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28 SETTEMBRE 2001:
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Si
piegano le querce come salici Hanno
memoria le querce, Memoria
di sanguigne uve Hanno
memoria le querce, Memoria
di recinti profanati Hanno
memoria le querce, |
Memoria
dell'inverno desolato Ardono
le querce Cristo,
Figlio del Dio vivo,
|
Riflessione
dall’introduzione di don G. Dossetti a “Le querce di Monte Sole”
Dalla
coscienza storica alla testimonianza personale.
In
terzo luogo, occorre proporsi di conservare una coscienza non solo lucida,
ma vigile, capace di opporsi a ogni inizio di sistema di male finché ci sia
tempo.
Una memoria adeguatamente recepita dalla comunità
cristiana è indispensabile per reagire tempestivamente a tutto ciò che ha
in sé potenza di coagulo negativo, sistematico, anche se, specie in
particolari congiunture storiche, presentasse certe ambivalenze e persino
certi vantaggi seduttori per la Chiesa (…)
Pio XI aveva già individuato e denunciato con
l'enciclica Mit brennender Sorge nel nazismo non solo una serie di errori
dottrinali ma anche una volontà di “lotta fino all'annientamento” del
cristianesimo. (…)
Non aver ripreso e avvalorato quel giudizio, in quel
momento - fu indubbiamente un caso significativo di mancanza di vigilanza
lucida e preveniente contro il “male sistematico”.Tale vigilanza con
ogni probabilità non avrebbe evitato certe catastrofi, ma avrebbe per lo
meno in ogni caso fatta salva la funzione di testimonianza e conservato alla
Chiesa, in quella circostanza, il suo ruolo più proprio, più evangelico,
moltiplicando energie disperse all'interno della Chiesa e dell'opinione
pubblica mondiale, cose alle quali i nazisti e Hitler
stesso mostrarono di non
essere del tutto insensibili (…)
Anche riguardo a questo non si vuole sostituire un facile
giudizio a posteriori, ma soltanto affermare che in condizioni di innegabili
(ma non imprevedibili) necessità, piuttosto che tacere tutti, occorre che
qualcuno si assuma l'iniziativa, non per velleità di protagonismo, ma con
cuore umile e mosso solo da parrhesia evangelica - di professare
pubblicamente la legge evangelica dell'amore e del rispetto dovuto ad ogni
uomo.
Parlerò
delle tue testimonianze davanti ai re
e
non ne avrò vergogna
(Sal. 118,46).
Da
“Come i nemici diventano amici” di J. Goss e H. Mayr
La Chiesa davanti ai soprusi in Colombia: quale testimonianza? – dialogo con un sacerdote sudamericano.
Camillo
Torres fu il primo prete dell'avanguardia cristiana che incontrammo in
America Latina. Egli era all'epoca cappellano studentesco all'Università
statale e insegnava sociologia. Dato che era molto occupato, riuscimmo a
fissare un colloquio con lui solo poco prima della nostra partenza. Il
colloquio, però, riempì una notte intera.
Camillo
srotolò di fronte a noi la totalità delle strutture dell'ingiustizia,
dell'oppressione, dello sfruttamento e della dipendenza nella società e
nella Chiesa della Colombia e di tutto il continente, mostrandoci i bisogni
e le sofferenze del popolo. Dichiarò che aveva cercato il dialogo con la
classe dirigente e con la gerarchia, ma che era impossibile.
La
Colombia aveva una lunga storia di "violencia". Concluse con
queste parole: “Non vedeva alla fine nessun'altra possibilità se non
quella della rivoluzione”. Fummo molto impressionati da questo sacerdote,
che lottava per la giustizia con tutte le fibre del suo cuore e della sua
volontà. Jean replicò: “Come francese ti comprendo molto bene. La nostra
rivoluzione nel nome della libertà, dell'uguaglianza e della fraternità ha
ispirato molti popoli. Ma che cosa si fa, effettivamente, in una
rivoluzione, in una guerra? Diciamo apertamente la verità: si uccide!
Anch'io
ho combattuto con forza contro Hitler. Chi ho ucciso? Hitler, i dirigenti
del partito? No, semplici cittadini tedeschi, che erano costretti a prestare
servizio nell'esercito del dittatore
Tu
farai lo stesso: ucciderai il popolo, uomini del popolo che, costretti dal
bisogno o dal regime, verranno spediti contro la guerriglia, contro di te!
Camillo,
chi dovresti uccidere, se fossi coerente? I tuoi genitori, dato che tu
provieni dalla classe alta, poi i tuoi compagni di scuola, che sono
diventati dirigenti politici ed economici, generali, vescovi...”.
Camillo
Torres era colpito, taceva. Poi proruppe in una domanda bruciante, che
proveniva dal profondo della sua coscienza e del suo cuore e che sentimmo
ancora molte volte: “Jean, come si può essere fedeli al popolo sofferente
ed alla sua liberazione ed, al tempo stesso, al Vangelo dell'amore di Gesù,
che rispetta anche i nemici?”.
“C'è
solo una strada, Camillo: mettere in pratica la radicalità del vangelo,
cioè la forza liberatrice della nonviolenza di Dio”. Continuammo a
parlare fino alle prime ore del mattino su questa forza e sulla sua
pratica. “Nessuno ci ha insegnato la nonviolenza di Gesù, né in
seminario in Colombia, né all'Università cattolica di Lovanio. Restate
qui, lavorate con noi, forse potremo trovare insieme questa strada!”.
Esitammo, pensammo di avere ancora molto da imparare per un simile compito.
Sbagliammo?
Camillo
Torres, spinto dalla convinzione di dover attuare rapidamente cambiamenti
rivoluzionari, proseguì la sua lotta. I vertici ecclesiastici rifiutarono
il dialogo, i suoi collaboratori si staccarono da lui, non ritenevano
maturi i tempi. Alla fine egli si unì da solo alla guerriglia. Solo poche
settimane dopo, il 15 febbraio 1966, fu ucciso dalle forze di pubblica
sicurezza. Rimase un modello per molti cristiani impegnati, soprattutto per
molti preti. Camillo Torres è rimasto fedele fino all'ultimo alla sua
coscienza. La teologia dell'uso giustificato della violenza che gli era
stata insegnata poteva avere valore per lui solo a fianco degli sfruttati.
Dato che non conosceva l'alternativa, egli dovette scegliere con
consequenzialità la resistenza armata. La Chiesa, che non insegnava la
nonviolenza di Gesù, ha un'enorme responsabilità. Spesso ha spinto i suoi
migliori sacerdoti e laici alla lotta armata.
La
fiducia nell’essere umano come speranza di riscatto – intervista a
Marianela Garcia Villas (1949-1983), martire per i diritti umani in
Salvador.
Questa
violenza, che tu incontri moltiplicata, ripetuta, istituzionalizzata, quasi
come il volto quotidiano, feriale della realtà, ti mette in un rapporto
conflittuale con la realtà, ti spinge a rifiutarla, ti porta a un
atteggiamento pessimistico, di sfiducia nell'uomo?
“lo
sono parte di questa realtà, non sono in rivolta contro di essa.
No,
non ho perduto la fede nell'umanità. Tutti noi che ci battiamo, in una
maniera o in un'altra in Salvador, abbiamo fiducia nell'uomo, altrimenti
non continueremmo a lottare. Anzi proprio questa è la motivazione più
importante per continuare il lavoro: la fede nell'uomo, la fiducia nel
popolo, il credere che i suoi veri valori possono essere ristabiliti, contro
le manomissioni e degenerazioni indotte dal sistema, che rende malvagi, e
del tutto assuefatti e assimilati al male, uomini che non sono affatto
malvagi per natura.
Forse
c'è anche una convinzione, ingenuamente ottimistica, che consiste nel
pensare che tutti i problemi del mondo si potrebbero risolvere, se i popoli
trovassero un po' più di forza, uscissero dalle loro nicchie, e
lottassero, non solo nei paesi del Terzo Mondo ma nell’Europa stessa,
per cambiare il sistema.
Se le maggioranze si facesse valere sulle
minoranze che governano, si potrebbero avere veri cambiamenti. Il fatto è
che l'umanità si è attaccata a cose che ha acquisito, che sono minime, e
che però ha paura di perdere, e perciò è in uno stato di passività, di
ristagno, rinuncia a mettersi all'opera, per migliorare e cambiare. Non vuol
dire un'umanità negativa, ma un'umanità che si è adagiata, si è
rassegnata ed è appagata”.
La risposta nonviolenta per una umanità rigenerata
Riassumendo:
perché ci sia un'ingiustizia locale o mondiale c'è bisogno di due gruppi
di uomini: un gruppo che commette l'ingiustizia, consciamente o
inconsciamente, e un gruppo che la subisce, sia per poter mangiare, sia
mediante il suo silenzio complice. In questo modo l'ingiustizia poggia anche
su noi stessi; al punto che senza di noi essa non potrebbe esistere. (…)
La
strada da fare è dunque la seguente:
1)
Dire la verità, denunciare l'ingiustizia, svegliare le coscienze.
2)
Rifiutarsi assolutamente di partecipare all'ingiustizia, alla menzogna e
all'assassinio.
3)
Creare e ricreare in noi e intorno a noi, oggi, un'umanità nuova.
È
in questo modo che dodici poveri palestinesi, divenuti moltitudine, nel
vivere la parola di verità del Cristo, hanno rovesciato in tre secoli
l'impero più crudele dell'epoca. E senza versare una sola goccia di sangue,
se non il loro. Come aveva fatto il Messia,
che insegnava una maniera radicalmente nuova per risolvere i conflitti e le
ingiustizie. Ai nostri giorni, alcuni uomini riscoprono questa verità
fondamentale: Gandhi, M.L. King, Danilo Dolci, don Helder Camara, monsignor
Romero, Louis Lecoin, Lanza del Vasto...
Il dono di una resistenza instancabile al Male.
Umiliatevi
dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno,
gettando in lui ogni vostra
preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate temperanti, vigilate. Il
vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi
divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli
sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi.
Silenzio
Intenzioni
di preghiera libere
Segno
della lampada
Il riempire la lampada con l’olio significa per noi impegnarsi a incamminarci e a perseverare sulla strada della nonviolenza
Canone
“Jesus le Christ ”
Jesus
le Christ, lumiere interieure, ne laisse pas mes tenebres me parler.
Jesus
le Christ, lumiere interieure, donne moi d’accueillir ton amour.
(Gesù Cristo, luce interiore, non lasciare che le
mie tenebre mi parlino.
Gesù
Cristo, luce interiore, fammi accogliere il tuo amore)
Costruire
pace (don Tonino Bello)
Costruire la
pace vuoi dire amare senza aspettarsi nessun contraccambio.
“Costruttori di
pace, la pace di Gesù sia con tutti voi! Nei bagni di folla o nella
solitudine dei deserti. Nelle foreste dell’Amazzonia o nel vortice
disumano delle metropoli. Sul letto di un ospedale o nel nascondimento di un
chiostro. Nell’operosità di una scuola materna che si apre ai valori
della mondialità o nel travaglio provocato da uno stile di accoglienza nei
confronti dei fratelli di colore.
E’ un popolo
sterminato che sta in piedi, perché il popolo non é un popolo di
rassegnati.
E’ un popolo
pasquale, che sta in piedi, come quello dell’apocalisse.
E davanti
all’Agnello. Simbolo di tutti gli oppressi dei poteri mondani. Di tutte le
vittime della terra. Di tutti i discriminati dal razzismo. Di tutti i
violentati nei più elementari diritti umani. A questo popolo invisibile
della pace, giunga la nostra solidarietà.
Ma anche il nostro
incoraggiamento: con le parole delle beatitudini, secondo la traduzione che
sostituisce il termine “beati” con l’espressione “in piedi”.
Canto
finale: Magnificat
Magnificat,
magnificat, magnificat anima mea Domino,
magnificat,
magnificat, magnificat anima mea.
La Pisside che fu ritrovata a Casaglia ai piedi dell'altare, è ancora ben visibile il foro provocato da un colpo di mitragliatrice.
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