IN QUESTO NUMERO
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Pace: la quinta edizione dell'assemblea dei popoli
Un'altra ONU è possibile
XV° Seminario di Educazione alla Mondialità
Franco Monaco: lettera ai vescovi indirizzata a Ruini
"Famiglia Cristiana" attacca la RAI formato Berlusconi
San Daniele Comboni direbbe NO...
I prossimi appuntamenti e altro...
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SETTEMBRE 2003
2003: ANNO DELL'ACQUA, PER DARE UN
FUTURO ALL'UMANITÀ
Ancora una volta siamo di fronte ad un appuntamento
importante, ad un’occasione da non perdere, se vogliamo che il nostro
“prenderci cura” dell’uomo e della donna del nostro tempo, ma anche
dell’uomo e della donna che verranno dopo di noi, si concretizzi e diventi
fattivo. Al tempo stesso sperimentiamo, in queste circostanze, la fatica del
calarci “dentro” ai problemi, dell’accedere ad un’informazione
critica e dell'intravedere possibilità di azione.
Partire dal giardino
Nel disegno creatore, nel “sogno” di Dio sul creato e
sull’uomo, non può che essere realizzato un giardino, dove tutto è dono,
dove si sperimenta la tenerezza e la gratuità di Dio. Ci si potrebbe
chiedere oggi che ne è di quel disegno originario, di quel “sogno”, che
non solo i cristiani condividono, ma anche i seguaci delle più importanti
religioni del mondo, che sempre sottolineano l’importanza dell’armonia
del creato e denunciano il disordine determinato dall’accumulazione dei
beni.
Possiamo citare, per tutti, la Sollicitudo
rei socialis, che al n.28 precisa: “Una
sorta di supersviluppo, consistente nella eccessiva disponibilità di ogni
tipo di beni materiali rende facilmente gli uomini schiavi
del “possesso”. Tutti tocchiamo con mano i tristi effetti di questa
cieca sottomissione al puro consumo. Una
radicale insoddisfazione, poiché quanto più si possiede, tanto più si
desidera, mentre le aspirazioni più
profonde restano insoddisfatte e anche soffocate”.
Dopo anni di studi, di sensibilizzazione ecologica, di manifestazioni e
prese di posizione, constatiamo che il più delle volte sono il mondo
economico, la logica del profitto a determinare scelte politiche, a
influenzare modelli di sviluppo e comportamenti sociali, a scalzare valori e
principi.
E’ in gioco l’idea stessa di “risorsa”, sia essa rinnovabile o no,
che andrebbe salvaguardata, non accumulata, il cui ciclo naturale non
dovrebbe essere interrotto, se vogliamo che la natura continui a
“risorgere”, per la sua stessa vita e per la vita dell’uomo.
Interessante, a questo proposito, la valutazione di Giuliana
Martirani: “Sono due le vie di cui parla la “Didaché”: l’una
conduce alla vita, l’altra alla morte; l’una all’autogenerazione e al
ciclo della vita, l’altra all’entropia o dissipazione e alla morte.
Questa concezione delle risorse è totalmente diversa dal capitalismo
selvaggio, per il quale le risorse non possono essere considerate
disponibili né possono essere definite “bene comune”, ma esistono solo
perché “scoperte” dalla decisione di un imprenditore, che ne diventa in
qualche modo il creatore. Una concezione, quindi, di arrogante
autosufficienza di un uomo, che si crede egli stesso il creatore e il
padrone di tutto ciò che lo circonda, e di estraneità al Dio della
tenerezza, che invece provvede all’uomo(…)”.[1]
L’acqua, da diritto umano e sociale a bene economico
Fra le varie risorse, l’acqua, bene prezioso per tutta l’umanità, ma
fragile, per i suoi molteplici usi e per la sua apparente abbondanza, è
diventata causa di lotte economiche e ben presto, secondo gli osservatori,
sarà al centro dei conflitti politici, motivati sempre più dalla scarsità
e dalla cattiva qualità di acqua da condividere.
E’ evidente che l’accresciuto fabbisogno d’acqua da parte della
popolazione mondiale, il graduale impoverimento delle falde acquifere,
l’inquinamento dei principali sistemi idrici ed i mutamenti climatici
richiederebbero un’azione comune di salvaguardia, considerando pure che i
grandi sistemi fluviali, che da soli garantiscono l’approvvigiona-mento a
quasi il 40% della popolazione mondiale, sono condivisi da più nazioni.
Al contrario, si è già aperta la strada alla globalizzazione ed alla
privatizzazione dell’acqua, fenomeno che è stato definito di “petrolizzazione”;
e questo a partire del 2° Forum Mondiale dell’Acqua, svoltosi a L’Aja
nel marzo 2000, in cui “è stato rigettato il principio dell’accesso
all’acqua come diritto umano e sociale, che avrebbe comportato
l’introduzione di regole e di obblighi da parte degli Stati e delle
imprese private. E’ passato, invece, il principio dell’acqua come
“bisogno umano di base”, aprendola così alle regole del mercato.
Confermandola come “bene economico” e non come bene comune e diritto, la
Dichiarazione de L’Aja affida la soluzione dei problemi dell’acqua al
modello di gestione privata (Intergrated Water Resource Management, IWRM),
dando così il via alla privatizzazione dell’acqua”.[2] Penso
che sia indispensabile per ciascuno di noi rendersi conto di quanto sia
stato determinante, in quella sede, il peso della Banca Mondiale, delle
multinazionali, delle società e imprese private interessate al controllo
delle risorse idriche; come pure di quanto sia accresciuta, in questi anni,
la loro capacità di gestione, di commercializzazione e di esportazione
dell’acqua: ad esempio, quella dei Grandi Laghi e del San Lorenzo, delle
sorgenti dell’Indonesia, della Cina e degli USA,...
Il “Manifesto dell’Acqua”
Di fronte ad una simile evoluzione, ha preso maggiore forza
l’azione di gruppi di opinione e di Associazioni, impegnate nell’opera
di sensibilizzazione ed in attività di contrasto.
Fin dal 1998, a Lisbona, si è costituito un gruppo, di cui sono Presidente
Mario Soares e Coordinatore Riccardo Petrella, inizialmente impegnato nella
lotta contro nuove fonti di inquinamento dell’acqua e nella proposta di
riforme strutturali dei sistemi di irrigazione nell’agricoltura e
nell’industria. Proprio da questo gruppo “storico” partirà
un’azione decisa contro gli orientamenti del Forum de L’Aja, rilanciando
il “Manifesto del Contratto Mondiale dell’acqua”, ancor oggi punto di
riferimento fondamentale per il Comitato Internazionale e per i vari
Comitati Nazionali.
Verranno predisposti un programma triennale (2000-2003), la cui prima fase
è all’insegna dell’impegno “Acqua per tutti”, ed una strategia per
essere presenti al Terzo Vertice della Terra sullo Sviluppo Sostenibile, di
Johannesburg del 2002, e al 3° Forum Mondiale dell’Acqua del 2003, in
modo da far inserire nelle risoluzioni finali alcuni principi fondamentali
del “Manifesto dell’Acqua”, fra cui si possono citare i seguenti:
- l’acqua è un bene comune dell’umanità, che appartiene a tutti gli
organismi viventi;
- l’accesso all’acqua è un diritto umano e sociale, individuale e
collettivo;
- il finanziamento dei costi necessari a garantire a ogni essere umano
l’accesso all’acqua, nella quantità e qualità sufficienti ad
assicurarne la sopravvivenza, è a carico della collettività.
Parallelamente si è proposta la creazione di un Parlamento Mondiale
dell’Acqua, per evitare che la definizione dei principi ispiratori in
materia di acqua e le misure da attuare su piano operativo siano delegate ad
una “oligarchia mondiale”, ristretta ai rappresentanti delle grandi
compagnie mondiali private dell’acqua, delle istituzioni governative, agli
esperti tecnico-scientifici o appartenenti al mondo dei media.
Può essere interessante, allora, prendere in mano e conoscere meglio il
"Manifesto dell'Acqua", per rendersi conto dell'importanza che
questo impegno può assumere, ed anche per tentare di restituire la politica
al mondo dei valori, ipotizzare un nuovo ordine mondiale, fondato sulla
solidarietà e sulla giustizia.
Ne emerge, infatti, che il diritto all'acqua è una parte dell'etica
di base di una buona società e di una buona economia, che esso deve
contribuire al rafforzamento della solidarietà fra i popoli, le comunità,
i Paesi, le generazioni, e perciò stesso favorisce la pace, evitando quei
conflitti che nascono dalle ineguaglianze, fra cui drammatica quella
dell'accesso e della distribuzione dell'acqua, e quindi della ricchezza.
L'acqua è di fatto "res publica", è l'affare dei cittadini, che
consente una maturazione dell'idea stessa di collettività e di sostenibilità,
dal momento che impegnarsi in tale politica implica un alto grado di
democrazia partecipativa.
La forza della denuncia profetica
Pur avendo sempre la sensazione di inadeguatezza e di
impotenza, di fronte a queste problematiche così ampie e complesse, credo
che non dobbiamo mai dimenticare l'invito alla denuncia profetica e alla
lotta per l'abbattimento delle "strutture di peccato", che la
Sollicitudo rei socialis esprime chiaramente, ad esempio quando afferma:
"La Chiesa, che esercita il ministero dell'evangelizzazione in campo
sociale, come un aspetto della sua vocazione profetica, denuncia i mali e le
ingiustizie. (…)".[SRS n. 41(…)
L'impegno, come sempre, è quello dell'informazione, dando voce ai movimenti
di opinione; è quello della partecipazione, soprattutto a quanto si sta
organizzando a livello locale, a partire dalle scelte politiche che si
stanno compiendo nel nostro Paese, magari silenziosamente e fra il
disinteresse generale: ne è un esempio l'attuazione della Legge Galli del
1994 e dell'art. 35 della Finanziaria 2002, che di fatto aprono alla
privatizzazione del servizio idrico italiano.
Ancora una volta il "pensare mondialmente e l'agire
localmente" può essere un significativo principio ispiratore, che ci
apre al mondo, ma passa attraverso la concretezza della nostra vita
quotidiana, delle nostre scelte di stili di vita alternativi, delle nostre
scelte e azioni politiche.
Francesca
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