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Biografia
Discorso del 15 settembre 1985
Per ricordare bene per agire bene
Dalla coscienza storica alla testimonianza personale
Comunità di fede e di resistenza
Il senso della fede nella storia
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Pagina Iniziale

don Giuseppe DossettiDon Giuseppe Dossetti nacque il 13 febbraio 1913 a Genova dove il padre si era trasferito per ragioni contingenti Giovane di Azione Cattolica, a 21 anni è già laureato, a Bologna, in Giurisprudenza. Poi è in Cattolica a Milano, professore incaricato di diritto ecclesiastico. E' un uomo che brucia le tappe. E che non si rifugia in facili neutralismi, quando la coscienza dice che è il momento di fare la guerra: antifascista, è presidente del CLN di Reggio Emilia; rifiuterà sempre però di portare le armi. La sua carriera politica nella Democrazia Cristiana è rapidissima: vice segretario del partito nel 1945. Sempre nel 1945 Dossetti è chiamato a fare parte della Consulta Nazionale e poi della "Commissione dei '75" per la stesura della Costituzione. Nonostante la lucidità e l'acume che contraddistinsero poi la sua attività di politico e parlamentare nelle file della Democrazia Cristiana, a soli 39 anni Dossetti si ritira dalla vita politica: nel 1959 viene ordinato sacerdote e celebra la sua prima messa nella Parrocchia di S. Terenziano a Cavriago. Fu anche anche chiamato al Concilio Ecumenico Vaticano II dal cardinale Lercaro, che lo volle con sè come suo perito personale. Al concilio don Giuseppe Dossetti non si limitò a dare le sue competenze di giurista, formulando proposte per lo svolgimento dei lavori conciliari (Ordo Concilii), ma espresse anche la sua ansia e la sua aspirazione per una Chiesa che fosse "povera" per essere realmente "Chiesa dei poveri". La sua vita ascetica era la migliore testimonianza della purezza di questo suo desiderio. Ma la sua presenza al Concilio non è sopportata in alcuni ambienti e Dossetti si ritira, come sempre in silenzio, senza contestazioni. Pro-vicario della sua diocesi, si dedica sempre con passione alla vita della sua comunità, nella ferma volontà che rimanga sempre saldamente radicata al Vangelo, in fedeltà creativa al Concilio e ai segni dei tempi da discernere.Costituisce a Monteveglio il primo nucleo della Piccola Famiglia dell'Annunziata e sceglie il ritiro monacale e il definitivo silenzio dalla vita pubblica e politica. Nel 1985 stabilisce un insediamento anche a Casaglia di Montesole, teatro, negli anni bui, di un eccidio nazista. Nessun insediamento è casuale; Dossetti, anche da religioso, è sempre una spina nel fianco, è sempre un testardo testimone dell'amore per Cristo e quindi per l'uomo. Testimone sul luogo in cui non dimenticare l'abisso nazista, testimone a Gerico sui territori occupati nella guerra dei Sei Giorni da Israele , a cui ricordare in silenzio il primato dell'Amore sulla forza.All'alba del 15 dicembre 1996 Don Giuseppe Dossetti si spegne con il conforto dei fratelli e delle sorelle della Piccola Comunità di Monteveglio. Tre giorni dopo verrà sepolto nel cimitero di Casaglia a Monte Sole.

Brano tratto dal discorso tenuto il 15 settembre 1985, giorno in cui il card. Biffi consegnò alla Piccola Famiglia dell'Annunziata, la pisside «schiacciata e colpita dai proiettili, trovata sotto le macerie della chiesa di Santa Maria Assunta di Casaglia.»

Eminenza e Venerato Padre, […]
esattamente un anno fa, Ella ci dava il mandato di venire e restare qui a rappresentarvi tutta la comunità diocesana, con illa pisside «schiacciata e colpita dai proiettili, trovata sotto le macerie della chiesa di Santa Maria Assunta di Casaglia.» compito dell'orazione di suffragio per tutti quanti hanno imporporato del loro sangue non solo questi luoghi ma tutta la regione, col compito della preghiera per la concordia tra i popoli e per la conversione dei cuori, col compito di dare a quanti vengono qui pellegrini l'annuncio della pace, della pace messianica.
[…] Lei, venerato Padre, ci consegna il corpo del Signore nella pisside schiacciata e colpita dai proiettili, trovata sotto le macerie della chiesa di Santa Maria Assunta di Casaglia
Noi, ricevendola da Lei, la riceviamo idealmente da don Ubaldo Marchioni che fu l'ultimo a toccarla, poco prima dell'olocausto, nel giorno di san Michele del 1944: egli la vuotò, questa pisside, distribuendo il corpo di Cristo alla comunità riunita nella chiesa. Quasi immediatamente dopo egli fu ucciso sull'altare, e la comunità di donne, di vecchi e di bambini fu sterminata!
Quindi, tramite Lei, la riceviamo anche da tutte le altre comunità di fedeli e dai loro pastori morti in quei tragici giorni: li vogliamo nominativamente ricordare ancora una volta: oltre a don Ubaldo Marchioni, don Giovanni Fornasini, don Ferdinando Casagrande, p. Elia Comini e p. Martino Capelli.
Questa sera li sentiremo ben presenti, e speriamo che entrino con noi a prendere possesso della “Casetta”: soprattutto sentiamo presenti le anime dei bimbi, i cui angeli vedevano e vedono la faccia del Padre che è nei cieli (cfr. Mt 18, 10). Nella nostra adorazione speriamo di essere circondati e sostenuti dalla loro adorazione, per trarne ispirazione di purezza, di umiltà, di offerta sacrificale veramente immacolata e irreprensibile. Soprattutto da loro, che secondo la parola del Signore sono “i più grandi nel regno dei cieli”, ci proponiamo di trarre incitamento e aiuto per conservarci sempre in una autentica piccolezza evangelica.
Mentre la ringraziamo ancora, La preghiamo di guidare e mantene­re con mano ferma tutta la nostra Famiglia e il nucleo che si insedia quassù, in questa via di rinuncia fedele e di concreta piccolezza, che ci farà - speriamo - capaci di mitezza, di mansuetudine, di discrezione, di rispetto religioso verso tutti.
Soltanto così noi potremo da qui contribuire a - quella pace che non sia per il nostro peccato né pace di parte né irenismo ambiguo, pace che non è astratta ma concretissima, perché è una persona, è lui stesso, il Signore Cristo.

Brani tratti: dall’introduzione di don G. Dossetti a “Le querce di Monte Sole”  

Per ricordare bene, per agire bene.
La prima cosa da fare, in modo molto risoluto, sistematico, profondo e vasto, è l'impegno per una lucida coscienza storica e perciò ricordare: rendere testimonianza in modo corretto degli eventi.
A tutti i livelli. Dalla pura ma rigorosa ricostruzione dei fatti, alla loro documentazione, rielaborazione e rimeditazione sul piano storico e sul piano politico, e finalmente su quello filosofico e teologico. Corona di tutto questo “ricordare” deve essere la memoria espressa, non occasionale ma costante, nella preghiera, individuale e comunitaria. Non si deve pensare che ciò contrasti col tassativo dovere cristiano di perdonare e di avvolgere tutto, qualsiasi cosa, anche la più tremenda, in un'atmosfera viva e conseguente di vera pace cristiana. (…)  
In secondo luogo, il ricordo deve essere continuato, divulgato e deve assumere sempre più ispirazione, scopi e forme comunitarie, cioè per noi, ecclesiali.
Non basta un ricordo e una testimonianza individuale e neppure tante testimonianze che si moltiplichino; deve esserci la memoria comunitaria, la memoria della Chiesa. Perciò il libro di Gherardi ha un pregio particolare e può contribuire già non solo alla diagnosi, ma anche a una certa terapia preliminare: perché il suo oggetto, come abbiamo rilevato, è la comunità cristiana.  
Ciò che conta e che veramente edifica è il fatto che come sono stati comunitari gli eventi, così la loro memoria sia ricevuta, incorporata e assimilata dalla memoria e dalla testimonianza della Chiesa in quanto tale. E perché questo avvenga e sia efficace e salvifico, occorre che la Chiesa assuma questi fatti, anche scrutando e confessando le proprie colpe a monte e in atto e persino post-factum. Occorre perciò che la comunità cristiana non li assuma con una dialettica esterna (cioè in contrasto con qualcuno) e neppure interna - con turbamento, rossore, reticenze - ma con una sincerità incondizionata e progressivamente sempre più sovrannaturale: allora non sarà una veridicità solo umana, ma sarà un parlare “come mossi da Dio, sotto lo sguardo di Dio, in Cristo”

Dalla coscienza storica alla testimonianza personale.
In terzo luogo, occorre proporsi di conservare una coscienza non solo lucida, ma vigile, capace di opporsi a ogni inizio di sistema di male finché ci sia tempo.

Una memoria adeguatamente recepita dalla comunità cristiana è indispensabile per reagire tempestivamente a tutto ciò che ha in sé potenza di coagulo negativo, sistematico, anche se, specie in particolari congiunture storiche, presentasse certe ambivalenze e persino certi vantaggi seduttori per la Chiesa (…)  
Pio XI aveva già individuato e denunciato con l'enciclica Mit brennender Sorge nel nazismo non solo una serie di errori dottrinali ma anche una volontà di “lotta fino all'annientamento” del cristianesimo. (…)  
Non aver ripreso e avvalorato quel giudizio, in quel momento - fu indubbiamente un caso significativo di mancanza di vigilanza lucida e preveniente contro il “male sistematico”.Tale vigilanza con ogni probabilità non avrebbe evitato certe catastrofi, ma avrebbe per lo meno in ogni caso fatta salva la funzione di testimonianza e conservato alla Chiesa, in quella circostanza, il suo ruolo più proprio, più evangelico, moltiplicando energie disperse all'interno della Chiesa e dell'opinione pubblica mondiale, cose alle quali i nazisti e Hitler  stesso mostrarono  di non essere del tutto insensibili (…)
Anche riguardo a questo non si vuole sostituire un facile giudizio a posteriori, ma soltanto affermare che in condizioni di innegabili (ma non imprevedibili) necessità, piuttosto che tacere tutti, occorre che qualcuno si assuma l'iniziativa, non per velleità di protagonismo, ma con cuore umile e mosso solo da parrhesia evangelica - di professare pubblicamente la legge evangelica dell'amore e del rispetto dovuto ad ogni uomo.  

In quarto luogo, occorre compiere una revisione rigorosa di tutto il proprio patrimonio culturale e specialmente religioso, purificandolo radicalmente da ogni infiltrazione emotiva e da ogni elemento spurio, che non attenga al nucleo essenziale della fede e che possa favorire anche solo in. maniera indiretta ritorni materialistici o idealistici capaci di alimentare miti classisti, nazionalisti, razzisti, ecc.
Questa revisione e già in corso nel seno delle Chiese cristiane, e specialmente nella Chiesa Cattolica dal Concilio Vaticano II in poi: ma e ancora inadeguatamente svolta e soprattutto insuffi­cientemente divulgata. E anzi in questi ultimi tempi, nonostante il Concilio, si può avere l’impressione che non poche Chiese locali, del vecchio e del nuovo mondo, rischino di ridursi a un piatto spirito nazionalistico, che non ha niente a che vedere con una autentica pluriformità propriamente ecclesiale e spirituale.

Ci resta da dire ciò che dovrebbero fare, in ogni caso, i cristiani — i singoli e le Chiese — alla luce di eventi come quelli di Monte Sole. Procederemo solo per accenni: perché ormai se ne parla da alcuni anni, anche se certamente c’è ancora molto da fare nel chiarimento dottrinale (storico, teologico ed esegetico) e ancora più nelle iniziative o negli orientamenti. pratici (dove regna ancora molta improvvisazione, sia pure ben intenzionata, ma non per questo meno confusa).
La prima cosa da fare, in modo molto risoluto, sistematico, profondo e vasto, e l’impegno per una lucida coscienza storica e perciò ricordare: rendere testimonianza in modo corretto degli eventi.
A tutti i livelli. Dalla pura ma rigorosa ricostruzione dei fatti, alla loro documentazione, rielaborazione e rimeditazione sul piano storico e sui piano politico, e finalmente su quello filosofico e teologico. Corona di tutto questo ricordare deve essere la memoria espressa, non occasionale ma costante, nella preghiera, individuale e comunitaria.
Non si deve pensare che ciò contrasti col tassativo dovere cristiano di perdonare e di avvolgere tutto, qualsiasi cosa, anche La più tremenda, in un’atmosfera viva e conseguente di vera pace cristiana.
Elie Wiesel anche in questo può insegnarci. Egli per esempio non ha concordato col processo israeliano ad Eichmann, pur essendo ben convinto che Eichmann era colpevole, anzi l’incar­nazione del male. Ha visto Eichmann due volte: una alla stazione di Sighet mentre partiva il suo treno con gli altri ebrei deportati, e l’altra a Gerusalemme durante il processo. Eppure Wiesel dice di avere abbassato lo sguardo davanti ad Eichmann, perché ha sentito «paura di se stesso» e delle proprie potenze di male, della possibilità di divenire anche lui un carnefice, e ha sentito La colpevolezza di tutti fuorché dei morti: tutti quanti eravamo vivi allora e non siamo morti, per il fatto solo di essere vivi, abbiamo una certa misura di colpa. I morti solo sono innocenti.
Si sarà osservato che in queste pagine io mi sono dato cura il più possibile di non fare mai un nome delle persone colpevoli, morte o viventi che siano: appunto per La convinzione che a Monte Sole innocenti in assoluto siano stati solo gli uccisi e specialmente i bimbi.
Ma questo radicatissimo convincimento e lo stesso che mi fa dire che non le persone singole ma il sistema — ciò che impersonalmente ho sempre chiamato il III Reich — e le SS come il corpo scelto dei suoi sacrificatori specializzati, quelli sì bisogna ricordarli. Bisogna studiarli, enuclearli, scoprirne sempre meglio le origini, Le occasioni, le implicazioni, i fatti, le procedure; per rendere sempre più evidenti e inconfutabili le responsabilità del sistema e per poterci sempre più convincere come e perché, e con quali complicità, anche nostre, esplicite o implicite, prossime e remote, coscienti e incoscienti, abbiano potuto verificarsi queste catastrofi umane.
Tutto questo non può turbare la pace, personale o comunitaria, ma è l’unica via autentica per fondarla ed edificarla stabilmente.

Comunità di fede e di resistenza.
... La prima cosa che colpisce è che «soggetto di questa storia è la comunità nel suo insieme: la gente umile e inerme, che trema come una foglia, ma reagisce in modo splendido»: le vittime di Monte Sole sono state intere comunità unite precipuamente dal vincolo religioso che le qualificava e che nell'ora estrema è emerso - con molta semplicità e senza enfasi - in modo inequivoco attraverso qualche originale e inimitabile elemento di vita, proprio di ognuna di esse, sempre caratterizzate come comunità di fede.
A Casaglia la strage è compiuta prelevando la gente dalla chiesa, dopo la preghiera eucaristica presieduta dal sacerdote, Ubaldo Marchioni, alla sua volta sacrificato ai piedi dell'altare.
A Cerpiano le vittime sono state riunite e massacrate nell'oratorio dell'asilo dedicato all'Angelo Custode.
A Salvaro e a Malfolle un teste ricorderà, nei giorni precedenti, «chiesate piene di gente». Dopo gli arresti e la selezione che li stiperà nella scuderia antistante la chiesa, gli inabili, le braccia inutili e due preti, don Elia Comini e padre Martino Capelli, furono portati nella canapiera, La cisterna della filanda fu trasformata in poligono di tiro: don Elia intonò le Litanie della Vergine e padre Martino, già colpito a morte, si alzò dal fango della botte premendosi con una mano il ventre orribilmente squarciato e «con l'altra tracciò un segno di croce ampio e solenne sulle vittime della carneficina». Ben a ragione, a questo punto, Luciano Gherardi fa osservare «la carità esercitata giorno per giorno fino al sacrificio, la fraternità sacerdotale e religiosa, il morire pregando e benedicendo, la comunione totale in vita e in morte con il popolo affidato per una sola estate, e quasi per caso, al loro ministero»: comunione fra tutti effettiva e reale, voluta ed operata non da una forza umana, ma dallo stesso Cristo Signore.
Le comunità, dunque, in quanto tali rivivono principalmente come comunità di fede.
È ovvio che si stagliano sul loro sfondo tanti protagonisti o comprimari: non solo in ambito ecclesiale, ma anche in ambito civile, sociale, educativo e resistenziale.
I cinque sacerdoti caduti e tutta la catena dei pastori precedenti: dì ciascuno dei quali è colta, almeno per qualche accenno o sviluppo, la fisionomia propria; e poi gli amministratori comunali, i promotori della incipiente rete di organizzazioni sociali e sindacali; le maestre; i capi delle formazioni partigiane.

Il senso della Fede nella storia.
... A questo punto sorge proprio il problema più grave dì tutti. Mentre i riti demoniaci si celebravano in tutta
Europa e dovunque il III Reich imperava e arrivavano i suoi sacrificatori, le SS, si immolavano le loro vittime, intanto il Dio unico e vero, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Gesù Cristo, dove era? E per quanto invocato e supplicato - soprattutto da tanti innocenti, e con le parole più sante e più efficaci, perché da Lui stesso ispirate, e già tantissime volte esaudite nei Padri - perché rimaneva muto, come muti dovrebbero essere invece solo gli idoli?
... La fede che la vita per l'uomo credente - ebreo o cristiano - sta nella parola che Dio incessantemente gli rivolge, come si può conciliare con questo ostinato silenzio dei Dio vivente? In tutta quell'Europa che per migliaia di anni aveva riecheggiato, più di qualunque altra parte della terra, di questa Parola di Dio!
E come si può conciliare, per il cristiano, con l'avvento di Cristo e con la sua già avvenuta vittoria sulle Potenze negative divenute «pubblico spettacolo dietro al suo corteo trionfale» (Col. 2,14-15), questo scatenamento delle loro forze che sembra travolgere tutto e tutti?
Era o non era ancora valida la promessa pasquale di Colui che aveva detto: «è la Pasqua dei Signore. In quella notte io passerò per il paese d'Egitto e colpirò ogni primogenito nel paese d'Egitto»; non solo, ma aveva soggiunto «così farò giustizia di tutti gli dei dell'Egitto. lo sono il Signore» ? (Es. 12,12).

... È un dato incontestabile che Auschwitz non è stato un puro episodio isolato se pure tremendo e nemmeno un certo periodo della storia moderna, ma un punto di svolta, un'era nuova, in cui il progresso tecnologico, la pianificazione politica, gli odierni sistemi burocratici, e l'assoluta scomparsa di vincoli morali tradizionali si sono combinati per rendere la distruzione umana di massa una possibilità sempre presente.
Se ad Auschwitz si aggiunge Hiroshirna - e quello che in questi quarant’anni dal 6 agosto 1945 si è fatto per accrescere le potenzialità distruttive in mano all'uomo - il problema si fa ancora più stringente, e sembra raggiungere il limite non solo della Impossibilità di risolverlo, ma della stessa impossibilità di formularlo. 0 non ci si pensa, o se ci si pensa è tremendo e ineffabile.
... Eppure, dice Neher, la fede nasce proprio in questo punto e fa germinare il Sì dalle radici dei No.
Sulla scia del midrash Neher rovescia il versetto della Presenza: «Chi è come Te fra gli dei» nel versetto
dell'Assenza: «Chi è come Te fra i muti». t a questo punto e in questo totale rovesciamento che nasce la fede nuda e vera.
…Ancora più esplicito, e soprattutto più argomentato, è il libro di Jurgen Moltrnann, il Dio crocifisso, secondo il quale oggi dopo non sarebbe più possibile fare teologia se Dio stesso non fosse stato ad Auschwìtz soffrendo con i martirizzati e gli assassinati.
Ecco l'unica risposta, o meglio la direzione in cui può essere ricercata una risposta valida, in cui può essere effettuato un recupero non superficiale e non occasionale: ossia un recupero permanente, più ancora che della teologia, della fede, oggi dopo.
Con tutte le conseguenze. Anzitutto che nella incarnazione «fino alla morte di croce» non ci ritroviamo di fronte a un nascondimento di Dio, ma all'alienazione del suo abbassamento, dove egli si ritrova interamente presso di sé e interamente nell'altro, nei non-uominí. L'umiliazione fino alla morte di croce risponde all'essenza di Dio nella contraddizione dell'abbandono.


Link utili
www.dossetti.eu/


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