PAX CHRISTI

PUNTO PACE BOLOGNA


 

 

 

 

 

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31 Marzo 2005: veglia per il 25° anniversario del martirio di mons. Oscar Romero
 

 

Ognuno ha le sue radici. Io sono nato in una famiglia molto povera. Ho sofferto la fame, so cosa significa lavorare da bambino. Da quando entrai in seminario e iniziai i miei studi fino a quando mi mandarono a Roma a finirli passai anni e anni tra i libri dimenticandomi delle mie origini. Mi feci un altro mondo. Poi tornai in El Salvador e mi diedero l'incarico di segretario del vescovo di San Miguel. Ventitré anni di parroco lì, ancora immerso nelle carte. E quando mi portarono a San Salvador come vescovo ausiliare, caddi nelle mani dell'Opus Dei e lì rimasi... Poi mi mandarono a Santiago de Maria e lì mi scontrai di nuovo con la miseria: con quei bambini che morivano solo per l'acqua che bevevano, con quei contadini che faticavano duramente per ore e ore... Sa, il carbone che è stato bragia, un piccolo soffio e prende fuoco! E non fu roba da poco quello che successe quando arrivò all'arcivescovado Padre Grande. Lei sa quanto io lo stimassi. Quando io vidi Rutilio morto pensai: se lo hanno ammazzato per quello che faceva, tocca a me camminare per la sua stessa strada... Cambiai, sì, però fu anche un ritorno.
(Confidenza di Oscar Romero al p. Cesar Jerez, superiore gesuita dell'UCA, passeggiando per via della Conciliazione a Roma)


CANTO:

QUANDO IL SIGNORE

         sol                                       do
Quando il Signore le nostre catene
                           la-                           re
strappò e infranse fu come un sogno,
       sol                                            do
tutte le bocche esplosero in grida
                    la-           re-            sol
inni fiorirono in tutte le gole!

sol-                                           re-
Genti dicevano al nostro passaggio:
  sol-                                    do-
“Dio per loro ha fatto prodigi”.
Dio per noi ha fatto prodigi,
                     sol-       re7           sol
abbiamo il cuore ubriaco di gioia.

 

 


I nostri esuli, Dio, riporta
come torrenti in terra riarsa.
Chi la semente ha gettato nel pianto
canti prepari al dì del raccolto.

Alla fatica van tutti piangendo
per il sudore che irrora la semina:
ma torneranno con passo di danza
portando a spalle i loro covoni.

 


Matteo 5;12,16
“Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”.


Il vero amore è quello che ha portato Rutilio Grande alla morte insieme, per mano, a due contadini. Così ama la Chiesa, muore con loro e con loro si presenta alla trascendenza del cielo. Li ama, ed è significativo il fatto che padre Grande è caduto colpito dagli spari mentre camminava portando il messaggio della messa e della salvezza. Un sacerdote coi suoi contadini, che cammina con il popolo per identificarsi con esso, per vivere con lui non un'ispirazione rivoluzionaria, ma un'ispirazione di amore e proprio perché è l'amore quello che ci ispira, fratelli, chissà... se le mani criminali che già sono incorse nella scomunica, stanno ascoltando per radio, in un loro covo, nella loro coscienza, queste parole... Vogliamo dirvi, fratelli criminali che vi amiamo e che chiediamo a Dio il pentimento per i vostri cuori, perché la Chiesa non è capace di odiare, non ha nemici. Sono nemici soltanto coloro che si dichiarano tali; ma essa li ama e muore come Cristo: perdonali, Padre, perché non sanno quello che fanno. L'amore del Signore ispirava l'azione di Rutilio Grande. Cari sacerdoti, raccogliamo questa preziosa eredità. Noi che l'abbiamo ascoltato, che abbiamo condiviso gli ideali di padre Rutilio, sappiamo che era incapace di predicare l'odio, che era incapace di aizzare la violenza.
Padre Rutilio, forse proprio per questo Dio l'ha scelto per tale martirio: perché coloro che lo conobbero, noi che l'abbiamo conosciuto, sappiamo che mai dalla sua bocca è uscito un richiamo alla violenza, all'odio, alla vendetta. Morì amando e, certamente, quando sentì i primi colpi annunciatori di morte, poté dire, come Cristo: perdonali, Padre, non sanno, non hanno capito il mio messaggio di amore. Fratelli, salvadoregni, quando in questi momenti cruciali della patria sembra che non esista una soluzione e si vorrebbero adoperare mezzi violenti, io vi dico, fratelli - sia lodato Dio - che nella morte di padre Grande la Chiesa sta dicendo: Sì, c'è una soluzione, la soluzione è l'amore, la soluzione è la fede, la soluzione è sentire la Chiesa non come nemica, la Chiesa come il punto di ritrovo di Dio con gli uomini.
[San Salvador, 14 marzo 1977- brano tratto dall’omelia per il funerale di Rutilio Grande]


E Dio passò per il Salvador...
"Nessun soldato è obbligato ad obbedire a un ordine contro la Legge di Dio…". Tremarono fin nelle fondamenta i palazzi del potere quando l'Arcivescovo, dall'altare della cattedrale, osò spingersi dove nessuno era mai arrivato: porre i militari di fronte all'alternativa tra gli ordini delle gerarchie e la legge di Dio. Oggi siamo noi a tremare di commozione, riascoltando quelle parole, che a distanza di ventidue anni suonano più che mai profetiche e che nessuno ha più avuto il coraggio di ripetere, da nessun altare del mondo. Forse perché Mons. Romero le firmò, la sera successiva, con il proprio sangue, sull'altare della cappella dell'ospedale dei poveri, al momento dell'offertorio. Forse perché per giungere a tanto è necessario un lungo cammino di liberazione che non si può percorrere da soli, ma soltanto in mezzo ad un popolo crocifisso. E questa non è la condizione quotidiana delle chiese, per quanto lo sia per la maggior parte dell'umanità. L'Arcivescovo quel giorno non era salito sull'altare da solo: si portava dentro il suo popolo martoriato e disperato e ciò gli permetteva, da tempo, di trascendere i propri limiti e le proprie paure. Romero era infatti un uomo pauroso e psicologicamente fragile. Ci confidava padre Rutilio Sanchez, suo collaboratore come responsabile della Caritas diocesana: "era incredibile costatare la differenza tra la sua fragilità, le sue paure, e la forza profetica che erompeva dalla sua persona quando commentava il Vangelo e denunciava i crimini. Sull'altare era un altro uomo!". E ancora: "siamo stati noi a mandarlo al martirio… perché gli portavamo ogni settimana i fatti documentati di quanto succedeva e gli dicevamo: "deve denunciarli". Lui aveva paura, ma dopo averli esaminati attentamente concludeva: "è giusto, è mio dovere di pastore!".
(di don Alberto Vitali - responsabile dell’America Latina di Pax Christi Italia)


CANONE:
EL SENYOR
El Senyor es la meva força, el Senyor el meu cant. Ell m’ha estat la salvaciò. En ell confio i no tinc por, en ell confio i no tinc por,


Ma evidentemente non tutti la pensavano così: allora come oggi, non mancano persone che ritengono di poter essere "buoni cristiani" anche opprimendo i poveri, uccidendo direttamente o indirettamente gli indifesi, e giustificando ogni forma di guerra e repressione. E' certamente paradossale, ma possibile quando si scava un abisso incolmabile tra la Parola di Dio e la risposta dell'uomo mediante l'annientamento della coscienza credente, che viene sostituita da una religiosità pretestuosa, gestita a proprio uso e consumo! Per questo le parole di Mons. Romero suonano di straordinaria attualità: "Ora è tempo che recuperiate la vostra coscienza e che obbediate alla vostra coscienza piuttosto che all'ordine del peccato…": sono parole che evidentemente riguardano tutti, non solo i militari. Anche noi, che all'inizio del terzo millennio cristiano ci troviamo a fare i conti con una nuova guerra planetaria dai contorni e i tempi incerti. Una guerra che interpella il giudizio delle nostre coscienze e ci pone - se pur in condizioni molto differenti - nella stessa situazione esistenziale di quei soldati che Mons. Romero pose drasticamente di fronte alle proprie responsabilità, alle proprie coscienze e soprattutto a Dio. Certo noi non siamo mandati a sparare o a bombardare, ma deleghiamo altri a farlo per noi. I nostri democraticissimi governi in nome della "sicurezza nazionale" - concetto sinistramente conosciuto in tutta l'America Latina - non si preoccupano del numero di vite innocenti sacrificate ogni volta nelle modernissime guerre umanitarie per il ripristino del "diritto" o la conservazione di una illusoria "libertà infinita". E l'Arcivescovo rimane lì, oltre il tempo, a ricordarci che un bambino, un vecchio, una donna… mutilati o martoriati in Salvador, negli Usa, in Iraq o in Afghanistan, hanno lo stesso valore al cospetto di Dio e non possono non lacerare la coscienza credente. Le sue parole, che richiamano alle responsabilità personali, risultano quanto mai in controtendenza nel momento in cui i poteri forti chiedono piuttosto deleghe in bianco. Niente può risultare più destabilizzante per l'ordine costituito che la coscienza personale. Se i militari anziché obbedire ciecamente iniziassero ad interrogarsi; se la religione cessasse d'essere un analgesico dei popoli per diventare il principio attivo del loro riscatto; se il Vangelo proclamato nelle chiese, nei giorni festivi, diventasse volano di tutte le decisioni feriali: dove andremmo a finire?
(di don Alberto Vitali - responsabile dell’America Latina di Pax Christi Italia)


CANONE
DONA LA PACE
Dona la pace Signore a chi confida in te. Dona, dona la pace Signore, dona la pace.


"Vogliamo che il Governo consideri seriamente che non servono a niente le riforme se sono ottenute con tanto sangue…". Ecco l'altro picco inaudito toccato dall'Arcivescovo: presentare il conto di sangue e vite umane, pagato ogni giorno dagli indifesi alle moderne strategie economiche e finanziarie, supportate dagli stati. Che lo dica la piazza, pazienza, passi… ma se ci si mette anche la Chiesa, allora non ci stanno più. Non possono accettarlo coloro che concepiscono la religione quale damigella della politica, riverita certo, ma buona solo per benedire gagliardetti. Anche Romero l'aveva fatto un tempo, ma ormai la sua profonda sincerità e incondizionata fedeltà a Dio l'avevano irrimediabilmente guarito. Perciò quell'uomo andava eliminato. Troppo tardi però: la sua voce era già risuonata forte e precisa, e le sue parole, custodite nel cuore del popolo che lo amava, più nessuno avrebbe potuto spegnerle. Sono le stesse parole che oggi risuonano in noi e scuotono le nostre coscienze e le nostre emozioni. Parole vere e indelebili perché non umane. Come ebbe a dire Ignacio Ellacuria, suo amico e stretto collaboratore, che lo seguirà sulla via del martirio nove anni dopo, insieme a cinque confratelli gesuiti e a due donne inermi: "con Mons. Romero Dio è passato per il Salvador!".
(di don Alberto Vitali - responsabile dell’America Latina di Pax Christi Italia)


CANONE
VENI SANCTE SPIRITUS
Veni Sancte Spiritus


"...Vorrei fare un appello speciale agli uomini dell’esercito, in concreto alla base della Guardia Nazionale, della polizia, delle caserme. Fratelli, siete del nostro stesso popolo, perché uccidete i vostri fratelli campesinos? Davanti all’ordine di uccidere deve prevalere la legge di Dio che dice: non uccidere. Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine che va contro la legge di Dio. Una legge immorale non ha l’obbligo di essere osservata. È tempo di recuperare la vostra coscienza e di obbedire prima alla vostra coscienza che all’ordine del peccato. La Chiesa, che difende i diritti di Dio, la Legge di Dio, la dignità umana, la persona, non può restare silenziosa davanti a tanta ignominia. Vogliamo che il Governo comprenda che non contano niente le riforme, se sono tinte di sangue. In nome di Dio, dunque, e in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono fino al cielo ogni giorno più clamorosi, vi supplico, vi scongiuro, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!".


Le ultime parole di Mons. Oscar Arnulfo Romero
«In questo calice
il vino diventa sangue
che è stato il prezzo della salvezza.
Possa questo sacrificio di Cristo
Darci il coraggio
Di offrire il nostro sangue
Per la giustizia e la pace del nostro popolo.
Questo momento di preghiera
ci trova saldamente uniti
nella fede e nella speranza…
»

Preghiera all’offertorio della messa.
Poi un colpo di fucile:
erano le 18:25 del 24 marzo 1980.


24 marzo 1980

Tutto portava a Roberto in quel crimine. Io volevo scomparire, sfumare quel giorno. E’ stato per me un trauma permanente portare questo cognome ed essere dello stesso sangue di qualcuno che fece un danno tanto spaventoso al popolo salvadoregno. Dal primo momento e fino ad oggi sono convinta che quell’uomo che fu mio fratello sia il responsabile dell’assassinio di Monsignore.
(Marisa D’Aubuisson)


Chi uccise mio fratello? Non poteva che essere D’Aubuisson! Fu lui, da quando mi diedero la notizia seppi che fu lui. Non fu D’Aubuisson che lo minacciò in televisione, con una sua foto che teneva nelle mani, dicendo che era pericoloso, che doveva stare attento perché era il segretario generale delle Organizzazioni? Che altro si vuole?! Un giorno lo sapremo tutti, questa è solo l’ultima pagina che ci manca.
(Tiberio Arnaldo Romero)


Quel lunedì 24 marzo si discuteva in un comitato della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti il rinnovamento dell’aiuto militare del governo nord americano al governo del Salvador. Io ero a Washington quel giorno per comparire davanti al comitato quando mi giunse la notizia della sua morte. Ricordando la grande volontà di vivere che aveva Monsignor Romero, parlai a suo nome. Per nulla. Pochi giorni dopo, gli aiuti militari furono approvati a larga maggioranza.
(Jorge Lara Braud)


La Mila chiamò tutte le sue amicizie e i suoi conoscenti più vicini. Ne sono certa perché chiamò anche me.
Hai saputo che alla fine hanno ucciso questo figlio di […]? Questa sera facciamo una festa per celebrarlo e sei invitata.
Si riunirono nella colonia San Benito per una festa, con champagne, con fuochi d’artificio, con balli e D’Aubuisson fu l’invitato d’onore.
Io non potevo smettere di piangere.
(Flor Fierro)


Dove continua a vivere
Mons. Romero continua a vivere. Vive in quelli che vanno a pregare in cattedrale e nel fondo dei loro cuori. Vive nei rifugi, nelle zone ripopolate, nei villaggi di campagna e nei tuguri. Vive in alcuni conventi, in alcuni professionisti, in alcuni intellettuali: nella UCA (università centroamericana, cattolica di San Salvador) si possono vedere dappertutto cartelli di mons. Romero. Non c'è dubbio che mons. Romero vive in mezzo ai poveri, per i quali la vita, la sopravvivenza, continua a rimanere un problema fondamentale: vive in tutti quelli che prendono la decisione di mettersi al servizio di questa gente e che dal suo ricordo prendono forza per correre i rischi… E vive in tutti quelli che cercano Dio con sincerità, a volte a tentoni, a volte con gioia. Mons. Romero continua a illuminare sul mistero di Dio reso tanto opaco nella crocifissione dei poveri e tanto luminoso nella loro speranza e nel loro impegno per la resurrezione.


CANONE
TU SEI SORGENTE VIVA
Tu sei sorgente viva, tu sei fuoco, sei carità. Vieni Spirito Santo, Vieni Spirito Santo.


Giovanni 2;1,12
Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. E Gesù rispose: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”. La madre dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”.
Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: “Riempite d'acqua le giare”; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: “Ora attingete e portatene al maestro di tavola”. Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo e gli disse: “Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un pò brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono”. Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà solo pochi giorni.


“C’è un segno preziosissimo che non dobbiamo perdere di vista ed è l’ambiente nel quale Giovanni colloca il racconto del primo miracolo di Gesù Cristo. Ambiente matrimoniale, ambiente di nozze. Ciò dimostra che la felicità è la gloria di Dio. Dio vuole che gli uomini godano la felicità della terra, la gioia di vivere, la felicità di amare, di condividere, di far festa. Dio non è un Dio triste, Dio è un Dio di festa, Dio banchetto, Dio gioia e nel cuore dell’uomo che ha fede non attecchisce il pessimismo. Ogni Epifania è un invito alla gioia. Qualcuno dirà che è un sarcasmo, quando in Salvador c’è tanta afflizione, tanta paura, tanto incubo, un invito alla gioia. Ma io credo che nessun tema sia tanto opportuno per la nostra patria e per i salvadoregni del tema liturgico di questa mattina, tema di gioia, di ottimismo. Intitoleremo la nostra riflessione di questa mattina così: Cristo manifesta la Sua gloria nella felicità degli uomini. Quanto più un uomo è felice, tanto più si manifesta in lui la gloria di Cristo. Quanto più un popolo si incammina per le vie della pace, della giustizia, della fraternità, dell’amore, tanto più Cristo è glorificato. Cristo è nella storia e la storia lo riflette come gioia dei popoli, come fiducia degli uomini. Questo è lo spirito della domenica, questo è il giorno del Signore, giorno di letizia, di allegria, non però egoista, ma condivisa con quelli che non hanno nulla. Condividere ciò che abbiamo per sentirci più felici”.
(Tratto da Oscar Arnulfo Romero un vescovo fatto popolo di Abramo Levi, ed. Morcelliana, Brescia, 1981, pag.53-54-55)


INVOCAZIONI DI PREGHIERA (libere)


PADRE NOSTRO


CANTO:

RESURREZIONE

RE                 SOL         RE             SOL
Che gioia ci hai dato, Signore del cielo
    RE             SOL         LA7
Signore del grande universo!
RE                 SOL         RE         SOL
Che gioia ci hai dato, vestito di luce
RE            LA         SOL
vestito di gloria infinita,
RE            LA         SOL
vestito di gloria infinita!

Vederti risorto, vederti Signore,
il cuore sta per impazzire!
Tu sei ritornato, Tu sei qui tra noi
e adesso Ti avremo per sempre,
e adesso Ti avremo per sempre.

 

 

RE                 SOL         RE
Chi cercate, donne, quaggiù,
                SOL         RE
chi cercate, donne, quaggiù?
                SOL             LA
Quello che era morto non è qui:
    RE                     SOL         RE
è risorto, sì! come aveva detto anche a voi,
SOL        RE         LA   
voi gridate a tutti che
    SOL
è risorto Lui,
RE        LA
a tutti che
SOL        RE
è risorto Lui!

 


Tu hai vinto il mondo, Gesù,
Tu hai vinto il mondo, Gesù,
liberiamo la felicità!
E la morte, no, non esiste più, l'hai vinta Tu
e hai salvato tutti noi,
uomini con Te,
tutti noi, uomini con Te.

 

 

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