in mare, si
potevano o non si potevano eliminare le cause strutturali del terrorismo,
promovendo progetti di sviluppo, cultura, musei, scuole, università,
ospedali, lavoro e sconfiggendo la miseria che è l'anima della disperazione
che porta al terrorismo? Che ne pensano i cappellani militari?
La tradizione della Chiesa dei primi secoli proibiva ai cristiani alcune
professioni e non dava il battesimo se non dopo il loro abbandono in quanto
giudicate non coerenti con la nuova vita; esse, infatti, potevano indurre
gli altri, specialmente i semplici e i pagani, in confusioni pericolose. La
Tradizione apostolica, scritto patristico intorno al 215, attribuito al
prete romano Ippolito, al n. 16 riporta un lungo elenco di mestieri inadatti
alla condizione di cristiani, come militari e macellai (per la consuetudine
col sangue), attori (per l'utilizzo di maschere mitologiche e quindi di
idoli) e commercianti (la gente comune pensava che fossero ladri per
natura).
Queste proibizioni salvaguardavano la vera immagine del Crocifisso che è la
coerenza della pace nella verità dei credenti, come insegna un anonimo
scritto del I-II sec d.C.: "i cristiani... abitano nella propria
patria, ma come pellegrini; partecipano alla vita pubblica come cittadini,
ma da tutto sono distaccati come stranieri... Obbediscono alle leggi
vigenti, ma con la loro vita superano le leggi... Così eccelso è il posto
loro assegnato da Dio, e non è lecito disertarlo!" [Lettera a Diogneto,
5, 5. 10; 6, 10]. Equipaggiato di tuta mimetica, il militare
cappellano come può con la sua vita superare le leggi e stare nel posto
eccelso che Dio gli ha assegnato per dare testimonianza del suo essere
straniero in questa terra e per dire anche in terra di Iraq che siamo tutti
cittadini del cielo?
Può mai essere compatibile il Crocifisso con luoghi e contesti che sono
palestre di formazione alla violenza scientifica, alla crudeltà e all'uso
delle armi per uccidere? È quantomeno contraddittorio vedere il Crocifisso
che impose a Pietro di riporre la spada nel fodero per
non difendersi con violenza (Mt 25,52), ricevere il saluto militare o gli
"onori" (!?) militari da soldati che impugnano armi sofisticate,
pensate esclusivamente per uccidere.
Durante l'ultima guerra mondiale, da una parte c'erano l'Italia e la
Germania e dall'altra l'Inghilterra, gli Stati Uniti e la resistenza della
Francia e dell'Italia. Ogni esercito aveva i suoi cappellani militari, gli
uni contro gli altri armati. Se era lo stesso Dio per tutti, un po'
cattolico e un po' più tanto protestante, è lecito domandarsi da che parte
stesse Dio. Stava con i cattolici italiani e protestanti tedeschi contro i
protestanti e qualche cattolico inglese, americano e resistente? Come
gestiva il traffico delle bombe? Secondo il peso specifico della preghiera
dell'uno o dell'altro? La Madonna per quali figli tifava: per i fascisti o
per i resistenti? Per i cattolici o per i protestanti? Se consideriamo i 50
milioni di morti, Dio non è stato da nessuna parte perché in quell'inferno
di esclusiva fattura umana, non ci fu posto per lui, nonostante i cappellani
militari. Se invece consideriamo l'esito finale, dobbiamo convenire che è
stato contro l'Italia cattolica e fascista e la Germania nazista e il
Giappone buddista, ma a favore di due nazioni a maggioranza protestanti,
America e Inghilterra, e con i cattolici, comunisti e socialisti che
militarono nelle fila della Resistenza. Anche Dio è traditore della
"patria nostra"? I cappellani militari italiani che militavano da
patrioti nell'esercito fascista esercitavano il loro ministero anche quando
davano la comunione ai militari che obbedivano alle leggi razziali e ai
rastrellamenti della popolazione civile? In tutte le chiese si pregava lo
stesso Dio per i propri soldati cristiani contro i soldati cristiani in
campo avverso: Dio chi doveva ascoltare ed esaudire, visto che non poteva
accontentarli tutti? Ho visto documentari d'epoca con preti e frati,
orgogliosi di mostrare le stellette sulla tunica e sul saio e alcuni
addirittura che sventolavano la bandiera fascista come fosse uno stendardo
processionale, senza un minimo rigurgito di sdegno verso un regime ignobile,
per giunta ateo e anticlericale. La patria era rappresentata dai
gagliardetti blasfemi del fascismo o dalla minoranza che resisteva sulle
montagne? Chi ha servito "Dio, Patria e Famiglia": i cappellani
militari fascisti o i preti che nascondevano gli ebrei a costo della loro
vita? Qualche cappellano può rispondere?
I cappellani militari nella guerra di Etiopia benedicevano i soldati
italiani che bruciavano i villaggi o usavano il gas contro la popolazione
inerme: la storiografia oggi lo ha dimostrato, documenti alla mano
(telegramma n. 12409 del 27-10-1935 di Mussolini a Graziani: "autorizzo
impiego gas"; telegramma n. 29-3-1936 di Mussolini a Badoglio:
"rinnovo autorizzazione impiego gas qualunque specie e su qualunque
scala": cfr. don Lorenzo Milani, "L'obbedienza non è più una
virtù"). Dov'erano i cappellani e che cosa facevano in questi
frangenti? Pregavano che il fuoco non bruciasse del tutto i poveri etiopi
visto che erano già "neri" per loro conto? o che il gas non li
asfissiasse troppo? O benedicevano anche le armi all'uranio, usato in
Bosnia, lasciando segni indelebili di morte nella missione di pace sulla
pelle degli stessi poveri militari che sono morti dopo il loro rientro a
casa?
Un prete che parla di "nemici" o di "mandato ricevuto"
da un governo pagano che oggi c'è e domani anche (visto l'andazzo di "questa" sinistra autoevirata),
un prete a stipendio militare come funzionario di governo, ha sempre torto,
anche quando può avere ragione. Egli non ha titolo per essere un educatore
di giovani, militari compresi, perché egli è, per sua scelta, corruttore
di coscienze che educa all'inimicizia e forse anche all'odio, giustificando
con la sua stessa presenza in tuta mimetica che il bene e il male sono la
stessa cosa.
Carta all'aria
Solo un caso può giustificare la presenza di un cappellano non-militare:
quando si assume l'impegno di educare i soldati cristiani a disertare in
massa da ogni esercito, da ogni arma, da ogni governo che calpesta la
propria Costituzione, specialmente quando questa usa parole da leggersi come
una profezia perenne: "l'Italia ripudia la guerra". Un cappellano
si giustifica se aiuta i soldati a redigere il libello del ripudio per
consegnarlo al governo e alla coscienza del proprio popolo.
L'art. 11 della Costituzione italiana, infatti, impone:
"L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà
degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli
altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che
assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le
organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo".
Il cappellano militare, preoccupato di benedire armi, forse non trova il
tempo di leggere e meditare queste ispirate parole della suprema Carta che
fanno l'onore e la civiltà del nostro Paese. La Carta parla al presente
indicativo (ripudia): indica, cioè un atteggiamento interiore permanente,
sempre in atto, senza distinzione di passato, presente e futuro. L'atto di
ripudio è un solenne giuramento che coinvolge tutte le generazioni,
indirizzandole verso l'orizzonte esclusivo della pacificazione e della pace.
L'art. 11 parla di ripudio "all'offesa degli altri popoli" (=
contro ogni aggressione o guerra preventiva), di "limitazioni di
sovranità" (= cioè la propria) e di "organizzazioni
internazionali", nel caso specifico l'Onu, che, invece, è stato
esautorato e umiliato in nome della Bush's Theory e cioè del diritto di
sparare il primo colpo contro ogni diritto, nazionale e internazionale. Il
cappellano militare, qualsiasi militare cappellano, è lontano dalla lettera
e dallo spirito di queste nobili e ispirate parole, mentre si adegua alla
strumentalizzazione di quel Cesare a cui dovrebbe restituire il suo soldo
per tornare a vivere come "immagine e somiglianza" suprema di quel
Dio che non ha confini, né patrie, né civiltà (cfr Mt 22,21; Lc 20,25).
La dichiarazione solenne e austera dell'art. 11 della Carta fa giustizia da
sola di tutta la retorica bugiarda e stucchevole sui disgraziati eroi di
Nassiriya, utilizzati per una immensa mistificazione mediatica, complici i
cappellani militari, per strumentalizzare l'emotività della gente comune
asserragliandola attorno ad un governo in grave difficoltà di credibilità,
specialmente per il fallimento del semestre europeo di presidenza italiana,
che si è dimostrata incapace, vuota e sempre più succube dell'America fino
al punto di giustificare la guerra russa contro la Cecenia e incassando la
smentita immediata di tutti i capi di governo d'Europa. Tv e giornali di
regime per giorni e giorni hanno sviolinato
agli
eroi di Nassiriya, morti per la patria. Eroi di che? Eroi perché? Eroi di
quale patria? Sono stati, forse, costretti a partire? C'è anche chi dice
che pur di "andare in guerra", alcuni soldati hanno pagato
tangenti del valore di una mensilità (da 3000 a 6000 euro). Chi muore nella
sporca guerra d'Iraq non muore per la patria, ma unicamente per se stesso e
per gli interessi delle multinazionali del petrolio e per gli speculatori
della ricostruzione. Questi poveri soldati di venturetta, se cristiani,
avevano un solo dovere: disobbedire e dichiararsi obiettori di coscienza,
come prescrive il Catechismo della Chiesa cattolica al n. 2242 (cfr.
anche n. 2256):
"Il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le
prescrizioni delle autorità civili quando tali precetti sono contrari alle
esigenze dell'ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli
insegnamenti del Vangelo. Il rifiuto d'obbedienza alle autorità civili,
quando le loro richieste contrastano con quelle della retta coscienza, trova
la sua giustificazione nella distinzione tra il servizio di Dio e il
servizio della comunità politica. "Rendete a Cesare quello che è di
Cesare e a Dio quello che è di Dio" (Mt 22,21). "Bisogna obbedire
a Dio piuttosto che agli uomini"(At 5,29)".
Tu non uccidere
Il papa era stato
chiaro: la guerra contro l'Iraq è immorale perché fuori da ogni diritto
internazionale e illecita perché la guerra preventiva è una guerra di
attacco, non di difesa, ed è una bestemmia dichiararla in nome di Dio (come
invece fece Bush). Di fronte a questa guerra, un cristiano soldato poteva
solo obiettare e non poteva, senza colpa, dichiararsi volontario.
Sono andati volontari per guadagnare di più e forse anche per dare sfogo
all'istinto belluino di "menare le mani". Nell'uno e nell'altro
caso, in ogni caso, la loro morte è stata inutile e sproporzionata. Nessuno
di quelli che si sono schierati a favore della guerra vi hanno inviati figli
o nipoti, al contrario hanno mandato poveracci alle prese con stipendi di
fame o disoccupazione, carne da macello da buttare sul tavolo delle
trattative. Da un punto di vista morale, qual è la differenza con i capi di
Hamas o dei Martiri di Alaqsa palestinesi che mandano giovani squilibrati a
fare i kamikaze facendosi saltare insieme ad altri innocenti nel campo
"nemico"? I signori della guerra sono un virus che appesta
l'umanità intera e strugge vedere come uomini di Chiesa, che per vocazione
dovrebbero essere sentinelle vigilanti, non se ne rendano conto, ma ne
diventino strumenti docili e ingranaggi di supporto. Il 12 novembre 2003, ai
funerali di stato per i diciannove carabinieri morti a Nassiriya, è il
cardinale vicario di Roma, Camillo Ruini, che, parlando come un
colonnello in battaglia, si fa voce di una Chiesa prona davanti alle scelte
del governo, senza rendersi conto (o proprio per questo?) che il suo grido
ardimentoso era una smentita ufficiale delle posizioni del papa:
"Non fuggiremo davanti a dei terroristi assassini, anzi li
fronteggeremo con tutto il coraggio, l'energia e la determinazione di cui
siamo capaci". Il governo in difficoltà, perché il 70% del Paese
è
contro la guerra, finalmente prende respiro, si
rafforza e ringrazia a buon rendere. La Chiesa italiana è diventata la
crocerossina del governo guerrafondaio. Con la benedizione militare del
cappellano capo che chiama questi sventurati addirittura
"martiri", svilendo così il significato
non solo semantico, ma anche morale di una parola come "martirio".
Non sono eroi né tanto meno martiri coloro che mettono a repentaglio la
propria vita non per ideali spirituali come la giustizia e la libertà o per
la difesa del proprio popolo di fronte ad una aggressione esterna
(Costituzione, art. 11.; cfr. Catechismo n. 2240), ma per interesse o per
spirito militare e per avventura, come dimostrano le scene
"giocose" delle torture inflitte ai musulmani da soldati
battezzati e cresimati, in nome della superiore civiltà occidentale. Morire
per il proprio popolo è un grande onore, come testimonia il poeta latino
Orazio Dulce et decorum pro patria mori (Carm. 3,2,13), ma morire per
Berlusconi che approda in Iraq ad operazione compiuta per farsi bello con
l'americano Bush…, signori cappellani militari, avete smarrito la via
della decenza!
Oggi, a livello ufficiale (Parlamenti di Londra e Washington, sedute del
5.2.04), è provato che le armi di distruzione di massa, motivo dichiarato
dell'intervento, non sono state trovate e i responsabili di questa immensa
mistificazione cercano di spostare il tiro dicendo "che avrebbero
potuto esserci", arrivando persino a colpire le intenzioni. Tutte le
ragioni di un intervento sono crollate e ora si cercano le scuse per
giustificare una guerra, preparata almeno da due anni prima e imposta per
gli interessi esclusivi della supremazia americana: avere una centrale in
MO, sfruttare gli immensi giacimenti petroliferi, ridisegnare le zone
d'influenza secondo gli interessi americani e israeliani. Per questo sono
morti quegli sventurati soldati, per questo e non per nobili ideali.
Non scomoderò oltre il vangelo, che mi sembra troppo arduo per un militare
cappellano che condanna senza appello come "complice di Saddam Hussein"
chi si era dichiarato contrario alla guerra non solo in Iraq, ma anche in
Afghanistan e in ogni parte del mondo.
Secondo questa logica, è complice anche il papa che all'Angelus del 16.3.03
ha dichiarato: "Di fronte alle tremende conseguenze che un'operazione
militare internazionale avrebbe per le popolazioni dell'Iraq, per
l'equilibrio dell'intera regione del Medio Oriente, nonché per gli
ulteriori estremismi che ne potrebbero derivare, dico a tutti: c'è ancora
tempo per negoziare, c'è ancora tempo per la pace. Non è mai troppo tardi
per comprendersi e per continuare a trattare".
Dov'erano i militari cappellani, quando il papa parlava con queste parole
preoccupate del futuro e della recrudescenza del terrorismo che
l'intervento armato avrebbe e ha causato? Sì, c'erano anche loro il 25.3.03
in San Pietro, quando davanti ad un gruppo di cappellani militari, ricevuti
in udienza, non solo Giovanni Paolo II ribadisce la sua contrarietà alla
guerra, ma cita espressamente l'art. 11 della nostra Carta costituzionale e
si schiera dalla parte dei pacifisti e di Gino Strada, gli stessi che
provocano nausea al militare cappellano capo:
"Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che la guerra come
strumento di risoluzione delle contese tra gli Stati è stata ripudiata,
prima ancora che dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla coscienza di gran
parte dell'umanità, fatta salva la liceità della difesa contro un
aggressore", come dimostra, appunto, "il vasto movimento
contemporaneo a favore della pace".
A me pare che i cappellani militari, in quanto cristiani e preti,
sono fuori di questa Chiesa che oggi si riconosce totalmente e senza
ambiguità nelle parole del vecchio papa, a meno che non sia il papa a porsi
fuori dell'opportunità politica di non contraddire l'America di Bush e l'Italietta
di Berlusconi. Ne valeva la pena? Credo di no, perché, a dispetto di ogni
guerra, nulla può giustificare la perdita della credibilità evangelica e
la coscienza della pace che domina il cuore e l'anima dei credenti come
anche la ragione dei non credenti, uniti gli uni e gli altri in un'unica
certezza e indomita volontà: No War!
Nonostante i militari cappellani di ogni tempo, di ogni grado e
in ogni esercito!
IRAQ - Quelle pesantissime stellette
Don
Renato Sacco – Intervista apparsa
sul mensile
“ Missioni Consolata”
marzo 2004
È giusto, opportuno e
coerente il ruolo della chiesa nel mondo militare?
È compatibile con gli insegnamenti di Gesù Cristo la presenza di
cappellani (con tanto di gradi) sui fronti di guerra?
Con l’accurata analisi di un sacerdote di Pax Christi e un’intervista a
don Mariano, cappellano militare italiano a Nassiriya, continuiamo il nostro
viaggio critico all’interno della guerra irachena.
UN RUOLO DA DISCUTERE
«“Senza far uso strumentale della storia, senza
intenti di polemica fine a se stessa, Pax Christi chiede, nuovamente, che si
ritorni a discutere sul ruolo dei cappellani militari, non per togliere
valore alla presenza e all’annuncio cristiano tra quanti, soprattutto
giovani, stanno vivendo la vita militare, ma per essere più liberi, senza
privilegi e senza stellette”.
Sono parole che si leggevano nel comunicato di Pax Christi distribuito a
Barbiana il 26 giugno ’97 in occasione del 30° anniversario della morte
di don Milani. Parole che non hanno smarrito lo smalto dell’attualità
nell’anno del giubileo».
Iniziava così l’editoriale dell’ottobre 2000 di Mosaico di pace, la
rivista promossa da Pax Christi e voluta da don Tonino Bello, presidente del
movimento fino al 20 aprile 1993,
giorno della sua morte. Queste riflessioni mi sono ritornate alla mente nel
mio ultimo viaggio in Iraq lo scorso novembre 2003.
Con una piccola delegazione di Pax Christi siamo stati più volte in quella
terra segnata da troppe guerre, passate e presenti, che hanno sempre visto
un ruolo attivo anche dell’Italia: vendita a Saddam Hussein di armi, mine,
gas e, ora, coinvolti - di fatto - in una presenza militare che si può
anche chiamare operazione di pace, ma è, a tutti gli effetti, una
presenza in zona di guerra.
E se
in Iraq la guerra non è finita, come sostengono anche alcuni autorevoli
generali italiani, allora anche l’Italia è in guerra e i nostri militari
sono andati... in guerra. Certo, con tutti i buoni propositi del caso, con
scopi di pace, si dice. Ma, come afferma il papa nel messaggio per la
Giornata mondiale della pace: «... i governi democratici ben sanno che
l’uso della forza contro i terroristi non può giustificare la rinuncia ai
prìncipi di uno stato di diritto. Sarebbero scelte politiche inaccettabili
quelle che ricercassero il successo senza tener conto dei fondamentali
diritti dell’uomo: il fine non giustifica mai i mezzi!».
A IMMAGINE DI... BUSH
In questo ultimo viaggio, e anche nello scorso maggio 2003, a Mosul, nel
Nord Iraq, dopo aver partecipato alla consacrazione episcopale di padre
Louis Sako, vescovo di Kirkuk, ho avuto modo di incontrare alcuni cappellani
militari Usa. Il loro ragionamento è lineare, semplice: sembra di sentire
parlare Bush in persona. E dire che un cappellano dovrebbe fare riferimento
quantomeno al vangelo e al magistero della chiesa. Non c’è dubbio che le
posizioni del papa siano abbastanza lontane da quelle di Bush: la guerra è
avvertita come avventura senza ritorno,
sconfitta
dell’umanità. Anche il papa è un pacifista, disfattista e amico di Saddam o degli integralisti
islamici?
«Siamo venuti in Iraq perché Saddam doveva essere fermato in quanto troppo
pericoloso - mi dice Chester Egert, cappellano militare dell’esercito Usa
- perché l’Iraq era collegato ad Al Qaeda e preparava attentati
terroristici in tutto il mondo. Siamo qui non per fare la guerra ma per
portare pace. In alcuni casi, la pace va imposta».
Sono senza parole. Cerco di dire qualcosa, ma don Chester è determinato: «Sì,
la pace si impone, come stiamo facendo noi».
E lo scorso mese di maggio, chiedevo ad un altro cappellano Usa, come
conciliasse il vangelo o il testo di Isaia «forgeranno le loro spade in
vomeri», con la guerra, con i bombardamenti e l’uccisione di tanti
innocenti. Lui mi rispondeva di aver avuto una visione, (e anche qui siamo
sulla linea religiosa-illuminata di Bush) in cui il Signore lo chiamava a
questo ruolo di difensore e portatore di pace.
Ci si rende conto di come il ruolo di militari, arruoli anche il vangelo e
Gesù Cristo. Sembra fuori da ogni logica la vita e l’insegnamento di Gesù,
le sue parole «rimetti la spada nel fodero...».
«EMBEDDED»: CAPPELLANI
COME GIORNALISTI
Si è usata molto la parola embedded (arruolati) per i giornalisti. Credo
che a maggiore ragione si possa e si debba usare per i cappellani militari,
anche perché hanno pure le stellette! Per questo può essere interessante
ripercorrere la riflessione che, in questi anni, Pax Christi ha cercato di
fare sul ruolo della chiesa e dei cappellani militari all’interno
dell’esercito.
«Il 19 novembre prossimo - continuava l’editoriale di Mosaico di pace -
piazza S. Pietro ospiterà il giubileo dei militari e francamente,
consideriamo quest’appuntamento un “segno dei tempi” che rattrista e
inquieta. Un altro dei segnali che ci preoccupano perché vediamo crescere
una nella
società, e nella chiesa. Non dimentichiamo che soltanto il 6 maggio 1999 si
è concluso il «Primo sinodo della chiesa ordinariato militare in Italia»
evento assolutamente inedito, destinato a rafforzare l’attuale modalità
di presenza di sacerdoti e vescovi nel mondo militare. Mentre cresce il
numero delle guerre, aumenta vertiginosamente l’export di armi (in Italia
+40%), si studiano e si sperimentano nuovi sistemi d’arma per realizzare
guerre umanitarie con bombe intelligenti, ci sembra davvero anacronistico e
incomprensibile alla luce del vangelo, parlare di chiesa militare e di
giubileo dei militari.
Ai nn .572-573 del documento finale del Sinodo citato, nel capitolo
intitolato La via militare alle Beatitudini si legge: «Consapevole che Dio
ha affidato la costruzione di un mondo nuovo ai poveri di spirito, ai miti,
ai misericordiosi, ai puri di cuore, agli assetati di giustizia, il militare
cristiano che porta le armi e sa di poter essere costretto ad usarle, sappia
che la sua vita è inserita nello spirito delle Beatitudini che gli
conferisce il ruolo di “operatore di pace”».
Risulta davvero interessante leggere queste affermazioni alla luce di quanto
è scritto nei «Lineamenti di sviluppo delle forze armate negli anni ’90»,
documento presentato in Parlamento nell’ottobre ’91. Lì si parla di «concetti
strategici di difesa degli interessi vitali ovunque minacciati o compromessi»;
e questi interessi vitali da difendere riguardano «le materie prime
necessarie alle economie dei paesi industrializzati». Onestamente non ci
sembra che questa prospettiva possa portare a definire i militari cristiani
«operatori di pace».
«In occasione del giubileo dei militari - continua Mosaico di pace -
diventa auspicabile all’interno della chiesa italiana una riflessione
aperta, serena ma ferma sul ruolo dei cappellani militari e sulla loro
completa integrazione all’interno dell’apparato militare. Ma
l’appuntamento giubilare è anche l’occasione per alcune domande.
Non potrebbe essere questo il momento significativo, in cui i cappellani
scelgano di rinunciare alle stellette e ai privilegi che esse comportano?
Perché, infine, non cogliere questo momento propizio per chiedere perdono a
don Milani e a tutti coloro che hanno scelto l’obiezione di coscienza? Ci
spiace ricordare che la sentenza di condanna non è stata mai cancellata e
pesa ancora nei registri penali ai danni del priore di Barbiana».
Mi sembra che questo editoriale, riportato quasi integralmente, ponga bene
la questione. Oggi più che mai urgente perché la guerra è una tragica
realtà che ci vede coinvolti.
Pax Christi aveva già posto il problema con un appello ai vertici
ecclesiali e ai politici, senza molto successo, in occasione del Convegno
della chiesa italiana a Palermo, nel 1995. E ancora in occasione del 30°
anniversario della morte di don Lorenzo Milani, come si ricordava
nell’editoriale di Mosaico già citato.
Anche per il Congresso eucaristico a Bologna, dove è prevista una
celebrazione eucaristica presieduta dall’ordinario militare, Pax Christi
interviene chiedendo di «aprire un dialogo sul ruolo dei cappellani
militari: la loro smilitarizzazione potrebbe essere un gesto significativo e
concreto di conversione, proprio in occasione del Congresso eucaristico,
anche alla luce del giubileo del 2000, per iniziare il terzo millennio più
fedeli al vangelo di Cristo nostra pace» (20 settembre ’97).
L’appuntamento più importante su questo tema dei cappellani militari è
stato senza dubbio il seminario di studio che si è tenuto alla Casa per la
pace di Firenze nel novembre ’97, promosso in collaborazione con il Centro
studi economici e sociali per la pace: «Cappellani militari oggi e...
domani», con relazioni di giuristi, di un rappresentante autorevole
dell’Ordinariato militare e di Pax Christi.
«Si è ribadita pertanto la necessità - si legge nel comunicato finale -
di un sempre maggiore impegno non solo della chiesa presente tra le forze
armate, di cui s’è riscontrata la disponibilità al dialogo, ma di tutta
la chiesa italiana per un cammino sempre più determinato sulla via della
nonviolenza e della pace».
È stata la prima e per ora l’unica occasione di confronto ufficiale tra
un rappresentante dell’ordinariato militare e Pax Christi. C’è da
augurarsi che il dialogo possa continuare, alla luce delle nuove situazioni
di guerra in atto.
Per concludere, vanno rilanciate alcune domande.
PARLIAMO DI GRADI
E DI... SOLDI
Perché non scegliere anche
per i cappellani nell’esercito un ruolo di presenza sul modello della
polizia di stato o degli istituti penitenziali, dove ci sono dei cappellani,
con accordi ma senza essere inquadrati nella struttura? Insomma, senza
stellette e senza (so di toccare un tasto delicato...) stipendio. Lo
stipendio di un cappellano militare è quasi il triplo di quanto percepisce
un normale prete dall’Istituto di sostentamento del clero. E, oltre alla
tredicesima, sono coperte anche tutte le spese per ufficio, telefono,
macchina e autista. Questo mi diceva tempo fa un amico cappellano-capitano.
Stipendi, quindi, in rapporto ai gradi militari. E l’ordinario militare è
equiparato ad un generale. Perché allora non tornare ad essere, preti come
gli altri, inseriti in una diocesi come gli altri e non in una diocesi
castrense come avviene oggi?
Questo sicuramente aiuterebbe ad essere più liberi. A non rispondere come
mons. Marra, già ordinario militare negli anni passati, che parlando della
situazione balcanica (non c’era stato ancora l’intervento militare della
Nato) ebbe a dire al settimanale diocesano di Udine, La vita cattolica: «Monsignor
Bettazzi e il compianto monsignor Bello scrivevano che era urgente operare
per risolvere il problema della Bosnia- Erzegovina, ma imploravano che non
si usasse la forza: una posizione troppo idealistica e, a mio avviso,
inoperosa e inconcludente».
IL RIPENSAMENTO
DI MONS. SUDAR
Due citazioni, autorevoli, possono essere la conclusione di quanto fin qui
esposto, con la speranza che il tema della guerra e della pace, della
violenza e nonviolenza possa essere di nuovo affrontato anche con chi crede
che l’unica strada sia quella delle armi.
La prima citazione è di mons. Luigi Bettazzi, già presidente di Pax
Christi che, subito dopo la tragedia di
Nassiriya del novembre 2003, scrive: «È tardi, ma
non troppo tardi, per ridare all’Onu non una funzione di servile
copertura, ma un’autentica autorità per aiutare il popolo iracheno a
realizzare la democrazia e lo sviluppo, con un governo non sospetto e una
ricostruzione non interessata. Lo chiede la volontà di pace della
maggioranza dell’umanità, lo esige il sangue di questi nostri giovani
morti nell’illusione di poter diventare operatori di pace».
La seconda, che ci riporta in Bosnia, è del vescovo ausiliare di Sarajevo,
mons. Pero Sudar, che sulla rivista dell’Azione cattolica italiana Segno
nel mondo, n. 4 del 16 marzo 2003, scrive:
«La guerra nella mia patria e le sue tragiche conseguenze mi hanno
costretto ad immaginare il corso della storia senza le guerre, con cui si
intendeva combattere le ingiustizie ed abbattere i sistemi ingiusti.
Riconosco di essere stato convinto anch’io che l’uso della violenza sia
utile e necessario quando si tratta della libertà dei popoli. Dopo aver
visto e vissuto da vicino che cosa vuol dire la guerra di oggi, non la penso
più così. Sono profondamente convinto, e lo potrei provare, che l’uso
della violenza ha portato sempre un peggioramento».
«(...) tutto questo obbliga la chiesa - continua Sudar - a farsi segno di
contraddizione e ad unire la sua voce a tutte quelle che gridano la pace
anche nelle condizioni che, a prima vista, postulerebbero la guerra...
Occorre applicare letteralmente il monito di Cristo rivolto a Pietro che con
la spada voleva proteggere la vita del giusto e dell’innocente: ... basta
così! (Lc.22,5). Oggi l’unica scelta della chiesa è la nonviolenza,
perché questa è l’unica strada, magari lunga e sofferente, alla pace che
viene garantita dalla giustizia».
COMANDI, DON MARIANO!
Nassiriya, natale 2003. Nella base italiana di Nassiriya (An Nassiryiah,
nella dizione locale) l’inverno picchia duro ed al freddo si sommano la
paura e la nostalgia per una casa lontana. Molti soldati cercano conforto in
Cristo, in quella chiesa che non abbandona nessuno e che, in questo sperduto
angolo di deserto iracheno, è rappresentata da don Mariano.
Don Mariano è un bell’uomo dallo sguardo fiero ed il fisico scattante.
Appuntata sul petto ha una croce al posto del grado da capitano che potrebbe
mettere. Forse fra tutti quelli che ho conosciuto è l’ufficiale più
ruvido e netto.
È il cappellano militare della Brigata Sassari ovvero il fulcro del
contingente militare italiano che da diversi mesi opera a Nassiriya, nel sud
dell’Iraq.
«Noi siamo qui per difendere e non per offendere», mi dice un giorno
durante un’intervista.
«E la pace va difesa anche con le armi in pugno come stanno facendo questi
soldati. Perché dovremmo andare via? Ci sono stati dei morti che hanno
versato il sangue per la patria e noi cosa dovremmo fare per onorarli?
Scappare? Andare via?».
Domando: cosa risponde a quei settori della chiesa cattolica che si
oppongono a questa guerra e alla conseguente occupazione militare? Non
l’avessi mai chiesto, don Mariano mi fulmina con le parole e con lo
sguardo: «Noi italiani non siamo in guerra con nessuno e soprattutto non
siamo una forza di occupazione, questo deve essere
ben chiaro. Noi siamo operatori di pace. A quei settori della chiesa che
vogliono la pace a tutti i costi non so cosa dire, forse che sono lontani
dal mondo reale quello che c’è qui a Nassiriya…».
Cosa pensa dei pacifisti?, insisto. «Ho un senso di nausea quando vedo certe
manifestazioni... Ognuno poi è libero di pensare un po’ quello che vuole,
anche mio fratello è un pacifista ed io non posso certo impedirglielo. Ma
quando vedo certi personaggi... Ho sentito che ultimamente alcune Ong che
avevano tanto criticato l’intervento armato hanno chiesto una scorta
armata per entrare nel paese. E io non gli avrei dato un bel nulla! Vi siete
opposti alle armi? Siete pacifisti? Allora dovete rifiutare le armi sempre
non solo quando vi fa comodo, quando siete a casa vostra comodi comodi. E
poi come si chiama quel medico.... milanese?».
Gino Strada?, domando incuriosito. «Ecco quello non lo posso proprio
sopportare, da lui non prenderei nemmeno una medicina perché è un
assassino!».
Come un assassino? Gino Strada? E perché?, chiedo allibito. «Perché
lui con il suo pacifismo voleva tenere in piedi Saddam che era un killer, un
dittatore spietato e quindi ne era complice!».
Meglio cambiare discorso... E per natale, don Mariano, cosa farete a
mezzanotte? «Faremo la messa nella piazza della base, i carri armati
verranno disposti per sembrare una piccola grotta e lì celebreremo il rito
della nascita di Gesù».
Vorrei tanto dirgli: «Ma come Gesù, l’uomo della fratellanza e del
perdono, lo fate nascere in mezzo a dei carri armati?», ma fedele al mio
ruolo non dico nulla, anzi faccio il solito sorrisetto di circostanza e gli
auguri di buon natale.
La tenda che funge da chiesa per tutto il campo è accogliente e ben
riscaldata anche se piccolina (può contenere al massimo un centinaio di
persone).
Conclude don Mariano: «Molti ragazzi stanno riscoprendo la fede proprio in
questo frangente, in questa situazione di pericolo e lontananza dagli
affetti di casa. Io sono qui per questo, per aiutare le anime di questi
uomini che sono disposti a sacrificarsi per il bene comune».
Fuori dalla tenda è buio assoluto. La base, oscurata nella notte per motivi
di sicurezza, è situata in mezzo al deserto iracheno.
Alcuni soldati, finita la messa di mezzanotte, imbracciano il fucile ed
escono di pattuglia. Don Mariano li ha appena benedetti. Don Mariano ha
appena detto loro che quel fucile è uno strumento di pace.
Mai una guerra è stata così condannata preventivamente come
questa di Bush contro l’Iraq, querra che potrebbe trasformarsi addirittura
in una guerra di religione tra cristiani e musulmani, capace dunque di
coinvolgere anche altri stati.
Il terrorismo va condannato e combattuto, ma non con violenze peggiori. Il
terrorismo può annidarsi dovunque. Dopo l’Iraq, contro quanti altri stati
faremo guerra? Chi non capisce che gli Stati Uniti vogliono la guerra per
accaparrarsi il petrolio?
Cari confratelli cappellani, io mi chiedo e vi chiedo: quando verrà
da voi a confessarsi un soldato che si accusa d’aver sganciato una bomba
uccidento degli innocenti e che domani ripeterà la stessa azione, vi
sentireste, in coscienza,
d’assolverlo?
Ammesso che diate l’assoluzione, vi accuserete di non aver impedito la
morte di tanti innocenti? Tu, soldato, credi che il confessore ti possa
assolvere, restando tu dentro lo stesso male da cui vorresti essere assolto?
Io, in coscienza, non saprei assolverti, a meno che tu non prometta di
lasciare la divisa che indossi.
Don
Gennaro Somma di Castellammare di Stabia (Na)
Cari
cappellani dell’esercito italiano in Iraq, sono un vostro “collega”,
un prete cappellano come voi, ma per mia fortuna del carcere di San Severo (Fg)
e non dell’esercito, come voi. Io non so come fate a vivere serenamente il
sacerdozio nel vostro ruolo; io non ci riuscirei mai. Scrivo a voi in
spirito di assoluta amicizia. Mi piacerebbe entrare in contatto, chiedervi
chiarimenti, presentarvi quelle domande che mi assillano mentre seguo le
vicende della guerra d’Iraq. Ma non scrivo solo per parlare con voi e con
tutti gli altri cappellani militari sparsi in giro per il mondo nelle altre
“missioni di pace”, altrimenti vi avrei mandato la lettera direttamente
presso il vostro comando militare, ma voglio comunicare e confrontarmi anche
con i gentili lettori. Loro certamente la leggeranno, voi magari no.
Spesso
vi ho pensato, ho pensato al vostro servizio presso l’esercito italiano.
Ho pensato alle vostre omelie. Ma chissà che cosa gli dite ai soldati? Come
attualizzate in quel contesto le parole del Vangelo? Ma non vi sentite
lacerati dentro, almeno in qualche momento, tra il vangelo che ripudia la
spada e la vostra obbedienza agli interessi militari? Ma Dio, secondo voi,
da che parte sta? E se un giorno voleste dire eventualmente che questa o
altre guerre sono atrocità assurde, sareste liberi di farlo senza essere
messi sul primo aereo e rispediti a casa e magari dimessi anche dalla
funzione di cappellani militari? Siete dunque liberi di disturbare la
coscienza dei generali e dei soldati stessi, se lo ritenete necessario,
oppure siete messi lì soprattutto per tranquillizzare, benedire e dare il
nulla osta di Dio? Come fate per far capire che non siete servi dei signori
della guerra ma del mite Gesù di Nazareth?
………Come
fate per far capire che non siete servi dei signori della guerra ma del mite
Gesù di Nazareth? Voi sapete bene che in Italia chi è divorziato e
risposato o convivente non può fare la comunione in chiesa perché è
considerato connivente con una situazione di peccato, e voi, siete così
tranquilli a dare la comunione a chi è complice di questa grande manovra
omicida americana per accaparrarsi potere e petrolio? Il peccato dei
conviventi, non c’è dubbio, è davvero poca cosa se paragonato
all’altro.
Dino d’Aloia,
prete
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