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SETTEMBRE 2003

2003: ANNO DELL'ACQUA, PER DARE UN FUTURO ALL'UMANITÀ

Ancora una volta siamo di fronte ad un appuntamento importante, ad un’occasione da non perdere, se vogliamo che il nostro “prenderci cura” dell’uomo e della donna del nostro tempo, ma anche dell’uomo e della donna che verranno dopo di noi, si concretizzi e diventi fattivo. Al tempo stesso sperimentiamo, in queste circostanze, la fatica del calarci “dentro” ai problemi, dell’accedere ad un’informazione critica e dell'intravedere possibilità di azione.
Partire dal giardino
Nel disegno creatore, nel “sogno” di Dio sul creato e sull’uomo, non può che essere realizzato un giardino, dove tutto è dono, dove si sperimenta la tenerezza e la gratuità di Dio. Ci si potrebbe chiedere oggi che ne è di quel disegno originario, di quel “sogno”, che non solo i cristiani condividono, ma anche i seguaci delle più importanti religioni del mondo, che sempre sottolineano l’importanza dell’armonia del creato e denunciano il disordine determinato dall’accumulazione dei beni.
Possiamo citare, per tutti, la Sollicitudo rei socialis, che al n.28 precisa: “Una sorta di supersviluppo, consistente nella eccessiva disponibilità di ogni tipo di beni materiali rende facilmente gli uomini schiavi del “possesso”. Tutti tocchiamo con mano i tristi effetti di questa cieca sottomissione al puro consumo. Una radicale insoddisfazione, poiché quanto più si possiede, tanto più si desidera, mentre le aspirazioni più profonde restano insoddisfatte e anche soffocate”.
Dopo anni di studi, di sensibilizzazione ecologica, di manifestazioni e prese di posizione, constatiamo che il più delle volte sono il mondo economico, la logica del profitto a determinare scelte politiche, a influenzare modelli di sviluppo e comportamenti sociali, a scalzare valori e principi.
E’ in gioco l’idea stessa di “risorsa”, sia essa rinnovabile o no, che andrebbe salvaguardata, non accumulata, il cui ciclo naturale non dovrebbe essere interrotto, se vogliamo che la natura continui a “risorgere”, per la sua stessa vita e per la vita dell’uomo.
Interessante, a questo proposito, la valutazione di Giuliana Martirani: “Sono due le vie di cui parla la “Didaché”: l’una conduce alla vita, l’altra alla morte; l’una all’autogenerazione e al ciclo della vita, l’altra all’entropia o dissipazione e alla morte. Questa concezione delle risorse è totalmente diversa dal capitalismo selvaggio, per il quale le risorse non possono essere considerate disponibili né possono essere definite “bene comune”, ma esistono solo perché “scoperte” dalla decisione di un imprenditore, che ne diventa in qualche modo il creatore. Una concezione, quindi, di arrogante autosufficienza di un uomo, che si crede egli stesso il creatore e il padrone di tutto ciò che lo circonda, e di estraneità al Dio della tenerezza, che invece provvede all’uomo(…)”.[1]
L’acqua, da diritto umano e sociale a bene economico
Fra le varie risorse, l’acqua, bene prezioso per tutta l’umanità, ma fragile, per i suoi molteplici usi e per la sua apparente abbondanza, è diventata causa di lotte economiche e ben presto, secondo gli osservatori, sarà al centro dei conflitti politici, motivati sempre più dalla scarsità e dalla cattiva qualità di acqua da condividere.
E’ evidente che l’accresciuto fabbisogno d’acqua da parte della popolazione mondiale, il graduale impoverimento delle falde acquifere, l’inquinamento dei principali sistemi idrici ed i mutamenti climatici richiederebbero un’azione comune di salvaguardia, considerando pure che i grandi sistemi fluviali, che da soli garantiscono l’approvvigiona-mento a quasi il 40% della popolazione mondiale, sono condivisi da più nazioni.
Al contrario, si è già aperta la strada alla globalizzazione ed alla privatizzazione dell’acqua, fenomeno che è stato definito di “petrolizzazione”; e questo a partire del 2° Forum Mondiale dell’Acqua, svoltosi a L’Aja nel marzo 2000, in cui “è stato rigettato il principio dell’accesso all’acqua come diritto umano e sociale, che avrebbe comportato l’introduzione di regole e di obblighi da parte degli Stati e delle imprese private. E’ passato, invece, il principio dell’acqua come “bisogno umano di base”, aprendola così alle regole del mercato. Confermandola come “bene economico” e non come bene comune e diritto, la Dichiarazione de L’Aja affida la soluzione dei problemi dell’acqua al modello di gestione privata (Intergrated Water Resource Management, IWRM), dando così il via alla privatizzazione dell’acqua”.[2] Penso che sia indispensabile per ciascuno di noi rendersi conto di quanto sia stato determinante, in quella sede, il peso della Banca Mondiale, delle multinazionali, delle società e imprese private interessate al controllo delle risorse idriche; come pure di quanto sia accresciuta, in questi anni, la loro capacità di gestione, di commercializzazione e di esportazione dell’acqua: ad esempio, quella dei Grandi Laghi e del San Lorenzo, delle sorgenti dell’Indonesia, della Cina e degli USA,...
Il “Manifesto dell’Acqua”
Di fronte ad una simile evoluzione, ha preso maggiore forza l’azione di gruppi di opinione e di Associazioni, impegnate nell’opera di sensibilizzazione ed in attività di contrasto.
Fin dal 1998, a Lisbona, si è costituito un gruppo, di cui sono Presidente Mario Soares e Coordinatore Riccardo Petrella, inizialmente impegnato nella lotta contro nuove fonti di inquinamento dell’acqua e nella proposta di riforme strutturali dei sistemi di irrigazione nell’agricoltura e nell’industria. Proprio da questo gruppo “storico” partirà un’azione decisa contro gli orientamenti del Forum de L’Aja, rilanciando il “Manifesto del Contratto Mondiale dell’acqua”, ancor oggi punto di riferimento fondamentale per il Comitato Internazionale e per i vari Comitati Nazionali.
Verranno predisposti un programma triennale (2000-2003), la cui prima fase è all’insegna dell’impegno “Acqua per tutti”, ed una strategia per essere presenti al Terzo Vertice della Terra sullo Sviluppo Sostenibile, di Johannesburg del 2002, e al 3° Forum Mondiale dell’Acqua del 2003, in modo da far inserire nelle risoluzioni finali alcuni principi fondamentali del “Manifesto dell’Acqua”, fra cui si possono citare i seguenti:
- l’acqua è un bene comune dell’umanità, che appartiene a tutti gli organismi viventi;
- l’accesso all’acqua è un diritto umano e sociale, individuale e collettivo;
- il finanziamento dei costi necessari a garantire a ogni essere umano l’accesso all’acqua, nella quantità e qualità sufficienti ad assicurarne la sopravvivenza, è a carico della collettività.
Parallelamente si è proposta la creazione di un Parlamento Mondiale dell’Acqua, per evitare che la definizione dei principi ispiratori in materia di acqua e le misure da attuare su piano operativo siano delegate ad una “oligarchia mondiale”, ristretta ai rappresentanti delle grandi compagnie mondiali private dell’acqua, delle istituzioni governative, agli esperti tecnico-scientifici o appartenenti al mondo dei media.
Può essere interessante, allora, prendere in mano e conoscere meglio il "Manifesto dell'Acqua", per rendersi conto dell'importanza che questo impegno può assumere, ed anche per tentare di restituire la politica al mondo dei valori, ipotizzare un nuovo ordine mondiale, fondato sulla solidarietà e sulla giustizia.
Ne emerge, infatti, che il diritto all'acqua è una parte dell'etica di base di una buona società e di una buona economia, che esso deve contribuire al rafforzamento della solidarietà fra i popoli, le comunità, i Paesi, le generazioni, e perciò stesso favorisce la pace, evitando quei conflitti che nascono dalle ineguaglianze, fra cui drammatica quella dell'accesso e della distribuzione dell'acqua, e quindi della ricchezza. L'acqua è di fatto "res publica", è l'affare dei cittadini, che consente una maturazione dell'idea stessa di collettività e di sostenibilità, dal momento che impegnarsi in tale politica implica un alto grado di democrazia partecipativa.
La forza della denuncia profetica
Pur avendo sempre la sensazione di inadeguatezza e di impotenza, di fronte a queste problematiche così ampie e complesse, credo che non dobbiamo mai dimenticare l'invito alla denuncia profetica e alla lotta per l'abbattimento delle "strutture di peccato", che la Sollicitudo rei socialis esprime chiaramente, ad esempio quando afferma: "La Chiesa, che esercita il ministero dell'evangelizzazione in campo sociale, come un aspetto della sua vocazione profetica, denuncia i mali e le ingiustizie. (…)".[SRS n. 41(…)                
L'impegno, come sempre, è quello dell'informazione, dando voce ai movimenti di opinione; è quello della partecipazione, soprattutto a quanto si sta organizzando a livello locale, a partire dalle scelte politiche che si stanno compiendo nel nostro Paese, magari silenziosamente e fra il disinteresse generale: ne è un esempio l'attuazione della Legge Galli del 1994 e dell'art. 35 della Finanziaria 2002, che di fatto aprono alla privatizzazione del servizio idrico italiano.
Ancora una volta il "pensare mondialmente e l'agire localmente" può essere un significativo principio ispiratore, che ci apre al mondo, ma passa attraverso la concretezza della nostra vita quotidiana, delle nostre scelte di stili di vita alternativi, delle nostre scelte e azioni politiche.

Francesca



[1] Cf. MARTIRANI G., La civiltà della tenerezza, Mi 1997, pp.98-99

[2] Cf. ID., Il drago e l’agnello, Mi 2001, pp.59-62

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