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SETTEMBRE 2004

ARMI E ARMI ANCORA

Disamina e analisi della Relazione 2004 sull'export di armi italiane.

Giorgio Beretta padre saveriano  
(dall’ultimo numero di Mosaico di Pace)

Un vero boom, è il caso di dirlo. Si tratta dell'export italiano di armi. Crescono quasi del 30% le consegne effettuate nel 2003 rispetto all'anno precedente passando dai 487,2 milioni di euro del 2002 ai 629,6 milioni di euro dello scorso anno. Ma soprattutto aumentano le nuove autorizzazioni che raggiungono la cifra record dell'ultimo quadriennio toccando 1 miliardo e 282 milioni di euro con un incremento che sfiora il 40% (39,36%) rispetto ai 920 milioni di euro del 2002 quando già si era registrato un aumento del 6,6% in confronto al 2001, anno in cui le autorizzazioni erano di circa 863 milioni di euro. Sono le cifre che si ricavano dall'ultima "Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento e dei prodotti ad alta tecnologia" trasmessa dalla Presidenza del Consiglio al Parlamento nel marzo scorso.
Un dato quanto mai preoccupante emerge già dall'esame dei Paesi destinatari delle armi made in Italy. Infatti, se al primo posto del portafoglio d'ordini compare la Grecia con circa 248 milioni di euro (pari al 19,35% del totale), la lista delle autorizzazioni governative prosegue con tre Paesi che sono ai primi posti nelle graduatorie delle violazioni dei diritti umani e delle restrizioni delle libertà civili: la Malesia, destinataria di commesse per circa 166 milioni di euro; la Cina che riceve autorizzazioni per oltre 127 milioni e l'Arabia Saudita con 109 milioni di euro.
Dai vari rapporti di Human Right Watch si apprende che in Malesia, dove per vent'anni è perdurato il regime autoritario del primo ministro Mahathir bin Mohamad, vi sono tuttora "detenzioni arbitrarie di oppositori politici, maltrattamenti e casi di tortura" e Reporter senza Frontiere segnala le persistenti limitazioni alla libertà di stampa del Paese asiatico. Per la Relazione governativa, invece, la Malesia rappresenta "un mercato di notevole interesse per la produzione italiana" destinatario di una "rilevante fornitura di siluri tipo 'Black Shark' della Whitehead Alenia per un ammontare di oltre 87,5 milioni di euro".

Cina e dintorni...
Ancor più  esplicita è la violazione della legge italiana ed europea sul commercio delle armi da parte del Governo nel caso della Cina. La riforma della legge 185/90 apportata lo scorso giugno prevede infatti che l'Italia non esporti armi a Paesi "nei cui confronti sia stato dichiarato l'embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite o dell'Unione europea".
E proprio verso la Repubblica popolare cinese è in vigore un embargo di armi deciso dalla Comunità europea già nel 1989 dopo la strage di piazza Tienanmen e riconfermato lo scorso dicembre dal voto e da una specifica dichiarazione del Parlamento Europeo (approvata con 373 voti a favore, 32 contrari e 29 astensioni) nella quale si afferma che "la situazione dei diritti umani in Cina resta insoddisfacente, le violazioni delle libertà fondamentali continuano, così come continuano le torture, i maltrattamenti e le detenzioni arbitrarie".
Una denuncia, tra l'altro, ribadita da un documento ufficiale presentato nelle scorse settimane a Bruxelles da Amnesty International nel quale Amnesty ricorda come "la situazione dei diritti umani in Cina presenta ancora un quadro terrificante: centinaia di migliaia di persone continuano a essere arrestate in 
tutto il Paese in violazione dei fondamentali diritti umani; condanne a morte ed esecuzioni hanno luogo regolarmente al termine di processi irregolari; i maltrattamenti e le torture sono tuttora diffusi e sistematici; la libertà di espressione e di informazione resta fortemente limitata". Vien da chiedersi, perciò, in base a quali criteri l'attuale
Governo possa permettere la vendita di armi italiane alla Cina: si tratta di sette autorizzazioni per oltre 22,8 milioni di euro rilasciate nel 2002, alle quali vanno aggiunte altre tre rilasciate lo scorso anno del valore complessivo di ben 127 milioni di euro.
Stupisce non poco trovare scritto a pag. 16 della Relazione governativa che "anche nel 2003, fra le autorizzazioni rilasciate, oltre a non esserci alcun Paese rientrante nelle categorie indicate nell'articolo 1 della legge, il Governo ha mantenuto una posizione di cautela verso i Paesi in stato di tensione". Il Governo, si sarebbe avvalso "per i casi più delicati" del contributo di un "Comitato interdirezionale costituito all'interno del Ministero degli affari esteri e presieduto dal Sottosegretario di Stato delegato". Forse al Comitato e al Sottosegretario sarà sfuggito che è in atto un esplicito embargo dell'UE verso la Cina.

La Campagna Banca Armate
Una notizia positiva: scompaiono dall'elenco tre istituti bancari che rispondendo all'appello della Campagna di pressione alle banche armate, promossa da Mosaico di Pace insieme a Nigrizia e Missione Oggi, hanno formalmente dichiarato di voler cessare i propri servizi per operazioni di compravendita di armi.
Si tratta di Monte dei Paschi di Siena, Cassa di Risparmio di Firenze e Banca Popolare di Bergamo-Credito Varesino.
Chi invece, continua a comparire nella tabella delle "nuove autorizzazioni" è Unicredit Banca d'Impresa che con 39 operazioni del valore complessivo di 30,1 milioni euro si aggiudica per il 2003 uno share del 4,2%. È venuto il momento che Unicredit cominci a fornire qualche dettaglio in merito a queste operazioni visto che le dichiarazioni dei dirigenti della banca di voler cessare l'appoggio al commercio delle armi risalgono al 2000. Finora la spiegazione è stata che si tratta di "portare a termine impegni assunti negli anni precedenti".
Dottor Profumo, fino a quando dobbiamo aspettare?

 

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