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IN QUESTO NUMERO:

La prima pagina

Con le mani bianche alzate

A Genova c'erano anche intere famiglie il racconto di una di loro

Quelli che CL considera dei perditempo

Che cosa ci insegna Genova?

La lezione di Genova

Un mondo diverso è possibile

«Chi non si schiera sta dalla parte dei ricchi» intervista a Mons. Diego Bona

Ma la violenza e le bugie non fermeranno i sognatori

I prossimi appuntamenti e altro...

 

SETTEMBRE 2001

 COSA È CAPACE DI FARE L'UOMO CHE SUSSURRAVA AI LACRIMOGENI 
(promemoria per chi non crede che la violenza è l'ultimo rifugio agli incapaci)

La mia esperienza personale innanzi tutto, a leggere i giornali sembra già di per se quasi un'eccezione: purtroppo devo confessarvi che, pur essendo stato a Genova per ben tutte e due le giornate in cui si sono avuti i tafferugli (Venerdì 20 e Sabato 21 Luglio), sono riuscito, aimè, a non prendere nemmeno una manganellata, e non mi sono mai trovato così vicino agli scontri da poter esibire testimonianze clamorose. La tattica estremamente prudenziale scelta dal piccolo gruppo di cui ero parte ha funzionato a dovere (potevamo annoverare tra noi dei veri propri veterani di manifestazioni in tutta Europa, in situazioni ben più rischiose di questa!), non senza però quell'indispensabile piccolo aiuto da parte della fortuna.
Ma anche da questa posizione più, diciamo così, distante rispetto a chi, come quelli dell'altro gruppo di Lilliput che coordinava col mio, si è incontrato faccia a faccia con chi doveva assicurare l'ordine pubblico per ritrovarsi immotivatamente gassato e smanganellato,  appare evidentissima la completa responsabilità delle forze di polizia e ancor prima del governo per come si sono messe le cose in quei due giorni. A cominciare dalla delinquenziale strategia che, pur di far fallire le manifestazioni ed incolparne il Genoa Social Forum, ha calcolato di sottrarsi dal prevenire i disordini e a coinvolgere in questo evitabilissimo macello tutte le parti scese in piazza, poliziotti compresi. Non è giusto dimenticare infatti che si  contano circa 150-200 feriti fra quest'ultimi, alcuni in modo non lieve (per inciso, è veramente penoso che nemmeno per una verifica così facile si dichiari la cifra esatta e la suddivisione per gravità di ferimento in modo da evitare strumentalizzazioni).
Anche non volendo tener conto dell'ovvietà che in situazioni come queste i criteri generali di come devono comportarsi le forze dell'ordine non vengono certo decisi solo in ambito locale o corporativo, come invece sostiene il governo, come può comunque essere ammissibile che nessuna responsabilità debba ricadere sul ministro degli interni Scajola, dal cui ministero dipende direttamente il corpo di Pubblica Sicurezza, che a Genova coordinava tutti gli altri corpi di polizia. Ma il ministro può contare su un parlamento che, a parte voci o gruppuscoli completamente ignorati, è ormai diventato assolutamente incapace di fare vera politica. Ci si accusa a vicenda sulle responsabilità delle violenze per evitare spudoratamente di guardare in faccia il vero problema, l'ormai incolmabile distanza del mondo politico dalla gente comune, dalla società.
E non sarebbe giusto concludere che non c'è niente da fare perché è sempre stato così. Non è vero: ancora alla fine degli anni '70, contestazioni così ampiamente partecipate in occasione di eventi tanto rappresentativi stimolavano attraverso i mass media (soprattutto la stampa, c'erano moltissime case editrici assolutamente indipendenti) la discussione fra le diverse anime della società, alimentando ad ogni livello una critica sempre aperta al modello di stato vigente, non senza produrre anche superficialità e strumentalizzazioni, ma comunque costringendo anche il parlamento ad approfondire l'analisi fino a riflettere sulle cause, su quali motivi spingono tanta gente a mobilitarsi, mettendo seriamente in discussione, soprattutto se si verificava violenza, la classe politica di fronte alla cittadinanza, il governo di fronte all'opposizione e persino fra di loro le varie correnti all'interno di ogni grande partito. Nessuno poteva sperare di cavarsela parlando di una grande manifestazione come una Kermesse da considerare a parte dall'evento che contesta, e ancor meno ridurre i fatti di violenza verificatisi (da qualunque parte e per qualunque motivo) a problemi di sicurezza ed errori organizzativi!
Questo colossale approntamento, costato moltissimo sia economicamente (250 miliardi, ma nessuno lo ricorda, in tempi di così duri tagli alla spesa pubblica!), sia sottoforma di pesanti disagi per i Genovesi (riduzione o paralisi di quasi tutte normali attività lavorative; reclusione forzata entro la zona rossa o divieto di entrare da fuori; caos di sbarramenti e percorsi obbligati per tutta città, ordinanze che imponevano limitazioni di ogni tipo - famoso il divieto di stendere panni per non rovinare il panorama ai grandi -, continui pattugliamenti, perquisizioni, controlli e misure di sicurezza…), si è stranamente rivelato completamente inutile Venerdì mattina a prevenire o sedare sul nascere le annunciate violenze di due o trecento (qui le esagerazioni sulla cifra approdano nella fantascienza) individui in nero, (solo in minor parte autentici Black Blocers) all'inizio riuniti in un loro megacorteo separato dagli altri, poi scorrazzanti indisturbati per le strade di tutta città in gruppi di qualche decina di uomini con avanguardie di cinque-sei persone, sempre volutamente distinguibili (vestito nero e volto coperto, spranga o altre armi in mano, per non parlare degli slogan, striscioni e comportamento) e separati dal resto dei manifestanti (magliette bianche o colorate, mani nude e ben alzate di fronte alla polizia…) 
Guardiamo alla strategia di mantenimento dell'ordine adottata a Genova: qual era la disposizione delle forze di polizia il Venerdì, all'inizio di  questa tanto commentata quanto evitabilissima devastazione? Per quel giorno erano previste attività per "banchetti tematici", vale a dire che ogni associazione promuoveva una sua iniziativa  a scopo divulgativo nel punto della  città a lei assegnatogli, senza significativi spostamenti.  C'erano cinque o sei punti di concentramento dei manifestanti, ben distanti tra loro ma tutti a breve distanza dallo sbarramento della linea rossa, disposti seguendone l'andamento come in un simbolico accerchiamento.
Situazione controllabilissima per le forze dell'ordine, data l'organizzazione di cui s'è accennato prima e l'esuberante numero di uomini a disposizione (dai 15 ai 20mila, solito balletto delle cifre). Eppure quel giorno in tutta la città il gigantesco apparato della polizia brillava per la sua assoluta assenza (mi riferisco sempre agli agenti non in borghese): nessuna strada, nessuna piazza era presidiata o pattugliata. A parte qualche piccola guarnigione davanti a quei pochi complessi considerati a rischio, tutto il personale era schierato lungo la linea rossa, ed in prevalenza dietro lo sbarramento!
La logica a cui risponde questa strategia quantomeno molto carente di acume è la stessa di tutti i vertici di questo tipo - WTO, NATO… - dove le necessità di sicurezza appaiono motivi quantomeno insufficienti per giustificare un isolamento così spinto dei conferenzieri in eventi nel contempo da essi stessi tanto propagandati e descritti come benefici per tutti: appropriarsi dell'area più significativa di una città in modo da essere al massimo appariscenti e rappresentativi, entro la quale isolare la casta eletta delle delegazioni con il numeroso e selezionatissimo stuolo di lavoranti indispensabili al funzionamento dell'evento (inservienti, giornalisti, consiglieri politici vari…).                 Lorenzo

N. B. Le riflessioni di Lorenzo sono state riportate solo in una breve sintesi, ce ne scusiamo con l'autore.
Chi fosse interessato può ovviamente richiederci l'intero intervento.

 

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