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SETTEMBRE 2003

FRANCO MONACO: LETTERA AI VESCOVI INDIRIZZATA A RUINI

FRANCO MONACO: L'ITALIA PERDE DEMOCRAZIA E LA CHIESA TACE. LETTERA AI VESCOVI INDIRIZZATA A RUINI

Cari vescovi, perché tanto silenzio sull'Italia?

Caro Padre, col rispetto che si deve a chi è pastore e guida della comunità cristiana e, insieme con la sollecitudine e la passione che umilmente nutro per la Chiesa e la sua missione, cui insieme siamo chiamati nel segno di una comune, responsabile partecipazione, sento il dovere di metterla a parte di una viva preoccupazione. Essa verte sulla condizione e sulla sorte del nostro Paese. L'Italia sta attraversando una stagione singolarmente critica. Ansietà, conflitti, divisioni, incertezza sul futuro dominano gli animi. In specie, registro cinque punti di sofferenza che interpellano la nostra comune responsabilità.
Il principio-valore della legalità
, già storicamente fragile nella coscienza collettiva italiana è oggetto, come mai in passato, di dispregio e persino di aperte sistematiche viola­zioni da parte di settori cospicui della classe dirigente. Come non rammentare che, nel 1991, la Cei levò la sua profetica voce per ammonire ad "educare alla legalità"? Si trascurino pure le leggi ad personam (Cirami, rogatorie, Lodo Schifani), ma si considerino leggi quali il falso in bilancio, il rientro superagevolato dei grandi capitali illecitamente esportati, le sanatorie e i condoni di varia specie. Tutte misure che veicolano un messaggio devastante: violare le leggi è possibile, non è un gran problema, anzi fare i furbi a danno della comunità è conveniente. Eppure, da sempre e giustamente, la Chiesa ha cura di distinguere tra ciò che, pur legale, è tuttavia illecito e pone l'accento sulla valenza culturale ed educativa della legge, sul messaggio che essa incorpora e trasmette.
Secondo fronte critico: una lacerante divisione tra le istituzioni, tra gli attori politici, tra le forze sociali. Un conflitto endemico che lacera il tessuto sociale e intacca in radice gli stessi principi-valori costituzionali e democratici.
Terzo: una vistosa discontinuità nel ruolo e nell'azione dell'Italia nello scenario internazionale. Dal depotenziamento del suo storico europeismo, cui non era estranea l'ispirazione cristiana dei "padri" al principio internazionalista e della pace, con il fermo ripudio della guerra, scolpito dai costituenti nell'art. il della nostra Carta fondamentale.
In quarto luogo, la dilagante 'religione del mercato" il pensiero unico, l'approccio aziendalistico ai problemi e ai bisogni delle persone e delle comunità, mettono a rischio i diritti sociali dei soggetti più deboli, generano smagliature nella rete di sicurezza sociale, mettono in discussione l'idea stessa del carattere universalistico dei diritti di cittadinanza.
Infine, la comunicazione e la cultura di massa. La concentrazione patologica del potere mediatico in poche mani  fuori da ogni regola posta a presidio dell'interesse generale tutta informata all'imperativo dell'audience e della pubblicità, rappresenta non solo un problema per libertà, pluralismo, democrazia, ma anche un decisivo fattore di degrado morale e del costume, cui la comunità cristiana - un tempo sensibilissima - oggi sembra acconciarsi con colpevole rassegnazione.  
Difficile tacere la circostanza che questi punti di sofferenza" siano riconducibili a precise, imputabili responsabilità politiche. Con i loro nomi e cognomi. È ingeneroso notare un certo silenzio delle nostre Chiese su sfide ditale portata? Un vistoso
deficit nell'esercizio di una indeclinabile responsabilità nell'opera di discernimento e di illuminazione delle coscienze?  
Qua e là fa capolino un disagio diffuso, ma esso non prende forma, non prende parola in pubblico. Né si può confondere la doverosa alterità, l'irrinunciabile spirito universalistico della Chiesa, per natura e per missione al di sopra delle parti politiche, con l'ossessione dell'equidistanza, con l'accidia, con una equivoca neutralità rispetto a principi-valori umani e cristiani non negoziabili.  
In passato, in frangenti meno drammatici di questi, si sono levate alte e forti le voci di coscienze cristiane limpide e illuminate, da Lazzati a Dossetti. Ma non sono mancati moniti da parte degli stessi pastori. A mio modesto avviso, l'urgenza dell'ora ci chiede di "mettere fuori la faccia" di non cedere alla paralizzante ossessione di non essere percepiti come uomini "di parte". Perché, dentro un'emergenza, "starsene fuori" può corrispondere al massimo di appiattimento sulla parte che porta la responsabilità di quell'emergenza.
Mi permetto di porre il problema, con animo filiale, dunque con umiltà ma, insieme, col senso di responsabilità che è prescritto dall'amore che portiamo alla Chiesa e al nostro Paese. Perché mi è chiara la distinzione dei compiti e delle responsabilità sia tra la Chiesa e la comunità politica, sia, dentro la comunità cristiana, tra pastori e laici. Ma quando - come, a mio avviso, manifestamente in questo caso - sono minacciati principi-valori essenziali, di natura etica, della convivenza, in passato i pastori non si sono sottratti al dovere di orientare, ammonire, correggere. Perché la sorte della città dell'uomo, i diritti fondamentali delle persone e della comunità sono parte integrante della missione della Chiesa. E l'ora lo prescrive tanto più, in quanto si tratta di minacce abilmente mascherate che più facilmente fanno breccia in coscienze distratte o assopite.
Questo sentivo e sento il dovere di parteciparle, con animo rispettoso e filiale, privo di ogni sottinteso polemico, disponibile a correggermi se sto sbagliando.   
Franco Monaco

Franco Mona­co ex presidente dell'Azione Cattolica di Milano nonché autore della  rubrica Città dell'uomo, su Jesus  ( mensile dei Paolini)  Scrive questa lettera indirizzata ai vescovi cattolici (pubblicata sul mensile dei paolini "Jesus" -ottobre 2003) 
Le riflessioni di Monaco toccano alcuni punti fonda­mentali del dibattito sociale e politico italiano. Nel prossi­mo numero, Jesus aprirà le sue pagine a una serie di au­torevoli ospiti per proseguire la discussione sul tema

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