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 28 SETTEMBRE 2001: 
1ª VEGLIA DI PREGHIERA IN RICORDO DELL'ECCIDIO DI MONTE SOLE

28 Settembre 2001: Volantino della 1ª veglia di preghiera in ricordo dell'eccidio di Monte Sole

 

Canto iniziale: Beato l’uomo

Rit.       Beato l’uomo che retto procede  e non entra a consiglio con gli empi,
             e non va per la via dei peccatori, nel convegno dei tristi non siede.

Nella legge del Signore ha riposto la sua gioia; se l’è scritta sulle porte e la medita di giorno e di notte.
Rit. 
E sarà come l’albero che è piantato sulle rive del fiume che dà frutto alla sua stagione né una foglia a terra cade.
Rit. 
Non sarà così per chi ama il male, la sua via andrà in rovina; il giudizio dei Signore è già fatto su di lui.
Rit. 
Ma i tuoi occhi, o Signore, stanno sopra il mio cammino: me l’hai detto, sono sicuro, non potrai scordarti di me.

 

 

Introduzione storica

Nel 1944 era attiva a Monte Sole, sull’Appennino Bolognese, la brigata partigiana Stella Rossa, che combatteva con azioni di sabotaggio e di disturbo l’invasore tedesco. Essendo quella una zona di importanza strategica, i Tedeschi decisero di toglierla al controllo partigiano. Furono impiegate le S.S. del Maggiore Reder che già avevano operato a S. Anna di Stazzema. Gli abitanti di quelle zone  furono considerati complici e fiancheggiatori dei partigiani e perciò uccisi. Morirono barbaramente circa 800 persone, prevalentemente donne, bambini e anziani; in molti casi, furono ammassate in piccoli spazi e sterminate con bombe a mano e mitraglie, i feriti uccisi con un colpo alla testa.
Anche la chiesa ebbe i suoi martiri, i tre parroci della zona (don Ferdinando Casagrande, don Ubaldo Marchioni, don Giovanni Fornasini) e due sacerdoti che in quel periodo prestavano il loro aiuto nelle zone di montagna, don Elia Comini, salesiano, e padre Martino Capelli, dehoniano.
Da allora quei luoghi non sono stati più abitati. Oggi in quella zona è presente la ”Piccola famiglia dell’Annunziata” , comunità monastica fondata da don Giuseppe Dossetti.
La veglia di questa sera vuole ricordare le popolazioni uccise a Monte Sole tra la fine di settembre e gli inizi di ottobre del ’44. La scelta della parrocchia di S. Caterina da Bologna è significativa perché è stata costruita con i risarcimenti dei danni di guerra di Monte Sole.

 

 

Testimonianze dell’eccidio (tratte da "Le querce di Monte Sole" di mons. Luciano Gherardi)

San Giovanni di Sotto - la strage degli innocenti.

A San Giovanni di Sotto non vi fu nessuna lotta, nessuna resistenza. Gli uomini si erano nascosti nei boschi; rimase allo scoperto chi riteneva di essere protetto dalla propria debolezza. E’ quanto deposero al processo-Reder Giuseppe Lorenzini e Gerardo Fiori. Si legge nell'estratto del dibattimento: “Lorenzini Giuseppe aveva lasciato al Casoncello la sua famiglia. La ritrovò bruciata a San Giovanni di Sotto. Gli uccisero un bimbo di 5 anni (Agostino) e uno di 4 (Pietro)... Rileva il Collegio che in questi bimbi il più sospettoso nemico non poteva intuire il minimo pericolo”…..
“Entrarono in San Giovanni dispiegandosi a tenaglia, sloggiando dalle case e dalle stalle gli occupanti e ammassandoli sullo sfondo della concimaia insieme agli altri che erano stati strappati dal rifugio. Li misero in fila con un macabro rituale: davanti i bimbi, dietro i giovani e gli anziani. Le mitragliatrici falciarono 50 vite umane. Fra le vittime, Maria Fiori con il collarino bianco e la tipica cuffietta delle Maestre Pie rendeva l'immagine di un angelo confortatore che, fino all'ultimo, aveva sostenuto quella folla inerme”.  
Antonietta Benni, nel suo memoriale, dà un particolare che fa capire l'immensità della tragedia riflessa nel volto di una bambina:
“A San Giovanni di Sotto - dice - vi furono ben 50 vittime; fra esse la numerosa famiglia Fiori con suor Maria che in quell'epoca era con i suoi cari. La nipotina Anna Maria di otto anni era rimasta viva. Per tre giorni è stata aggrappata al collo della mamma chiamandola, baciandola e piangendo...Il babbo, unico superstite, l'ha trovata così, morta di fame e di sfinimento".
                                                                                                                    Kyrie eleison

 

 

Le 33 ore di Cerpiano

A Cerpiano, quel tragico venerdì 29 settembre, Don Marchioni era atteso per celebrare la Santa Messa nell'Oratorio dedicato all'Angelo Custode.
Ma la paura più folle aveva invaso tutti, poiché i tedeschi stavano per arrivare. Qualcuno aveva suggerito di nascondersi nel rifugio del bosco, anzi il grosso della gente vi era già; ma ecco che si dice essere imprudente lasciare una casa così grande abbandonata: “Ci verranno a cercare, ci crederanno tutti partigiani nascosti e ci uccideranno”.
Qualcuno resta, ma una cinquantina ritorna indietro seguendo il consiglio di chi ha più autorità e rifugiandosi nella cantina del “Palazzo” dove abitualmente ci si riparava per le cannonate frequenti.
Arrivano i tedeschi.
Fanno salire queste 49 persone dalla cantina alla cappella attigua al “Palazzo”: sono 20 bambini, due vecchi quasi invalidi e 27 donne fra le quali tre maestre. Chiudono accuratamente le porte e poi...comincia il getto fatale delle bombe a mano. Sono le nove del mattino e 30 vittime sono immolate. Chi può ridire ciò che è passato fra quelle mura nella lunga giornata, nell'ancor più lunga notte e nella penosa mattinata del giorno 30?
Feriti che si lamentavano invocando disperatamente aiuto; bimbi che piangevano, mamme che tentavano di  proteggere le creature superstiti.
Una donna, Amelia Tossani, voleva fuggire ad ogni costo; aperta la porticina laterale è stata da un tedesco di guardia freddata sulla soglia, sicché il suo corpo è rimasto metà dentro e metà fuori e la notte i maiali randagi ne hanno rosicchiato il capo fra l'orrore di chi, impotente, assisteva a tale spettacolo.
Il povero vecchio Pietro Oleandri ha sentito una sua mucca muggire: non ne può più di stare in mezzo ai morti fra i quali c'è la sposa del unico figlio prigioniero in Germania e due dei nipotini amatissimi. Prende per mano il terzo nipote superstite di cinque anni e sta per uscire: una raffica...un uomo e un bimbo sono nell'eternità!
Una signora di Bologna, Nina Frabboni Fabris, da poco tempo sfollata lassù, è rimasta ferita gravemente e si lamenta per ore ed ore con alte grida. Un tedesco di guardia, senza cuore, seccato di questo urlare, entra e con un colpo di fucile uccide la disgraziata fra il terrore dei superstiti...
Chi gettò le bombe dalla finestra dell’oratorio, colpì nel “mucchio” considerando le vittime una massa anonima. In realtà sono loro, le truci SS, ad apparire una turba senza volto.
                     
                                                                                                                    Kyrie eleison

 

 

Casaglia - il racconto dei superstiti.

Nel coro a più voci si inserisce Antonietta Benni col noto promemoria ribadito al processo-Reder:
“Don Ubaldo Marchioni, quella mattina di San Michele, stava per venire a celebrare la santa Messa a Cerpiano, dopo aver fatto una devota e commovente funzione a San Martino esortando tutti a fare la preparazione della morte.
Passando dalla chiesa di Casaglia, dove si era proposto di consumare le sacre specie e trovandovi un centinaio di persone in preda al più comprensibile panico, si ferma tra i suoi figli recitando con loro il santo Rosario.
Ecco i temuti tedeschi: entrano in chiesa intimando a tutti di uscire per avviarli in corteo al cimitero.
C'è una povera donna paralizzata alle gambe, Vittoria Nanni, che tenta di muoversi seduta o aggrappata alla sua sedia; i tedeschi vogliono costringerla a lasciare l'appoggio e constatato che non le è possibile, la fucilano in chiesa in presenza di tutti.
Nel campanile restano, forse in un tentativo di nascondersi, la buona Enrica Ansaloni e Giovanni Betti di Gardelletta; sono fucilati lì nel campanile. Il marito dell'Enrica, Giuseppe Ansaloni, fratello del defunto arciprete, era con alcuni uomini sul Monte Sole dove anche i partigiani si erano ritirati. Di lassù assistette impotente all'eccidio del cimitero e impazzì quasi istantaneamente. Portato a Bologna morì pochi giorni dopo.
Elide Ruggeri racconta:
“Fummo avviati con le armi puntate ai fianchi verso il cimitero a duecento metri di distanza. Era recintato e la porta di ferro chiusa. La sfondarono coi calci dei fucili e ci fecero entrare tutti nel recinto e noi ci addossammo in mucchio contro la cappella.
Poi piazzarono una mitragliatrice all'ingresso e cominciarono a sparare, mirando in basso per colpire i bambini mentre dall'esterno cominciarono a lanciare su di noi decine di bombe a mano. Durò per tre quarti d'ora circa, e smisero solo quando fini l'ultimo lamento.
Ferita, restai tra i cadaveri... Con me uscirono vive altre quattro donne.
Anche il prete morì. Fu fucilato sull’altare della sua chiesa e dopo averlo ucciso i nazisti spararono sulle immagini sacre e incendiarono la chiesa e le case intorno con i lanciafiamme.
Tre giorni dopo, i tedeschi ordinarono ai civili di seppellire i cadaveri. Fecero una grande buca e li schiacciarono perché si erano irrigiditi”.                                                                                                            
                                                                                                                    Kyrie eleison

 

 

Riflessione dall’introduzione di don G. Dossetti a “Le querce di Monte Sole”  
Per ricordare bene, per agire bene.

La prima cosa da fare, in modo molto risoluto, sistematico, profondo e vasto, è l'impegno per una lucida coscienza storica e perciò ricordare: rendere testimonianza in modo corretto degli eventi.
A tutti i livelli. Dalla pura ma rigorosa ricostruzione dei fatti, alla loro documentazione, rielaborazione e rimeditazione sul piano storico e sul piano politico, e finalmente su quello filosofico e teologico. Corona di tutto questo “ricordare” deve essere la memoria espressa, non occasionale ma costante, nella preghiera, individuale e comunitaria. Non si deve pensare che ciò contrasti col tassativo dovere cristiano di perdonare e di avvolgere tutto, qualsiasi cosa, anche la più tremenda, in un'atmosfera viva e conseguente di vera pace cristiana. (…)  
In secondo luogo, il ricordo deve essere continuato, divulgato e deve assumere sempre più ispirazione, scopi e forme comunitarie, cioè per noi, ecclesiali.
Non basta un ricordo e una testimonianza individuale e neppure tante testimonianze che si moltiplichino; deve esserci la memoria comunitaria, la memoria della Chiesa. Perciò il libro di Gherardi ha un pregio particolare e può contribuire già non solo alla diagnosi, ma anche a una certa terapia preliminare: perché il suo oggetto, come abbiamo rilevato, è la comunità cristiana.  
Ciò che conta e che veramente edifica è il fatto che come sono stati comunitari gli eventi, così la loro memoria sia ricevuta, incorporata e assimilata dalla memoria e dalla testimonianza della Chiesa in quanto tale. E perché questo avvenga e sia efficace e salvifico, occorre che la Chiesa assuma questi fatti, anche scrutando e confessando le proprie colpe a monte e in atto e persino post-factum. Occorre perciò che la comunità cristiana non li assuma con una dialettica esterna (cioè in contrasto con qualcuno) e neppure interna - con turbamento, rossore, reticenze - ma con una sincerità incondizionata e progressivamente sempre più sovrannaturale: allora non sarà una veridicità solo umana, ma sarà un parlare “come mossi da Dio, sotto lo sguardo di Dio, in Cristo”  

 

 

Lettura: Es. 32,7-14

Ricordare la misericordia di Dio per non essere sviati.

Allora il Signore disse a Mosè: “Va, scendi, perché il tuo popolo che tu hai fatto uscire dal paese d'Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicata! Si son fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto”.
Il Signore disse inoltre a Mosè: “Ho osservato questo popolo e ho visto che è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farò una grande nazione”.
Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: “Perché, Signore, divamperà la tua ira contro il tuo popolo, che Tu hai fatto uscire dal paese d'Egitto con grande forza e con mano potente? Perché dovranno dire gli Egiziani: con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra? Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo. Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo e tutto questo paese, di cui ho parlato, lo darò ai tuoi discendenti, che lo possederanno per sempre”. Il Signore abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo.  

 

Silenzio

Preghiera “Le querce di Monte Sole” (mons. Gherardi)

Si piegano le querce come salici    
sul cuore delle rocce a Monte Sole.

Hanno memoria le querce,
hanno memoria!

Memoria di sanguigne uve
pigiate in torchi amari                   
memoria di stermini e di paure       
memoria della scure
nel ventre delle madri.

Hanno memoria le querce,
hanno memoria!

Memoria di recinti profanati
memoria dell'agnello e 
del pastore crocifissi                              
tra reliquie di santi sull'altare.

Hanno memoria le querce,
hanno memoria!  

Memoria dell'inverno desolato  
memoria della bianca ostia di neve
e del kyrie degli angeli
sul corpo del profeta decollato

Ardono le querce
come il cero pasquale
sul candelabro della notte
a Monte Sole.

Cristo, Figlio del Dio vivo,
pietà di noi.
Vergine del giglio e dell’ulivo,
intercedi per noi.
Beati martiri di Monte Sole,
pregate per noi.

 

 

 

Canone: “Se uno è in Cristo”  

Se uno è in Cristo è una creatura nuova, le cose di prima sono passate, ne sono nate di nuove.
Alleluia, alleluia, alleluia, alleluia, alleluia, alleluia.

 

 

Riflessione dall’introduzione di don G. Dossetti a “Le querce di Monte Sole”

Dalla coscienza storica alla testimonianza personale.

In terzo luogo, occorre proporsi di conservare una coscienza non solo lucida, ma vigile, capace di opporsi a ogni inizio di sistema di male finché ci sia tempo.
Una memoria adeguatamente recepita dalla comunità cristiana è indispensabile per reagire tempestivamente a tutto ciò che ha in sé potenza di coagulo negativo, sistematico, anche se, specie in particolari congiunture storiche, presentasse certe ambivalenze e persino certi vantaggi seduttori per la Chiesa (…)  
Pio XI aveva già individuato e denunciato con l'enciclica Mit brennender Sorge nel nazismo non solo una serie di errori dottrinali ma anche una volontà di “lotta fino all'annientamento” del cristianesimo. (…)  
Non aver ripreso e avvalorato quel giudizio, in quel momento - fu indubbiamente un caso significativo di mancanza di vigilanza lucida e preveniente contro il “male sistematico”.Tale vigilanza con ogni probabilità non avrebbe evitato certe catastrofi, ma avrebbe per lo meno in ogni caso fatta salva la funzione di testimonianza e conservato alla Chiesa, in quella circostanza, il suo ruolo più proprio, più evangelico, moltiplicando energie disperse all'interno della Chiesa e dell'opinione pubblica mondiale, cose alle quali i nazisti e Hitler  stesso mostrarono  di non essere del tutto insensibili (…)
Anche riguardo a questo non si vuole sostituire un facile giudizio a posteriori, ma soltanto affermare che in condizioni di innegabili (ma non imprevedibili) necessità, piuttosto che tacere tutti, occorre che qualcuno si assuma l'iniziativa, non per velleità di protagonismo, ma con cuore umile e mosso solo da parrhesia evangelica - di professare pubblicamente la legge evangelica dell'amore e del rispetto dovuto ad ogni uomo.  

Parlerò delle tue testimonianze davanti ai re
e non ne avrò vergogna
(Sal. 118,46).

 

 

Da “Come i nemici diventano amici” di J. Goss e H. Mayr

La Chiesa davanti ai soprusi in Colombia: quale testimonianza? – dialogo con un sacerdote sudamericano.

Camillo Torres fu il primo prete dell'avanguardia cristiana che incontrammo in America Latina. Egli era all'epoca cappellano studentesco all'Università statale e insegnava sociologia. Dato che era molto occupato, riuscimmo a fissare un colloquio con lui solo poco prima della nostra partenza. Il colloquio, però, riempì una notte intera.
Camillo srotolò di fronte a noi la totalità delle strutture dell'ingiustizia, dell'oppressione, dello sfruttamento e della dipendenza nella società e nella Chiesa della Colombia e di tutto il continente, mostrandoci i bisogni e le sofferenze del popolo. Dichiarò che aveva cercato il dialogo con la classe dirigente e con la gerarchia, ma che era impossibile.
La Colombia aveva una lunga storia di "violencia". Concluse con queste parole: “Non vedeva alla fine nessun'altra possibilità se non quella della rivoluzione”. Fummo molto impressionati da questo sacerdote, che lottava per la giustizia con tutte le fibre del suo cuore e della sua volontà. Jean replicò: “Come francese ti comprendo molto bene. La nostra rivoluzione nel nome della libertà, dell'uguaglianza e della fraternità ha ispirato molti popoli. Ma che cosa si fa, effettivamente, in una rivoluzione, in una guerra? Diciamo apertamente la verità: si uccide!
Anch'io ho combattuto con forza contro Hitler. Chi ho ucciso? Hitler, i dirigenti del partito? No, semplici cittadini tedeschi, che erano costretti a prestare servizio nell'esercito del dittatore         
Tu farai lo stesso: ucciderai il popolo, uomini del popolo che, costretti dal bisogno o dal regime, verranno spediti contro la guerriglia, contro di te!
Camillo, chi dovresti uccidere, se fossi coerente? I tuoi genitori, dato che tu provieni dalla classe alta, poi i tuoi compagni di scuola, che sono diventati dirigenti politici ed economici, generali, vescovi...”.
Camillo Torres era colpito, taceva. Poi proruppe in una domanda bruciante, che proveniva dal profondo della sua coscienza e del suo cuore e che sentimmo ancora molte volte: “Jean, come si può essere fedeli al popolo sofferente ed alla sua liberazione ed, al tempo stesso, al Vangelo dell'amore di Gesù, che rispetta anche i nemici?”.
“C'è solo una strada, Camillo: mettere in pratica la radicalità del vangelo, cioè la forza liberatrice della nonviolenza di Dio”. Continuammo a parlare fino alle prime ore del mattino su questa forza e sulla sua pra­tica. “Nessuno ci ha insegnato la nonviolenza di Gesù, né in seminario in Colombia, né all'Università cattolica di Lovanio. Restate qui, lavorate con noi, forse po­tremo trovare insieme questa strada!”.
Esitammo, pensammo di avere ancora molto da imparare per un simile compito. Sbagliammo?
Camillo Torres, spinto dalla convinzione di dover attuare rapidamente cambiamenti rivoluzionari, pro­seguì la sua lotta. I vertici ecclesiastici rifiutarono il dia­logo, i suoi collaboratori si staccarono da lui, non ritenevano maturi i tempi. Alla fine egli si unì da solo alla guerriglia. Solo poche settimane dopo, il 15 febbraio 1966, fu ucciso dalle forze di pubblica sicurezza. Rimase un modello per molti cristiani impegnati, soprattutto per molti preti. Camillo Torres è rimasto fedele fino all'ultimo alla sua coscienza. La teologia dell'uso giustificato della violenza che gli era stata insegnata poteva avere valore per lui solo a fianco degli sfruttati. Dato che non conosceva l'alternativa, egli dovette scegliere con consequenzialità la resistenza armata. La Chiesa, che non insegnava la nonviolenza di Gesù, ha un'enorme responsabilità. Spesso ha spinto i suoi migliori sacerdoti e laici alla lotta armata.

 

 

Da “Timonieri dalle Americhe”

La fiducia nell’essere umano come speranza di riscatto – intervista a Marianela Garcia Villas (1949-1983), martire per i diritti umani in Salvador.

Questa violenza, che tu incontri moltiplicata, ripetuta, istituzionalizzata, quasi come il volto quotidiano, feriale della realtà, ti mette in un rapporto conflittuale con la realtà, ti spinge a rifiutarla, ti porta a un atteggiamento pessimistico, di sfiducia nell'uomo?
“lo sono parte di questa realtà, non sono in rivolta contro di essa.
No, non ho perduto la fede nell'umanità. Tutti noi che ci battiamo, in una maniera o in un'altra in Salvador, abbiamo fi­ducia nell'uomo, altrimenti non continueremmo a lottare. Anzi proprio questa è la motivazione più importante per continuare il lavoro: la fede nell'uomo, la fiducia nel popolo, il credere che i suoi veri valori possono essere ristabiliti, contro le manomis­sioni e degenerazioni indotte dal sistema, che rende malvagi, e del tutto assuefatti e assimilati al male, uomini che non sono affatto malvagi per natura.
Forse c'è anche una convinzione, ingenuamente ottimistica, che consiste nel pensare che tutti i problemi del mondo si potrebbero risolvere, se i popoli trovas­sero un po' più di forza, uscissero dalle loro nicchie, e lottas­sero, non solo nei paesi del Terzo Mondo ma nell’Europa stessa, per cambiare il sistema.
Se le maggioranze si facesse valere sulle minoranze che governano, si potrebbero avere veri cambiamenti. Il fatto è che l'umanità si è attaccata a cose che ha acquisito, che sono minime, e che però ha paura di perdere, e perciò è in uno stato di passività, di ristagno, rinuncia a mettersi all'opera, per migliorare e cambiare. Non vuol dire un'umanità negativa, ma un'umanità che si è adagiata, si è rassegnata ed è appagata”.

 

 

Da “Timonieri dall’Europa”

La risposta nonviolenta per una umanità rigenerata

Riassumendo: perché ci sia un'ingiustizia locale o mondiale c'è bisogno di due gruppi di uomini: un gruppo che commette l'ingiusti­zia, consciamente o inconsciamente, e un gruppo che la subisce, sia per poter mangiare, sia mediante il suo silenzio complice. In questo modo l'ingiustizia poggia anche su noi stessi; al punto che senza di noi essa non potrebbe esistere. (…)
La strada da fare è dunque la seguente:
1) Dire la verità, denunciare l'ingiustizia, svegliare le coscienze.
2) Rifiutarsi assolutamente di partecipare all'ingiustizia, alla men­zogna e all'assassinio.
3) Creare e ricreare in noi e intorno a noi, oggi, un'umanità nuova.
È in questo modo che dodici poveri palestinesi, divenuti moltitudi­ne, nel vivere la parola di verità del Cristo, hanno rovesciato in tre seco­li l'impero più crudele dell'epoca. E senza versare una sola goccia di sangue, se non il loro. Come aveva fatto il Messia, che insegnava una maniera radicalmente nuova per risolvere i conflitti e le ingiustizie. Ai nostri giorni, alcuni uomini riscoprono questa verità fondamentale: Gandhi, M.L. King, Danilo Dolci, don Helder Camara, monsignor Romero, Louis Lecoin, Lanza del Vasto...

 

 

Lettura: 1Pt. 5,8-10

Il dono di una resistenza instancabile al Male.

Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, gettando  in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi.
E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, egli stesso vi ristabilirà, dopo una breve sofferenza vi confermerà e vi renderà forti e saldi. A lui la potenza nei secoli. Amen!

 

Silenzio

 

Intenzioni di preghiera libere

 

Segno della lampada

Il riempire la lampada con l’olio significa per noi impegnarsi a incamminarci e a perseverare sulla strada della nonviolenza

 

 

Canone “Jesus le Christ ”

Jesus le Christ, lumiere interieure, ne laisse pas mes tenebres me parler.
Jesus le Christ, lumiere interieure, donne moi d’accueillir ton amour.
(Gesù Cristo, luce interiore, non lasciare che le mie tenebre mi parlino.
 Gesù Cristo, luce interiore, fammi accogliere il tuo amore)

 

 

Costruire pace (don Tonino Bello)

Costruire la pace vuoi dire amare senza aspettarsi nessun contraccambio.

“Costruttori di pace, la pace di Gesù sia con tutti voi! Nei bagni di folla o nella solitudine dei deserti. Nelle foreste dell’Amazzonia o nel vortice disumano delle metropoli. Sul letto di un ospedale o nel nascondimento di un chiostro. Nell’operosità di una scuola materna che si apre ai valori della mondialità o nel travaglio provocato da uno stile di accoglienza nei confronti dei fratelli di colore.
E’ un popolo sterminato che sta in piedi, perché il popolo non é un popolo di rassegnati.
E’ un popolo pasquale, che sta in piedi, come quello dell’apocalisse.
E davanti all’Agnello. Simbolo di tutti gli oppressi dei poteri mondani. Di tutte le vittime della terra. Di tutti i discriminati dal razzismo. Di tutti i violentati nei più elementari diritti umani. A questo popolo invisibile della pace, giunga la nostra solidarietà.
Ma anche il nostro incoraggiamento: con le parole delle beatitudini, secondo la traduzione che sostituisce il termine “beati” con l’espressione “in piedi”.

“IN PIEDI COSTRUTTORI DI PACE. SARETE CHIAMATI FIGLI DI DIO”

 

 

Canto finale: Magnificat

Magnificat, magnificat, magnificat anima mea Domino,
magnificat, magnificat, magnificat anima mea.

 

Pisside ritrovata a CasagliaLa Pisside che fu ritrovata a Casaglia ai piedi dell'altare, è ancora ben visibile il foro provocato da un colpo di mitragliatrice.

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