PAX CHRISTI PUNTO PACE BOLOGNA |
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IN QUESTO NUMERO Antiochia, 6 febbraio 2005
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OTTOBRE 2006 LA COSTITUZIONE VÀ CAMBIATA? A sei giorni dalla celebrazione del 60° della Repubblica, Punto Pace di Pax Christi di Bologna, e i Circoli ACLI Giovanni XXIII e SS. Achiropita, hanno promosso un incontro sul tema “La Costituzione va cambiata?”. L’auditorium del Villaggio del Fanciullo si è riempito “in ogni ordine di posti” di cittadini interessati a sapere finalmente qualcosa di preciso sul referendum che è ormai alle porte e di cui finora si è parlato veramente molto poco. Lo stesso quesito referendario sarà tra l’altro estremamente “criptico”, facendo esclusivamente riferimento al numero e alle date di approvazione della legge costituzionale e niente dicendo dei contenuti; spetta allora ai singoli cittadini l’onere di cercare di capire a che cosa dovranno dire SI’ o NO i prossimi 25, 26 giugno. L’avvocato Francesco Di Matteo, presidente del Comitato Dossetti per la Costituzione, e Paolo Natali, consigliere comunale a Bologna, hanno presentato le ragioni del NO, che non sono banalmente quelle di una contrapposizione ideologica all’eccesso di federalismo voluto dal centro-destra, ma che attengono invece molto più profondamente alla difesa dei valori della nostra Costituzione. La riforma, sulla quale gli elettori sono chiamati a dire SI’ o NO, riguarda “solo” la seconda parte della Costituzione, ma, come ha detto l’avv. Di Matteo, è talmente ampia (sono stati modificati 54 sul totale di 85 articoli) e incide così profondamente sulle regole di attuazione dei suoi principi che, se confermata, farebbe in realtà cadere l’impianto e il fondamento della nostra Costituzione. Sessant’anni fa l’Assemblea costituente dette una nuova identità all’Italia, approvando i 139 articoli di una carta costituzionale che affermava principi e valori comuni realmente condivisi da tutte le forze politiche e che non era assolutamente il frutto di un compromesso. Quei principi fondamentali e le regole per attuarli sono stati dati una volta per sempre ed al legislatore è solo consentito di intervenire per la “manutenzione” della Costituzione, da attuare attraverso l’approvazione di leggi di revisione - e non di modifica - nell’assoluto rispetto del suo impianto valoriale. Per procedere alla sua revisione, la Costituzione chiede quindi che si ricerchi la massima condivisione da parte delle forze politiche. Il centrodestra non ha invece cercato la condivisione su nessun punto della riforma, l’ha approvata a maggioranza ed ora propone agli elettori una specie di “plebiscito”. Se alcune scelte, sul superamento del “bicameralismo perfetto” e sulla riduzione del numero dei parlamentari, da attuare peraltro solo dal 2016, sono in linea generale condivisibili, la sostanza della riforma, che vuole introdurre un premierato forte e un federalismo che minerebbe il principio dell’uguaglianza dei cittadini (affermata dall’art. 3 Cost.), la rende in realtà un’“eresia democratica” che non è assolutamente possibile accettare. La riforma prevede l’elezione diretta del “premier” (un nuovo titolo e una nuova “concezione fortissima” del presidente dell’esecutivo), che non dovrà più ottenere la fiducia del Parlamento e che anzi sarà praticamente “a prova di sfiducia”, essendo la relativa procedura prevista difficilissima da attuare; i parlamentari eletti saranno d’altra parte veri e propri ostaggi del premier, in quanto, qualora non si mostrassero “sufficientemente disciplinati” nell’approvazione delle leggi previste nel programma del premier, verrebbero letteralmente mandati a casa, essendoci tra i nuovi poteri del premier anche quello dello scioglimento delle Camere. Poteri così ampi sono in qualche misura inediti nelle democrazie occidentali: Bush ad esempio non può sciogliere la Camera dei Rappresentanti e il Senato e la signora Thatcher fu a suo tempo sfiduciata dalla sua maggioranza e dovette così lasciare Downing Street, sostituita da Major Il federalismo voluto dalla Casa delle libertà prevede poi l’attribuzione alle Regioni dell’esclusiva competenza in materie, come l’organizzazione della sanità e della scuola, che fondano a tutti gli effetti l’uguaglianza dei cittadini voluta dall’art. 3 della Costituzione; con la conferma della legge approvata dal centrodestra si avrebbero allora cittadini di serie A, che godranno di un superiore livello di servizi, e cittadini di serie B, che dovranno “accontentarsi di quello che passa il convento”, cioè di quello che potranno offrire le Regioni meno forti. Volendo riferirsi al terzo punto maggiormente problematico della riforma, la stessa formazione delle leggi sarà resa poi particolarmente problematica, a causa dei conflitti di competenza che inevitabilmente sorgeranno tra la Camera dei deputati, il Senato federale e le Regioni, in conseguenza dell’intreccio e della non precisa delimitazione delle competenze; su questo non sarà peraltro più chiamata a dirimere la Corte Costituzionale, costituita in futuro per quasi la metà da membri di nomina politica, ma un comitato paritetico, questa volta tutto politico e quindi inevitabilmente “ propenso” a dare ragione alle posizioni della maggioranza di governo. Il momento è estremamente delicato: siamo nella “notte della Repubblica” paventata da Dossetti e, se la riforma venisse confermata, davvero si rovescerebbe, seppur formalmente non toccata, anche la prima parte della Costituzione, quella che fissa i diritti e i valori fondamentali. Abbiamo quindi il dovere di difendere la nostra carta costituzionale e di rimettere ordine scegliendo il NO. Questa riforma è stata voluta dalla sola maggioranza semplice delle due Camere e addirittura, prevedendo la modifica dell’art. 138, che detta le norme per la revisione della Costituzione, stravolge la scelta dei costituenti che volevano revisioni condivise, rendendo invece normale la “modifica a maggioranza semplice”, solo poi da confermare attraverso un referendum plebiscitario, a cui chiamare a dire sì “un po’ di elettori” (per i referendum confermativi di leggi costituzionali non è infatti necessario il raggiungimento del quorum). In risposta all’osservazione della Casa delle libertà, che sostiene di aver semplicemente agito come fece a suo tempo il centrosinistra con l’approvazione a maggioranza semplice della riforma del Titolo V della Costituzione, bisogna ricordare che il centrosinistra ricercò con impegno l’accordo con l’opposizione e che in ogni caso, sulla sua riforma, ottenne l’approvazione delle Regioni, che questa volta hanno invece richiesto il referendum; infine il referendum confermativo vide, con il 64% dei voti, la convinta affermazione dei SI’. Quella riforma, per quanto certamente ottenuta non raggiungendo un’ampia condivisione in Parlamento, non ha diviso gli italiani; la riforma del centrodestra è invece una riforma che divide e che, del resto, è stata votata solo perché ha messo insieme gli interessi particolari delle diverse anime della Casa delle libertà: la “devolution” della Lega, il premierato forte di Forza Italia e il presunto interesse nazionale di Alleanza Nazionale. Se non si esce dalla “notte ancora più buia dell’ignoranza della Costituzione” non possiamo riuscire a difendere il suo prezioso patrimonio di principi e valori. ( Mauro)
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