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3 OTTOBRE 2011: 
11ª VEGLIA DI PREGHIERA IN MEMORIA DEL 67° ANNIVERSARIO DEL MARTIRIO DI MONTE SOLE

Parrocchia di Gesù Buon Pastore Pax Christi punto pace Bologna


“SOMMERSI E SALVATI – BAMBINI SOPRAVVISSUTI A MONTE SOLE”
 

CANTO INIZIALE
Esci dalla tua terra

Rit. Esci dalla tua terra e va, dove ti mostrerò;
esci dalla tua terra e va, dove ti mostrerò.

Abramo, non andare, non partire,
non lasciare la tua casa,
cosa speri di trovar?
La strada è sempre quella,
ma la gente è differente, ti è nemica,
dove speri di arrivar?
Quello che lasci tu lo conosci
il tuo Signore cosa ti dà?
- un popolo, la terra e la promessa -
parola di Jahvè.

Rit.

La rete sulla spiaggia abbandonata
l’han lasciata i pescatori,
son partiti con Gesù.
La folla che osannava se n’è andata,
ma il silenzio una domanda
sembra ai dodici portar:
Quello che lasci tu lo conosci,
il tuo Signore cosa ti dà?
- il centuplo quaggiù e l’eternità -
parola di Gesù.

Rit.

Partire non è tutto,
certamente c’è chi parte e non dà niente,
cerca solo libertà.
Partire con la fede nel Signore,
con l’amore aperto a tutti
può cambiar l’umanità.
Quello che lasci tu lo conosci,
quello che porti vale di più.
- Andate e predicate il mio Vangelo -
parola di Gesù.

Rit. Esci dalla tua terra e va, dove ti mostrerò.
Esci dalla tua terra e va, sempre con te sarò.

 

Questa veglia è dedicata ai bambini di oggi, affinché possano capire chi erano e chi sono i bambini del ’44.

1 parte: L’ECCIDIO

I bambini del ’44:
Sono i bambini che hanno sperimentato lo stupore della vita nel grembo delle mamme e con loro hanno vissuto lo stesso martirio.
Sono i bambini che si sono nutriti dell’amore delle loro famiglie e del profumo della nostra terra, soltanto per pochi giorni, per pochi mesi.
Sono i bambini che, appena adolescenti, sono morti guardando negli occhi i loro carnefici e , impotenti, hanno subito umiliazioni e violenze.

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 2, 16-18)
Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:
Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più.

Località Creda
Testimonianza di Valter Cardi
29 settembre 1944. Era ancora buio quando arrivarono le SS e ordinarono a tutti gli abitanti del luogo, a conoscenti e a persone rastrellate di mettersi nella rimessa dei carri. Dalla località Rovina di Pioppe si alzò un razzo: era un segnale e le SS cominciarono a mitragliare la gente e poi a lanciare bombe a mano incendiarie. C'erano novanta persone, alcuni si salvarono riuscendo a scappare nel bosco, altri finendo sotto i cadaveri. I morti furono 79, in maggior parte donne e bambini, il più piccolo aveva 14 giorni. Si chiamava Walter e io, per volontà del padre, lo zio Carlo, porto il suo nome per ricordare lui e tutti i bambini che, senza colpa alcuna, sono stati barbaramente trucidati. Mio zio Carlo era lì quel giorno e, trascinandosi ferito, verso la porta della stalla, vide con lo sguardo sua moglie morta con accanto Walter, mentre tutto intorno iniziavano a bruciare lentamente i corpi delle persone. Alberto di 16 mesi, fratello di Walter, morì in braccio alla zia Elena. Della mia famiglia morirono dieci persone e si salvarono mio padre Mario e lo zio Carlo.

Località Maccagnano
Testimonianza di Primo Righi
Dopo giorni di rifugio, senza mangiare e con tanto dolore, appena smise di piovere decisi di ritornare a casa. Era il 2 Ottobre e dissi a mio padre: "Io vado a casa con i miei e se arrivano i tedeschi, che mi ammazzino pure, io non posso più stare qui".
Allora mio padre mi disse: "Se ci vai te, vengo anch'io". Arrivati a casa ho visto che la mia nipotina Luisa era tra la mamma e la zia. Aveva ancora le guance tirate dalle mani della zia e della mamma che la baciava, per coprirla dalla mitraglia. Anche gli altri bambini erano abbracciati dalle mamme e dalle nonne.
Mi sono messo a sedere, in silenzio.

Cimitero di Casaglia
Un bimbo lattante di nove mesi, Laffì Giorgio, era rimasto vivo, mentre la mamma e nove persone della famiglia erano morte.
Il bimbo era caduto a terra. C'è chi lo ha visto vagare fra i morti muovendosi con le gambette e le piccole braccia per terra non sapendo camminare.
Pioveva a dirotto, il povero piccino, strillando senza quiete, è morto dopo qualche ora di fame e di freddo.
Un bimbo di sei anni, Tonelli della località Possatore, era rimasto illeso. Uscendo dal cancello vede la mamma, i cinque fratellini e le sorelle morti e decise di rimanere lì con loro. Una granata lo ha colpito e ucciso poco dopo.

Testimonianza di AnnaRosa Nannetti di 14 mesi
La distruzione della mia famiglia iniziò il 29 settembre del '44.
Alle prime ore dell'alba arrivarono le SS a Salvaro, in località Creda, dove furono uccisi uomini, donne, bambini, incendiate la casa e la stalla, poi a Maccagnano, dove vennero uccisi donne e bambini. Contemporaneamente, altre pattuglie di SS iniziarono un rastrellamento casa per casa, portando via tutti gli uomini.
Incolonnati e maltrattati, raggiunsero la "Scuderia" di Pioppe. Senza un processo, le SS decisero, in modo frettoloso e arbitrario, chi era abile e chi era inabile al lavoro. Nella Scuderia rimasero soltanto le persone che erano già state definite inabili e destinate alla fucilazione.
Lì c'erano mio padre, i miei nonni, i due cognati del nonno.
Furono tutti fucilati alla Botte di Pioppe di Salvaro il 1° Ottobre del '44.
Uno dei tre sopravvissuti, Domenico Piretti, disse a mia madre che, prima della fucilazione, mio padre tentò di avvicinarsi a suo padre Adolfo per sostenerlo e fu picchiato pesantemente in testa con un fucile da un soldato delle SS, lo stesso che diede un pesante colpo sulle mani di Don Elia Comini, facendogli cadere il breviario nella Botte. A tutti i prigionieri fu ordinato di buttare via tutto, ma Don Comini, fino all'ultimo istante, tenne il breviario tra le mani e fu punito.
Dalla Botte, una grande cisterna d'acqua che, in quel momento, era vuota, mio padre e altre due persone riuscirono a uscire e morirono poco dopo. Mio padre si riparò nella vicina cabina elettrica del Canapificio e fu trovato morto, dissanguato, dal capo cabina Arrigo Gabusi.
Una mano affettuosa coprì il suo corpo nudo con un brandello della veste di uno dei due sacerdoti morti insieme ai nostri cari: Don Elia Comini e Padre Martino Capelli.
Fu possibile, soltanto nella primavera del '45, recuperarne il corpo.
I corpi di tutti gli altri, rimasero per molti giorni in quella tomba a cielo aperto e, quando furono riaperte le paratoie del canale che da acqua alla Botte, quei corpi distrutti e putrefatti furono trascinati, attraverso un canale, nel fiume Reno.
Non fu mai trovato nessuno. Noi familiari ci chiediamo ancora oggi perché non fu possibile estrarre le salme e dare loro una degna sepoltura. È una domanda dolorosa, che rimarrà senza risposta.

Salmo 21
Rit.: Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato?

Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo:
“Si è affidato al Signore, lui lo scampi; lo liberi se è suo amico”

Un branco di cani mi circonda, mi assedia una banda di malvagi;
hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa.

Si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, accorri in mio aiuto.

Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea.
Lodate il Signore, voi che lo temete,
gli dia gloria la stirpe di Giacobbe, lo tema tutta la stirpe di Israele

CANTO: In manus tuas Pater
In manus tuas Pater commendo spiritum meum, in manus tuas Pater commendo spiritum meum

2 parte: LA FUGA

I bambini del ’44:
Sono i bambini sopravvissuti ai bombardamenti, agli eccidi e alle deportazioni dei loro familiari.
Sono i bambini che, insieme ai familiari superstiti, sono fuggiti dai loro casolari, borghi e paesi, dopo che le loro case erano state depredate, la stalle svuotate e i campi minati.
Sono i bambini che hanno sopportato la fame, il freddo, le malattie, i lunghi percorsi a piedi,  attraversando fiumi , boschi, montagne, con la speranza di essere accolti nei Centri Profughi,nelle stalle , nei fienili , in qualche casa o in qualche Chiesa.

Dal libro della Genesi (Gn 12,1-4)
Il Signore disse ad Abram: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”. Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore.

Dal Vangelo secondo Matteo ( Mt 2,13-14)
I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve insogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finchè non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”.
Giuseppe destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto.

Dall’introduzione al libro “I bambini del ’44 di Anna Rosa Nannetti
Dopo i giorni degli eccidi e dei lutti familiari, iniziò per la maggioranza dei bambini un altro lungo periodo di dolore.
Con le case depredate e distrutte, i campi minati, le stalle svuotate, non era possibile sopravvivere, dovevamo fuggire dai nostri paesi e cercare, in un primo momento, di essere accolti in un Centro Profughi, in una stalla, in un fienile, nella Canonica di una Chiesa, insieme ai pochi familiari o all'unico familiare che la guerra non ci aveva portato via.

Testimonianza di Anna Rosa Nannetti di 14 mesi
Dopo l'eccidio della Botte e la devastazione delle case e dei campi, la mia famiglia, insieme a tante altre persone, una notte d'inizio dicembre, decise di attraversare il fiume Reno, salire sul Monte Salvaro e da lì raggiungere Grizzana, dove c'erano già gli Alleati che ci avrebbero portato al Centro Profughi di Firenze.
L'attraversamento del fiume, sempre in piena, avveniva di notte per non essere visti dalle SS e, pur essendo coscienti che rischiavamo di annegare, come era già successo ad alcune persone, dovevamo tentare, dovevamo fuggire.
Sull'altra sponda del fiume, a Campiglio, in due case, abitava la numerosa famiglia Righi, persone generose che facevano i turni per tenere sempre il focolare acceso e offrirci un po' di conforto. Era un grande conforto, anche se, in poco tempo, non riuscivamo ad asciugare i nostri abiti intrisi d'acqua e, in quelle disagevoli condizioni, cercavamo di raggiungere presto Firenze per ricevere un po' di aiuto. Nessuno di noi aveva un altro abito per cambiarsi, perché tutta la nostra roba era stata rubata dalle SS e caricata sui treni diretti in Germania. A causa di una otite perforante e una grave infezione alla gola, incurabili per mancanza di un dottore e di medicine, io urlavo sempre per il dolore.
Urlavo tanto anche quella notte sul monte Salvaro, quando si sentì distintamente che stavano scendendo dal monte dei soldati e la mamma Giovannina (Giannina) Fava decise di allontanarsi dal gruppo. Se quei soldati fossero stati SS, attirati dalle mie urla, avrebbero raggiunto il gruppo, ci avrebbero tutti fucilati e noi saremmo state le responsabili di quell'eccidio. Per questo motivo la mamma, come ogni persona giusta e coraggiosa, decise di allontanarsi e di avviarsi da sola, con me in braccio, incontro a quei soldati. Disse soltanto: «Se mi sentirete urlare, capirete e scappate. Se non ci saranno pericoli, rifarò la strada per avvisarvi». Dopo un tratto di strada, improvvisamente, sbucò dal bosco un soldato sorridente, con le braccia aperte, disponibile a prendermi in braccio e alleggerire la mamma dalla fatica: era un giovanissimo soldato brasiliano. Il mio incontro con gli Alleati avvenne lì, a metà del Monte Salvaro, una notte d'inverno, abbracciata e cullata da questo mio giovane fratello dalla pelle nera.
Con la mamma e tutti gli altri parenti e amici partimmo per il Centro Profughi di Firenze dove fui curata da un medico bravissimo.

Testimonianza di Maria Paselli di 8 anni.
Lasciai la mia casa, insieme alla mia famiglia, il 10 novembre, per un ordine dei tedeschi. Dovevamo raggiungere Bazzano, ma dopo una notte a Calvenzano, decidemmo di attraversare  il fiume per raggiungere la Creda, dove c'erano già gli americani.
L'attraversamento del fiume doveva essere fatto di notte e il luogo meno pericoloso era quello davanti a Campiglio. Chi non era a conoscenza di questo rischiava di annegare.
Durante l'attraversamento del fiume io ero in braccio a mio padre e mia madre, incinta, teneva in braccio mio fratellino Quinto di tre anni. Arrivammo alla Creda accolti da soldati neri, forse brasiliani o sudafricani, poi accompagnati a Grizzana e da lì, con i camion militari raggiungemmo Firenze.
Fummo accolti prima in una Chiesa, poi al Centro Profughi Alla mamma incinta fu data una brandina, tutti noi dormivamo invece per terra.
Mio fratello Quinto fu ricoverato all'Ospedale, fu operato d'urgenza alla gola e morì. Quando la mamma chiese a una suora di poter avere un abito per il bambino, si sentì rispondere che non ne avevano neppure per i vivi. La mamma avvolse il suo bambino in un telo, prima della sepoltura in un cimitero di Firenze.
Poche settimane dopo, la mamma fu ricoverata all'Ospedale per partorire. Si trovò vicino ad una signora di Firenze alla quale era morta la bambina appena nata e così questa signora decise di dividere il corredino della sua bambina con lei, e con altre donne vicine a lei, che avevano appena partorito; così la mamma riuscì a vestire il mio fratellino Pietro.
Dopo la Liberazione, nel viaggio di ritorno nei camion militari scoperti, Pietro si ammalò di broncopolmonite. Arrivati a casa non riuscimmo a trovare un medico, ad avere medicine e Pietro, nato sano, poco dopo morì.
Il 21 giugno '45 morì, per lo scoppio di una mina, mio fratello Mario.
La paura di tutto quello che abbiamo vissuto durante la guerra è rimasta sempre in noi bambini.
Mi ricordo che, al ritorno da scuola, un giorno si sentì che stava passando un aereo. Eravamo sette bambini, sembravamo tutti impazziti e nessuno riusciva a tranquillizzarci.

Salmo 121
Alzo gli occhi verso i monti...Da dove mi verrà l'aiuto?
Il mio aiuto vien dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra.

Egli non permetterà che il tuo piede vacilli;
colui che ti protegge non sonnecchierà.
Ecco, colui che protegge Israele non sonnecchierà né dormirà.


Il Signore è colui che ti protegge; il Signore è la tua ombra;
egli sta alla tua destra.

Di giorno il sole non ti colpirà,
né la luna di notte.
Il Signore ti preserverà da ogni male; egli proteggerà l'anima tua.

Il Signore ti proteggerà, quando esci e quando entri,
ora e sempre.

CANTO: Dona la pace Signore
Dona la pace Signore a chi confida in te. Dona dona la pace Signore, dona la pace

3 parte: LA RICOSTRUZIONE

Salmo 126
Quando il Signore fece tornare i reduci di Sion, ci sembrava di sognare.
Allora spuntarono sorrisi sulle nostre labbra e canti di gioia sulle nostre lingue.

Allora si diceva tra le nazioni:

«Il Signore ha fatto cose grandi per loro». Il Signore ha fatto cose grandi per noi,
e noi siamo nella gioia.

Signore, fa' tornare i nostri deportati,
come torrenti nel deserto del Neghev.
Quelli che seminano con lacrime, mieteranno con canti di gioia.

Se ne va piangendo
colui che porta il seme da spargere,
ma tornerà con canti di gioia quando porterà i suoi covoni.

I bambini del ’44:
Sono i bambini che, alla fine della guerra, in attesa della ricostruzione delle loro case
e di un lavoro retribuito per  i propri familiari ,  sono stati affidati a parenti, amici e a persone estranee, vivendo  la dolorosa esperienza del distacco dalla propria famiglia
Sono i bambini sopravvissuti al trionfo del Male, perché sono stati  accolti e amati da tante persone, con assoluta gratuità. 
Sono i bambini che sono stati capaci di sperare in un mondo migliore e di lottare, quotidianamente, per la sua realizzazione.

Dal libro dell’Esodo (Es 2,1-10)
Un uomo della casa di Levi andò e prese in moglie una figlia di Levi. Questa donna concepì, partorì un figlio e, vedendo quanto era bello, lo tenne nascosto tre mesi. Quando non potè più tenerlo nascosto, prese un canestro fatto di giunchi, lo spalmò di bitume e di pece, vi pose dentro il bambino, e lo mise nel canneto sulla riva del Fiume. La sorella del bambino se ne stava a una certa distanza, per vedere quello che gli sarebbe successo.
La figlia del faraone scese al Fiume per fare il bagno, e le sue ancelle passeggiavano lungo la riva del Fiume. Vide il canestro nel canneto e mandò la sua cameriera a prenderlo. Lo aprì e vide il bambino: ed ecco, il piccino piangeva; ne ebbe compassione e disse: «Questo è uno dei figli degli Ebrei». Allora la sorella del bambino disse alla figlia del faraone: «Devo andare a chiamarti una balia tra le donne ebree che allatti questo bambino?» La figlia del faraone le rispose: «Va'». E la fanciulla andò a chiamare la madre del bambino. La figlia del faraone le disse: «Porta con te questo bambino, allattalo e io ti darò un salario». Quella donna prese il bambino e lo allattò. Quando il bambino fu cresciuto, lo portò dalla figlia del faraone; egli fu per lei come un figlio ed ella lo chiamò Mosè; «perché», disse: «io l'ho tirato fuori dalle acque».

Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Romani (Rm 8,14-17)
Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio.
E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: "Abbà! Padre!". Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

Dall’introduzione al libro “I bambini del ’44 di Anna Rosa Nannetti
Alla fine della guerra, gli adulti avevano un impegno urgente da assolvere: ricostruire le case e trovare un lavoro, ovunque, anche lontano dal paese, e tutto ciò non si conciliava con la necessità di assistere i bambini bisognosi di ogni cura: fisica, psicologica e spirituale.
A causa di questa stato di emergenza, i bambini lasciarono le loro famiglie per andare a vivere con altre persone che potevano offrire loro cibo, cure mediche, abiti caldi e, per i più grandi, anche la possibilità di frequentare la scuola.
Alcuni bambini trovarono ospitalità presso collegi, altri da parenti o da amici.
Per tutti gli altri, che non potevano avere queste possibilità, si attivarono la Camera del Lavoro e l'Amministrazione Comunale di Bologna, che fecero un appello ai contadini, braccianti e operai delle campagne bolognesi risparmiate dagli orrori della guerra, chiedendo loro di ospitare uno de "i bambini della montagna".
Tante persone risposero con generosità a questo appello e per molti bambini, accolti da parenti, da amici o da famiglie affidatarie, iniziò la dolorosa esperienza del distacco dai propri cari. Un'esperienza traumatica, ma che ha lasciato nei cuori della maggioranza di questi bambini tanti ricordi belli e significativi.
E’ in quelle case, con quelle famiglie, che ogni bambino ha scoperto il valore dell'accoglienza, della generosità, soprattutto della gratuità.
Dopo aver sperimentato l'orrore della guerra è stato possibile sperimentare l'amore nelle sue infinite sfaccettature.
Dopo il buio, l'inumano e la bruttezza, ecco la luce, l'umanità e la bellezza.
Ogni famiglia affidataria ha dato il meglio di se stessa per favorire l'integrazione di questi piccoli ospiti, per aiutarli a superare le paure passate e a ritrovare una nuova sicurezza in se stessi e negli altri.
E’ una storia di eroine e di eroi anonimi (nessuno conoscerà i loro nomi) che hanno salvato una generazione di bambini ed è una storia dell'immenso amore di madri, padri che hanno saputo amare i loro bambini in silenzio e in disparte, permettendo a chi li nutriva, li curava, li vestiva, di avere un ruolo primario, seppur momentaneamente, nella crescita umana e affettiva dei propri figli. Grazie alla collaborazione tra le famiglie affidatarie e questi genitori, in ogni bambino è nata la speranza di poter vivere in un mondo dove, con l'impegno quotidiano e generoso di tutti, fosse possibile sconfiggere la guerra.
Attraverso la loro "sapienza del cuore" ci hanno salvaguardato dal pericolo di voler cancellare la memoria dei nostri primi anni di vita, aiutandoci a capire e a riconoscere tutta la bontà ricevuta da tanta gente, senza mai coltivare l'odio e insegnandoci a dire grazie a tutti i componenti di questa grande comunità, dove siamo stati accolti e amati. Imparare a dire grazie voleva dire avere della gratitudine per gli aiuti adeguati ai nostri bisogni, avere memoria di chi ci aiutava, imparare a condividere la vita quotidiana di queste persone secondo le nostre possibilità e a ricambiarli con tutto il nostro affetto.


Testimonianza di Lucia Monari, di 4 anni.
Il mio ricordo inizia proprio dal primo dopoguerra.
La miseria e la fame abbondavano; fu in quel periodo che il Comune di Marzabotto, per aiutare le famiglie più disagiate, decise di organizzare un affidamento temporaneo ad altre famiglie.
Io e mia sorella Germana partimmo volentieri (avevo appena compiuto 5 anni).
Fui destinata presso una famiglia a San Giorgio di Piano; non era certo una famiglia ricca, anzi! Lui era facchino al Consorzio Agrario e lei era mondina (la loro ricchezza era dentro di loro).
Arrivata a destinazione la prima cosa che mi apparve, quando aprirono la porta fu un grande quadro appeso con una grande foto, pensai subito che fosse il nonno, visto che c'era una nonnina seduta in una piccola sedia bassa. Soltanto dopo imparai che era una foto di Stalin.
La tavola poi è stata la mia gioia; dopo aver patito tanto la fame, trovarmi davanti una scodella di tortellini fu come vivere in una favola.
Si fecero chiamare zio Geppe e zia Norma, poi c'erano la nonna e il figlio Mario.
Mi tennero tutto l'inverno, poi mi riportarono a casa a Rioveggio. Ricordo, come fosse adesso quel giorno, zio Geppe in bici ed io seduta sul cannone; pensarci oggi mi sembra impossibile (tutta salita !).
Si erano molto affezionati a me, come io a loro. Zia Norma, quando incontrava degli amici per strada, diceva con orgoglio: "L'è la mi putina".
Tutti gli anni, d'inverno, mi venivano a prendere e ho frequentato quasi tutti gli anni delle elementari a San Giorgio di Piano. Pur non essendo credente questa famiglia, sapendo della mia istruzione religiosa, mi faceva frequentare la Chiesa; mi mandarono infatti a Catechismo, facendomi fare la Prima Comunione e la Cresima.
Ci siamo sempre frequentati e con zia Norma (zio Geppe non c'era più) abbiamo festeggiato con un buon pranzo i 50 anni del nostro primo incontro.

Testimonianza di Carmen Spinnato, di 7 anni
Squilla il telefono: «Ciao sono la Virginia, la tua mamma, come stai?» Virginia non è la mia mamma, anch'io quando le telefono le dico: «Ciao sono tua figlia» (so che le fa piacere).
Ho conosciuto Virginia, o meglio, sono stata portata da Virginia, che avevo sette anni e lei ventuno.
È l'inverno 1945, la guerra è finita da pochi mesi e i sopravvissuti cercano tra le macerie un modo per ricominciare a vivere.
La nostra famiglia è fuggita dalle zone martoriate per raggiungere Bologna.
Non possediamo nulla, né per vestirci, né per mangiare. Ci viene assegnato, come abitazione, un unico locale
Mia madre va a fare dei servizi a casa dei "Signori". Mio padre tutte le mattine è alla ricerca di un lavoro con una schiera di disoccupati ed io con il mio fratellino stiamo tutta la mattina a letto per stare al caldo e sentire meno la fame.
Il problema più grosso sono i bambini, che hanno bisogno di tutto, dal cibo alla scuola, a una casa calda.
Si attiva la Camera del Lavoro, che insieme all'Amministrazione Comunale fa appello a contadini, braccianti, operai della campagna bolognese che la guerra ha risparmiato e chiede loro di ospitare per qualche mese nelle loro case, dove almeno il cibo non manca, i "bambini della montagna".
In poche settimane tutto è organizzato.
Parto con la corriera una domenica mattina per San Pietro in Casale: nella sala del Comune sono pronti a riceverci tanti uomini; le donne sono rimaste a casa a preparare l'accoglienza.
La mamma, che sta piangendo per la separazione, si accorge solo allora che le nostre due famiglie vivono in paesi diversi. Viene tranquillizzata dal ragazzo che ha già preso in braccio il mio fratellino: "Stia tranquilla signora, porteremo spesso il bimbo a trovare la sorella, in bicicletta non è nemmeno mezz'ora".
Fra lacrime di madri, pianti di bambini piccoli e uomini commossi, finisce la consegna dei bambini. I genitori ripartono con le corriere, dopo aver rassicurato i figli con una promessa: «ci vediamo domenica».
Una promessa che non potrà essere mantenuta, perché non avranno i soldi per il viaggio, soprattutto non hanno vestiti caldi né scarpe senza buchi alle suole ed è pieno inverno.
L'uomo che mi è venuto a prendere si chiama Ezio, é gigantesco, ma premuroso. Salgo sul cannone della bicicletta e mi lascio avvolgere dalla sua mantella.
A casa conosco tutta la famiglia, una famiglia di contadini, Virginia, suo marito Dante, il fratello Ermes e i genitori. Per me era pronta una bella tazza di latte caldo con lo zucchero; non lo bevevo da tanto tempo.
Mancavano pochi giorni a Natale e la famiglia si preoccupa di farmi un vestito nuovo e caldo; mi comprano anche un paio di robuste scarpe. Il giorno di Natale Virginia mi fa i boccoli e mi fa andare davanti al Presepio per dire il Sermone, come gli altri bambini.
Dopo due mesi venne a trovarmi la mamma,  fu invitata anche la famiglia del mio fratellino.
Arrivò tutta la famiglia, ma mio fratellino si mise a piangere appena fu abbracciato dalla mamma, non la riconosceva più e voleva l'altra "mamma".
Piange la mia mamma, ma anche l'altra mamma, che si scusa dicendole che a mio fratellino hanno sempre parlato della sua mamma e del suo babbo, ma bisogna aver pazienza e le due mamme si abbracciano.
Dopo un'abbondante merenda per tutti, mio fratellino Mauro comincia a giocare con me e, finalmente, va in braccio alla mamma.
Quando arriva il momento dei saluti io scoppio a piangere, voglio tornare a casa, mi costringono a rimanere e, dal dispiacere, per alcuni giorni ho fatto la pipì a letto. Sono rimasta in quella casa fino alla fine dell'anno scolastico.
Fino ai diciotto anni ho sempre fatto le vacanze dalla mia seconda famiglia, non ci siamo mai lasciati, ma soprattutto ci siamo sempre voluti bene e nessuno di noi ha mai dimenticato quella gara di solidarietà fra poveri6.

Salmo 148
Alleluia. Lodate il Signore dai cieli; lodatelo nei luoghi altissimi.

Lodatelo, voi tutti i suoi angeli;
lodatelo, voi tutti i suoi eserciti!

Lodatelo, sole e luna;
lodatelo voi tutte, stelle lucenti!

Lodatelo, cieli dei cieli, e voi acque al di sopra dei cieli!


Tutte queste cose lodino il nome del Signore,
perch'egli comandò, e furono create;

ed egli le ha stabilite in eterno;
ha dato loro una legge che non sarà trasgredita.

Lodate il Signore dal fondo della terra,
voi mostri marini e oceani tutti,

fuoco e grandine, neve e nebbia, vento impetuoso che esegui i suoi ordini;

monti e colli tutti,
alberi fruttiferi e cedri tutti;

animali selvatici e domestici,
rettili e uccelli;

re della terra e popoli tutti,
prìncipi e giudici della terra;

giovani e fanciulle,
vecchi e bambini!

Lodino il nome del Signore perché solo il suo nome è esaltato;

la sua maestà è al di sopra della terra e del cielo.

Egli ha ridato forza al suo popolo,
è motivo di lode per tutti i suoi fedeli,
per i figli d'Israele, il popolo che gli sta vicino. Alleluia.

CANTO: NADA TE TURBE
Nada te turbe nada te espante;
quiena Dios tiene nada le falta.
Nada te turbe, nada te espante
sòlo Dios basta

PREGHIERE SPONTANEE

PADRE NOSTRO

CANTO FINALE: SE UNO È IN CRISTO
Se uno è in Cristo è una creatura nuova
Le cose di prima sono passate ne sono nate di nuove.
Alleluia, alleluia, alleluia.
Alleluia, alleluia, alleluia
 

 

     
Photogallery della
"VEGLIA DI PREGHIERA IN MEMORIA DEL 67° ANNIVERSARIO DEL MARTIRIO DI MONTE SOLE"



 




 

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