Don
Giuseppe Dossetti nacque il 13 febbraio 1913 a Genova dove il padre si era
trasferito per ragioni contingenti Giovane
di Azione Cattolica, a 21 anni è già laureato, a Bologna, in
Giurisprudenza. Poi è in Cattolica a Milano, professore incaricato di
diritto ecclesiastico. E' un uomo che brucia le tappe. E che non si
rifugia in facili neutralismi, quando la coscienza dice che è il momento
di fare la guerra: antifascista, è presidente del CLN di Reggio Emilia;
rifiuterà sempre però di portare le armi. La sua carriera politica nella
Democrazia Cristiana è rapidissima: vice segretario del partito nel 1945.
Sempre
nel 1945 Dossetti è chiamato a fare
parte della Consulta Nazionale e poi della "Commissione dei '75"
per la stesura della Costituzione. Nonostante la lucidità e l'acume che
contraddistinsero poi la sua attività di politico e parlamentare nelle
file della Democrazia Cristiana, a soli 39 anni Dossetti si ritira dalla
vita politica: nel 1959 viene ordinato sacerdote e celebra la sua prima
messa nella Parrocchia di S. Terenziano a Cavriago. Fu
anche anche chiamato al Concilio Ecumenico Vaticano II dal cardinale
Lercaro, che lo volle con sè come suo perito personale. Al concilio don
Giuseppe Dossetti non si limitò a dare le sue competenze di giurista,
formulando proposte per lo svolgimento dei lavori conciliari (Ordo
Concilii), ma espresse anche la sua ansia e la sua aspirazione per una
Chiesa che fosse "povera" per essere realmente "Chiesa dei
poveri". La sua vita ascetica era la migliore testimonianza della
purezza di questo suo desiderio. Ma la sua presenza al Concilio non è
sopportata in alcuni ambienti e Dossetti si ritira, come sempre in
silenzio, senza contestazioni. Pro-vicario della sua diocesi, si dedica
sempre con passione alla vita della sua comunità, nella ferma volontà
che rimanga sempre saldamente radicata al Vangelo, in fedeltà creativa al
Concilio e ai segni dei tempi da discernere.Costituisce a
Monteveglio il primo nucleo della Piccola Famiglia dell'Annunziata e
sceglie il ritiro monacale e il definitivo silenzio dalla vita pubblica e
politica. Nel 1985 stabilisce un insediamento anche a Casaglia di Montesole,
teatro, negli anni bui, di un eccidio nazista. Nessun insediamento è
casuale; Dossetti, anche da religioso, è sempre una spina nel fianco, è
sempre un testardo testimone dell'amore per Cristo e quindi per l'uomo.
Testimone sul luogo in cui non dimenticare l'abisso nazista, testimone a
Gerico sui territori occupati nella guerra dei Sei Giorni da Israele , a
cui ricordare in silenzio il primato dell'Amore sulla forza.All'alba del 15 dicembre 1996 Don Giuseppe Dossetti si spegne
con il conforto dei fratelli e delle sorelle della Piccola Comunità di
Monteveglio. Tre giorni dopo verrà sepolto nel cimitero di Casaglia a
Monte Sole.
Brano
tratto dal discorso tenuto il 15 settembre 1985, giorno in cui il card.
Biffi consegnò alla Piccola Famiglia dell'Annunziata, la pisside «schiacciata
e colpita dai proiettili, trovata sotto le macerie della chiesa di Santa
Maria Assunta di Casaglia.»
Eminenza
e Venerato Padre, […]
esattamente un anno fa, Ella ci dava il mandato di venire e restare qui a
rappresentarvi tutta la comunità diocesana, con il compito dell'orazione
di suffragio per tutti quanti hanno imporporato del loro sangue non solo
questi luoghi ma tutta la regione, col compito della preghiera per la
concordia tra i popoli e per la conversione dei cuori, col compito di dare
a quanti vengono qui pellegrini l'annuncio della pace, della pace
messianica.
[…] Lei, venerato Padre, ci consegna il corpo del Signore nella pisside
schiacciata e colpita dai proiettili, trovata sotto le macerie della
chiesa di Santa Maria Assunta di Casaglia
Noi, ricevendola da Lei, la riceviamo idealmente da don Ubaldo Marchioni
che fu l'ultimo a toccarla, poco prima dell'olocausto, nel giorno di san
Michele del 1944: egli la vuotò, questa pisside, distribuendo il corpo di
Cristo alla comunità riunita nella chiesa. Quasi immediatamente dopo egli
fu ucciso sull'altare, e la comunità di donne, di vecchi e di bambini fu
sterminata!
Quindi, tramite Lei, la riceviamo anche da tutte le altre comunità di
fedeli e dai loro pastori morti in quei tragici giorni: li vogliamo
nominativamente ricordare ancora una volta: oltre a don Ubaldo Marchioni,
don Giovanni Fornasini, don Ferdinando Casagrande, p. Elia Comini e p.
Martino Capelli.
Questa sera li sentiremo ben presenti, e speriamo che entrino con noi a
prendere possesso della “Casetta”: soprattutto sentiamo presenti le
anime dei bimbi, i cui angeli vedevano e vedono la faccia del Padre che è
nei cieli (cfr. Mt 18, 10). Nella nostra adorazione speriamo di essere
circondati e sostenuti dalla loro adorazione, per trarne ispirazione di
purezza, di umiltà, di offerta sacrificale veramente immacolata e
irreprensibile. Soprattutto da loro, che secondo la parola del Signore
sono “i più grandi nel regno dei cieli”, ci proponiamo di trarre
incitamento e aiuto per conservarci sempre in una autentica piccolezza
evangelica.
Mentre la ringraziamo ancora, La preghiamo di guidare e mantenere con
mano ferma tutta la nostra Famiglia e il nucleo che si insedia quassù, in
questa via di rinuncia fedele e di concreta piccolezza, che ci farà -
speriamo - capaci di mitezza, di mansuetudine, di discrezione, di rispetto
religioso verso tutti.
Soltanto così noi potremo da qui contribuire a - quella pace che non sia
per il nostro peccato né pace di parte né irenismo ambiguo, pace che non
è astratta ma concretissima, perché è una persona, è lui stesso, il
Signore Cristo.
Brani tratti: dall’introduzione
di don G. Dossetti a “Le querce di Monte Sole”
Per
ricordare bene, per agire bene.
La
prima cosa da fare, in modo molto risoluto, sistematico, profondo e vasto,
è l'impegno per una lucida coscienza storica e perciò ricordare: rendere
testimonianza in modo corretto degli eventi.
A tutti i livelli. Dalla pura ma rigorosa ricostruzione dei fatti, alla
loro documentazione, rielaborazione e rimeditazione sul piano storico e
sul piano politico, e finalmente su quello filosofico e teologico. Corona
di tutto questo “ricordare” deve essere la memoria espressa, non
occasionale ma costante, nella preghiera, individuale e comunitaria. Non
si deve pensare che ciò contrasti col tassativo dovere cristiano di
perdonare e di avvolgere tutto, qualsiasi cosa, anche la più tremenda, in
un'atmosfera viva e conseguente di vera pace cristiana. (…)
In secondo luogo, il ricordo deve essere continuato, divulgato e deve
assumere sempre più ispirazione, scopi e forme comunitarie, cioè per
noi, ecclesiali.
Non basta un ricordo e una testimonianza individuale e neppure tante
testimonianze che si moltiplichino; deve esserci la memoria comunitaria,
la memoria della Chiesa. Perciò il libro di Gherardi ha un pregio
particolare e può contribuire già non solo alla diagnosi, ma anche a una
certa terapia preliminare: perché il suo oggetto, come abbiamo rilevato,
è la comunità cristiana.
Ciò che conta e che veramente edifica è il fatto che come sono stati
comunitari gli eventi, così la loro memoria sia ricevuta, incorporata e
assimilata dalla memoria e dalla testimonianza della Chiesa in quanto
tale. E perché questo avvenga e sia efficace e salvifico, occorre che la
Chiesa assuma questi fatti, anche scrutando e confessando le proprie colpe
a monte e in atto e persino post-factum. Occorre perciò che la comunità
cristiana non li assuma con una dialettica esterna (cioè in contrasto con
qualcuno) e neppure interna - con turbamento, rossore, reticenze - ma con
una sincerità incondizionata e progressivamente sempre più
sovrannaturale: allora non sarà una veridicità solo umana, ma sarà un
parlare “come mossi da Dio, sotto lo sguardo di Dio, in Cristo”
Dalla
coscienza storica alla testimonianza personale.
In terzo luogo, occorre proporsi di conservare una coscienza non
solo lucida, ma vigile, capace di opporsi a ogni inizio di sistema di male
finché ci sia tempo.
Una memoria adeguatamente recepita dalla comunità cristiana è
indispensabile per reagire tempestivamente a tutto ciò che ha in sé
potenza di coagulo negativo, sistematico, anche se, specie in particolari
congiunture storiche, presentasse certe ambivalenze e persino certi
vantaggi seduttori per la Chiesa (…)
Pio XI aveva già individuato e denunciato con l'enciclica Mit brennender
Sorge nel nazismo non solo una serie di errori dottrinali ma anche una
volontà di “lotta fino all'annientamento” del cristianesimo. (…)
Non aver ripreso e avvalorato quel giudizio, in quel momento - fu
indubbiamente un caso significativo di mancanza di vigilanza lucida e
preveniente contro il “male sistematico”.Tale vigilanza con ogni
probabilità non avrebbe evitato certe catastrofi, ma avrebbe per lo meno
in ogni caso fatta salva la funzione di testimonianza e conservato alla
Chiesa, in quella circostanza, il suo ruolo più proprio, più evangelico,
moltiplicando energie disperse all'interno della Chiesa e dell'opinione
pubblica mondiale, cose alle quali i nazisti e Hitler
stesso mostrarono di
non essere del tutto insensibili (…)
Anche riguardo a questo non si vuole sostituire un facile giudizio a
posteriori, ma soltanto affermare che in condizioni di innegabili (ma non
imprevedibili) necessità, piuttosto che tacere tutti, occorre che
qualcuno si assuma l'iniziativa, non per velleità di protagonismo, ma con
cuore umile e mosso solo da parrhesia evangelica - di professare
pubblicamente la legge evangelica dell'amore e del rispetto dovuto ad ogni
uomo.
In quarto luogo, occorre compiere una revisione rigorosa di tutto il
proprio patrimonio culturale e specialmente religioso, purificandolo
radicalmente da ogni infiltrazione emotiva e da ogni elemento spurio, che
non attenga al nucleo essenziale della fede e che possa favorire anche
solo in. maniera indiretta ritorni materialistici o idealistici capaci di
alimentare miti classisti, nazionalisti, razzisti, ecc.
Questa revisione e già in corso nel seno delle Chiese cristiane, e
specialmente nella Chiesa Cattolica dal Concilio Vaticano II in poi: ma e
ancora inadeguatamente svolta e soprattutto insufficientemente
divulgata. E anzi in questi ultimi tempi, nonostante il Concilio, si può
avere l’impressione che non poche Chiese locali, del vecchio e del nuovo
mondo, rischino di ridursi a un piatto spirito nazionalistico, che non ha
niente a che vedere con una autentica pluriformità propriamente
ecclesiale e spirituale.
Ci resta da dire ciò che dovrebbero fare, in ogni caso, i cristiani — i
singoli e le Chiese — alla luce di eventi come quelli di Monte Sole.
Procederemo solo per accenni: perché ormai se ne parla da alcuni anni,
anche se certamente c’è ancora molto da fare nel chiarimento dottrinale
(storico, teologico ed esegetico) e ancora più nelle iniziative o negli
orientamenti. pratici (dove regna ancora molta improvvisazione, sia pure
ben intenzionata, ma non per questo meno confusa).
La prima cosa da fare, in modo molto risoluto, sistematico, profondo e
vasto, e l’impegno per una lucida coscienza storica e perciò ricordare:
rendere testimonianza in modo corretto degli eventi.
A tutti i livelli. Dalla pura ma rigorosa ricostruzione dei fatti,
alla loro documentazione, rielaborazione e rimeditazione sul piano storico
e sui piano politico, e finalmente su quello filosofico e teologico.
Corona di tutto questo ricordare deve essere la memoria espressa, non
occasionale ma costante, nella preghiera, individuale e comunitaria.
Non si deve pensare che ciò contrasti col tassativo dovere cristiano di
perdonare e di avvolgere tutto, qualsiasi cosa, anche La più tremenda, in
un’atmosfera viva e conseguente di vera pace cristiana.
Elie Wiesel anche in questo può insegnarci. Egli per esempio non ha
concordato col processo israeliano ad Eichmann, pur essendo ben convinto
che Eichmann era colpevole, anzi l’incarnazione del male. Ha visto
Eichmann due volte: una alla stazione di Sighet mentre partiva il suo
treno con gli altri ebrei deportati, e l’altra a Gerusalemme durante il
processo. Eppure Wiesel dice di avere abbassato lo sguardo davanti ad
Eichmann, perché ha sentito «paura di se stesso» e delle proprie
potenze di male, della possibilità di divenire anche lui un carnefice, e
ha sentito La colpevolezza di tutti fuorché dei morti: tutti quanti
eravamo vivi allora e non siamo morti, per il fatto solo di essere vivi,
abbiamo una certa misura di colpa. I morti solo sono innocenti.
Si sarà osservato che in queste pagine io mi sono dato cura il più
possibile di non fare mai un nome delle persone colpevoli, morte o viventi
che siano: appunto per La convinzione che a Monte Sole innocenti in
assoluto siano stati solo gli uccisi e specialmente i bimbi.
Ma questo radicatissimo convincimento e lo stesso che mi fa dire che non
le persone singole ma il sistema — ciò che impersonalmente ho sempre
chiamato il III Reich — e le SS come il corpo scelto dei suoi
sacrificatori specializzati, quelli sì bisogna ricordarli. Bisogna
studiarli, enuclearli, scoprirne sempre meglio le origini, Le occasioni,
le implicazioni, i fatti, le procedure; per rendere sempre più evidenti e
inconfutabili le responsabilità del sistema e per poterci sempre più
convincere come e perché, e con quali complicità, anche nostre,
esplicite o implicite, prossime e remote, coscienti e incoscienti, abbiano
potuto verificarsi queste catastrofi umane.
Tutto questo non può turbare la pace, personale o comunitaria, ma è
l’unica via autentica per fondarla ed edificarla stabilmente.
Comunità di fede e di resistenza.
... La prima cosa che colpisce è che «soggetto di questa storia
è la comunità nel suo insieme: la gente umile e inerme, che trema come
una foglia, ma reagisce in modo splendido»: le vittime di Monte Sole sono
state intere comunità unite precipuamente dal vincolo religioso che le
qualificava e che nell'ora estrema è emerso - con molta semplicità e
senza enfasi - in modo inequivoco attraverso qualche originale e
inimitabile elemento di vita, proprio di ognuna di esse, sempre
caratterizzate come comunità di fede.
A Casaglia la strage è compiuta prelevando la gente dalla chiesa, dopo la
preghiera eucaristica presieduta dal sacerdote, Ubaldo Marchioni, alla sua
volta sacrificato ai piedi dell'altare.
A Cerpiano le vittime sono state riunite e massacrate nell'oratorio
dell'asilo dedicato all'Angelo Custode.
A Salvaro e a Malfolle un teste ricorderà, nei giorni precedenti, «chiesate
piene di gente». Dopo gli arresti e la selezione che li stiperà nella
scuderia antistante la chiesa, gli inabili, le braccia inutili e due
preti, don Elia Comini e padre Martino Capelli, furono portati nella
canapiera, La cisterna della filanda fu trasformata in poligono di tiro:
don Elia intonò le Litanie della Vergine e padre Martino, già colpito a
morte, si alzò dal fango della botte premendosi con una mano il ventre
orribilmente squarciato e «con l'altra tracciò un segno di croce ampio e
solenne sulle vittime della carneficina». Ben a ragione, a questo punto,
Luciano Gherardi fa osservare «la carità esercitata giorno per giorno
fino al sacrificio, la fraternità sacerdotale e religiosa, il morire
pregando e benedicendo, la comunione totale in vita e in morte con il
popolo affidato per una sola estate, e quasi per caso, al loro
ministero»: comunione fra tutti effettiva e reale, voluta ed operata non
da una forza umana, ma dallo stesso Cristo Signore.
Le comunità, dunque, in quanto tali rivivono principalmente come
comunità di fede.
È ovvio che si stagliano sul loro sfondo tanti protagonisti o comprimari:
non solo in ambito ecclesiale, ma anche in ambito civile, sociale,
educativo e resistenziale.
I cinque sacerdoti caduti e tutta la catena dei pastori precedenti: dì
ciascuno dei quali è colta, almeno per qualche accenno o sviluppo, la
fisionomia propria; e poi gli amministratori comunali, i promotori della
incipiente rete di organizzazioni sociali e sindacali; le maestre; i capi
delle formazioni partigiane.
Il senso della Fede
nella storia.
... A questo punto sorge proprio il problema più grave dì tutti. Mentre
i riti demoniaci si celebravano in tutta
Europa e dovunque il III Reich imperava e arrivavano i suoi sacrificatori,
le SS, si immolavano le loro vittime, intanto il Dio unico e vero, il Dio
di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Gesù Cristo, dove era? E per
quanto invocato e supplicato - soprattutto da tanti innocenti, e con le
parole più sante e più efficaci, perché da Lui
stesso ispirate, e già tantissime volte esaudite nei Padri - perché
rimaneva muto, come muti dovrebbero essere invece solo gli idoli?
... La fede che la vita per l'uomo credente - ebreo o cristiano - sta
nella parola che Dio incessantemente gli rivolge, come si può conciliare
con questo ostinato silenzio dei Dio vivente? In tutta quell'Europa che
per migliaia di anni aveva riecheggiato, più di qualunque altra parte
della terra, di questa Parola di Dio!
E come si può conciliare, per il cristiano, con l'avvento di Cristo e con
la sua già avvenuta vittoria sulle Potenze negative divenute «pubblico
spettacolo dietro al suo corteo trionfale» (Col. 2,14-15), questo
scatenamento delle loro forze che sembra travolgere tutto e tutti?
Era o non era ancora valida la promessa pasquale di Colui che aveva detto:
«è la Pasqua dei Signore. In quella notte io passerò per il paese
d'Egitto e colpirò ogni primogenito nel paese d'Egitto»; non solo, ma
aveva soggiunto «così farò giustizia di tutti gli dei dell'Egitto. lo
sono il Signore» ? (Es. 12,12).
... È un dato
incontestabile che Auschwitz non è stato un puro episodio isolato se pure
tremendo e nemmeno un certo periodo della storia moderna, ma un punto di
svolta, un'era nuova, in cui il progresso tecnologico, la pianificazione
politica, gli odierni sistemi burocratici, e l'assoluta scomparsa di
vincoli morali tradizionali si sono combinati per rendere la distruzione
umana di massa una possibilità sempre presente.
Se ad Auschwitz si aggiunge Hiroshirna - e quello che in questi
quarant’anni dal 6 agosto 1945 si è fatto per accrescere le potenzialità
distruttive in mano all'uomo - il problema si fa ancora più stringente, e
sembra raggiungere il limite non solo della Impossibilità di risolverlo,
ma della stessa impossibilità di formularlo. 0 non ci si pensa, o se ci
si pensa è tremendo e ineffabile.
... Eppure, dice Neher, la fede nasce proprio in questo punto e fa
germinare il Sì dalle radici dei No.
Sulla scia del midrash Neher rovescia il versetto della Presenza: «Chi è
come Te fra gli dei» nel versetto
dell'Assenza: «Chi è come Te fra i muti». t a questo punto e in questo
totale rovesciamento che nasce la fede nuda e vera.
…Ancora più esplicito, e soprattutto più argomentato, è il libro di
Jurgen Moltrnann, il Dio crocifisso, secondo il quale oggi dopo non
sarebbe più possibile fare teologia se Dio stesso non fosse stato ad
Auschwìtz soffrendo con i martirizzati e gli assassinati.
Ecco l'unica risposta, o meglio la direzione in cui può essere ricercata
una risposta valida, in cui può essere effettuato un recupero non
superficiale e non occasionale: ossia un recupero permanente, più ancora
che della teologia, della fede, oggi dopo.
Con tutte le conseguenze. Anzitutto che nella incarnazione «fino alla
morte di croce» non ci ritroviamo di fronte a
un nascondimento di Dio, ma all'alienazione del suo abbassamento, dove
egli si ritrova interamente presso di sé e interamente nell'altro, nei
non-uominí. L'umiliazione fino alla morte di croce risponde all'essenza
di Dio nella contraddizione dell'abbandono.
Link utili
www.dossetti.eu/