RUINI SI ILLUDE: INDIETRO NON SI TORNA
UN CONVEGNO A BOLOGNA SULL'EREDITÀ
DEL CONCILIO
BOLOGNA-ADISTA.
Pochi
gli eventi finora organizzati, a livello ecclesiale, per ricordare i 40 anni
dalla chiusura del Concilio Vaticano II. Un'eredità, quella della stagione
conciliare, che per la Chiesa sta diventando sempre più "scomoda", specie da
quando una parte della gerarchia, in testa il card. Ruini, ha iniziato a
promuovere una lettura light del Concilio Vaticano II, sottolineandone i
caratteri di continuità rispetto alla Tradizione piuttosto che la carica
innovativa e di rottura col passato. La tesi della "discontinuità" prodotta
dal Concilio, finora maggioritaria all'interno del mondo cattolico, ha il
suo punto di riferi-mento nella monumentale opera sulla storia del Concilio
curata da Giuseppe Alberigo, storico della Chiesa e presidente
dell'Istituto di Scienze Religiose
"Giovanni
XXIII"
di Bologna (e tra gli esponenti della cosiddetta "officina bolognese", il
gruppo di intellettuali formatisi attorno alla figura di Giuseppe Dossetti).
Non a caso l'opera di Alberigo nel giugno scorso è stata apertamente
criticata dal presidente della Cei e da Avvenire, che ha definito
"partigiani" e "ideologici" gli studi sul Concilio del professore
bolognese.
È allora assai significativo che un convegno sull'eredità del Concilio sia
stato organizzato proprio dal centro di Alberigo (in collaborazione con
il Punto pace di Bologna di Pax Christi Italia); e che a questo
convegno, svoltosi nella giornata del 22 ottobre, le presenze siano state
numerosissime, tante che la sala che era stata predisposta non bastava a
contenere i presenti.
Il convegno era articolato in due momenti: nel primo, Alberigo ed il
vescovo emerito di Ivrea, mons. Luigi Bettazzi (che al Concilio ha
partecipato alle ultime 3 sessioni, a partire dall'autunno del 1963), hanno
ripercorso il contributo fornito dal Concilio al tema della pace. Nella
seconda, alcune donne (la teologa Adriana Valerio, la direttrice
di Mosaico di Pace Rosa Siciliano, la suora salesiana Mara Borsi,
la pastora valdese Janique Perrin, la piccola sorella di Charles de
Foucault Rita Irene), si sono invece confrontate sui riflessi che
l'evento conciliare ha prodotto su vari aspetti della vita della Chiesa
(ecumenismo, questione femminile, ruolo dei laici, approccio ai problemi
giovanili), insieme al vescovo di Termoli-Larino e presidente di Pax Christi Italia mons. Tommaso Valentinetti,
estremamente prudente, però, nel rispondere alle solleci-tazioni provenienti
dalle relatrici e dalla platea.
Le due "anime" del Magistero sui temi della pace
Nella sua relazione, Alberigo ha messo in evidenza come tra i temi in
programma al Concilio non fosse stato inizialmente inserito quello della
pace. Fu il grande interesse di Giovanni XXIII, unito alla crisi dei missili
a Cuba nel 1962, a porre all'attenzione dei padri conciliari la questione
della condanna della guerra e della corsa agli armamenti nucleari. Non era
cosa da poco, visto che, ha ricordato il professore, la Chiesa "sin dai
tempi di Sant'Agostino affermava la liceità della guerra" e che, nell'Antico
Testamento, il popolo ebraico è spesso in guerra, "e sempre nel nome di
Jahvé". Lo scarto, fortissimo, nel magistero ecclesiale si afferma con
l'enciclica Pacem in Terris, in cui il papa definiva la guerra "contraria
alla ragione". Una condanna, quella della guerra in sé, che già negli anni
appena successivi alla Pacem in Terris non troverà sempre coerente
attuazione nell'azione e nella predicazione della Chiesa. Da una parte,
infatti, ha ricordato Alberigo, esponenti di punta della Chiesa conciliare
continueranno ad approfondire, sulla scia del magistero di Giovanni XXIII, i
temi della Pacem in Terris; dall'altra la Chiesa ha però contestualmente
continuato a
considerare
legittimo, seppure in casi estremi, il ricorso alla guerra. Un'ambiguità che
si evidenzia anche nel pontificato di Giovanni Paolo II, durissimo nel
condannare, "sulla spinta di un forte e diffuso sentimento popolare", la
guerra in Iraq, nonostante in più occasioni, come nel caso dell'intervento
della Nato nei Balcani, abbia riaffermato la tesi classica della guerra
giusta.
La dialettica che attraversa la Chiesa cattolica sul tema della pace era già
presente all'interno del dibattito conciliare. "Quando alla fine del ‘63
iniziai, giovane vescovo ausiliario di Bologna, a partecipare ai lavori del
Concilio - ha ricorda-to Bettazzi - trovai i padri conciliari intenti a
riflettere proprio sui temi proposti dalla Pacem in Terris e ad elaborare i
contenuti di quella che sarebbe divenuta la costituzione Gaudium et Spes. In
quei giorni ricordo un accorato intervento dell'ordinario militare degli Usa
ai confratelli affinché evitassero in quella sede pronunciamenti che
avrebbero finito per ‘pugnalare i giovani che in Oriente (era l'epoca della
guerra del Vietnam) stavano difendendo la civiltà cristiana'". Nonostante
ciò, ha affermato Bettazzi, non vi è dubbio che su alcune questioni inerenti
alla pace il contributo del Concilio sia stato pienamente assimilato dal
magistero ecclesiastico degli anni successivi. Bettazzi cita ad esempio il
caso dell'obiezione di coscienza, ammessa
nella Gaudium
et Spes, legittimata nell'enciclica di Paolo VI Populorum Progressio,
addirittura preferita al servizio militare dai vescovi riuniti nel Sinodo
del 1971.
Più pessimisti gli interventi della platea. In tanti, infatti, hanno
sottolineato gli aspetti sui quali le attese del Concilio sono state
"tradite" dalla Chiesa. Sollecitato dai presenti ad intervenire sul merito
delle dure critiche di Ruini e del suo
entourage
alla Storia del Concilio e al lavoro dell'"officina bolognese", Alberigo ha
detto che quelle del presidente della Cei sono "strumentalizzazioni": "Il
cardinal Ruini - ha detto - vuol dire cose sul Concilio, non sulla storia
del Concilio, e usa il libro come pretesto". Ciononostante, Alberigo si è
detto ottimista circa l'esito dell'operazione: "La Chiesa è partire da
ogni singola parrocchia. Certo, non tutto nella Chiesa è adeguato al
Concilio, ma tutto è cambiato". Per questo, quelle di Ruini e dei suoi amici
sono "penose ed inutili illusioni: la Chiesa indietro non può tornare".
Valere senza contare
Una visione non particolarmente ottimista sulla ricezione del Concilio nella
Chiesa attuale ha invece caratterizzato la relazione fatta al convegno da
Adriana Valerio
(che, tra
l'altro, dal 2003 è presidente dell'European Society of Women in Teological
Research - Eswtr),
incentrata
prevalentemente sull'analisi della dimensione partecipativa delle donne
nella vita ecclesiale. Purtroppo, ha detto la Valerio, nella Chiesa c'è
ancora oggi difficoltà all'accettazione delle donne, nonostante la Gaudium
et Spes abbia definitivamente sancito la parità tra uomini e donne ed il
diritto di queste ultime a veder riconosciuta la loro piena partecipazione
alla vita culturale ed ecclesiale. Oggi, al contrario, le donne (cui pure si
riconosce uno speciale "genio femminile"), in una Chiesa sempre più gestita
"da maschi che intervengono su pastorale liturgia e morale", non hanno
alcuna autorità, perché a loro non viene lasciato alcun tipo di ruolo e
respon-sabilità. Un problema che riguarda, più in generale, tutto il
laicato: "si restringono gli spazi di libertà. Se si affrontano certe
temati-che si viene allontanati dall'insegnamento della religione o dalle
facoltà teologiche. E si ritiene che la Chiesa debba dare risposte uni voche e prescrittive su questioni che riguardano la sola sfera temporale".
In questo contesto il laico diventa una sorta di "figlio minore, che ha
bisogno di essere condotto per mano". Ma ad ogni credente va riconosciuta la
propria responsabilità: "la coscienza individuale è sovrana", ha ribadito
la
Valerio.
Se non difendiamo questo principio, "rischiamo un appiattimento
non
rispettoso della pluralità". E, soprattutto, dimentichiamo che "la verità
accoglie la diversità".